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Tesina per la maturità classica: La follia nella letteratura, nell'arte e come fenomeno sociale
Materie trattate: Lettere, Latino, Inglese, Filosofia, Storia, Storia dell'arte.
La follia nella letteratura e nell'arte
LA PASSIONE
"Phaedra" di Seneca
"Orlando Furioso" di Ariosto
"Asylum" di McGrath
IL GENIO
Leopardi: genio e malattia
IL PERTURBANTE
"The fall of the house of Usher" by Edgar Allan Poe
"L'incubo" e "La follia di Kate" di Fà¼ssli
CRISI DELL'IO
"Enrico IV" di Pirandello
NASCITA MANICOMI
Gli Alienati di Géricault
Hegel: il corretto trattamento della pazzia
Legge italiana del 1904
ANTIPSICHIATRIA
"One flew over the cuckoo's nest" by Ken Kesey
La "Legge Basaglia"
DUE CASI CLINICI
Il caso Nietzsche
Vincent Van Gogh
Rappresentazioni della follia nella letteratura e nell'arte
INTRODUZIONE
Riflettere sulla follia vuol dire riflettere sulla nozione di identità , su come percepiamo le cose, su che cos'è la realtà . La follia non è solo disagio o malattia: con le sue categorie, ci provoca e interroga la nostra visione del mondo. Negli ultimi due secoli la medicina, le arti, le scienze umane, la giurisprudenza hanno riconosciuto alla follia un duplice valore: da una parte, essa è l'"altro", cioè un mondo profondamente diverso da quello dei "sani"; dall'altra, essa rivela qualcosa che è in tutti gli uomini. Tradizionalmente, folle è colui che, per comportamenti e opinioni, si distacca da ciò che la norma definisce accettabile. Qui inizia il problema della definizione della pazzia: nei vari ambiti sociali e nei differenti contesti storici cambiano i parametri che dividono ciò che è normale da quello che è deviante.
In generale, fino all'Ottocento la letteratura e l'arte previlegiano la rappresentazione della follia associata a ciò che sfugge al controllo della ragione, soprattutto alla passione amorosa. Nel testo latino proposto, tratto da una tragedia di Seneca, Phaedra, è proprio la passione di un amore, quello di una matrigna per il figliastro, che si scontra coi principi etici, a venir associato alla follia, con uno schema ricorrente nella letteratura successiva: l'amore impossibile che porta a uscir di senno diviene topos letterario tra i più utilizzati. Già dunque gli antichi individuarono nell'amore una delle cause della follia, istituendo un legame di lunga durata. La rappresentazione di pazzia amorosa ritorna con il «furioso» più noto della storia letteraria italiana: l'Orlando di Ludovico Ariosto. Il tema viene ancora trattato al giorni nostri ed è centrale in uno dei libri più famosi dello scrittore americano Patrick McGrath, Asylum, che narra di una passionale e folle avventura amorosa entro i confini di un manicomio londinese.
La follia assume un significato diverso durante la cultura romantica, che la rappresenta come un eccesso e un'esaltazione che rivela la natura più profonda dell'individuo. Nei romantici, lo spazio riservato alla pazzia amorosa è piuttosto limitato e vengono individuati altri due campi in cui la follia trova sfogo: il genio, che permette all'individuo di trascendersi e uscire di sé; le pulsioni profonde dell'anima, sepolte al di sotto della coscienza, in cui la natura umana rivela quanto ha di perturbante.
Una manifestazione del legame tra follia e eccesso romantico è dunque il genio, che vede al di là della ragione e della logica comune: si tratta, in qualche modo, di una forma di misticismo. Nasce così il mito dell'artista romantico folle, che si appoggia per di più a biografie reali. Questo mito ha per protagonista Torquato Tasso, grande poeta italiano vittima di un delirio di persecuzione e di crisi allucinatorie. La follia di Tasso è l'eccesso romantico che riconosce al genio poetico una superiore saggezza ma che vede la poesia come un ripiegamento totale su di sé e una perdita del mondo reale per il mondo interiore delle fantasie e delle passioni. Questa è la posizione di Giacomo Leopardi che a Tasso dedica una delle Operette morali, il Dialogo di Torquato Tasso con il suo genio e, per il tema che ci interessa, alcuni passi dello Zibaldone. Tasso è per Leopardi un uomo «vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato, che ha ceduto all'avversità , che soffre continuamente e patisce oltremodo» ( Zibaldone, 4255). Infelicità e follia sono i limiti della grandezza della sua opera: egli precipitando nella follia ha sancito la sua inferiorità di uomo e artista. Lo stesso genio di Tasso, del resto, è un genio che si ritorce contro se stesso: è un eccesso di conoscenza che finisce per sopraffare, un contatto con misteri così alti che finiscono per schiacciare. La follia è dunque il genio che non sa dominare se stesso e che, alla fine, si cancella. Per Leopardi sembra esistere, tra genio e follia, un rapporto strettissimo: almeno il rapporto che c'è tra una cosa e il suo eccesso.
Il carattere d'eccesso che l'età romantica riconosce alla follia può essere tale da farne un fenomeno perturbante: un fenomeno, cioè, che sconvolge la nostra normale percezione della realtà , evocandoci insieme qualcosa di sinistro e di oscuramente famigliare. La follia rivela così il nostro aspetto oscuro; il fantastico e il soprannaturale dicono qual'è la nostra reale natura. Su questa strada si pone un grande maestro del genere, l'americano Edgar Allan Poe (1809-1849). Roderick, il protagonista di uno dei sui racconti più famosi, Il crollo della casa Usher, è affetto da "una strana forma di terrore". Le origini di questo stato sono da una parte in una predisposizione ereditaria, dall'altra nell'attesa della morte della sorella Madeline, consumata da una malattia incurabile. Ma in entrambi i casi, ciò che conta è lo sprofondare in una paura primitiva, senza ragioni né confini: la follia rivela un'angoscia esistenziale che popola un mondo di fantasmi sinistramente famigliari. Il terrore di Roderick Usher si collega infatti alla morte della sorella, con cui egli sembra intrattenere un rapporto morboso, e all'estinzione della casata. Nel finale del racconto il terrore prende una forma concreta: lady Madeline, sepolta, riemerge dalla tomba, mentre la casa degli Usher crolla rovinosamente. La follia, insomma, svela un'inquietante compresenza di vita nella morte e morte nella vita. Il legame tra fantastico e follia emerge con chiarezza anche nelle opere di un pittore che è Poe stesso a citare nel Crollo della casa Usher: lo svizzero Fà¼ssli. Richiamata direttamente o indirettamente, la follia porta alla luce le forze oscure dell'inconscio. Anche qui il fantastico è la traduzione di angoscie profonde, legate a pulsioni distruttive o alla sessualità , come nella Follia di Kate e soprattutto nell' Incubo. Perciò la pazzia si lega a figure femminili: la donna non è solo la creatura più fragile di fronte alle passioni, ma anche l'oggetto del desiderio sensuale che si nasconde dietro all'attitudine sentimentale.
Il positivismo muta profondamente l'immagine della follia. Se, nella cultura romantica e in quella che da essa deriva, conteneva sempre un elemento di umana verità , ora diventa anzitutto malattia; e per di più malattia difficilmente curabile. Il pazzo va dunque isolato dalla società , che se ne deve difendere. La letteratura, però, non si allinea: pur riconoscendo che la follia è un fenomeno patologico, ne difende i diritti. Oppure, in clima decadentista, rovesci i termini: essa è seducente proprio perchè è malattia.
Una svolta decisiva nella storia della follia è segnata dalla nascita della psicoanalisi. I meccanismi del disturbo psichico sono ricondotti a quelli che regolano l'inconscio di ogni uomo. La follia non è più un mondo estraneo, da allontanare: in questo modo si può rivendicare il potere di conoscenza, mettendo in crisi le categorie tradizionali di io e di realtà . Appare dunque un'altra prospettiva: la pazzia è dimensione alternativa a quella della vita «normale», giudicata come impraticabile da molti scrittori del XX secolo. La follia è rifugio rispetto alla sofferenza dell'esistere. Il più noto e significativo esempio è probabilmente quello dell'Enrico IV di Pirandello che, come altri personaggi pirandelliani, sceglie la pazzia per non contaminarsi con la «vita impura». La follia di Enrico IV è dunque legata alla volontà di sfuggire alla vita, e in questo senso la follia svolge un ruolo analogo a quello che la morte svolge in altri autori, richiudendo l'individuo in una forma storica già definita e vissuta. L'alienazione mentale dà quindi tranquillità e fissità che si oppone alla lacerante molteplicità della realtà .
a cura di Erica Santi 5^A Liceo A. Righi Bologna
LA PASSIONE
“Phaedra” di Seneca
“Orlando Furioso” di Ariosto
“Asylum” by McGrath
IL GENIO
nella letteratura e nell’arte Leopardi: genio e malattia
IL PERTURBANTE
“The fall of the house of
Usher” by Edgar Allan Poe
“L’incubo” e “La follia di Kate”
di Füssli
CRISI DELL’IO
“Enrico IV” di Pirandello
NASCITA MANICOMI
Gli Alienati di Géricault
Hegel: il corretto trattamento
della pazzia
Legge italiana del 1904
ANTIPSICHIATRIA
come fenomeno sociale “One flew over the cuckoo’s
nest” by Ken Kesey
La “Legge Basaglia”
DUE CASI CLINICI
Il caso Nietzsche
Vincent Van Gogh
Erica Santi 5^A
Rappresentazioni della follia nella letteratura e nell'arte
INTRODUZIONE
Riflettere sulla follia vuol dire riflettere sulla nozione di identità, su come percepiamo le cose, su
che cos'è la realtà. La follia non è solo disagio o malattia: con le sue categorie, ci provoca e
interroga la nostra visione del mondo.
Negli ultimi due secoli la medicina, le arti, le scienze umane, la giurisprudenza hanno riconosciuto
alla follia un duplice valore: da una parte, essa è l'“altro”, cioè un mondo profondamente diverso da
quello dei “sani”; dall'altra, essa rivela qualcosa che è in tutti gli uomini.
Tradizionalmente, folle è colui che, per comportamenti e opinioni, si distacca da ciò che la norma
definisce accettabile. Qui inizia il problema della definizione della pazzia: nei vari ambiti sociali e
nei differenti contesti storici cambiano i parametri che dividono ciò che è normale da quello che è
deviante.
In generale, fino all'Ottocento la letteratura e l'arte previlegiano la rappresentazione della follia
associata a ciò che sfugge al controllo della ragione, soprattutto alla passione amorosa. Nel testo
latino proposto, tratto da una tragedia di Seneca, Phaedra, è proprio la passione di un amore, quello
di una matrigna per il figliastro, che si scontra coi principi etici, a venir associato alla follia, con uno
schema ricorrente nella letteratura sucessiva: l'amore impossibile che porta a uscir di senno diviene
topos letterario tra i più utilizzati. Già dunque gli antichi individuarono nell'amore una delle cause
della follia, istituendo un legame di lunga durata. La rappresentazione di pazzia amorosa ritorna con
il «furioso» più noto della storia letteraria italiana: l'Orlando di Ludovico Ariosto. Il tema viene
ancora trattato al giorni nostri ed è centrale in uno dei libri più famosi dello scrittore americano
Patrick McGrath, Asylum, che narra di una passionale e folle avventura amorosa entro i confini di
un manicomio londinese.
La follia assume un significato diverso durante la cultura romantica, che la rappresenta come un
eccesso e un'esaltazione che rivela la natura più profonda dell'individuo. Nei romantici, lo spazio
riservato alla pazzia amorosa è piuttosto limitato e vengono indivuduati altri due campi in cui la
follia trova sfogo: il genio, che permette all'individuo di trascendersi e uscire di sé; le pulsioni
profonde dell'anima, sepolte al di sotto della coscienza, in cui la natura umana rivela quanto ha di
perturbante.
Una manifestazione del legame tra follia e eccesso romantico è dunque il genio, che vede al di là
della ragione e della logica comune: si tratta, in qualche modo, di una forma di misticismo. Nasce
così il mito dell'artista romantico folle, che si appoggia per di più a biografie reali. Questo mito ha
per protagonista Torquato Tasso, grande poeta italiano vittima di un delirio di persecuzione e di
crisi allucinatorie. La follia di Tasso è l'eccesso romantico che riconosce al genio poetico una
superiore saggezza ma che vede la poesia come un ripiegamento totale su di sé e una perdita del
mondo reale per il mondo interiore delle fantasie e delle passioni. Questa è la posizione di Giacomo
Leopardi che a Tasso dedica una delle Operette morali, il Dialogo di Torquato Tasso con il suo
genio e, per il tema che ci interessa, alcuni passi dello Zibaldone. Tasso è per Leopardi un uomo
«vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato, che ha ceduto all'avversità, che soffre
continuamente e patisce oltremodo» ( Zibaldone, 4255). Infelicità e follia sono i limiti della
grandezza della sua opera: egli precipitando nella follia ha sancito la sua inferiorità di uomo e
artista. Lo stesso genio di Tasso, del resto, è un genio che si ritorce contro se stesso: è un eccesso di
conoscenza che finisce per sopraffare, un contatto con misteri così alti che finiscono per schiacciare.
La follia è dunque il genio che non sa dominare se stesso e che, alla fine, si cancella. Per Leopardi
sembra esistere, tra genio e follia, un rapporto strettissimo: almeno il rapporto che c'è tra una cosa e
il suo eccesso.
Il carattere d'eccesso che l'età romantica riconosce alla follia può essere tale da farne un fenomeno
perturbante: un fenomeno, cioè, che sconvolge la nostra normale percezione della realtà,
evocandoci insieme qualcosa di sinistro e di oscuramente famigliare. La follia rivela così il nostro
aspetto oscuro; il fantastico e il soprannaturale dicono qual'è la nostra reale natura. Su questa strada
si pone un grande maestro del genere, l'americano Edgar Allan Poe (1809-1849). Roderick, il
protagonista di uno dei sui racconti più famosi, Il crollo della casa Usher, è affetto da “una strana
forma di terrore”. Le origini di questo stato sono da una parte in una predisposizione ereditaria,
dall'altra nell'attesa della morte della sorella Madeline, consumata da una malattia incurabile. Ma in
entrambi i casi, ciò che conta è lo sprofondare in una paura primitiva, senza ragioni né confini: la
follia rivela un'angoscia esistenziale che popola un mondo di fantasmi sinistramente famigliari. Il
terrore di Roderick Usher si collega infatti alla morte della sorella, con cui egli sembra intrattenere
un rapporto morboso, e all'estinzione della casata. Nel finale del racconto il terrore prende una
forma concreta: lady Madeline, sepolta, riemerge dalla tomba, mentre la casa degli Usher crolla
rovinosamente. La follia, insomma, svela un'inquietante compresenza di vita nella morte e morte
nella vita. Il legame tra fantastico e follia emerge con chiarezza anche nelle opere di un pittore che è
Poe stesso a citare nel Crollo della casa Usher: lo svizzero Füssli. Richiamata direttamente o
indirettamente, la follia porta alla luce le forze oscure dell'inconscio. Anche qui il fantastico è la
traduzione di angoscie profonde, legate a pulsioni distruttive o alla sessualità, come nella Follia di
Kate e soprattutto nell' Incubo. Perciò la pazzia si lega a figure femminili: la donna non è solo la
creatura più fragile di fronte alle passioni, ma anche l'oggetto del desiderio sensuale che si nasconde
dietro all'attitudine sentimentale.
Il positivismo muta profondamente l'immagine della follia. Se, nella cultura romantica e in quella
che da essa deriva, conteneva sempre un elemento di umana verità, ora diventa anzitutto malattia; e
per di più malattia difficilmente curabile. Il pazzo va dunque isolato dalla società, che se ne deve
difendere. La letteratura, però, non si allinea: pur riconoscendo che la follia è un fenomeno
patologico, ne difende i diritti. Oppure, in clima decadentista, rovesci i termini: essa è seducente
proprio perchè è malattia.
Una svolta decisiva nella storia della follia è segnata dalla nascita della psicoanalisi. I meccanismi
del disturbo psichico sono ricondotti a quelli che regolano l'inconscio di ogni uomo. La follia non è
più un mondo estraneo, da allontanare: in questo modo si può rivendicare il potere di conoscenza,
mettendo in crisi le categorie tradizionali di io e di realtà. Appare dunque un'altra prospettiva: la
pazzia è dimensione alternativa a quella della vita «normale», giudicata come impraticabile da molti
scrittori del XX secolo. La follia è rifugio rispetto alla sofferenza dell'esistere. Il più noto e
significativo esempio è probabilmente quello dell'Enrico IV di Pirandello che, come altri personaggi
pirandelliani, sceglie la pazzia per non contaminarsi con la «vita impura». La follia di Enrico IV è
dunque legata alla volontà di sfuggire alla vita, e in questo senso la follia svolge un ruolo analogo a
quello che la morte svolge in altri autori, richiudendo l'individuo in una forma storica già definita e
vissuta. L'alienazione mentale dà quindi tranquillità e fissità che si oppone alla lacerante
molteplicità della realtà. Il furor in Seneca
Al centro dì tutte le tragedie di Seneca troviamo la rappresentazione dello scatenarsi rovinoso di sfrenate passioni, non
dominate dalla ragione, e delle conseguenze catastrofiche che ne derivano. Il significato pedagogico e morale
s'individua dunque nell'intenzione di proporre esempi dello scontro nell'animo umano di impulsi contrastanti, positivi e
negativi. Da un lato vi è la ragione, di cui si fanno spesso portavoce personaggi secondari che cercano di dissuadere i
protagonisti dai loro insani propositi; dall’altra vi è il furor, cioè l'impulso irrazionale, la passione (amore, odio, gelosia,
ambizione e sete di potere, ira, rancore), presentata, in accordo con la dottrina morale stoica, come manifestazione di
pazzia in quanto sconvolge l'animo umano e lo travolge irrimediabilmente. In questa lotta tra furor e razionalità, lo
spazio dato al furor, al versante oscuro, alla malvagità e alla colpa, è senza dubbio prevalente e va ben oltre i
condizionamenti e le esigenze imposti dal genere tragico. L'interesse per la psicologia delle passioni, che può apparire
quasi morboso, sembra talora far dimenticare al poeta le esigenze filosofico-morali. Inoltre è caratteristica delle tragedie
senecane l'accentuazione delle tinte più fosche e cupe, degli aspetti più sinistri, dei particolari più atroci, macabri,
raccapriccianti. In poche parole Seneca enfatizza il pathos e dimostra la forza devastante della passione, indice di
disintegrazione della personalità interiore. I personaggi vengono analizzati in profondità: di essi vengono messi in
risalto i contrasti interiori, le esasperazioni, il furor regni, la morte della ragione, la bestialità umana.
In realtà la visione pessimistica, l'accentuazione degli elementi cupi e la forte intensificazione patetica, appaiono
funzionali a quel valore di esemplarità negativa che i personaggi tragici rivestono agli occhi dei filosofo; sono mezzi di
cui l'autore si serve per raggiungere più efficacemente il suo principale obiettivo, consistente nell'ammaestramento
morale. Del resto il pathos caricato, l'enfasi e il gusto per i particolari orridi e raccapriccianti erano già presentì nel
tragici latini arcaici, e trovavano piena corrispondenza nel gusto dei tempi di Seneca.
Particolarmente esemplari, nel gusto tragico e macabro che meglio esprime la follia senecana sono Phaedra («Fedra»),
Medea, Thyestes («Tieste»), Troades («Le Troiane»).
Lucio Anneo Seneca
La Passione di Fedra
Phaedra, scritta tra il 50 d.C. e il 62 d.C., di Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) riprende la trama dell' Ippolito
euripideo. Fedra, moglie del re d'Atene Teseo, che è momentaneamente lontano dalla propria casa, si innamora
perdutamente del figliastro Ippolito, che però sdegna ogni compagnia femminile ed è dedito esclusivamente alla caccia.
Particolarmente importante è sottolineare il momento della "dichiarazione" di Fedra a Ippolito. Si tratta sicuramente di
una scena culminante, dove la regina, disperatamente e colpevolmente innamorata del figliastro, si decide a rivelargli la
sua passione. L'amore incestuoso ha travolto ogni limite: è il conflitto inconciliabile tra ragione e passione, l'insanabile
lacerazione interiore di chi è preda del furor e ha perso il controllo di sé e delle proprie azioni. Il progressivo
avvicinamento alla "dichiarazione" vera e propria è sapientemente preparato attraverso una serie dì passaggi intermedi:
l) Fedra respinge l'appellativo di madre che Ippolito le rivolge;