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Gli alleati austriaci avevano invece offerto - in cambio della neutralità - parte di Trentino e Friuli,

con l'esclusione di Gorizia e Trieste; le motivazioni - in parte ideologiche in parte strumentali -

degli interventisti si fondavano sul fatto che l'Austria-Ungheria era la potenza contro la quale si era

combattuto durante le guerre d'indipendenza e che entrare in guerra al suo fianco o rimanere

neutrali avrebbe smentito tutta la tradizione risorgimentale.

Il 3 maggio l'Italia, si disimpegnò dalla Triplice Alleanza. Nei giorni seguenti Giolitti e il

parlamento, in maggioranza neutralista, combatterono l'ultima battaglia per salvare l'Italia dal

conflitto, mentre i nazionalisti manifestavano in piazza per l'entrata in guerra ("le radiose giornate di

maggio", secondo la definizione di Gabriele D'Annunzio). I parlamentari neutralisti ricevettero

minacce e intimidazioni, e lo stesso Giolitti dovette assumere una scorta. Il 13 maggio Salandra

presentò al Re le dimissioni; Giolitti, nel timore di approfondire una grossa frattura all'interno del

paese, di provocare una crisi istituzionale di larga portata e di compromettere il paese all'esterno,

rinunciò alla successione e fece in modo in sostanza che l'incarico venisse conferito nuovamente a

Salandra. L'Italia entrò perciò in guerra per volontà di un gruppo di relativa minoranza, chiamando

a combattere i militari lungo più di 650 chilometri di fronte.

Interventisti e neutralisti in Italia [modifica]

Alla vigilia della guerra, l'opinione pubblica italiana era così spaccata:

 Interventisti

o I liberal-conservatori, che speravano in un rafforzamento delle istituzioni in senso

autoritario, tra cui Antonio Salandra e Sidney Sonnino.

o Gli irredentisti, che vedevano la guerra come una prosecuzione del Risorgimento,

un'occasione per liberare le terre italiane irredente, rimaste in mano austriaca.

o I socialisti rivoluzionari, che speravano che la guerra avrebbe accelerato il

compimento della rivoluzione socialista, tra cui Benito Mussolini.

o I nazionalisti, che esaltavano la guerra come strumento per dare potenza e prestigio

alla Nazione.

o Gli industriali dell'industria pesante, che avrebbero fatto ingenti guadagni attraverso

la produzione bellica.

o La massoneria e gli intellettuali come D'Annunzio, Corradini, Marinetti e molti altri.

 Neutralisti

o I cattolici, sia per i principi evangelici sia per non andare contro la cattolicissima

Austria.

o I socialisti, che vedevano la guerra come una inutile strage, e che volevano

proteggere gli interessi sovranazionali della Seconda Internazionale Socialista.

o Giolitti e i giolittiani, che ritenevano di poter ottenere comunque dall'Austria le terre

irredente in cambio della neutralità.

o Gli industriali che producevano per l'esportazione, che speravano di poter sostituire

sui mercati internazionali la Germania impegnata nella guerra.

L'Italia entra in guerra [modifica]

L'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, e alla Germania quindici mesi più

tardi.

All'alba del 24 maggio il Regio Esercito sparò la prima salva di cannone contro le postazioni austro-

ungariche asserragliate a Cervignano del Friuli che, poche ore più tardi, divenne la prima città

conquistata. All'alba dello stesso giorno la flotta austro-ungarica bombardò la stazione ferroviaria di

Manfredonia; alle 23:56, bombardò Ancona. Lo stesso 24 maggio cadde il primo soldato italiano,

Riccardo di Giusto.

Il comando delle forze armate italiane fu affidato al generale Luigi Cadorna. Il nuovo fronte aperto

dall'Italia ebbe come teatro l'arco alpino dallo Stelvio al mare Adriatico e lo sforzo principale

tendente allo sfondamento del fronte fu attuato nella regione della valli isontine, in direzione di

Lubiana. Anche qui, dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di

trincerarsi e resistere. Si arrivò così a una guerra di trincea simile a quella che si stava svolgendo sul

fronte occidentale: l'unica differenza consisteva nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le

trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle

Alpi, fino ed oltre i 3.000 metri di altitudine.

Nei primi mesi di guerra l'Italia sferrò quattro offensive contro gli austro-ungarici ad est. Queste

furono:

 Prima battaglia dell'Isonzo: 23 giugno - 7 luglio 1915

 Seconda battaglia dell'Isonzo: 18 luglio - 3 agosto 1915

 Terza battaglia dell'Isonzo: 18 ottobre - 3 novembre 1915

 Quarta battaglia dell'Isonzo: 10 novembre - 2 dicembre 1915

in quest'ultime le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, il che

equivaleva a circa un quarto delle forze mobilitate. Degna di menzione è l'offensiva nell'alto Cadore

sul Col di Lana tendente a tagliare una delle principali vie di rifornimento al settore Trentino

attraverso la Val Pusteria. Questo teatro di operazioni fu secondario rispetto alla spinta ad est,

tuttavia ebbe il merito di bloccare, in seguito, contingenti austro-ungarici: la zona di operazioni si

avvicinava infatti più di ogni altro settore del fronte a vie di comunicazione strategiche per

l'approvvigionamento del fronte tirolese e trentino.

Tanti caduti, pochi risultati [modifica]

Si arrivò così all'inizio del 1916. Mentre in febbraio gli austro-ungarici ammassarono truppe in

Trentino, l'11 marzo, per otto giorni, si svolse la Quinta battaglia dell'Isonzo, che non portò ad alcun

risultato.

A giugno gli austro-ungarici sfondarono in Trentino arrivando ad occupare tutto l'altipiano di

Asiago; l'esercito italiano riuscì a fatica a fermare l'offensiva e gli austro-ungarici si ritirarono

tornando a rinforzare le loro posizioni sul Carso. L'offensiva fu significativamente chiamata

Battaglia degli Altipiani Strafexpedition (ovvero "spedizione punitiva"). Il 4 agosto iniziò la Sesta

battaglia dell'Isonzo che portò il 9 agosto alla conquista della città di Gorizia che, pur non essendo

di importanza strategica, verrà presa ad un prezzo altissimo (20.000 morti e 50.000 feriti). L'anno si

concluse con altre tre offensive:

 Settima battaglia dell'Isonzo: 14 settembre - 16 settembre 1916

 Ottava battaglia dell'Isonzo: 1º novembre 1916

 Nona battaglia dell'Isonzo: 4 novembre 1916

Nell'ultima parte dell'anno gli italiani riuscirono ad avanzare di qualche chilometro in Trentino, ma

per tutto l'inverno del 1916-1917, sul fronte dell'Isonzo, tra il Carso e Monfalcone, la situazione

rimase stazionaria.

La speranza dell'Intesa era che con l'entrata in guerra degli italiani si indebolisse l'esercito degli

Imperi Centrali, che sarebbe stato impegnato su tre fronti, ma questo avvenne solo in parte, anche a

causa dell'indebolimento della Russia sul fronte interno.

La ripresa delle operazioni arrivò in maggio. Dal 12 maggio al 28 maggio si svolse la Decima

battaglia dell'Isonzo. Dal 10 giugno al 25 giugno si svolse invece la Battaglia del Monte Ortigara

voluta da Cadorna per riconquistare alcuni territori del Trentino rimasti in mano austro-ungarica. Il

18 agosto ebbe inizio la più imponente delle offensive italiane, l'Undicesima battaglia dell'Isonzo:

anche questa non porterà significativi cambiamenti e verrà pagata a caro prezzo, sia come perdite

che come conseguenze.

La disfatta di Caporetto [modifica]

Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana, austro-ungarici e tedeschi decisero di contrattaccare.

Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi sfondarono il fronte dell'Isonzo a nord convergendo su

Caporetto e accerchiarono la 2a Armata italiana, in particolare il IV ed il XXVII Corpo d'armata,

comandato dal generale Pietro Badoglio. Il generale Capello, comandante della 2a armata italiana,

come pure il capo di stato maggiore dell'esercito Luigi Cadorna da tempo avevano sentito di un

probabile attacco, ma sottovalutarono tali notizie e anche l'effettiva capacità offensiva delle forze

nemiche. Capello durante l'accerchiamento preferì farsi diplomaticamente ricoverare in ospedale e

questo gli costò poi l'impossibilità di difendersi di fronte alla commissione d'inchiesta, tanto da

essere negli anni successivi degradato ed incarcerato.

Da lì gli austriaci avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro

giorni. La Disfatta di Caporetto provocò il crollo del fronte italiano sull'Isonzo con la conseguente

ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, oltre alle perdite umane e di

materiale; 350.000 soldati si diedero a una ritirata scomposta assieme a 400.000 civili che

scappavano dalle zone invase. La ritirata venne prima effettuata portando l'esercito lungo il

Tagliamento, ed in seguito fino al Piave, l'11 novembre 1917, quando tutto il Veneto (Venezia

compresa) sembrava potesse andare perduto. Alla fine si contarono quasi 700.000 tra morti, feriti e

prigionieri. A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso il 29 ottobre 1917,

indicò, in modo errato e strumentale «la mancata resistenza di reparti della II armata» come la

motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito austro-ungarico. In seguito Cadorna,

invitato a far parte della Conferenza interalleata a Versailles, venne sostituito, per volere del nuovo

presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando, dal generale Armando Diaz, l'8 novembre

1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del Piave.

Da Caporetto alla fine della guerra [modifica]

Gli austro-ungarici e i tedeschi chiusero l'anno 1917 con le offensive sul Piave, sull'Altipiano di

Asiago e sul monte Grappa. Gli italiani, decimati dopo Caporetto, furono costretti, per riempire i

vuoti d'organico a chiamare al fronte i Ragazzi del '99, appena diciottenni, mentre si decise di

conservare la leva del 1900 per un ipotetico sforzo finale, nel 1919.

Se la severa disciplina di Cadorna, oltre alle dure parole di papa Benedetto XV sull'«inutile strage»

che avevano colpito i militari più religiosi e ai lunghi mesi in trincea, aveva fiaccato l'esercito, la

ritirata sul fronte del Grappa-Piave consentì all'esercito italiano, ora in mano a Diaz, di concentrare

le sue forze su di un fronte più breve, meglio difendibile, e, soprattutto, con un mutato

atteggiamento tattico, impostato alla difesa del territorio nazionale. Ciò ricoprì di un nuovo

significato morale la guerra e consentì il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto

per la cosiddetta «Vittoria finale».

Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando

un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. La fine della guerra

contro la Russia fece sì che la maggior parte dell'esercito impiegato sul fronte orientale potesse

spostarsi

L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella

cosiddetta Battaglia del solstizio (15 - 23 giugno 1918), che vide gli italiani, finalmente rincuorati,

resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un

passo dal baratro, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano

economico e soprattutto su quello morale, data l'incapacità della monarchia di farsi garante

dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della

rivoluzione, l'Italia anticipò ad ottobre l'offensiva prevista per il 1919, per impegnare le riserve

austro-ungariche ed impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.

Da Vittorio Veneto, il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani

avanzarono rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3

novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani

entrarono a Trento mentre i bersaglieri sbarcarono a Trieste, chiamati dal locale comitato di salute

pubblica, che però aveva richiesto lo sbarco di truppe dell'Intesa. Il giorno seguente, mentre il

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