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L’EBREO – Al centro del mirino
Storia Gli ebrei nella II guerra mondiale
SHOAH: L’INFERNO IN TERRA
Il problema: dalla discriminazione allo sterminio degli ebrei d’Europa
Il termine Shoah, che in lingua ebraica significa distruzione, viene utilizzato dagli storici per
indicare il tentativo attuato dal regime nazista di sterminare gli ebrei tedeschi e di tutta l’Europa.
La shoah è stata la realizzazione concreta delle idee che il nazismo proclamò fin dalle sue origini e
che diventarono dottrina ufficiale dello Stato dopo la sua salita al potere nel 1933.
L’odio verso gli ebrei ha radici molto lontane nel
tempo, ma quello cha nasce e si sviluppa alla fine
dell’Ottocento ha caratteristiche del tutto nuove e viene
indicato con il termine “antisemitismo”. A quei tempi
nell’Europa occidentale la maggioranza degli ebrei si era
integrata nella società, per loro essere ebrei non aveva
particolare significato: solo una minoranza era
praticante, mentre i più sapevano poco o nulla
sull’ebraismo. Alcuni si erano convertiti al cattolicesimo
o al protestantesimo, molti si erano sposati con persone
non ebree. In Germania non erano particolarmente
numerosi: erano circa l’1% della popolazione, ma molti di loro avevano completato gli studi ed
erano presenti in settori come il giornalismo, il teatro, la medicina e la politica.
In quegli anni la Germania aveva avviato un processo di modernizzazione temuto molto dai
tedeschi. Alcune persone iniziarono a ritenere che la Nazione tedesca dovesse essere composta
solo da germani e che si dovessero allontanare gli ebrei, considerati come stranieri che portavano
il paese alla rovina. L’antisemitismo si rafforzò dopo la prima guerra mondiale. Infatti la Germania,
uscita sconfitta dal conflitto, attraversava un periodo difficile: si sentiva umiliata dal trattamento
di pace, si era diffusa la disoccupazione, la moneta tedesca valeva nulla al punto che era molto
difficile comprare anche i prodotti di prima necessità.
Molti uomini politici di destra, tra cui Hitler, ritennero gli ebrei responsabili di questa situazione,
perché erano convinti che la Germania fosse vittima di un complotto ebraico internazionale. Egli
pensava che gli ebrei fossero a capo del comunismo e del capitalismo, i due nemici più pericolosi
dello Stato nazista. Per Hitler e per i suoi seguaci dunque essere ebreo significava appartenere ad
una razza inferiore e pericolosa, che doveva essere eliminata dalla Nazione tedesca che sognavano
di costruire.
I provvedimenti contro gli ebrei
Il primo attacco contro gli ebrei si ebbe già dopo soli due mesi dall’ascesa al potere di Hitler
(1° settembre 1933). Tra il 1933 e il 1935, infatti, una serie di misure discriminatorie escludeva
progressivamente gli ebrei da tutti i settori della vita pubblica tedesca: sono esclusi dalla cultura,
viene infatti vietato loro l’accesso dalle scuole elementari all’Università, espulsi dagli edifici
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L’EBREO – Al centro del mirino
pubblici, allontanati dall’esercito, privati della cittadinanza tedesca... La propaganda presentava in
modo ossessivo l’ebreo come immagine nemico del tedesco, pericoloso per la vita sociale e
parassita.
Le leggi di Norimberga
Nel settembre del 1935 a Norimberga, durante il settimo congresso del partita nazista,
furono stabilite due leggi fondamentali per il destino degli ebrei: la legge sulla cittadinanza tedesca
del Reich e la legge per la protezione del sangue. La prima stabiliva l’esclusione degli ebrei dalla
vita civile, mentre la seconda proibiva i matrimoni e le relazioni tra ebrei e non ebrei. Due anni più
tardi inizia l’arianizzazione vera e propria dell’economia, costringendo gli ebrei a vendere le loro
attività ad un prezzo bassissimo.
La notte dei cristalli
Il 1938 segnò una svolta decisiva e drammatica per gli
ebrei tedeschi: il regime passò dalle parole ai fatti, dalla
discriminazione all’aggressione. I nazisti presero a pretesto
l’uccisione di un funzionario dell’ambasciata tedesca da
parte di un giovane ebreo per attaccare gli ebrei. La folla
inferocita incendiò le sinagoghe, assalì negozi e abitazioni,
gettando mobili dalle finestre e rompendo le vetrine, questo
giorno, infatti, passa alla storia come notte dei cristalli. Da
quel momento la persecuzione procederà con spietata
efficienza fini al suo esito finale: lo sterminio degli ebrei
d’Europa.
La ghettizzazione (1938-1941) Quando i tedeschi invasero la Polonia, caddero nelle loro
mani 3 milioni di ebrei, che costituirono circa il 10% della
popolazione. Formarono quindi una “minoranza nazionale”;
cosicché i tedeschi, al loro arrivo, li rinchiusero nei ghetti.
Oggi la parola ghetto viene usata per indicare i quartieri di una città
abitati da una minoranza, le cui condizioni di vita sono difficili. I
ghetti della Polonia assomigliavano a quelli del medioevo, a
quartieri completamente isolati. Gli ebrei venivano separati, in
questi quartieri, dal resto della città “ariana”, attraverso mura o
addirittura da fili spinati.
Obbligarono gli ebrei delle cittadine di provincia ad ammassarsi nei
ghetti, che in seguito furono colmati anche dalla presenza degli
ebrei, deportati dalla Germania, e degli zingari.
Gli ebrei dovevano organizzarsi tra loro, come fossero in un piccolo Stato indipendente, sprovvisto
di tutto. In questi ghetti, le condizioni di vita erano di degrado più assoluto, per espressa volontà
dei tedeschi; un esempio è la rappresentato dai 403 ettari di Varsavia, in cui erano ammassati circa
550.000 individui. Anche gli appartamenti, di conseguenza, erano sovraffollati, in quanto
contavano circa sei o sette persone per stanza. Data la scarsa alimentazione, dovuta al fatto che i
tedeschi non lasciavano passare facilmente i viveri, si patì terribilmente la fame. Molte persone
cominciarono a morire di tifo, malattia mortale propagata dalle pulci e dalla sporcizia.
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L’EBREO – Al centro del mirino
La soluzione finale (1942-1945)
Il 20 gennaio 1942, in un sobborgo di Berlino, i maggiori organi dello Stato tedesco si
riunirono per discutere la soluzione finale del problema ebraico. L’eliminazione degli ebrei venne
realizzata in due fasi distinte: le operazioni mobili di massacro e la deportazione nei campi di
sterminio. Le operazioni mobili di massacro
Gli ebrei furono uccisi in massa, in concomitanza con l’invasione dell’Unione sovietica.
Piccoli kommando speciali accompagnavano gli eserciti con il compito di massacrare i responsabili
comunisti e gli ebrei. Arrivati in un centro abitato, radunavano la popolazione ebraica del paese e
la portavano in un luogo isolato, dove avevano provveduto a scavare una o più fosse. Li
costringevano a spogliarsi e, saliti sulla scarpata, dopo una raffica di spari cadevano nella fossa.
Centri di sterminio
La stragrande maggioranza degli ebrei fu deportata in luoghi, talvolta chiamati campi,
creati esclusivamente per uccidere. Il primo di questi a funzionare fu nel 1941 nella cittadina
polacca di Chelmno. Seguirono poi i centri di Belzec, Sobibor e Treblinka, poco conosciuti perché
non sono rimasti testimoni in vita. Lì i nazisti portarono con treni merci migliaia di persone,
uomini, donne e bambini per ucciderli nelle camere a gas e seppellire i loro corpi in fosse comuni,
o bruciarli in forni crematori. Gli impianti non erano molto grandi, poiché i deportati non dovevano
stare lì per molto tempo, essendo destinati a morte sicura.
I campi di concentramento
I campi di concentramento, invece, erano in prevalenza luoghi in cui si sfruttava il lavoro
del detenuto, che poteva solo sperare di sopravvivere nonostante il lavoro disumano e la durezza
della vita quotidiana. I detenuti, infatti, pativano fame e freddo, e svolgevano lavori estenuanti o
addirittura mortali, vivendo così in condizioni umilianti, perché considerati peggio di animali.
All’inizio questi campi erano riservati agli oppositori politici, agli omosessuali, agli zingari e ai
testimoni di Jehova, che rifiutavano di rinunciare alla loro fede; solo in seguito furono “aperti”
anche agli ebrei, ridotti in schiavitù, per far svolgere quel pesante lavoro che ai tedeschi veniva
retribuito e che non potevano più svolgere perché impegnati sul fronte di guerra.
Processo di Norimberga
La responsabilità del conflitto e della Shoah fu fatta
ricadere sui gerarchi nazisti, che vennero condannati come
criminali di guerra nel Processo di Norimberga (Nürnberg),
celebrato dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946 nel Palazzo
di Giustizia (l'unica corte tedesca abbastanza grande da poter
contenere l'evento e che non fosse stata distrutta dai
bombardamenti alleati). Il primo e più famoso di questi
processi fu il Processo dei principali criminali di guerra davanti
al Tribunale militare internazionale (IMT), che giudicò 24 dei più importanti capi nazisti catturati (o
ancora ritenuti in vita). Il secondo gruppo di processi fu per criminali di guerra inferiori, tenuto
sotto la Legge numero 10 del Consiglio di Controllo dal Tribunale militare di Norimberga (NMT), e
comprese anche il famoso Processo ai dottori, accusati di avere preso parte a crimini di guerra e
contro l'umanità partecipando a esperimenti nazisti su esseri umani in nome della scienza.
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L’EBREO – Al centro del mirino
Italiano La crisalide di Vasilij Grossman
Tante sono le testimonianze dello sterminio degli ebrei nei campi di concentramento. Le
più celebri sono: “Il diario di Anna Frank”,in cui questa ragazza ebrea racconta le sue difficili
condizioni di vita durante l’antisemitismo ; “Se questo è un uomo” di Primo Levi, in cui l’autore ci
descrive la propria vita da prigioniero nel lager, dove gli viene tolto tutto: beni propri, dignità e
persino il nome; e le testimonianze di Alberta Levi raccolte in un libro, “La storia di Alberta Levi”, a
cura degli alunni di terza, con l’aiuto dei professori, della scuola media “De Curtis” di Casavatore
(NA), che contiene una riflessione che credo sia d’insegnamento per la nostra vita, concepita dalla
stessa Alberta: “Non aspettate che sia troppo tardi, dopo è sempre molto tardi. Quando la libertà
è perduta, è difficile riconquistarla.”; infine, vi è il celebre romanzo “Vita e destino” di Vasilij
Grossman, di cui io ho riportato un brano intitolato “La Crisalide”.
La crisalide
“La crisalide” è un passo tratto dal romanzo “Vita e destino”
dello scrittore sovietico, Vasilij Grossman, di origine ebraica.
Personaggi di questo brano sono il medico militare, Sof’ja Osipovna,
che da Mosca si era trasferita a Stalingrado, dove era stata arrestata,
essendosi opposta con forza a una disposizione delle SS, che le
avrebbe salvato la vita, e David, un bimbo di sei anni, che la guerra
aveva separato dalla madre. Sof’ja Osipovna lo aveva incontrato nel
vagone merci con cui erano giunti nel lager, solo, e lo aveva preso
con sé.
Grossman apre il testo con una descrizione del paesaggio che avvolgeva il lager. Dice che
venne spalancata una grande città davanti ai deportati, una città avvolta dalla nebbia e dal fumo
scuro delle lontane ciminiere e che trasmetteva un’impressione allucinante: era il lager. Continua,
poi, dicendo che i deportati vennero convogliati nel piazzale, dove al centro, su un podio di legno
vi era una piccola orchestra, composta da una decina di persone. Fa poi una riflessione personale,
secondo me stupenda, dice infatti che “ La musica che sfiora il condannato, suscita d’improvviso
nella sua anima non pensieri né speranze ma solo il miracolo cieco e penetrante della vita”, ciò sta
a significare che la musica non suscita al condannato speranze di salvezza, ma gli fa comprendere il
dono della vita, unico, prezioso, ma soprattutto a mio parere, irripetibile. Continua, infatti,
dicendo che “… nello spiazzo del lager la gente percepiva che la vita è più della felicità, che essa è
anche sofferenza e che la libertà è difficile, a volte anche terribile: essa è vita”.
Intanto Sof’ja Osipovna camminava con passo cadenzato e pesante e David si aggrappava