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L'accento di A room of One's Own è puntato sulla semplice considerazione che per una donna - ai tempi
della Woolf - era sempre impossibile potersi dedicare alla scrittura o alla semplice lettura, alla
riflessione, al pensiero, proprio in virtù del fatto che le era precluso uno spazio fisico all'interno della
casa, una stanza tutta per sé , né tanto meno una rendita che le permettesse di mantenersi e le regalasse
quella piccola libertà di potersi dedicare all'arte. Non si tratta di un pamphlet polemico, né di invettiva
sociale, quanto piuttosto di una lunga e pacata riflessione che ci svela come per la Woolf sia
inconcepibile potersi dedicare ad una forma d'arte restando inseriti negli ingranaggi della società.
A room of one's own: Women's inferiority in literature
“The world did not say to her as it say to man «Write if you choose; it make no indifference to
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me.» The world said with a guffaw «Write? What's the good of your writing?»”
A Room of One's Own is an extended essay, based on Woolf's lectures at a women's college at
Cambridge University in 1928. In it, Woolf addresses her
thoughts on "the question of women and fiction," interpreted by
Woolf as many questions. In A room of one’s own Woolf
ponders the significant question of whether or not a woman
could produce art of the high quality of Shakespeare. In doing so,
she examines women’s historical experiences as well as the
distinctive struggle of the woman artist. Her treatment moves
from some radical critics addressed to women and pronounced by
Vanessa Bell. Painting of her sister
Virginia. 1911-1912 famous historical men, such as Oscar Browning, Napoleon,
Mussolini, John Langdon Davies and many others. Obviously she underlines, with a sarcastic vein, the
1 Woolf. V (2006), A Room of One's Own, Roma, Grandi Tascabili Economici Newton
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absurdity of these opinions and the ignorance hat justifies it. But she doesn’t stop here: woman, in her
opinion, isn’t only a victim of a phallocratic world, she mustn’t only ask for something, but she has to
use the instruments she possesses to give a definite shape to her personality and to her social role.
At the center of the book is its famous thesis, which is echoed in the book's title. In asserting that a
woman needs a room of her own to write, Woolf addresses both a historical and a contemporary
question regarding women's art and their social status. The historical question is why there have been
few great women writers. The contemporary question is how the number of women writers can
increase. Woolf s answer — this matter of a room of one's own — is known as a "materialist" answer.
That is, Woolf says that there have been few great women in history because material circumstances
limited women's lives and achievements. Because women were not educated and were not allowed to
control wealth, they necessarily led lives that were less publicly significant than those of men. Until
these material limitations are overcome, women will continue to achieve, publicly, less than men.
Woolf's materialist thesis implicitly contests notions that women's inferior social status is a natural
outcome of biological inferiority. While most people now accept the materialist position, in Woolf's
time, such arguments still had to be put forward with conviction and force. So we can understand
Virginia Woolf is very interested in feminist themes, and in a lot of her novels she investigates female
nature and attitude to the reality, trying to reinforce the idea woman is a creature endowed of great
qualities, such as determination, coherence and so on.
Una donna : Documento autobiografico sulla “questione muliebre”
Mentre la Woolf, sotto forma di saggio, denuncia questa situazione, l'Aleramo vive tragicamente il
ruolo di donna sottomessa all'interno del matrimonio. Fortunatamente per lei avviene il riscatto
morale: Sibilla riuscirà a diventare scrittrice al caro prezzo di tradire la sua identità di madre. A Sibilla
infatti mancava una stanza tutta per sé (a Room of one's own) in cui concentrarsi, che rappresentasse
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simbolicamente la possibilità di acquisire una propria personalità autonoma al contrario della lotta
quotidiana per affermare i più elementari diritti di essere umano. Infatti la vita di questa donna sin
dall'infanzia è sempre stata travagliata. Il 21 giugno del 1903 termina la prima stesura del romanzo
Una Donna di Rina Faccio, firmato per la prima volta Sibilla Aleramo. A riguardo di ciò afferma:
“ Un libro, il libro...Ah, non vagheggiavo di scriverlo, no! Ma mi struggevo, certe volte,
contemplando nel mio spirito la visione di quel libro che sentivo necessario, di un libro d'amore
e di dolore, che fosse straziante, e insieme fecondo, inesorabile e pietoso, che mostrasse al
mondo intero l'anima femminile moderna, per la prima volta, e per la prima volta facesse
palpitare di rimorso e di desiderio l'anima dell'uomo, del triste fratello... Un libro che recasse
tradotto tutte le idee che si agitavano in me caoticamente da due anni, e portasse l'impronta
della passione. Non lo avrebbe mai scritto nessuno? Nessuna donna v'era al mondo che avesse
sofferto, quel ch'io avevo sofferto, che avesse ricevuto dalle cose animate e inanimate gli
ammonimenti ch'io avevo ricevuto, e sapesse trarre da ciò la pura essenza, il capolavoro
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equivalente ad una vita?”
La storia è la sua storia, la vicenda epica del suo riscatto, la fuga, la rottura degli schemi, la difficile
conquista della libertà. Incapace di scrivere altro che di sé,
i protagonisti del libro sono gli stessi della sua vita: il
padre, la madre, il marito, il figlio, i suoi amici
intellettuali; ma anche il tempo lo è. A cavallo tra i due
secoli Sibilla esprime la palpabile attesa verso le novità che
si annunciavano: i primi tentativi di organizzazione, il
rudimentale socialismo di provincia, gli abbozzi di
Sibilla Aleramo
2 Tutte le citazioni di questo paragrafo sono tratte da Aleramo, S. (2008) Una donna, Milano, Feltrinelli
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industrializzazione.
La protagonista, stimolata sin dalla nascita alla conoscenza e allo studio, ( «nella mia stanzetta [...]
afferrata dal gusto dell'applicazione intellettuale, pur senza alcuna brama di emular compagne o di
meritarmi premi» ) rivela sin da subito una forte vivacità intellettuale: «Sapere sapere! [...] Mi si
affollavano al cervello parole piene di mistero: eternità, progresso, universo, coscienza...». Suo
malgrado rimane intrappolata nella logica del matrimonio “obbligato” con un giovane del luogo e
dipendente del padre, che l'aveva insidiata e di cui lei stessa, per un tempo breve, s'era ritenuta
innamorata. Da questo matrimonio sbagliato nascerà un figlio. Il destino della giovane donna maritata
è tragico: il marito geloso pretende da lei rinunce assurde segregandola in casa e isolandola dalla vita
paesana. La sua nuova condizione di donna risulta contraria alla sua precedente espressione di vita e al
suo raziocinio. Ma sin da subito ella si piegò al volere del marito, facendo cadere in un torpore e in una
inattività tutte le sue rivendicazioni sperate. L'autrice, vivendo in prima persona la situazione, dà un
quadro ben definito del ruolo della donna nei piccoli paesi del meridione: «Già l'inerzia che possedeva
tutte le donne del paese cominciava a parermi, in certo senso, invidiabile. La cura pigra ed empirica dei
figliuoli, la cucina e la chiesa era tutta la loro vita. Gli uomini, da esse, esigevano le pratiche religiose.
[...] Davanti allo specchio non mi riconoscevo affatto, mi trovavo un'aria assonnata, di bimba vecchia».
Il desiderio di scappare dala ipocrisia del paese, dalla sua giovinezza travagliata, dalla prepotenza
maschile e dalla prigionia subita in casa la portano a trasferirsi con il marito a Roma.
Nella seconda parte, la donna ha la possibilità di lavorare come giornalista e di fare stimolanti incontri
professionali e culturali, acquisendo una nuova coscienza di sé. Infatti sono molti i passaggi nel testo
dove riflette sulla sua condizione ampliando la visione al ruolo di donna nella società:
“Dacché avevo letto uno studio del movimento femminile in Inghilterra e Scandinavia [...] quasi
inavvertitamente il mio pensiero s'era giorno per giorno indugiato un istante di più su questa
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parola: emancipazione, che ricordavo d'aver sentito pronunciare nell'infanzia, una o due volte,
da mio padre seriamente, e poi sempre con derisione da ogni classe di uomini e di donne. Indi
avevo paragonato a quelle ribelli la gran massa delle inconsapevoli, delle inerti, delle rassegnate,
il tipo di donna plasmato nei secoli per la soggezione, e di cui io, le mie sorelle, mia madre, tutte
le creature femminili da me conosciute, eravamo degli esemplari. E come un religioso sgomento
m'avevo invasa. Io avevo sentito di toccare la soglia della mia verità, sentito ch'ero per svelare a
me stessa il segreto del mio lungo, tragico e sterile affanno.”
Il suo spirito intellettuale poté così rinascere:«Pensare, pensare! Come avevo potuto tanto a lungo farne
senza?». Le riflessioni di Sibilla si possono riassumere in questa citazione:
“Come erano rare e isolate le vere donne. Domina, signora. [...] Signora di sé stessa la donna
non era di certo ancora: lo sarebbe mai?” La Aleramo afferma che la donna non può
diventare tale se i parenti la danno ad un
uomo che non la considera al suo pari bensì
come un oggetto, una sua proprietà. E questo
è un chiaro riferimento alla condizione della
donna sposata, vittima dell'uomo e
dell'ipocrisia che grava attorno ai rapporti
Sibilla Aleramo affettivi. Se così viene considerata, la donna
rimarrà sempre nell'infanzia, in uno stato di minorità. L'esigenza di spaziare negli orizzonti di altre
donne per confrontarsi, di scrivere di sé per gli altri, si può ricondurre all'odio maturato in giovinezza
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per il ruolo forzato di donna e madre. Per Sibilla il femminismo risulta quindi un ideale nuovo, ma
allo stesso tempo attuabile. L'impegno sociale e la scrittura si prefigurano come un riscatto necessario
per l'umanità femminile ma soprattutto per sé. Sibilla si chiede come sia possibile attuare questa presa
di coscienza se la donna «fino al presente schiava, era completamente ignorata». Da qui sfocia la
denuncia contro gli scrittori del suo tempo: «tutte le presuntuose psicologie dei romanzieri e dei
moralisti mostravano così bene l'inconsistenza degli elementi che servivano per le loro arbitrarie
costruzioni!». Ma è pur vero che per le nuove generazioni di donne l'emancipazione è una via
percorribile senza troppe difficoltà, esse sono «la speranza del domani, il formarsi di tutta un umanità
muliebre più conscia e dignitosa» mentre alcune delle loro madri, sono le «rare immagini del genio
femminile» in lotta contro le leggi e i costumi del passato che le hanno costrette al silenzio.
Il romanzo focalizza un altro aspetto intrinsecamente femminile, la maternità. Come in un romanzo di
formazione, vediamo crescere il rapporto tra la donna e il figlio Walter. Inizialmente Sibilla non riesce
a riconoscersi nel ruolo di madre: «Per molti giorni giacqui inerte, ripetendo piano a me stessa la
parola: mamma, chiedendomi se avrei amato un essere del mio sangue». In seguito il rapporto si fa
sempre più esclusivo e il figlio diventa l'unica risorsa di vita («Non vissi che di letture, di meditazioni e
dell'amore di mio figlio»). L'autrice denuncia i problemi della maternità offrendo al lettore la
disperazione della sua stessa madre. La povera donna non è mai riuscita a convivere con il ruolo di
madre che richiede oltre che sofferenze anche fortezza d'animo, e da qui la solitudine, l'alienazione, la
pazzia. Il problema stesso è che una madre, prima di tutto deve essere donna, una persona umana, non
deve perdere se stessa. Per questo, alla pubblicazione del libro Una donna diviene immediatamente un
caso letterario: da un canto, ottiene un vasto successo, è tradotto in sette lingue e apprezzato da lettori
come Luigi Pirandello, Cesare Pavese («C'è in lei Thovez, Cena, Gozzano, Amalia, Gobetti. C'è