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Liceo Giorgione
Esami di
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: Rosso Malpelo e la diversità secondo Verga
La novella che segna l’adesione al Verismo di Giovanni Verga è “Rosso scritta
Malpelo”,
nel 1878 e inserita come terza novella nell’edizione del 1880 di “Vita “Rosso
dei campi”.
narra la storia di un ragazzino che, ridotto a uno stato di schiavitù dal lavoro
Malpelo”
nelle cave di sabbia, convive un radicale senso di annientamento. Di fronte all’ordine
rigido che lo umilia, Rosso Malpelo reagisce con la tormentata protezione di Ranocchio, il
comportamento sadico nei confronti dell’asino grigio e l’attaccamento commovente alle
poche cose lasciate dal padre, mastro Misciu. La vicenda termina con Rosso che
scompare, senza mai più fare ritorno, nei meandri oscuri della cava sotterranea di rena.
La diversità di Malpelo rispetto alla comunità che lo circonda, è messa in risalto da due tecniche narrative:
la regressione e lo straniamento. L’artificio della regressione è chiaramente individuabile nell’incipit della
novella: <<Malpelo si chiama così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo
È evidente che Verga scrive adottando le
malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone>>.
categorie culturali della comunità che sta descrivendo, dove la caratteristica fisica dei capelli rossi comporta
quella morale della cattiveria. Questo pregiudizio deriva probabilmente dal fatto che
i fulvi, caratteristici dell’Irlanda, in Sicilia
rappresentassero una forte minoranza; da ciò derivava
la consueta paura del diverso, che si trasforma in
emarginazione e rifiuto. Come ai tempi di Verga, anche
al giorno d’oggi i fulvi costituiscono un gruppo
fortemente minoritario, tanto che essi rischiano di
scomparire verso il 2100. Desmon Tobin, esperto di
cellule dei capelli della Broadford University, a una
conferenza organizzata dall’Oxford Hair Foundation,
ha sentenziato: <<Parallelamente all’aumento delle migrazioni e dei matrimoni misti, assisteremo alla loro
Di fronte ad una simile dichiarazione, diventa efficace la scelta di Verga di adoperare la figura di
fine>>.
Rosso Malpelo come l’emblema della diversità.
Intimamente legato all’artificio della regressione è il discorso indiretto libero, un espediente per dare
indirettamente la parola ai personaggi. Lo scrittore che vi fa ricorso tende a liberare l’espressione dei propri
personaggi da quei ponti grammaticali come i “verba dicendi” e la congiunzione subordinante “che”. Il
narratore rinuncia a intromettersi, eclissandosi totalmente. Verga si avvale di questa tecnica poiché ritiene
che il trionfo del romanzo si raggiungerà allorché la sua creazione rimarrà un mistero e l’opera sembrerà
essersi fatta da sé, come lui stesso afferma nella prefazione a “L’Amante dedicata a Salvatore
di Gramigna”,
Farina.
Per quanto riguarda la seconda grande tecnica narrativa, lo straniamento, Verga la utilizza per mettere
ancor più in risalto la diversità di Rosso Malpelo rispetto alla comunità. Lo straniamento consiste nel far
sembrare strano ciò che è normale e viceversa; per esempio, Verga fa apparire incomprensibile la
disperazione di Malpelo quando muore il padre. Negli anni venti, il critico russo Viktor Sklovskij definirà lo
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straniamento, l’applicare a un oggetto un tipo di percezione tale da cancellarne la familiarità, come se si
guardasse per la prima volta.
La novella “Rosso costituisce un importante documento di storia che mette in evidenza la terribile
Malpelo”
vita degli uomini nelle miniere. A differenza del naturalista francese Emile Zolà, Giovanni Verga in questa
novella, come in tutte le sue opere, non allude ad alcun impegno civile progressista. Il verista italiano,
secondo la concezione di Luigi Capuana, deve infatti rappresentare oggettivamente la società, in modo
conservatore e senza l’obiettivo di cambiarla.
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: I liberti e l’invenzione artistica di Trimalchione
La diversità sociale e culturale a Roma ci è presentata solo da chi detiene la parola e ha la possibilità di
esprimersi. La prospettiva da cui sono giudicate le classi inferiori è quindi un’ottica dall’alto e le impressioni
sono di solito negative. L’immagine che ci giunge è in prevalenza un quadro letterario, una proiezione di
una certa cultura che parla di un’altra.
Una figura diversa, caratteristica del mondo romano, è quella del liberto. Il termine
“libertus” è utilizzato per indicare lo stato sociale di ex schiavo. La liberazione ufficiale di
uno schiavo poteva avvenire in tre modi: la “manumissione vindicta”, cioè la
dichiarazione, spesso fittizia, che lo schiavo fosse nato libero; la “manumissione censu”,
in cui veniva attestata la cittadinanza dello schiavo; la “manumissione testamento”, dove
la liberazione rientrava tra le ultime volontà del padrone. A partire da Augusto, veniva
concessa ai liberti la possibilità di essere promossi alla piena cittadinanza romana.
Inizialmente questo ceto era escluso dalle cariche pubbliche più rilevanti e dal servizio militare, ma, nell’età
di Claudio e di Nerone, i liberti assunsero ruoli sempre più importanti nel commercio e nella pubblica
amministrazione.
Se da un lato i liberti rappresentavano l’emblema dello spirito imprenditoriale, dall’altro non riuscirono mai
a integrarsi perfettamente nella società romana. Ogni liberto era costantemente in bilico tra le sue origini di
schiavo e lo status sociale che era riuscito a conquistarsi, difficilmente quindi i liberti notabili frequentavano
i notabili “ingenui” (nati liberi). Un’eccezione fu Mecenate, che accettava la compagnia dei figli di liberti,
perché credeva che la vera nobiltà si dimostrasse con il carattere e con il comportamento e non attraverso
l’esibizione delle glorie di famiglia.
Occorre aggiungere che l’elemento della diversità sta anche all’interno della figura stessa del liberto. Ogni
ex schiavo ha origini culturali e geografiche diverse che lo caratterizzano, inoltre alcuni liberti svolgono
funzioni intellettuali o artistiche, altri attività imprenditoriali, commerciali o agricole; alcuni sono piuttosto
ricchi, altri vivono in condizioni di povertà.
Nel “Satyricon” di Petronio, Trimalchione costituisce l’esempio del liberto che sembra essere riuscito a
integrarsi nell’economia e nella società romana. Al tempo stesso Petronio, che descrive le vicende da un
punto di vista aristocratico, non può fare a meno di attribuire a questa figura il cattivo gusto di un parvenu
e la volgarità del nuovo ricco.
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Dopo l’episodio dell’orgia di Quartilla, un servo irrompe all’improvviso e ricorda a Encolpio, Ascilto e Gitone
che quella sera sono invitati a una cena a casa di Trimalchione, un ricchissimo liberto. Già quando i tre si
presentano all’ingresso della casa, si preannuncia la stupefacente teatralità della cena, durante la quale
Trimalchione occuperà in modo ingombrante la scena. Ad accoglierli c’è una gazza variopinta che saluta da
una gabbia d’oro ed Encolpio viene spaventato dalla raffigurazione di un grande cane, accanto al quale è
dipinto Trimalchione che entra a Roma guidato da Minerva. Il clima della cena è segnato dalla mancanza di
gusto, di equilibrio, tutto appare eccessivo e ostentato. Le portate sono spettacolari e gli schiavi le servono
su dei piatti che hanno inciso il peso dell’argento, cantando e danzando.
Trimalchione fa il suo ingresso a cena già iniziata ma, prima di
mangiare, desidera finire una partita a scacchi: al posto delle
pedine usa monete d’oro e d’argento e mentre gioca
bestemmia. L’abbigliamento del padrone di casa è caricaturale,
soprattutto gli anelli alla mano sinistra, che costituiscono un
surrogato dell’anello d’oro, riservato ai cavalieri. Trimalchione,
pur essendo un liberto, disprezza i suoi schiavi, che chiama
“putidissimi anche se, a un certo punto, con la complicità
servi”,
dell’ebbrezza, promette di inserire nel proprio testamento
grandi cose per la sua servitù. Si entra così nel tema della morte. La questione della caducità della vita è già
stata messa in risalto all’inizio del banchetto, quando uno schiavo ha portato
in sala uno scheletro d’argento, secondo una tradizione egiziana. Ora
Trimalchione descrive dettagliatamente all’amico Abinna come fare il suo
monumento funebre; con ciò Petronio costituisce una preziosa testimonianza
letteraria di arte plebea. Il monumento imponente piega i modelli classici a un
nuovo contesto: le raffigurazioni mitologiche sono sostituite dalle
rappresentazioni dei meriti acquisiti presso la comunità e delle ricchezze.
Trimalchione vuole inoltre ricordare con una statua la moglie Fortunata, collaboratrice nelle avventure
commerciali, saggia consigliera e amministratrice delle ricchezze. Significativo è il proposito di porre un
orologio sulla tomba, così tutti quelli che guarderanno l’ora inevitabilmente leggeranno il suo nome. Del
tutto ubriaco, Trimalchione finge di essere morto e viene suonata una marcia funebre. Nel pieno della
notte, la musica sveglia tutto il vicinato, che la interpreta come un allarme d’incendio, così Encolpio, Ascilto
e Gitone approfittano della confusione per darsela a gambe.
Nel “Satyricon” di Petronio, la cena di Trimalchione è l’espressione del confronto diffidente tra due diverse
culture: quella tradizionale, colta e superata, e quella emergente di chi trae la sua importanza da ragioni
puramente economiche.
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H : Disability and indifference in “Waiting for Godot”
The word “diversity” has a lot of meanings. A different person may stand for a person who has a different
color of the skin, a man that lives in a different social class, a person that thinks in a different way as
regards me. A different person means also a disabled person. The word “disabled” refers to people with an
illness or an injury that makes it difficult for them to use a part of their body completely. In the second part
of the play “Waiting for Godot”, by Samuel Beckett, you can find this aspect of diversity.
Samuel Beckett was born in 1906 in Dublin and, after taking his degree in French and Italian, he moved to
Paris. In 1952 he wrote in French “En attendant Godot”, which was translated into English in 1954. Beckett
receives the Nobel Prize for Literature in 1969 and he died in 1989.
“Waiting for Godot” is divided into two acts. In the first act two
tramps, Vladimir and Estragon, are waiting for Godot in the country.
It is an unreal place with only a road and a tree without leaves. The
two tramps are continually complaining about cold, hunger and
pain and sometimes they think about separation and suicide.
Suddenly Pozzo and Lucky appear; they are liked by a rope. Pozzo,
the owner of the land, treats Lucky like an animal, in the tyrannical
relationship between boss and worker. In the end enters a boy,
who says that Godot will surely come on the following day.
The second act is symmetrical, compared to the first. The only difference is the tree, now full of leaves, and
the situation of Pozzo and Lucky. Pozzo is blind and the rope which connects him to Lucky is shorter, so that
Pozzo may follow more easily. At the sight of Vladimir and Estragon, Lucky stops short and Pozzo bumps
into him. Pozzo shouts to come to his rescue but the two tramps don’t move. Then Vladimir thinks that
those cries for help were addressed to all mankind but, at that moment, all mankind was them. After this
reflection, he decides not to move yet, because they are still waiting for Godot.
After the ninth request for help, Pozzo decides to pay the rescuers two
hundred francs, so Vladimir tries to pull Pozzo to his feet but he stumbles
and falls. Also Estragon doesn’t succeed in helping him, so Vladimir