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Nel suo poema Archestrato racconta dei suoi lunghi viaggi alla ricerca delle migliori vivande e dei
vini più pregiati. Tratta inoltre del pane, dei pesci, della selvaggina nonché della produzione e della
conservazione del vino. Si sofferma soprattutto sui pesci, indicandone le qualità migliori, i luoghi di
provenienza, le specie più rinomate e le specifiche stagioni di pesca. Cultore dell’arte del piacere,
non a caso è contemporaneo, se non discepolo, di Epicureo; infatti fu accusato di essere “
precursore di Epicuro e di coloro che adottarono le sue dottrine sul piacere, causa di ogni
corruzione".
Altra curiosa scena di banchetto la troviamo anche nella Commedia Nuova con Menandro, ne “Il
Il
Misantropo” ( componimento, appartenente alla prima produzione teatrale di
Menandro, parla di un vecchio contadino Cnemone, la cui figlia deve sposarsi con un ricco giovane,
Sostrato. A causa della (selvatichezza) che domina in Cnemone, il giovane Sostrato
riesce difficilmente a parlare con questo. Solo un incidente, che vede come protagonista Cnemone e
l’intervento salvifico di Sostrato, farà sì che il vecchio acconsenta al matrimonio della figlia. La
scena finale rappresenta il banchetto nuziale a cui il vecchio Cnemone (tornato in sé) vuole sottrarsi
e solo l’intervento di un servo e del cuoco Sicone faranno si che questo vi partecipi.
In Menandro, il cuoco Sicone è protagonista di un proprio spazio scenico, assume connotati
comicamente boriosi e tipici di chi sopravvaluta il proprio mestiere, considerandolo come un’arte
divina.
Il cuoco è protagonista di un diverbio con il vecchio Cnemone ,per il prestito di un tegame; infatti
molto spesso i cuochi erano visti di cattivo occhio poiché venivano lasciati soli nelle cucine a
contatto con prodotti molto costosi e utensili lussuosi e non era raro che sparissero. Questa figura
sbarcherà anche nella commedia latina, prendendo un posto stabile nel teatro di Plauto. Nello
“Pseudolus” viene ripreso un diverbio tra il cuoco e Ballione che lo ha appena assunto, nel foro, per
un’importante cena. Si evidenzia qui la diffidenza del committente nei riguardi del costoso cuoco,
che vanta di essere addirittura il “cuoco di Giove”.
La cucina latina
Dal mondo latino abbiamo numerose fonti sull’importanza che ricopriva la cucina e il cibo sia a
Cibo per gli schiavi
Familiae cibaria
livello culturale, che salutare. Normalmente i romani avevano tre pasti nell’arco della giornata: lo
“jentaculum” (lo spuntino della mattina), il “prandium”(quello del mezzogiorno) e la “cena” che
Qui opus facient: per hiemem
era il pasto principale. Anche tra i romani il cibo era il perno sul quale era incentrata l’oziosa vita
Gli schiavi che scaveranno
tritici modios IIII, per aestatem
dell’aristocrazia romana ed era motivo di incontri nei quali il padrone di casa esaltava le proprie
fosse: per l’inverno avranno
modios IIII S;
ricchezze, spesso con smisurati sperperi, per la gioia del proprio palato e dei convitati. Diversi erano
quattro moggi di farro,per
infatti i pasti, a seconda della condizione sociale degli individui; per esempio c’era il pasto degli
l’estate quattro moggi e
Vilico vilicae, epistatae,
schiavi e dei legionari caratterizzati da diverse esigenze. Catone tratta del pasto degli schiavi e degli
mezzo; per il fattore, la
opilioni: modios III;
animali domestici negli stessi capitoli del De agri cultura (cap 56-58):
fattoressa, il sovrintendente,
il pecoraio: tre moggi; per gli
Compendis: per hiemem panis schiavi con i ceppi: per
p.IIII, ubi vineam fodere l’inverno quattro libbre di
coeperint panis p.V; usque pane; quando avranno
adeo dum fico esse coeperint; iniziato a zappare la vigna
Il pasto degli schiavi
deinde ad p.IIII redito. cinque libbre; fino a quando
non avranno incominciato a
Catone De agri cultura liber,56 mangiare i fichi; infine si
ritornerà a quattro libbre.
Il pasto dei legionari
Il pasto dei legionari durante le marce non doveva essere molto abbondante, se ci atteniamo alle
fonti (Historia augusta), che attestano la presenza nel rancio di lardo, formaggio, gallette e la
posca, una bevanda costituita da acqua e mista ad aceto. Constatiamo, tuttavia, che il soldato di
guarnigione preferiva alimenti sotto sale, condimenti e salumi.
Anche per i Romani i banchetti erano spesso occasione da parte del padrone di casa, o di chi offriva
il banchetto, di mostrare il proprio status sociale e fare propaganda delle proprie idee e del proprio
nome presso gli altri aristocratici. L’esempio più grande di lusso e sfarzo che ci viene descritto è
senza dubbio la “cena di Trimalchione” nel Satyricon di Petronio, dove viene esaltato il lusso e
l’originalità della presentazione delle portate (quasi degli effetti cinematografici). Si tratta di un
quadro dell’ambiente e della mentalità in età neroniana, in cui emergono il cattivo gusto, l’ascesa
economica dei liberti (Trimalchione, Fortunata e tutti gli invitati sono liberti) e la
spettacolarizzazione tipica dell’epoca. Tuttavia “la cerchia di Trimalchione non è una realtà
obiettiva, ma un’immagine soggettiva, che si forma nella testa di quel vicino di tavola, che però di
quella cerchia fa parte.” (Auerbach)
Ecco qui alcuni brani che descrivono le portate della cena di Trimalchione:
La cena di Trimalchione
“Frattanto cominciano a servire un antipasto scelto e abbondante . Nel mezzo del vassoio degli
antipasti si levava un asinello di bronzo corinzio con due bisacce piene , l’ una, di olive bianche, l’
altra, di olive nere. Sopra l’asinello, a mo’ di tetto, c’ erano due piatti sul cui margine si vedevano
incisi il nome di Trimalchione e l’indicazione del loro peso in argento. Graziosi ponticelli, saldati
l’uno all’ altro , sostenevano ghiri conditi con miele e papavero. C’ erano anche salsicce calde su di
una graticola d’ argento e, sotto la graticola, prugne di Siria e chicchi di melograni ad imitare la
brace. ... Fu messo davanti a noi, che eravamo ancora all’ antipasto, un gran vassoio con una cesta
nella quale si vedeva una gallina di legno con le ali aperte a ventaglio come fanno quando
covano. .....Seguì una portata che, se non rispondeva esattamente alle nostre aspettative, attirò gli
sguardi di tutti per la novità della presentazione. Era un grande trionfo da tavola, di forma circolare,
con i dodici segni dello zodiaco disposti in giro; e su ognuno di essi l’ artefice aveva posto un cibo
corrispondente: sopra l’ Ariete dei ceci cornuti; sul Toro una bistecca di manzo; sui Gemelli testicoli
e rognoni; sul Cancro una corona; sul Leone fichi d’ Africa; sulla Vergine una vulva di una
scrofetta; sulla Libra una bilancia che portava in un piatto una torta e nell’ altro una focaccia; sulla
Scorpione un pesciolino di mare; sul Sagittario un corvo; sul Capricorno una locusta di mare; sopra
l’ Acquario un ‘oca e sui Pesci due triglie. Nel centro poi una zolla tagliata con la sua erba sosteneva
un favo di miele..... Quattro servi a passo di danza , secondo il ritmo della musica, tolgono la parte
superiore del trionfo: E allora vediamo su un vassoio che stava sotto, pollame ingrassato ,
ventresche di scrofa e, nel mezzo, una lepre con le ali in modo da raffigurare Pegaso. Agli angoli
del trionfo si vedevano inoltre quattro satiri armati di piccoli otri, intenti a versare salsa piccante
sopra alcuni pesci che vi nuotavano come nello stretto di Euripo. ..... Subito arriva un gran vassoio
con dentro un cinghiale immenso che aveva in testa un berretto. Dalle sue zanne. pendevano due
cestelli di foglie di palma intrecciate, pieni l’uno di datteri freschi, l’altro di datteri secchi. Tutt’
intorno c’ erano porcellini fatti di pasta dura, che sembravano attaccati alle mammelle e facevano
capire così che si trattava di un cinghiale femmina.....dalla ferita su un fianco del cinghiale s’alzò
uno stormo di tordi. I convitati possono anche scegliere tra tre maiali bianchi vivi, di due, tre e
cinque anni da cucinarsi subito e di cui viene scelto il più grosso. Il porco non è stato sventrato: il
cuoco provvede immediatamente e dal ventre dell’animale escono salsicce e sanguinacci. ...Su un
vassoio di duecento libbre fu portato un vitello con tanto di elmo in testa e uno schiavo che fingeva
di essere Aiace impazzito gli si avventò contro e lo tagliò in pezzi, lavorando di taglio e di punta, e
distribuì le fettine ai presenti. In mezzo alla mensa viene posto un trofeo da tavola pieno di torte in
mezzo a cui si ergeva un gran Priapo di pasticceria, che , secondo l’uso, portava nel vasto grembo,
quali emblemi di fecondità, uva e frutta d’ ogni genere..’ ”. (Petronio, Satyricon,34-36)
Altri momenti importanti che delineano l’importanza del cibo nella cultura romana li troviamo in
Giovenale, nella quarta satira che narra come l’imperatore Domiziano riunì il consiglio del senato
per deliberare sulla cottura di un gigantesco rombo, pescato nel Mar Adriatico, al largo da Ancona:
“Un rombo adriatico di enorme grossezza, innanzi al tempio di Venere sorretto dalla dorica Ancona,
incappò nelle reti e le riempì…Il padrone della rete e della barca destina questo portento al
Pontefice Massimo…E quando gli apparvero sottostanti i laghi (Lago di Albano e di Nemi),…una
folla meravigliata ostacolò per un poco il suo ingresso…e i senatori lasciati fuori contemplano la
pietanza che viene fatta entrare. E subito il Picentino: <<Accetta una cosa troppo bella per i focolari
di semplici cittadini…affrettati a liberare il ventre dagli ingombri e mangiati questo rombo che è
stato riservato per la tua era>>. …Ma non vi era grandezza di padella bastante al pesce. Si
chiamano dunque a consiglio le autorità che egli aveva in odio…esclama Montano: <<si prepari
invece una profonda padella che ricinga con la sottile parete una spaziosa superficie. Un grande
Prometeo, ci vuole per questo piatto>>…Nessuno più di lui ai miei tempi possedeva l’arte di
mangiare bene: al primo assaggio poteva capire se le ostriche provenissero da Circei o dalle
scogliere del Lucrino, e a prima vista indovinava la spiaggia di un ricco.”
(Giovenale, Satire 4,37-154)
Una figura che riprende la cultura alimentare delle classi elevate di età imperiale è senza dubbio
Marco Gavio Apicio, nato intorno al 25 a.C. e morto sotto Tiberio. A questo viene attribuito un
trattato di cucina “De re coquinaria” in dieci volumi, compilato dal cuoco Celio nel 230 d.C.
Il nome di Apicio è da sempre legato alla gastronomia, alle buone pietanze, alle cene succulente.
Molto ricco, passò alla storia per le sue stravaganze culinarie: manicaretti a base di talloni di
cammello, intingoli di creste tagliate a volatili vivi, triglie fatte morire nel garum della migliore
qualità, oche ingrassate nei fichi secchi e ingozzate con mulsum, lingue di usignoli, di pavoni e di
fenicotteri.
Il De re coquinaria è un testo molto complesso e costituito da più sezioni non omogenee tra loro,
perché probabilmente composte in più secoli (dal I a.C. al III d.C.). L’opera è costituita da ricette
di salse e di piatti completi. Ogni libro è dedicato a specifici prodotti alimentari: vino, ortaggi,
selvaggina, salse, pesce…
Ecco qui alcune ricette:
Ius in dentice asso
Piper, ligusticum, coriandrum, mentam, rutam aridam, malum Cydonium coctum, mel, vinum,
liquamen, oleum.Calefacies, amulo obligabis
(De re coquinaria 460)
Salsa per dentice arrosto
Pepe, ligustico, coriandolo, menta, ruta secca, mele cotogne cotte, miele, vino, garum,olio.
Scalderai , legherai con amido.
Dulcia domestica
Palmulas vel dactilos excepto semine, nuce vel nucleis vel piper tritum infercies. Sale foris contigis,
frigis in melle cocto et inferes
(De re coquinaria 296)
Dolci domestici
Farcirai frutti di palma o datteri senza seme con una noce o pinoli o pepe tritato. Tocca fuori con
sale, friggi in miele cotto e servi
Ova sfongia ex latte
Ova quattuor , lactis eminam, olei unciamin se dissolvis ita ut unum corpus facies. In patellam