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& (1969), “Manifesto del partito
Marx Karl Engels Friedrich
a cura di E. Sbardella, Roma, Newton Compton
comunista”,
Editori; & (2004), “I
Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Bianchi De Pasquale
vol. 3
filosofi e le idee, esperienze filosofiche e storia del pensiero”,
A, Milano, Paravia Bruno Mondadori Editori;
& (2007), “Il nuovo dialogo con la
Brancati Antonio Pagliarani Trebi
vol. 3, Milano, La Nuova Italia.
storia, corso di storia per il triennio”,
SITOGRAFIA
http://it.wikipedia.org
http://www.vangoghgauguin.com
http://www.stile.it/artespettacoli/
http://www2.polito.it/didattica/polymath/
http://spazioweb.inwind.it/letteraturait/
MATEMATICA
Isaac Newton (1642-1727), il messia della scienza, non poteva venire alla luce in un giorno più
consono di quello di Natale: e così fu, quasi come se le circostanze si incaricassero già di segnare il
destino di un personaggio che, con la sua fantasia, la sua immaginazione, il suo spirito indagatore,
ha consentito all’umanità di svelare alcuni dei misteri più affascinanti dell’universo. Forse
“universo” è il concetto più adatto per trasmettere l’idea dell’ampiezza del campo d’azione lungo
cui l’estro del genio di Woolsthorpe ebbe modo di esplicarsi in tutto il suo splendore. La vita del
grande scienziato inglese appare come una volta celeste che brilla di intuizioni, una più sfavillante
dell’altra: a lui si devono la definizione dello spettro della luce visibile, la teoria della forza di
gravitazione, la sistematizzazione delle leggi di Keplero, il progresso della visione cosmica
eliocentrica, le tre leggi fondamentali del moto dei corpi (i tre principi di Newton). E sono proprio
le intuizioni legate al mondo della fisica, alla spiegazione dei meccanismi che regolano la realtà, ad
averne decretato la fama imperitura. Tuttavia l’elenco dei suoi meriti va oltre la fisica, e anzi le
scoperte concernenti i fenomeni naturali pongono le loro stesse basi nell’approfondito studio e
nell’impareggiabile utilizzo degli strumenti matematici. Newton condivise infatti con il collega
tedesco Gottfried Leibniz la paternità di un innovativo metodo di analisi: il calcolo differenziale. La
disputa tra i due per la rivendicazione dell’esclusiva assoluta si protrasse per lungo tempo, dal
momento che Newton sosteneva di essere pervenuto al risultato prima che Leibniz pubblicasse i
suoi trattati curati secondo organica esposizione dei passaggi logico-matematici. Entrambi furono in
tal modo costretti a rinunciare al copyright personale, ma l’inglese poté vantare per sé l’attribuzione
di una delle equazioni più meravigliose, utili, pratiche, semplici mai coniate con il linguaggio dei
numeri: il teorema binomiale. Grazie a questa relazione è possibile sviluppare il calcolo della
ennesima potenza di un binomio, ossia la somma di due quantità variabili discrete. A seconda del
valore assegnato all’esponente cui il binomio è elevato, si modifica il numero di termini del
polinomio risultante, e il coefficiente di ciascun termine del polinomio si ottiene seguendo un
andamento schematico delineabile tramite una particolare costruzione geometrica, il triangolo
accostato al nome del cinquecentesco matematico italiano Niccolò Tartaglia. Questo celebre
triangolo, dove ogni numero, tranne il numero generatore al vertice del triangolo (l’uno), è la
somma dei due numeri sovrastanti (ai bordi si trova sempre 1, perché i due numeri sovrastanti sono,
in questo caso, da una parte 1 e dall'altra nessun numero, cioè zero), era già noto agli arabi nel XI-
XII secolo, e sono stati ritrovati documenti che attestano la sua piena adozione anche da parte dei
cinesi, dal XIV secolo. Riportato in auge dal citato Tartaglia, esso divenne oggetto di studi da parte
del francese Blaise Pascal, che nel 1654 scrisse un trattato (Le triangle aritmétique) in cui ne
enunciava le proprietà. Fu Pascal il primo ad evidenziare che la regolarità con cui si presentavano le
cifre all’interno della figura era riconducibile ad una legge combinatoria. Questi rappresentò il
triangolo non in forma isoscele, ma come una specie di triangolo rettangolo, con il cateto minore e
l’ipotenusa (non più i lati obliqui) delimitati dalle serie di 1, così da stabilire nell’uno al vertice la
riga e la colonna zero, per poi numerare di seguito le altre righe e colonne. Costruì insomma una
sorta di riferimento cartesiano capace di identificare ciascun termine del triangolo in base a precise
coordinate (una certa riga e una certa colonna). Quel che ricavò fu straordinario: se per esempio si
considerava quanti gruppi diversi di 2 componenti fosse possibile creare con 5 oggetti distinti, il
responso era 10. In gergo combinatorio ciò equivaleva a chiedersi quante sono le combinazioni
possibili di 5 oggetti di classe 2: ebbene, Pascal osservò che il termine alla riga 5, colonna 2 era 10.
Presto egli si accorse che la relazione valeva per tutti i termini del triangolo, e, in forma prettamente
matematica, si può scrivere che il termine di riga e colonna è uguale a
n k
( )( ) ( ) n
n 1 2 ... 1
n n n n k
− − − + , dove indica combinazione di oggetti di classe Newton
n k.
=
! k
k k
non doveva fare altro che raccogliere le informazioni in un disegno unitario, e lo fece con abilità da
maestro, adoperando i mezzi che da solo si era procurato; si servì fondamentalmente di due
elementi appartenenti alla sua nuova analisi matematica, la funzione (relazione biunivoca tra due
variabili) e la derivata (ovvero una funzione che in ogni punto indica la pendenza della retta
tangente ad un’altra funzione, definita rispetto ad essa primitiva). Prima di Taylor e Mac Laurin,
Newton si era occupato dello sviluppo di funzioni in serie infinite che le approssimassero secondo
il grado voluto a partire da un determinato punto. Queste serie costituiscono esclusivamente
funzioni di tipo algebrico, polinomiale, in conformità con lo sviluppo di un binomio, e sono
ricavabili facendo sì che le derivate progressive della funzione da approssimare assumano gli stessi
valori registrati dalle derivate progressive dell’approssimazione polinomiale. Egli approssimò, non
a caso, la funzione , essendo un esponente arbitrario; l’approssimazione polinomiale è
n
(
1 ) n
y x
= +
2 3 4
in forma , con costanti da determinare. Derivando
... a, b, c, d, e…
y a bx cx dx ex
= + + + + +
successivamente il polinomio da una parte (indichiamo con un apice il grado di derivazione) e la
funzione dall’altra, si ha: ( )
′ 2 3
2 3 4 ... 1
n
y b cx dx ex −
= + + + + ′ 1
y n x
= + )( )
(
′
′ 2
2 6 12 ...
y c dx ex
= + + + 2
n −
′
′ 1 1
y n n x
= − +
′
′
′ 6 24 ...
ex
y d
= + + ( )( )( ) 3
n −
′
′
′ 1 2 1
y n n n x
= − − +
′
′ ′
′ 24 ...
y e
= + ( )( )( )( ) 4
n −
′ ′
′
′ 3 1
1 2 n x
n n n
y +
− − −
=
Poniamo quindi che (per comodità) in zero funzione e polinomio assumano lo stesso valore, così
come le loro derivate successive:
( ) 1
a =
n ...
1 0 0 0 0 0
a b c d e
+ ⋅ + ⋅ +
+ = + ⋅ + ⋅ b n
=
( ) 1
n −
1 0 2 0 3 0 4 0 ...
n b c d e
+ = + ⋅ + ⋅ + ⋅ + ( )
1
n n −
c =
( )( ) 2
n − 0 12 0 ...
1 0 2 6
1 c d e
n n + ⋅ +
+ = + ⋅
− 2
( )( )
( )( )( ) 3
n − 1 2
n n
n − −
1 2 1 0 6 24 0 ...
n n n d e
− − + = + ⋅ + d =
( )( )( )( ) 6
4
n −
1 2 3 1 0 24 ...
n n n n e
− − − + = + )
( )( )(
1 2 3
n n n n
− − −
e = 24
Sostituendo i valori delle costanti abbiamo:
( ) ( )( ) ( )( )( )
1 1 2 1 2 3
n n n n n n n n
n − − − − − −
( ) n 2 3 4
1 1 ...
x nx x x x
+ = + + + + +
2 6 24
Ora, (1 + è un binomio in cui una sola quantità è variabile (x), quindi per generalizzare
x) a
rimpiazziamo con , essendo e entrambi parametri variabili. A questo punto diventa:
x a b
b )
)(
)(
(
)
( )(
)
(
)
(
n n
2 3 4
1 1 2 1 2 3
b a a b a n n a n n n a n n n n a
− − − − − −
+
+
1 ...
n +
+ + +
= = +
2 6 24
2 3 4
n
b b
b b b b
( )( ) ( )( )( )
( ) 1 2 1 2 3
1
n n n n n n n n n
− − − − − −
( ) n 4
4
1 2 2 3 3 n
n n n n ...
− − − −
a b b nab a b b
a b a
+
+ = + + + +
6 24
2
All’occhio aquilino del britannico non sfuggì un importante dettaglio, che richiamava direttamente
la relazione individuata da Pascal. Ricordando la formula delle combinazioni, notò che i coefficienti
in funzione di corrispondevano a combinazioni di elementi di classe crescente da 0 a (il limite
n n n
superiore è poiché la classe non può essere maggiore del numero di elementi, e inoltre si può
n,
constatare che dato un certo valore a e considerando zeresimo il primo termine della serie
n
polinomiale, i termini che seguono l’ennesimo si annullano tutti):
( )
( ) ( )( ) ( )( )
n
n n
n 1 1 1 2
1 2
n n n n n
n
n n n n
− − −
− − −
, , , ,
1
n = =
= = = =
2
1 3
0 2
! 2 6
3
!
( )( )( ) ( )( )( )
n 1 2 3 1 2 3
n n n n n n n n
− − − − − − , e così via. Ne si evince che la serie possiede un
= =
4 24
4
!
numero limitato di termini dipendente dal valore attribuito a Per quanto concerneva il grado di
n.
ciascun monomio componente la serie, Newton registrò che esso si manteneva costante,
sottolineando che, mentre una quantità assumeva grado crescente in maniera concomitante con
l’aumento della classe delle combinazioni che fornivano i coefficienti, 0, 1, 2, 3, 4…, l’altra
mostrava man mano grado decrescente, – 0 , – 1 , – 2 , – 3 , – 4 … Esaurite le necessarie
n n n n n
puntualizzazioni, finalmente, egli riuscì a inquadrare lo sviluppo binomiale in una precisa formula
sommatoria, che teneva conto di tutti gli aspetti rilevati; era il 1665 e con la solenne e
imperturbabile arma della ragione scolpì nel marmo una piccola, grande, bellissima verità:
n
n
( ) ∑
n .
k n k
−
a b a b
+ =
k
0
k =
FISICA
“ Uno spostamento di cariche elettriche genera un campo magnetico, mentre una perturbazione
questo è il principio che sta alla base
magnetica variabile produce una corrente elettrica indotta”;
della stretta relazione che unisce elettricità e magnetismo e che ha portato i fisici a parlare del
fenomeno noto con il nome di elettromagnetismo. Lo scopo di giungere alla piena comprensione del
legame intercorrente tra due manifestazioni di leggi naturali apparentemente così divergenti,
impegnò l’uomo per secoli e secoli, costellati di osservazioni, supposizioni, riflessioni ed, infine,
sperimentazioni. Michael Guillen, autore di “Le 5 equazioni che hanno cambiato il mondo”,
ripercorre in maniera semplice e coinvolgente le tappe del faticoso cammino.“Prima che i cristiani
cominciassero a credere nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo i filosofi naturali si erano trovati
di fronte una loro trinità: elettricità, magnetismo e forza gravitazionale. […] Seicento anni prima di
Cristo, Talete aveva osservato che le magnetiti attiravano frammenti di ferro e che l’ambra
strofinata con la lana attirava frammenti di paglia. A queste forze misteriose si aggiungeva
l’evidenza che la Terra attirava a sé corpi di ogni tipo. […] Quelle tre forze erano completamente
diverse fra loro? Oppure, come la Trinità, erano tre facce della stessa medaglia? […] I filosofi
antichi veneravano la gravità più delle altre due forze, poiché soltanto essa sembrava universale: si
trovava sempre e ovunque. […] Nei secoli seguenti i saggi filosofi che studiavano il fenomeno della
gravità non volevano accantonare le loro ricerche per indagare misteri di minore entità quali la
magnetite e l’ambra. Nella società intellettuale il fenomeno della gravità si era trasformato in un
aristocratico viziato che tiranneggiava due diseredati. […] Nel 1581 il medico inglese William
Gilbert rese pubbliche le sue rivoluzionarie teorie sulle due forze di Talete in un libro dal titolo De
[che] però pareva distruggere ogni possibilità di collegare fra loro elettricità, magnetismo
magnete,