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Individualismo e collettività
Per futili motivi Il periodo storico che stiamo vivendo,
In primavera, quando l’aria è leggera e la segnerà il passaggio, per noi,
terra morbida, è bello scendere a vie di dall'individualismo al collettivismo.
fatto per futili motivi. C’è chi per futili L'esaltazione dell'individuo ha prodotto
motivi abbandona il tetto coniugale, chi si dei «valori » come corruzione, furberia,
butta dal decimo piano al nono, chi scrive egoismo, imposizione, ecc.
poesie, chi infine suona al piano un futile Comincia a farsi strada nella mente della
motivetto. gente che la collettività è più importante
Del resto, quella che per voi è una cosa dell'individuo, che l'individuo vale per
di nessuna importanza per me invece ha quello che dà alla collettività e non per
un grande valore. Questo lo avrete notato quello che prende. Che gli individui
specialmente nel campo dell’arte: voi muoiono ma la collettività sarà sempre
avete comperato un quadro per centomila presente finché ci saranno gli individui.
lire, io, lo stesso quadro non lo vorrei È la collettività che conserva e tramanda
neanche dietro compenso. Così nascono la tradizione intesa come somma delle
collezioni d’arte per futili motivi. Per esperienze, in tutti i campi, utili a tutti.
voi è importantissima questa discussione Somma che va continuamente aggiornata,
che state sostenendo sulla vostra favorita modificata, arricchita di valori oggettivi,
squadra di calcio, mentre per un astronomo con apporti personali degli individui,
no. Però dobbiamo confessare che la proprio perché non resti una cosa morta.
parola «futile» porta con sé un grande L'artista interessato solo a far vedere quanto
fascino, è una di quelle parole per le quali è bravo, senza aiutare gli altri a capire e ad
si commettono follie, immaginate una esprimersi, non serve alla collettività. Esso
bellissima donna che vi dica al tramonto: lascia gli altri nell'ignoranza, permettendo
«Caro, prendimi per futili motivi». a critici e mercanti disonesti di sfruttarli.
Era quasi la fine della primavera, già il Le stesse strutture politiche spesso
sole cominciava a scottare e anche dopo il condizionano lo sviluppo artistico in forme
tramonto si sentiva il suo calore nel marmo d'arte di sola apparenza, vuote illustrazioni
della panchina del viale. di un pensiero letterario retorico. Anche in
questo caso si tratta di incomprensione, di
Bruno Munari, Verbale scritto imposizione di schemi e, in definitiva, di
sfruttamento dell'ignoranza.
L'artista o l'operatore culturale di oggi,
può aiutare la crescita culturale della
collettività. Può preparare gli individui (a
cominciare dai bambini) a difendersi dallo
sfruttamento, a smascherare i furbi (invece
di ammirarli o invidiarli), ad esprimersi
con la massima libertà e creatività. Può
continuare la tradizione invece che ripeterla
stancamente.
Bruno Munari, Verbale scritto
Sara Eusebi - 6 -
La Bellezza dell’Inutile
«Le macchine non esisterebbero senza di noi, ma la nostra esistenza non è più possibile senza di
esse» (Pierre Ducassé). Per statuto, una macchina essere utile. Nel caso delle Macchine Inutili
deve
di Bruno Munari, invece, il movimento non viene dal loro interno, ma dal vento, e non ha né una
direzione, né uno scopo. Il loro fine, dunque, essere un altro: la Bellezza della contemplazione
deve
dell’inutile. Nella presentazione del saggio “Arte come mestiere”, intitolata appunto Le Macchine
Munari scrive: “A quei tempi (1933-34) imperava il «novecento italiano» con tutti i suoi
Inutili,
serissimi maestri, tutte le riviste d’arte non parlavano d’altro che di queste granitiche manifestazioni
artistiche e io, con le mie macchine inutili facevo proprio ridere”. Munari negli anni '30 stenta a
trovare una galleria d'arte dove promuovere le sue macchine, che vengono esposte per la prima
volta nel 1948 in una personale presso la Galleria Borromini di Milano, con la presentazione di
Dino Buzzati; tuttavia, l’avversione degli ambienti accademici nei confronti dell’estro munariano si
era già parzialmente attenuata con l’estensione della politica autarchica fascista anche al campo
della cultura, poiché in virtù di questa il crescente consenso riscosso dagli artisti d’oltreoceano non
era condiviso dal gusto ufficiale. Per definire la natura di questi oggetti,
Munari si serve in primo luogo del confronto con i di Alexander
mobiles
Calder (vedi foto), elaborati negli stessi anni, al fine di difendere
l’originalità della sua prima opera autonoma, frutto dell’elaborazione di
un percorso avviato nel 1930 con l’idea di una macchina aerea; in quel
periodo, infatti, a Parigi Calder è spinto dall’incontro con Mondrian a
sviluppare un'idea analoga. Oltre al materiale da costruzione, a variare
nelle due ideazioni sono i “modi di costruire l’oggetto”. L’unico aspetto
comune, precisa Munari, è che si tratta di oggetti appesi che girano, trovata peraltro diffusa e già
sperimentata, tra gli altri, anche da Man Ray. “Tutti gli elementi che compongono una Macchina
Inutile sono in rapporto armonico tra loro”. Tale analisi dimensionale permette a Munari di
prendere definitivamente le distanze da Calder, poiché la natura dei suoi deriva, secondo
mobiles
Munari, da un’ispirazione di carattere vegetale: Calder è il primo scultore di alberi intesi “nel senso
vivo di cose che oscillano, di rami e foglie in misure progressive”. Il critico Marco Meneguzzo
scrive infatti a proposito delle Macchine Inutili: “corollario importante è la non referenzialità degli
elementi fisici che costituiscono la "macchina": niente natura, niente stormir di fronde, niente
allusioni a foglie mosse dal vento. Solo movimento” (da “Mostra Collettiva di Bruno Munari”). Gli
elementi che compongono una Macchina Inutile ruotano tutti su se stessi e tra loro senza toccarsi,
hanno un’origine geometrica e sfruttano le due facce degli elementi rotanti per effetti di variazione
cromatica. Le Macchine Inutili sono da considerare anche per le ombre che proiettano sul muro:
un'ambientazione ideale per la loro collocazione prevede differenti punti luce direzionati verso la
macchina, in modo da disegnare sulle pareti sequenze sempre variabili di forme. La precisazione di
Munari circa il lavoro di Calder è più orientata a sottolineare, come farà anche per i dipinti di
Kandinskij, l'atmosfera ancora verista di queste strutture, piuttosto che a rigettare la produzione
dell’artista americano. L'obiettivo dei due è, infatti, essenzialmente analogo: liberare le forme nello
spazio producendo un movimento reale, non virtuale come nel caso del dinamismo futurista.
Munari sembra sostenere che la ripetitività o la prevedibilità di un movimento riduca la capacità
emozionale e poetica di un'opera, che al contrario può essere amplificata da un movimento casuale
e spontaneo come quello generato da uno spostamento d’aria.
Munari ricorda come nel 1933 si dipingevano in Italia i primi quadri astratti, che “altro non erano
che forme geometriche o spazi colorati senza alcun riferimento con la cosiddetta natura esteriore”,
citando in proposito le nature morte di Morandi. “Personalmente pensavo che, invece di dipingere
dei quadrati o dei triangoli o altre forme geometriche dentro l’atmosfera di un quadro, sarebbe stato
forse interessante liberare le forme astratte dalla staticità del dipinto e sospenderle in aria, collegate
tra loro in modo che vivessero con noi nel nostro ambiente, sensibili alla atmosfera vera della
realtà”. Munari afferma di aver confermato, attraverso questi oggetti, un passaggio dall’arte
figurativa a due o a tre dimensioni alla quarta dimensione: il tempo. Conclude poi la presentazione
con una riflessione sull’interpretazione di questi suoi lavori, affermando: “Nell’intenzione
Sara Eusebi - 7 -
La Bellezza dell’Inutile
dell’autore, questi oggetti erano da considerare come macchine perché fatti di varie parti che si
muovono, collegate tra loro e poi anche perché la famosa leva (che non è altro che una sbarra di
ferro o di legno o di altro materiale) è una macchina, sia pure di primo grado. Inutili perché non
producono, come le altre macchine, beni di consumo materiale, non eliminano manodopera, non
fanno aumentare il capitale. Alcuni sostenevano che erano utilissime, invece, perché producono
beni di consumo spirituale (immagini, senso estetico, educazione del gusto, informazioni cinetiche
ecc.)”.
Significativamente, il saggio “Arte come mestiere” si conclude con una postilla intitolata “Le
macchine della mia infanzia”, risalente al 1924: la macchina qui rievocata è “un mulino di legno
che sembrava costruito da Robinson Crusoe”, meta di ludico intrattenimento. “La Grande Ruota era
uno spettacolo continuamente variato (…) io ero là, vicino alla Grande Ruota, con l’acqua del fiume
che passava continuamente sotto le assi sulle quali ero appoggiato, come sospeso per aria, ad
ammirare lo spettacolo continuo dei colori, delle luci, dei movimenti della Grande Ruota”. La
conclusione esprime più della nostalgia per lo spettacolo di una macchina: “il mulino non c’è più”.
Aldo Tanchis, nel saggio “L’arte anomala di Bruno Munari”, attribuisce all’artista il merito di aver
introdotto il concetto di «inutilità» nel design, affermando che “la sua arte, negli esiti migliori,
rinnova uno stupore contemplativo, ma costituisce anche uno stimolo continuo e ricco al di là della
contemplazione”. A sostegno della sua tesi, il critico riporta il giudizio sull’arte munariana
contenuto nell’articolo di Filiberto Menna, il quale individua
Munari o la coincidenza degli opposti
nel milanese un unico sostanziale atteggiamento “che riassume in sé le istanze storicamente
antinomiche della tecnica e dell’arte, dell’utile e del gratuito, della necessità e della libertà, della
regola e dell’imprevisto, fondendole insieme in oggetti concreti che assumono perciò il valore e il
significato di un’analogia di altri e più vasti equilibri possibili (…) Munari non vuole destare
stupori collettivi, quanto piuttosto creare piccoli mondi favolosi, per un uso che direi più quotidiano
e domestico, luoghi cioè di contemplazione da abitare psichicamente”. Qualcuno ha affermato che
l’ispirazione di Munari scatta per un moto di contraddizione ironica dei principi: nel caso delle
Macchine Inutili quelli base della termodinamica, anche se la denominazione stessa di “macchina”
rimanda alla volontà di trasformare l’ovvio in un codice. Pertanto, afferma Tanchis, bisogna
considerare che Munari si è proposto sempre di chiudere il circuito dell’immaginazione collegando
il polo negativo dell’inutile al polo positivo dell’utile: il carattere costruttivo della sua produzione
risiede nel metodo di costruzione, nella struttura e nella filosofia del procedimento, connaturati
all’idea stessa dei “luoghi di contemplazione”. Questa riflessione sulla compresenza, nelle opere di
Munari, dei due aspetti necessari e connaturati dell’utile e del gratuito porta Tanchis a considerare
come le Macchine Inutili, anche se inutili, siano perfettamente funzionanti: Munari medita uno dei
temi più noti del futurismo, accettando il mondo della macchina e della tecnologia ma
introducendovi, secondo quanto scritto da G. C. Argan, “un elemento di distrazione nei confronti
della funzionalità pura, in modo da porre l’accento sulla componente di una libera e gioiosa
contemplazione-fruizione dell’oggetto”. L’uso spregiudicato della macchina fa pertanto di Munari
un continuatore ideale di assunti futuristi e dada - ma anche un precursore di tendenze più recenti
(cfr. Jean Tinguely) - in un nuovo equilibrio sintetico delle due esperienze, sostanziato di positivi e
negativi, che passa, come nel caso delle Macchine Inutili, attraverso la critica all’indecisione
futurista circa l’evoluzione dalla rappresentazione del movimento al movimento puro. La