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La mia tesina di maturità affronta il tema dell'apparenza. Siamo soliti dire che l'apparenza inganna ritenendo quindi che quello che noi vediamo non corrisponda mai alla realtà effettiva dei fatti. Siamo circondati infatti da un mondo che si fonda essenzialmente sull'apparenza piuttosto che sulla vera essenza delle cose e delle persone, fenomeno quest'ultimo che si è accentuato sempre più negli ultimi anni con l'avvento dei mass media, la diffusione e lo sviluppo dei principali mezzi di comunicazione e specialmente con l'ampissimo successo dei vari social network. In ogni caso la consapevolezza di tale realtà non è propria solo della società a noi contemporanea ma era propria anche della società ottocentesca e novecentesca in cui vissero importanti personalità letterarie, artistiche e filosofiche quali quelle che ho voluto descrivere nella tesina:
● Luigi Pirandello
Egli nel suo romanzo “Uno , nessuno e centomila” affermava che "l'essere agisce necessariamente per forme, che sono le apparenze che esso si crea, e a cui noi diamo valore di realtà", in quanto l'uomo nella sua vita è portato a recitare continuamente secondo quelle forme che esso stesso si attribuisce e che gli vengono date anche dagli altri uomini e appaiono quindi come reali;
● Oscar Wilde
Egli nella sua opera “il ritratto di Dorian Gray” affermava che "Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze", intendendo dire che le persone superficiali hanno la "capacità" di vedere che non c'è niente di più
profondo di ciò che appare in superficie. Non è altro che un modo di vedere le cose non ponendosi il problema reale di come è oggettivamente la cosa, non giudicano e danno per scontato che ciò che vedono sia la realtà che sta loro di fronte;
● Arthur Schopenhauer
Egli affermava nella sua raccolta “Parerga e Paralipomena” che "Chi si aspetta che nel mondo i diavoli vadano in giro con le corna e i buffoni coi sonagli sarà sempre loro preda e il loro zimbello" , l'uomo che considera che tutto quello che appare è reale diviene appunto uno zimbello della realtà stessa che non è altro che parvenza, sogno.
Italiano: Il vitalismo e il relativismo, Pirandello.
Filosofia: Fenomeno e noumeno, Schopenhauer.
Inglese: The picture of dorian Gray- Wilde.
Storia: L'età dei totalitarismi e la propaganda .
Geografia: La volta celeste, la distanza e la luminosità delle stelle.
Storia dell'arte: L'espressionismo e Munch.
Introduzione
Siamo soliti dire che l'apparenza inganna ritenendo quindi che quello che noi vediamo
non corrisponda mai alla realtà effettiva dei fatti. Siamo circondati infatti da un
mondo che si fonda essenzialmente sull'apparenza piuttosto che sulla vera essenza
delle cose e delle persone, fenomeno quest'ultimo che si è accentuato sempre più
negli ultimi anni con l'avvento dei mass media, la diffusione e lo sviluppo dei
principali mezzi di comunicazione e specialmente con l'ampissimo successo dei vari
social network. In ogni caso la consapevolezza di tale realtà non è propria solo della
società a noi contemporanea ma era propria anche della società ottocentesca e
novecentesca in cui vissero importanti personalità letterarie, artistiche e filosofiche
quali : Luigi Pirandello
● Egli nel suo romanzo “Uno , nessuno e centomila” affermava che << l'essere
agisce necessariamente per forme, che sono le apparenze che esso si crea, e a
cui noi diamo valore di realtà >> in quanto l'uomo nella sua vita è portato a
recitare continuamente secondo quelle forme che esso stesso si attribuisce e
che gli vengono date anche dagli altri uomini e appaiono quindi come reali;
Oscar Wilde
● Egli nella sua opera “il ritratto di Dorian Gray” affermava che << Solo le
persone superficiali non giudicano dalle apparenze >> intendendo dire che le
persone superficiali hanno la "capacità" di vedere che non c'è niente di più
profondo di ciò che appare in superficie. Non è altro che un modo di vedere
le cose non ponendosi il problema reale di come è oggettivamente la cosa,
non giudicano e danno per scontato che ciò che vedono sia la realtà che sta
loro di fronte;
Arthur Schopenhauer
● Egli affermava nella sua raccolta “Parerga e Paralipomena” che << Chi si
aspetta che nel mondo i diavoli vadano in giro con le corna e i buffoni coi
sonagli sarà sempre loro preda e il loro zimbello >> , l'uomo che considera che
tutto quello che appare è reale diviene appunto uno zimbello della realtà
stessa che non è altro che parvenza, sogno, illusione.
ITALIANO
Luigi Pirandello nacque ad Agrigento il 28 giugno
1867. Studia a Palermo, a Roma e infine a Bonn
dove consegue la laurea nel 1891. Tornato a Roma
frequenta gli ambienti letterari e giornalistici della
capitale dove si stabilisce definitivamente con la
moglie Antonietta. Quest'ultima soffriva di disturbi
mentali accentuati dalla convinzione che il marito
la tradisce e dalla morte del figlio Stefano. Nel
1926 fondò una propria compagnia teatrale
mentre nel 1929 entrò a far parte dell'Accademia
d'Italia di stampo fascista. Nel 1934 riceve il
premio Nobel e morì due anni dopo il 10 dicembre
1936 durante le riprese di un film ispirato al suo
romanzo “Il fu Mattia Pascal” a Cinecittà.
Alla base della visione del mondo e della poetica di Luigi Pirandello vi sono le
vitalismo relativismo. vitalismo
concezioni di e Per quanto riguarda il l'autore
intendeva sostanzialmente affermare che “la realtà tutta è vita, perpetuo
movimento vitale” quindi un eterno divenire, “un flusso continuo incandescente,
indistinto”. In tale flusso vitale è immerso anche l'uomo stesso il quale però è
vita
solito cristallizzarsi e irrigidirsi cominciando quindi a morire, passando dalla alla
forma, distinta e individuale. Tutto questo avviene poiché la mente umana desidera
fissarsi in una personalità che essa stessa si dà nell'illusione che possa apparire, a se
stessa e agli altri uomini, uniforme e coerente alla sua volontà; mentre in verità
tale personalità non è altro che un illusione e scaturisce unicamente dal sentimento
soggettivo che noi abbiamo del mondo e tende quindi a separarci da esso e dalla
vita. Si viene così a creare un contrasto tra ciò che appare (la forma) e la realtà (
la vita) e Pirandello sostiene che tale contrasto non esiste solo fuori di noi, ma
anche e soprattutto nell’intimo della coscienza: tra ciò che siamo e ciò che
vorremmo essere, tra ciò che siamo e ciò che risultiamo agli occhi degli altri. Non
siamo infatti solo noi stessi a fissarci in una forma ma anche tutti gli altri individui
che ci circondano e con cui viviamo in società che sono soliti, infatti, attribuirci
determinate forme secondo la propria visione soggettiva. Di conseguenza noi ci
uno
illudiamo di apparire a noi stessi e agli altri come ma in realtà siamo tanti
individui diversi a seconda della prospettiva di chi ci guarda. L'uomo si accorge così
dell'ambiguità della propria identità. A seconda del punto di vista gli viene
attribuita una forma e si ritrova imprigionato sotto una maschera, costretto a
recitare di continuo. La nostra realtà non è altro che una sovrapposizione di
maschere che soffocano in noi la vita e che non permettono la realizzazione al di
fuori di esse poiché al di fuori della maschera l’uomo non si conosce e trova solo il
nulla. Nello stesso tempo quindi l'uomo risulta essere:
uno quando viene messa in evidenza la forma che lui si dà;
• centomila quando viene messa in evidenza la forma che gli altri gli danno;
• nessuno quando si accorge che ciò che lui pensa e ciò che gli altri pensano non
• sono la stessa cosa, quando la propria forma non è universale, ma assume una
dimensione individuale e soggettiva.
Pirandello quindi divenne uno dei più importanti interpreti di quella consapevolezza
della frantumazione dell'io tipica della società in cui visse nella quale entrò in crisi
l'idea di una realtà oggettiva valida per tutti allo stesso modo e interpretabile con
degli schemi comuni e univoci. Pirandello mette capo quindi alla teoria del
relativismo conoscitivo. Ognuno ha una sua propria verità a seconda del suo modo
soggettivo di vedere le cose. Gli uomini quindi non possono comunicare fra di loro
perché ciascun uomo vede la realtà così come appare ai suoi occhi e non sa e né può
sapere come appare agli altri individui. Tutta questa teorizzazione porta alla
disgregazione dell'io che si smarrisce, si perde e si indebolisce; non si ha più quella
concezione dell'individuo potente e creatore del proprio destino e del proprio
mondo; l'individuo, l'io, diviene nessuno e questo provoca smarrimento e dolore
caratteristiche comuni infatti ai personaggi delle opere pirandelliane. Tale
avvertimento dell'essere nessuno comporta la consapevolezza dell'impossibilità di
poter coincidere con un'identità unica per tutti poiché l'uomo tende a darsi una
forma ma gli vengono attribuite delle forme anche da tutti gli altri uomini e per
questo tali forme vengono quindi considerate come delle trappole o carceri dalle
quali l'uomo tenta inutilmente di evadere. L'unica via di salvezza da tali trappole è
la fuga nell'irrazionale, nella follia, nell'immaginazione che permettono quindi di
sopportare l'oppressione del lavoro o della famiglia secondo la figura del “forestiere
della vita” il quale avendo capito il “giuoco” del carattere fittizio e illusorio della
realtà si esclude e si isola da essa osservando gli altri vivere nella prigionia della
trappola con un atteggiamento umoristico, di irrisione ma allo stesso tempo di
pietà. E' l'apparenza quindi a guidare la realtà e il contrasto che si viene a delineare
tra apparenza e realtà costituisce, per esempio, la tematica centrale di “Così è (se
“La signora
vi pare)” , un'opera teatrale di Luigi Pirandello, tratta dalla novella
Frola e il signor Ponza, suo genero” e rappresentata per la prima volta il 18 giugno
1917. Il signor Ponza, sua moglie e la suocera, la Signora Frola, si trasferiscono in
un paesino del Sud. Il comportamento dei tre nuovi arrivati è, a dir poco, strano:
il Signor Ponza, infatti, ha affittato un appartamentino all’ultimo piano di un
caseggiato popolare in cui tiene chiusa a chiave la sua seconda moglie Giulia. Il
Signor Ponza allo stesso tempo ha anche affittato un appartamento elegante per la
suocera la quale è convinta che la donna con cui vive il genero sia ancora sua figlia,
la sua prima moglie Lina, mentre l'uomo afferma che si tratti invece della seconda
moglie Giulia poiché Lina era morta in un terremoto della Marsica realmente
avvenuto nel 1915 . La gente del paesino inizia a insospettirsi e a chiedersi perché
la figlia di questa donna non esca mai di casa e chi abbia effettivamente ragione fra
la Signora Frola e il Signor Ponza. Dai vari dialoghi tra i curiosi del paese si
delineano due possibilità: o lui e’ malato di mente, ossessionato dalla gelosia per la
moglie, o la suocera e’ pazza e crede sua figlia la moglie del genero mentre invece
questa e’ solo la seconda moglie, essendo la prima morta. Ma alla fine la curiosità
generale rimarrà insoddisfatta. La Signora Ponza un giorno uscì dalla sua casa e
sembrava sul punto di svelare la verità ma invece disse : “Io sono colei che mi si
crede e per me nessuna! Nessuna!” . Luigi Pirandello ha sapientemente e
giocosamente sviluppato la sua tesi che la verità resta per l’uomo inconoscibile,
inafferrabile e che ci si deve accontentare di verità soggettive che mutano al
mutare del punto di vista. FILOSOFIA
Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22
febbraio del 1788. Viaggiò nella sua giovinezza in
Francia ed in Inghilterra e dopo la morte del
padre, che voleva destinarlo all'attività del
commercio, frequentò l'università di Gottinga. Nel
"sulla
1813 si laureò a Jena con una tesi
quadruplice radice del principio di ragion
sufficiente" . Successivamente si trasferì a Dresda
“Il
dove realizzò la sua opera principale mondo
rappresentazione"
come volontà e pubblicata nel
1818. La sua opera però non raggiunse subito il
successo tanto che dovette aspettare più di venti
anni per pubblicare la seconda edizione di essa. Infatti l'indirizzo pessimistico ed
apertamente anti-idealistico del suo pensiero lo rendeva ostile ai contemporanei.
Dopo un viaggio in Italia ( a Roma e a Napoli ) si abilitò nel 1820 alla libera
docenza presso l'Università di Berlino. L'epidemia di colera del 1831 lo portò però a
fuggire da Berlino, infatti si stabilì a Francoforte sul Meno dove rimase fino alla
morte avvenuta il 21 settembre 1861.
La tematica del contrasto fra apparenza e realtà è centrale anche nel pensiero
filosofico di Arthur Schopenhaur. Egli riteneva che la nostra conoscenza del mondo è
puramente illusoria e che le cose sono solo oggetti della nostra rappresentazione. La
filosofia di Schopenhauer si propone, infatti, sostanzialmente come la continuazione
fenomeno noumeno.
di quella kantiana che mise capo a un dualismo fra e Per Kant
il fenomeno era l'oggetto della conoscenza umana e l'unica realtà accessibile alla
mente umana, mentre, il nuomeno si configurava come una sorta di concetto-limite
finalizzato a ricordarci il carattere limitato delle nostre capacità conoscitive. Per
Schopenhauer invece il fenomeno era parvenza, illusione, sogno, una rappresentazione
che esiste solo dentro la coscienza, tutto ciò che secondo l'antica cultura indiana
veniva definito “velo di Maja”; mentre il noumeno è una realtà che si nasconde
dietro l'apparenza e l'ingannevole trama del fenomeno ed perciò compito del filosofo
scoprirne l'essenza. L'uomo, infatti, non può fare a meno di interrogarsi su quale sia
la verità dietro all'apparenza perché è un “animale metafisico” che si stupisce della
propria esistenza e quanto più è colto da essa tanto più questa gli appare
velo di Maya
misteriosa. Il filosofo ha quindi il compito di squarciare il e trovare il
filo di Arianna per andare al di là delle apparenze e cogliere l'essenza ultima della
vita. È possibile quindi andare oltre la realtà fenomenica poiché l'uomo non è solo
conoscenza e rappresentazione ma soprattutto è corpo tramite cui egli non si limita
a vedersi dal di fuori ma specialmente dal di dentro, godendo e soffrendo. La
corporeità è il modo per andare al di là della rappresentazione e afferrare l'essenza
delle cose. Schopenhauer non è interessato all'introspezione ma utilizza il corpo solo
come un mezzo metafisico per arrivare alla realtà. Infatti, ripiegandosi su se stesso,