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Sintesi

Introduzione Apparenza inganna tesina



Questa tesina di maturità descrive il tema dell'apparenza e della sua forza ingannatrice. Gli argomenti della tesina sono i seguenti: La stanza di Ames, Magritte "la condizione umana", Schopenhauer e il velo di Maia, "Elena" di Euripide, Luigi Pirandello con "Uno, nessuno e centomila", Ensor "L'entrata di Cristo a Bruxelles", le parate militari naziste, Ionesco e "Rhinoceros", "Le metamorfosi" di Apuleio.

Collegamenti


Apparenza inganna tesina



Fisica -

La stanza di Ames

.
Arte -

Magritte "la condizione umana"

.
Filosofia -

Schopenhauer e il velo di maia

.
Greco -

"Elena" di Euripide

.
Italiano -

Luigi Pirandello "uno nessuno e centomila"

.
Arte -

Ensor "L'entrata di Cristo a Bruxelles"

.
Storia -

Le parate militari naziste

.
Francese -

Ionesco "Rhinoceros"

.
Latino -

"Le metamorfosi" di Apuleio

.
Estratto del documento

(R. Magritte)

Così come gli scienziati possono ingannare i nostri sensi, allo stesso modo

possono farlo gli artisti. Chi più di tutti cercò di farl e ci riuscì è René Magritte,

La condizione umana

pittore belga vissuto a cavallo tra il 1800 e il 1900. fu

eseguita nel 1933 e rappresenta una tela appoggiata su un cavalletto su cui è

dipinto il paesaggio che si vede oltre il davanzale di una finestra: tela e

paesaggio quinsi si fondono insieme. Magritte gioca col tema del quadro nel

quadro, analizzando il confine tra realtà e rappresentazione. Se la prima

impressione è che il panorama oltre la finestra sia reale in quanto

rappresentato nel dipinto in primo piano, l’osservatore capisce poi che anche

questo è finzione perché facente parte del quadro d’insieme che sta

osservando.

Magritte, con questa opera, ha voluto rappresentare la condizione dell'uomo il

quale, limitato dagli stereotipi e dalla sua mente, non vede la realtà per ciò che

La condizione umana

è ma come la vede la sua mente. Ne è svelata l'illusione

ottica dovuta alla sovrapposizione del paesaggio sul cavalletto e di quello fuori

della finestra ma rimane intatto il mistero del confine tra pittura e materialità,

sogno e realtà, tipico del surrealismo. L’uomo indaga continuamente la realtà,

talvolta distorcendola e dandole un’immagine a proprio piacimento, proprio

come accade durante l’esperimento della camera distorta. Inoltre, sempre

secondo il pittore, non tutti vedono le cose nella medesima maniera poiché, di

fronte allo stesso quadro, non è detto che si veda ciò che è rappresentato allo

stesso modo, si possono avere sensazioni diverse; così come di un quadro

anche della realtà non sempre tutti danno una medesima versione. Ciò può

dipendere da molti fattori che modificano il modo di vedere e di comprendere

le cose: può essere per esempio un sentimento forte oppure qualcosa di

negativo come la paura o il terrore.

Non si sa se Magritte abbia realmente riportato nel quadro la realtà, magari ha

solo dipinto ciò che lui provava nel vedere quel paesaggio, oppure ciò che

avrebbe voluto vedere, ingannando a pieno lo spettatore. E da questo inganno

scaturisce un senso di inquietudine nel lettore che non comprende a pieno ciò

La condizione umana

che accade. Nel titolo probabilmente Magritte alludeva al

fatto che la nostra esistenza e condizione umana è un "continuo oscillare tra

realtà e l’immaginazione", proprio come per Shopenhauer era un continuo

oscillare tra dolore e noia. 3

Arthur Schopenhauer: la realtà come

rappresentazione

Partendo proprio dalla visione dell’opera di Magritte “La condizione umana” si

percepisce come la realtà sovente non è come ci appare. Molto spesso, quindi

sono i nostri stessi sensi, la nostra percezione o le nostre capacità a distorcere

la realtà. In ambito filosofico fu Arthur Schopenhauer ad avere la convinzione

che il mondo fosse solo rappresentazione. Essa quindi per il filosofo ha due

aspetti essenziali: il soggetto rappresentante e l'oggetto rappresentato.

Entrambi esistono soltanto all'interno della rappresentazione, come due lati o

parti di essa, tanto che non può esistere soggetto senza oggetto. L'oggetto

esiste perché vi è un soggetto che lo prende in considerazione nella

rappresentazione e così il soggetto prende coscienza di sé proprio tramite il suo

rapportarsi con gli oggetti. La rappresentazione quindi, per Schopenhauer, è il

risultato del rapporto necessario tra soggetto e oggetto. Rapporto in cui

entrambi sono sullo stesso piano.

Per Schopenhauer esistono le intuizioni o forme a priori che sono lo spazio, il

tempo: spazio e tempo sono i principi di individuazione della materia grazie alla

quale le rappresentazioni appaiono ordinate in una successione temporale e

disposti in preicsi rapporti spaziali. Schopenhauer riprende da Kant i concetti di

fenomeno e noumeno. Il fenomeno è il prodotto della nostra coscienza, è il

mondo come ci appare, mentre il noumeno è la cosa in sé, l’essenza nascosta

della realtà. Il fenomeno materiale è dunque, per Schopenhauer, solo parvenza,

illusione, sogno: tra noi e la vera realtà c’è come uno schermo che la distorce e

non lascia vedere come essa è veramente proprio come all’interno del quadro

di Magritte. Questo schermo è il velo di Maya di cui parla la filosofia indiana,

alla quale Schopenhauer spesso si rifà. Questo velo viene definito ingannatore

e per il filosofo avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo distorto.

È proprio da qui che prende spunto la mia riflessione: il mondo per il filosofo è

una rappresentazione personale, un’illusione ottica propria di ciascuno.

Schopenhauer ritiene che la rappresentazione, cioè la realtà che ci si para

davanti, sia nient'altro che una fotocopia mal inchiostrata, celante la vera

realtà delle cose. Come se la realtà si mascherasse rendendo difficile la reale

comprensione degli avvenimenti. Per poter giungere alla realtà noumenica,

quella vera, non si può quindi percorrere la strada della conoscenza razionale,

visto che essa è relegata alla sfera della rappresentazione la quale ci mostrerà

sempre un mondo totalmente determinato. Se fossimo solo esseri conoscenti,

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rappresentanti, non potremmo mai scoprire la cosa in sé, ma noi siamo anche

corpo.

Attraverso l'esperienza di se stesso come corpo, l'uomo può giungere al

noumeno, alla cosa in sé, senza ricorrere alle forme a priori della conoscenza.

Proprio attraverso il corpo scopriamo che la realtà delle cose ci concerne, siamo

nel mondo come una sua parte; difatti vogliamo, desideriamo certe cose e

certe altre le evitiamo, rifuggiamo il dolore e ricerchiamo il piacere. Proprio

questo ci permette di squarciare il velo del fenomeno e cogliere la cosa in sé,

come se alla fine di una rappresentazione riuscissimo a togliere le maschere

agli attori.

Ripiegandoci in noi stessi, scopriamo che la radice noumenica del nostro io è la

volontà: noi siamo volontà di vivere, un impulso irrazionale che ci spinge,

malgrado noi stessi, a vivere e ad agire. La volontà esula dal fenomenico quindi

essa è inconscia, unica, eterna, incausata e irrazionale. La volontà di vivere

produce incessantemente nell'uomo bisogni che richiedono soddisfazione:

desideri, che sono dunque reazione ad un senso di mancanza, di sofferenza.

Difficilmente però tutti i desideri si realizzano, e la mancata realizzazione di

alcuni di essi causa un'ulteriore, più acuta sofferenza. Quand’anche un

desiderio viene soddisfatto, il piacere che ne deriva risulta essere solo di natura

negativa, soltanto, cioè, un alleviamento della sofferenza provocata da quel

prepotente bisogno iniziale, bisogno che subito riappare in altra forma, pronto a

pungolare con nuovi desideri l'affannata coscienza umana. E quando pure

l'uomo non viva nel bisogno fisico e nella miseria, quando nessun effimero

desiderio (invidia, vanità, onore, vendetta) gli riempia i giorni e le ore, subito la

noia, la più orrenda e più angosciosa di tutte le sofferenze, si abbatte su di lui.

Inizialmente, Schopenhauer come mezzo di liberazione prende in esame il

suicidio: il filosofo condanna questa pratica, perché il suicidio non è una

negazione della volontà di vivere, ma piuttosto una sua affermazione. Il suicida

nega ma afferma la volontà: negando la vita così com'è, in realtà ne vorrebbe

una migliore. Il filosofo propone allora un iter salvifico caratterizzato da tre

tappe fondamentali: l’estetica, la morale e l’ascesi. L’ascesi, tappa ultima e

fondamentale, si realizza attraverso l’esercizio della noluntas cioè la negazione

radicale della volontà. L’uomo dopo aver sollevato il velo di Maya e aver capito

che la vita è solo dolore inizia questo percorso basato sulla povertà, sul

sacrificio e sulla rinuncia di ogni tipo di piacere. Per il saggio che riesce a

raggiungere questo stadio finale, il nulla nirvana non è morte ma conquista del

tutto.

Aspetto fondamentale all’interno di questo programma di redenzione è l’arte, in

cui avviene un primo allontanamento dai legami di casualità, essendo essa

disinteressata. All’interno delle varie arti quella analizzata maggiormente è la

tragedia, sottolineando la sua capacità di rendere il dolore “universale”. L’idea

dell’azione quasi catartica della tragedia avvicina Schopenhauer ai grandi

tragediografi del mondo greco, come Euripide. 5

“Elena” di Euripide

Elena e il suo doppio

Nella letteratura greca il tema dell’apparenza e dell’inganno era sicuramente

tema cardine delle opere non solo letterarie ma anche teatrali. Basti pensare a

tutte quelle vicende che si basano sulla modificazione del proprio aspetto da

Elena

parte degli dei. L’opera di Euripide si occupa proprio di qualcosa di molto

simile. In questo dramma, infatti, Euripide ci fa incontrare Elena, la donna

bellissima e accusata di aver seguito l'amante Paride in Frigia mettendo in

guerra Greci contro Troiani, presentandola incolpevole e profuga sulle coste

dell'Egitto e come vittima soprattutto delle baruffe tra le dee che, nell'Olimpo,

decidono la sorte degli uomini. Divinità capricciose che cambiano idea, come

"Era, la tua avversaria di un tempo, adesso è ben

Teonoe rivela a Menelao:

disposta verso di te e vuole che tu ritorni in patria assieme con Elena, così in

Grecia si saprà che erano false le nozze di Elena con Paride, dono di Afrodite.

Afrodite dal canto suo è decisa a impedirti il ritorno. Non vuole essere messa

sotto accusa e che si venga a sapere come ha conquistato la palma della

bellezza pagandola attraverso nozze con Elena mai consumate ".

Menelao naufraga con la nave che trasportava l'immagine eterea di Elena

prelevata a Troia che credeva fosse Elena in carne ed ossa, e invece incontra

lei, fedele, da diciassette anni in Egitto, che gli appare come un sosia della

prima, ed egli non capisce più chi sia chi. Con questo gioco di scambi, Euripide

imposta con sagacia poetica la grande questione che dibattevano i filosofi del

suo tempo a proposito dei diversi percorsi della conoscenza e la domanda su

quale sia per gli uomini la via che porta alla verità. La sua risposta è

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personificata da Teonoe, la profetessa, l'unica ad avere un rapporto diretto con

gli dei, l'unica a poter determinare, con la propria volontà, il finale non tragico

delle sorti di Elena e Menelao. Quando gli uomini non sanno riconoscere ciò che

è vero rispetto a ciò che appare tale, ma non lo è, nessun loro atto di volontà

può procedere con certezza, proprio come accadde a Elena, Paride e Menelao

fino a quel momento. Il nodo tragico di questo dramma euripideo, dall'intento

fortemente antibellicista può essere riconosciuto nella scena in cui il servo di

Menelao - dopo dieci anni di guerra a Troia e sette anni spesi nel tentativo di

tornare in patria, davanti all'evidenza che la 'vera' Elena non era mai andata a

"Ma cosa? Abbiamo allora sofferto invano per una nuvola?".

Troia, esclama

Nel presentare la vicenda di Elena, Euripide ci sorprende risolvendo il nodo di

questa tragica condizione esistenziale con una risata, cioè risolvendo la

tragedia in commedia, tant'è vero che nell'Elena sembrano riconoscibili alcuni

Elena

archetipi comici della commedia nuova di Menandro: l' può infatti essere

definita una tragicommedia. La descrizione che Euripide dà della ragazza è

molto diversa dalle descrizioni precedenti: nell’Iliade Elena appare come una

donna che può soltanto subire tutti gli avvenimenti che accadono in nome della

sua bellezza, non è quindi connotata negativamente, altri autori invece la

descrissero spesso come una donna di facili costumi: Eschilo la definisce

“donna dai molti uomini” e “rovina di navi, rovina d’eroi, rovina di città”. Anche

lo stesso Euripide, nelle Troiane, descrive Elena come la grande meretrice che,

scappata con Paride a Troia, causò lo scoppio della guerra; l’autore costruisce

un personaggio profondamente diverso da quello canonico, che il

commediografo Aristofane definirà ironicamente “la nuova Elena”. L’eroina è

una donna fedele, infelice per la lontananza del marito, che soffre per la propria

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