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FILOSOFIA - SCHOPENHAUER
STORIA - I LEADER DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
GRECO - ESOPO (FAVOLE)
LATINO - FEDRO (FAVOLE)
CITAZIONI
Tuttavia, secondo il filosofo, le percezioni che abbiamo della realtà
non sono personali, tutti utilizziamo lo stesso meccanismo per
cogliere i fenomeni, attraverso cioè i sensi e le percezioni siamo in
grado di distinguerli, tramite le forme di spazio e tempo legate alla
sensibilità e la causalità legata all’intelletto li rappresentiamo nella
mente.
Egli paragona le forme a vetri attraverso cui la visione delle cose si
deforma e per questo considera la rappresentazione ingannevole,
traendo la conclusione che la vita è un sogno, cioè un tessuto di
apparenze.
Per Schopenhauer la conoscenza si basa su due principi
fondamentali:
principio di ragion sufficiente
- che ci permette di collegare i
fenomeni tra loro; si basa sulla causalità;
principio di individuazione
- con cui cogliamo i particolari della
realtà.
Secondo l’autore è possibile lacerare il velo di Maya e di
conseguenza conoscere la realtà, perché l’uomo si coglie come
fenomeno (oggetto di conoscenza) e con l’intelletto sente che
esiste, perciò va oltre le apparenze.
Egli presuppone alla base del nostro essere una forza che chiama
unica
“volontà di vivere”: perché si colloca al di là dello spazio,
eterna cieca, irrazionale libera,
perché è oltre il tempo, e perché
non ha né una causa né un fine.
Schopenhauer vede perciò gli uomini come delle marionette nelle
mani della volontà, padrona della nostra vita e mette in secondo
piano il libero arbitrio e l’intelligenza umana.
Essa si manifesta in due modi:
- tramite archetipi o modelli eterni di tutto ciò che esiste al di
fuori dello spazio e del tempo;
- tramite gli individui, manifestandosi in gradi differenti a
seconda della maggiore o minore consapevolezza di un
essere.
L’uomo risulta essere la creatura più infelice perché sa di esistere e
comprende che alla base di tutto c’è la volontà di vivere.
Ma la realtà non è sempre così facile da scoprire…..
I potenti della terra hanno spesso e più volte manipolato la realtà
per creare un’apparenza strumentale al proprio progetto politico.
Nella storia l’apparenza ha avuto un ruolo più importante della
realtà stessa.
Mussolini e Hitler basarono infatti il loro potere proprio sulla
capacità di controllare le masse.
Secondo gli studiosi un leader deve assumere determinati
atteggiamenti per catturare e avere l’appoggio della folla: deve
essere carismatico, avere cioè l’abilità di affascinare tramite
l’aspetto, la gestualità e le parole mettendo in secondo piano i
contenuti, parlando all’immaginazione e non al cervello.
In questo modo l’individuo perde le sue caratteristiche e si sente
protetto solo quando si rifugia nella folla. Può facilmente cedere agli
istinti e compiere azioni che da solo mai avrebbe compiuto.
Essendo poi la folla anonima, scompare il senso di responsabilità e
viene spinta a farsi suggestionare dalle cose più inverosimili, dalle
apparenze. Il rapporto tra leader e folla è biunivoco: il leader dà
voce alla folla che vede in lui un punto di riferimento saldo.
Proprio per questi motivi Hitler fece nascere il mito della Grande
Germania e del Reich facendo leva sul nazionalismo,
propagandando gli ebrei come specchio dei mali, rendendoli facili
bersagli dell’odio sociale.
Caratterizzò i loro lineamenti fisici e culturali trasfigurandoli in
esseri infernali, facendoli cioè apparire diversi da quello che erano.
Dal canto suo, durante il fascismo, Mussolini aveva capito che la
massa rappresentava un’immensa potenza da sfruttare: doveva
perciò creare nell’immaginario comune un nemico cui addossare le
colpe di una società in declino. A tale scopo creò un’efficace
macchina propagandistica utilizzando la stampa, la radio e il cinema
per valorizzare i successi del regime e mantenere le masse in uno
stato di mobilizzazione emotiva.
La propaganda fu tanto imponente e martellante da creare una
realtà parallela.
…anche nella letteratura greca e latina si incontrano autori che hanno
affrontato il tema dell’apparenza attraverso le loro opere….
Ne sono un chiaro esempio l’autore greco Esopo e l’autore latino
Fedro, i quali hanno utilizzato personaggi che
sono animali personificati, con lo scopo esplicito di
comunicare una morale. Le loro favole hanno
principalmente uno scopo didascalico ed educativo nelle quali gli
animali parlano della vita reale e delle sue sfaccettature proprio
come Muriel che ha utilizzato il riccio per parlare dell’apparenza.
In particolare, secondo la tradizione, la stessa vita di Esopo ha un
non bisogna fidarsi delle apparenze e non
significato morale:
sempre a un bell’aspetto corrispondono intelligenza e onestà.
Infatti il deforme Esopo fu in grado, con le sue trovate,
di smascherare inganni e sopraffazioni dei suoi
compagni di servitù. Esopo, per ricompensa divina,
ricevette il dono della parola e dell’eloquenza; poi venne
venduto ad un filosofo che rimase sorpreso dai suoi
consigli. Ottenuta la libertà, si guadagnò la fiducia dei
cittadini di Samo consigliandoli spesso con favole. Ormai
libero compì lunghi viaggi in oriente alla corte dei re;
infine, tornato in Grecia, nel santuario di Delfi, venne
condannato a morte per aver denunciato la rozza
stupidità degli abitanti. Le favole che qui raccontò non riuscirono a
salvarlo ma, secondo la leggenda, Apollo ne rivendicò la morte con
una pestilenza e la fama e la saggezza di Esopo si diffuse nel
mondo.
Tra le sue favole ricordiamo “l’asino selvatico e l’asino domestico”:
Un asino selvatico scorgendo in un prato esposto al sole un asino domestico,
avvicinandosi lo reputava
fortunato: carissimo, sei più grande, sei più grasso e più felice degli altri asini, poiché
ti trovi ad avere
abbondanza di cibo, così che mangi molto.
Poi, vedendo l’asino domestico portare carichi e dietro l’asinaio che lo inseguiva e lo
colpiva con un grande bastone disse: ma vedo che da una parte sei più felice,
dall’altra più sfortunato degli altri asini poiché hai abbondanza di cibo con grandi
sofferenze.
Ecco che l’autore, con questa breve favola, racconta come la vita
sia uno specchio ed ognuno guarderà l’aspetto altrui per
confrontarsi, ma troppo spesso l’apparenza inganna e quel che
all’apparire è un successo, nasconde qualcosa di diverso.
Le favole di Fedro invece, rispetto a
quelle di Esopo, hanno un doppio
scopo:
divertire il lettore con scene di carattere comico ma anche suggerire
saggi consigli per vivere.
Fedro è stato uno scrittore romano, attivo nel I° sec., che ha ripreso
il genere favolistico di Esopo, adattandolo al suo stile.
E’ stato un autore innocuo solo all’apparenza perché in realtà
descriveva e criticava la situazione socio-politica della sua epoca
mediante metafore e allegorie. I protagonisti delle sue favole sono
animali che rappresentano vizi e virtù umane.
Es. “La volpe e la Maschera”:
Un giorno una volpe di nome Brunetta, furba e curiosa, riesce ad entrare nella casa del
romano Spartaco, attore di teatro. L’animale si mette a frugare in mezzo a tutti i
costumi e trova finalmente una bellissima maschera da teatro tragico, ma commenta:
”una testa magnifica, non c’è che dire, ma cervello, niente”.
non bisogna mai fermarsi alle
Anche qui l’insegnamento è chiaro:
apparenze, a volte ciò che sembra bello magari è privo di contenuto
e valore.
Anche il francese La Fontaine ci insegna che conta
la sostanza e non l’apparenza con la favola:
“L’asino vestito con la pelle di un leone”
C’era una volta un asino molto sciocco e vanitoso; viveva in una
fattoria ai margini di una foresta dove regnava un potentissimo
re, il Leone. Ogni tanto l’asino sciocco lo vedeva correre tra gli
alberi e tanti animali fuggivano terrorizzati da quella presenza
che comunque rispettavano, Che potere e che forza, pensava nel
suo piccolo cervellino, anche io sono grosso e vorrei tanto
essere temuto come il leone, ma nessuno mi considera nonostante la mia stazza. E
sognava di essere come un leone non rendendosi conto che per essere un re bisogna
avere l’intelligenza, la forza e l’autorevolezza.
Un giorno, sempre immerso nei suoi pensieri, trovò la pelle di un leone abbandonata
nel bosco. La pelle era tutta intera, con una grande e bella criniera lo sciocco asino la
guardò ammirato e pensò che anche la semplice pelle di leone dava una sensazione di
potere e riflettè: ma la pelle è così integra che quasi quasi mi travesto da leone!, detto
e fatto, si infilò la pelle e la indossò bel aderente al suo corpo.
Si guardò in un laghetto e gongolò di soddisfazione: sono diventato leone anch’io, mi è
bastato indossare la pelle e.. voilà, eccoli trasformato in leone, ora anche io sono un
Re e spaventerò gli sciocchi animali che brucano l’erba!.
Corse nel suo solito prato e gli animali, vedendolo, si spaventarono e fuggirono. Ma
non era stato accorto, una delle sue lunghe orecchie sbucò fuori dalla criniera e tutti la
videro e si misero a sbeffeggiarlo. Anche il suo padrone se ne accorse, sciocco e
vanitoso asino, disse, vieni a lavorare invece di vantarti….e lo
prese a bastonate. l’abito non fa il monaco!.
Morale della favola:
Altra fiaba esemplare a tal proposito è “La bella e la bestia”: fiaba
europea diffusasi in molteplici varianti. Anche qui l’aspetto
spaventoso della Bestia, frutto di un incantesimo di una strega
malvagia, è una “maschera” che nasconde la vera natura del
principe e soltanto una giovane sensibile riuscirà a vedere oltre le
apparenze e modificare l’esito del loro destino.
Oggi quasi nessuno riesce a fare a meno della propria
“maschera”. Si ha talmente paura a farsi vedere a cuore
nudo dall’altro, mostrarsi nella propria schiettezza, aprirsi
con fiducia, farsi capire per quel che realmente si è e si
prova. Tutto nasce da questo complesso di timori.
Siamo soltanto maschere che non hanno il coraggio di
ESSERE. Non ci interessa l’essenza delle cose, ma soltanto il
loro apparire. Siamo maschere che mentono per
guadagnarci un posto al sole nella società che giudica dalle
apparenze.
Un autore più contemporaneo che introduce il tema della maschera
è Luigi Pirandello.
PIRANDELLO nacque nel 1867 a Girgenti (Agrigento) da una
famiglia agiata. Studiò al liceo classico di Palermo, poi si iscrisse
alla facoltà di lettera di Roma.
Lì si scontrò con un professore e si trasferì così a Bonn dove si
laureò. Venne in contatto con la cultura tedesca e si appassionò di
autori romantici.
Iniziò una produzione letteraria fatta di poesie e tragedie
giovanili; volendo poi dedicarsi alla letteratura, agli inizi degli anni
’90 tornò a Roma. Nel 1894 sposò Antonietta Portulano dalla
quale ebbe tre figli. Si dedicò all’insegnamento della lingua
italiana e della letteratura, scrisse saggi e collaborò con i giornali.
Seguì, a partire dal 1903, un periodo difficile per lo scrittore, a
causa della rovina dell’azienda paterna e con essa del patrimonio suo e della moglie.
Alla notizia del disastro economico seguì la crisi della moglie che sprofondò nella follia.
Per integrare le entrate lavorò anche per industria cinematografica. La fama gli arrivò
però come autore di teatro drammatico. Nel 1921 uscì “sei personaggi in cerca
d’autore” dove ci fu una rivoluzione del linguaggio. A partire dal 1922 organizzò una
raccolta completa delle sue novelle sotto il titolo “Novelle per un anno”.
Nel 1925 Pirandello lasciò l’insegnamento per dirigere il Teatro d’arte di Roma e fondò
una sua compagnia, legandosi poi ad una attrice proprio della compagnia. Nel 1934 gli
fu conferito il premio Nobel per la letteratura e morì nel 1936 a Roma.
Luigi Pirandello occupa un posto di assoluto rilievo nella letteratura
dei primi decenni del ‘900.
Nelle opere di Pirandello l’io perde la sua individualità e la realtà
diventa un insieme di apparenze che vanno distrutte, ricorrendo
anche alla pazzia, capace di far emergere la vera essenza
dell’uomo; è la forma che contrappone la vera vita, fatta di pulsioni,
alla vita fatta di apparenze nelle quali l’uomo è obbligato a rifugiarsi
per assecondare la società.