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Latino

Uno dei limiti principali al quale l’uomo è da secoli sottoposto è quello gnoseologico:

quanto possiamo conoscere?

Testimonianza sull’immortalità della questione è data dallo studioso latino Plinio il

Vecchio, il quale decise di realizzare il primo grande inventario del mondo in un opera a

“Naturalis Historia”.

dir poco colossale per la sua epoca: La

Spinto da un insaziabile curiositas, la molla e allo stesso tempo il limite della

conoscenza, non si preoccuperà tanto di mantenere il filo del discorso durante la

narrazione quanto di non trascurare nulla. Paradossalmente proprio ad egli dobbiamo

l’introduzione di un elemento innovativo per la letteratura e non solo, ovvero un indice,

volto a fornire una mappa complessiva dell’opera, seguito dalla fonti utilizzate, tra le quali

figura quella di Aristotele.

Mentre la Curiositas in quest’ultimo, lo spingeva ad analizzare l’animale morto da

sezionare, in Plinio l’interesse si sposta su quello vivo, colto nei suoi comportamenti e

nelle sue pose, con occhio di riguardo per quelli più strabilianti: ed ecco elefanti che

scrivono in greco, galline che compiono pratiche espiatorie e religiose.

L’autore nella sua opera come nella vita verrà accompagnato anche da un sentimento di

meraviglia che lo trascinerà alla morte: infatti Plinio il Giovane, suo nipote, ci racconta in

una lettera indirizzata a Tacito, la morte dello zio avvenuta nel 62 a causa dell’eruzione

del Vesuvio:

Da uomo eruditissimo qual era, egli ritenne che il fenomeno dovesse essere osservato meglio e

più da presso. Ordina, allora, che gli sia apprestata una liburna (battello veloce), mi autorizza, se

voglio, ad andare con lui, ed io gli dico che preferisco restare a studiare e, per puro caso, egli mi

aveva assegnato dei lavori da stendere .

Oggi un evento simile oltre che ad essere perfettamente spiegato non provocherebbe

null’altro che un’evacuazione di tutti gli abitanti vicini, e un po’ di preoccupazione. Al

tempo di Plinio, la paura fù tanta,

Vi erano di coloro che, per timore della morte, la invocavano. Molti supplicavano gli dei; molti

ritenevano che non ve ne fossero più e che quella notte dovesse essere l'ultima notte

del mondo

pari alla distruzione che portò e la descrizione dello stesso evento risultò quasi impossibile

da effettuare:

“ Non posso darvi una descrizione più precisa della sua forma se non paragonarla a quella di un

albero di pino; infatti si elevava a grande altezza come un enorme tronco, dalla cui cima si

disperdevano formazioni simili a rami. Sembrava in alcuni punti più chiara ed in altri più scura, a

seconda di quanto fosse impregnata di terra e cenere Plinio il Giovane

Detto ciò si capisce chiaramente che ciò che conosciamo oggi è frutto di idee passate che provocavano

nella mente degl’antichi stupore e meraviglia.

La stessa che proviamo noi oggi, per fenomeni come i terremoti, ai quali è difficile dare una

spiegazione univoca. Forse arriverà un giorno, in cui non ci stupiremo più.

Filosofia

Se cambiassimo punto di vista, spostandoci in un epoca relativamente recente rispetto a

noi, nel XIX secolo, probabilmente l’evento sarebbe visto come una catastrofe naturale

da studiare per poter sovrastare un giorno. O addirittura per volgere a proprio favore!

Complice di questa presunzione è lo sviluppo realizzato dalle capacità produttive delle

prima globalizzazione ti tipo capitalista, che illuse gli scienziati di poter fare tutto

con l’uso della ragione. A dar loro sostegno il crescente protagonismo della borghesia,

che in quest’anni investi molto nella ricerca. Da notare come in questo periodo c’è chi

riuscì a convergere il bisogno di sapere (e di riconoscimento) dello scienziato che è quasi

connaturato in lui, con l’idea di capitalizzare, propria degl’industriali (o borghesi).

Il risultato comportò un enorme sviluppo della tecnologia, un insieme di scienza e di

tecnica, che giunse a livelli impensabili prima di allora e la crescente competizione tra le

potenze economiche fece il resto.

Nuove forme di politica volute dal popolo, che aveva ormai chiaro il proprio ruolo ai fini del

potere.

Questo cambiamento richiede strumenti nuovi di analisi, come lo stesso Comte, con

convinzione arriverà ad affermare. Originario della Francia, il filosofo cercherà di elevare a

scienza suprema, uno specifico campo di indagine che ancora doveva guadagnarsi

l’attributo di scienza: la Sociologia.

Composta di ben due strumenti, sarà lo stesso Comte a definirli:

La statica,

- volta a studiare i fattori di coesione della società analizzandone le relazioni

che esistono fra le diverse parti di un sistema sociale. Rappresenta una teoria

dell’ordine sociale

La dinamica,

- volta a comprenderne le leggi di sviluppo e quindi l’evoluzione delle

istituzioni giuridiche, politiche, sociali, culturali nei tre stadi di sviluppo dell’umanità,

dunque una teorizzazione del progresso

Inoltre è proprio sul piano organizzativo che il filosofo affermerà il ruolo della società

industriale, la quale sembra essere la meta ultima delle passate evoluzioni. Tale

convinzione assume un certo peso se si pensa che nel tempo in cui venne enunciata era

ancora in forte vigore lo scontro tra aristocratici e industriali.

Storia:

Crisi economica del 29 e oggi: L’ingordigia dei capitalisti

Forse le parole di Comte sarebbero dovute passare proprio per le orrechie degl’industriali

per evitare ciò che avvenne pochi decenni dopo. Infatti sappiamo oggi che tutti

assaggiarono ben presto il limite del sistema capitalistico ovvero il gusto amaro della crisi,

che caratterizzò i decenni successivi. Oggi chiamiamo questo periodo di profonda

depressione, tra l’altro a cavallo delle due guerre mondiali, Crisi del 29'.

Ma andiamo con ordine:

Durante la Grande Guerra gli Stati Uniti non solo avevano rinsaldato la loro posizione di

primo paese produttore (potere economico), ma avevano anche concesso cospicui

prestiti ai loro alleati in Europa, divenendo il maggior esportatore di capitali. A guerra

finita, il dollaro era la nuova moneta forte dell’economia mondiale. Ciò grazie alla

diffusione della produzione in serie e alla razionalizzazione del lavoro in fabbrica che

favorirono notevoli aumenti di produttività e di guadagni. Aumenti che furono

inversamente proporzionali al bisogno degl’impiegati: i licenziamenti furono

inevitabili sebbene ciò comportò un aumento del reddito nazionale. Fortunatamente i

licenziati vennero in parte assorbiti dal crescente numero di nuovi servizi che le nuove

norme burocratiche richiedevano.

La domanda poté così essere alimentata e sostenuta fino alla saturazione del mercato. Ed

è proprio in questi anni che assisteremo al lancio delle prime autovetture commerciali,

nonché la diffusione di elettrodomestici frigoriferi, aspirapolvere compresi anche quelli di

intrattenimento come la radio. Gli Stati Uniti gettarono così le fondamenta per la società

dei consumi. Da quel momento l’intero sistema economico si sarebbe retto su questo

meccanismo, il cui principale limite stà nel dover continuamente invogliare gli acquirenti a

comprare. Appena non si riesce nell’intento avviene un crollo verticale e il sistema si

blocca. Diventerà dunque fondamentale alimentare in continuazione il mercato creando

prodotti in grado di soddisfare necessità.

Questa premessa serve a spiegare cosa successe nel 29’. Consideriamo ad esempio

l’automobile con la quale gl’industriali ebbero vita facile:

la gente aveva il bisogno di divertirsi e spesso risultava necessario spostarsi da paese a

paese, dunque l’acquisto di una macchina avrebbe fatto comodo alla maggior parte della

popolazione e in particolar modo a quanti se la poteva permettere. La società dei

consumi la impose come uno status symbol, come lo definiremmo oggi, in grado di

cambiare gl’orizzonti di chi la possedeva.

Giunti a vendere milioni di prodotti però, il mercato aveva spento la candela della

necessità e quindi si ebbe un blocco della domanda.

Difficile stabilire cosa avrebbe potuto far ripartire la domanda. Più semplice è stabilire

cosa si sarebbe potuto fare per evitare tutto questo ovvero l’istituzione di un entità volta

ad analizzare l’andamento del mercato per controllarne i limiti informando al contempo i

produttori, i quali erano impegnati a capitalizzare!

Ciò che sappiamo oggi è che l’intero sistema economico tornò a funzionare solo

quando ripartì la guerra e con essa la domanda di prodotti bellici.

E’ interessante però analizzare attentamente quanto appena detto: sono molte le

analogie con la situazione attuale di crisi (2010):

Prestiti a livello internazionale da parte dell’oriente

- Yen e altre monete orientali sempre più forti

- Crollo dei mercati in particolare quello degl’immobili

- Licenziamenti operai a causa della delocalizzazione delle fabbriche

- Nuove assunzioni nel settore dei servizi come quello sanitario

- Guerra in Medio Oriente e non si sa bene per cosa

-

Nel frattempo, a distanza di oltre un secolo, non sono mancati gli spunti per proporre

nuovi prodotti di consumo che vanno dai nuovi elettrodomestici come la lavastoviglie o la

televisione a settori nuovi quale è quello dell’informatica fatta di hardware, software e

servizi di assistenza o del marketing fatto di pubblicità con messaggi ai limiti di un ordine.

Tornando un attimo indietro ai Positivisti possiamo si dire che vedevano solo la punta di un

ice-berg, ma non solo a livello scientifico! E ne tanto meno Comte aveva tutti i torti per

rivendicare alla sociologia l’attributo di scienza, se intesa come materia volta all’analisi e

alla previsione di fenomeni sociali congiunti a quelli economici … una sorta di ramo

staccato dall’economia! Italiano

Verga e i Malavoglia

Per chiudere il percorso umanistico ho voluto analizzare lo scrittore italiano Giovanni

“I Malavoglia”

Verga, il quale con il suo romanzo, ha fornito un quadro abbastanza chiaro

di ciò che stava accadendo, denunciando le proprie perplessità. Il Verga analizza il

momento di transizione del vecchio all’antico e del nuovo come abitudine. Il termine

Malavoglia è solo un soprannome, un epiteto che non rende onore alla famiglia Toscano,

da tempo immemorabile «tutta buona e brava gente di mare». Proprio della loro storia si

narra qui: storia non di “umili”, come riecheggia dal Manzoni, ma di “umiliati”.

Nella prefazione al romanzo Verga presenta il tema di fondo dello scritto: la rottura di un

equilibrio dato dalla tradizione immobile e abitudinaria di una famiglia semplice di Aci

Trezza, per l’irrompere di nuove forze, «la fiumana del progresso» scrive Verga, il

i Malavoglia

desiderio di migliorare le condizioni di vita. La lotta de non è esclusivo

battersi contro la natura geografica incarnata dal mare, bestia famelica che inghiotte

Provvidenza,

la piccola barca dei pescatori, la portando morte e disperazione, ma anche

scontro con la natura umana , rivisitata nelle malelingue degli abitanti di Aci Trezza:

gente invidiosa, pettegola e cattiva.

Quando il giovane ‘Ntoni lascia il focolare domestico perché disgustato dalle condizioni

estreme della sua esistenza, getta l’intera famiglia nel tormento, lasciando pensare che i

valori da sempre perseguiti, ormai senz’anima, non abbiano più ragion d’essere. E questi

valori sono la casa, in quanto materializzazione della possibilità di sopravvivere, ma anche

l’onestà, l’onore.

Vessilli in costante estinzione.

I Malavoglia

Ne restano ancora in vita i depositari delle leggi e dei codici esistenziali messi

in crisi dal progresso: oltre al vecchio ‘Ntoni, anche Bastianazzo e altri; ma da vicino i loro

valori rivelano la natura di ideali ormai incomprensibili ai più, a quella massa che si è

sporta ad ammirare i nuovi dei, il denaro, il successo. Il paese, Aci Trezza, è un coro di

abbrutiti, di gente avvelenata dai principi avari del materialismo.

Verga non descrive gli ambienti, lo stile impersonale glielo impedisce. E allora getta

pennellate veloci e poi scrive: racconta del mare che è, tuttavia, metafora infausta

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