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valenze negative ed e sempre più diffusa la convinzione che vivere in
solitudine sia una condizione spiacevole da cui fuggire a qualsiasi costo.
Tuttavia la solitudine può essere anche una meravigliosa opportunità di
sviluppo e di benessere interiori. Un'occasione preziosa da sfruttare. Una
condizione cercata, anziché subita.
Non esiste creatività artistica senza concentrazione e isolamento; lo
scrittore, il pittore, il pensatore, il compositore necessitano di grande
raccoglimento e pure le nostre attività quotidiane che impegnano
attivamente le nostre facoltà necessitano di solitudine: lo studio, la
riflessione, l'introspezione, la lettura vengono meglio se ci isoliamo dalla
"pazza folla".
Non ogni solitudine è positiva: ci sono forme di fuga dagli altri che sono
patologiche, c'è soprattutto quella cattiva solitudine che è l'isolamento,
quindi la chiusura rispetto agli altri.
Ma tra isolamento, chiusura e mutismo da un lato e bisogno della
presenza fisica degli altri, e attivismo smodato dall'altro, la solitudine è
equilibrio e forza. Guida l'uomo alla conoscenza di sé, e richiede molto
coraggio.
Il silenzio è il custode dell'interiorità; non si tratta solo dell'astenersi dal
parlare ma del silenzio interiore, quella dimensione che ci restituisce a noi
stessi .
La 9
Solitudi
ne
nell’arte
. 10
VAN GOGH VINCENT [ Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29
luglio 1890 ]
- Campo di grano con corvi
Quest’opera di Van Gogh è del luglio 1890, realizzata poco tempo prima
del suicidio e giudicata dalla critica il suo “ testamento spirituale ”.
Spesso si sostiene che il campo di grano ha dei toni drammaticamente
cupi, accentuati dal funereo volteggiare dello stormo di corvi neri e dalle
pennellate rabbiose e scomposte.
Cupo in realtà è solo il cielo, che da un blu rassicurante passa a tonalità
cromatiche sempre più scure. 11
L'artista non vede futuro per la sua esistenza immediata, e la sua anima
continua ad ardere di un fuoco divoratore.
Il campo di grano sembra una foresta in fiamme, in cui strade vuote, che
portano verso l'ignoto, cercano di farsi largo e su cui volteggiano tristi
presagi: i corvi neri appunto, che sembrano arrivare come avvoltoi su un
cadavere.
La tela è un grido di dolore, accentuato dal ritmo a strappi delle
pennellate.
In mezzo ad un cielo tenebroso macchie bianche sembrano voler indicare
gli astri o nuvole minacciose, ma in realtà raffigurano la solitudine
dell'artista, ripiegato su se stesso.
Nell'ansia di cercare qualcosa che colleghi il campo di grano al cielo, Van
Gogh non trova altro che se stesso, svuotato.
I corvi neri sembrano stiano per arrivare come una minaccia incombente,
una tempesta della natura e simboleggiano l’imminente fine dell’artista.
Il campo di grano è il componimento poetico di uno sconfitto: la strada
non porta infatti da nessuna parte ed è virtualmente percorsa da una
persona, l'artista, che non sa dove andare, né cosa cercare.
L’interpretazione di Van Gogh di questo suo quadro si legge nelle lettere
inviate al fratello Theo: "Sono campi estesi di grano sotto cieli agitati, e
non avevo bisogno di uscire dalla mia condizione per esprimere tristezza
e solitudine estrema".
Infatti, chi percorre le strade del quadro non ha una meta precisa dove
andare, non ha futuro.
Non è ovviamente un quadro realistico, ma esprime molto realisticamente
una situazione emotiva ai limiti del collasso.
La strada è il limite maggiore non tanto del quadro, ma dell'esistenza
stessa di Van Gogh, lacerata da percorsi travagliati, errabondi,
diametralmente opposti, che l'hanno sì arricchito di molteplici esperienze,
ma anche portato alla sregolatezza e infine alla follia e a una morte
prematura. 12
DE CHIRICO GIORGIO [ Volos, 10 luglio 1888 – Roma, 20 novembre
1978 ]
- Il grande metafisico
- La stazione di Montparnasse
- Ettore e Andromaca
Questi quadri di De Chirico regalano toni caldi e appassionanti la cui
armonia riporta l'osservatore immerso in quello stato di malinconia e
solitudine propria dell’artista. Egli giunge con la sua produzione pittorica
a traguardi espressivi di grandissimo valore traslando la vita
contemporanea dal piano reale a quello della metafisica.
IL GRANDE METAFISICO 13
Il pittore esprime la figura dell'uomo come manichino privo di identità: il
suo volto bianco e vuoto è una costruzione abbandonata. De Chirico
contrappone un viso privo di espressività, indice forse di inconsistenza
spirituale, ad un corpo complesso e articolato.
De Chirico con questo quadro rappresenta l’uomo che si copre di oggetti
con i quali crede di realizzare ed esprime se stesso ma che rimane
oppresso dalla materia che si accalca attorno a lui.
I personaggi che caratterizzano lo stile dell'artista sembrano capitati
quasi per caso in luoghi ad essi estranei, sono immobili, silenziosi, si
trovano in mezzo ad architetture della realtà il cui senso ultimo traspare
nelle ombre inquietanti di un'esistenza sfuggente e chiusa in se stessa.
Forse l'uomo non è nemmeno più un manichino forse ne è ormai solo
l'ombra.
In questi ambienti minacciosi i soggetti non più uomini e nemmeno
manichini, diventati l'ombra di se stessi, sono lontani e al tempo stesso
vicini. Occupano spazi in ambienti la cui prospettiva sfugge alla
comprensione e cercano una via di scampo.
14
LA STAZIONE DI MONTPARNASSE
In quest’opera il punto di fuga (ideale) esiste ma è lontano (in alto a
destra), in cima ad una ripida salita, chiara allusione alla metafora
della vita: l'uomo è "a due passi dalla salvezza" ma le ombre, rivolte
verso il basso, lo trattengono cosa possono due puntini, protagonisti
della scena, contro tutto ciò?
In questi complessi irreali tutto è sospeso tra incubo e realtà, tra
evasione e costrizione, tra veglia e sogno. L'oblio e la solitudine
caratterizzano lo spazio occupando volumi prospettici unitari e allo
stesso tempo frammentari.
ETTORE E ANDROMACA
Il mondo ha abbandonato l’uomo.
L’uomo ha abbandonato se stesso lasciando al suo posto il manichino
che, in quest’opera, si trasforma in questo strano oggetto costituito da
righe, squadre e strumenti misuratori di un tempo che non c’è più.
15
In “Ettore e Andromaca” troviamo dei manichini come protagonisti
dell’opera: entro l'ampia prospettiva con la consueta atmosfera
rarefatta e sospesa, contro un cielo cupo, i due mitici personaggi si
stringono nell'ultimo abbraccio presso le "Porte Scee", prima del
duello con Achille che sognerà la morte di Ettore; ma non sono
personaggi reali e neppure autentici manichini di sartoria; somigliano
alla forma dei manichini perché gli elementi costituenti sono composti
in quel modo, ma questi singoli elementi sono figure geometriche
astratte, come astratto è il complesso.
L’opera è una moderna ed angosciante interpretazione del mito
classico interpretato dal “manichino” dechirichiano.
L’ambientazione è segnata dalla solitudine, dall’assenza di qualcuno o
qualcosa e dal senso di vuoto e di abbandono. De Chirico evidenzia il
“non senso” del mondo, espresso dall’ accostamento illogico di
passato e presente, di antico e moderno, statue isolate, ombre
allungate che non chiariscono la causa del loro essere, piazze vuote,
16
spazi isolati e il tempo eternamente sospeso.
Ettore e Andromaca tentano di abbracciarsi ma non hanno le braccia;
il momento dell’estremo saluto già struggente si carica di un cupo
pessimismo e l’abbraccio si trasforma così in un disperato desiderio di
abbraccio.
L’astratto palcoscenico permette agli attori di mostrarsi in tutta la loro
solitudine dinanzi ad una platea inesistente.
Tutto è immobilità, solitudine, silenzio.
MUNCH EDVARD [Løten, 12 dicembre 1863 – Ekely, 23
gennaio 1944 ] 17
Per scelta o per destino, Munch passò gran parte della sua vita da solo.
Una solitudine che sarà la sua fonte di ispirazione nell'arte. Il pittore si
ubriaca spesso in solitudine. Egli trascorre la sua vita senza amore;
l'unica forma di amore che il pittore sembra in grado di sperimentare é
quella per i suoi familiari morti. Neppure l'incontro con Tulla, che più
volte gli proporrà il matrimonio, riuscirà a coinvolgerlo. www.geocities.com
La solitudine che risiede in Munch si rappresenta nel fallimento della
comunicazione e nella percezione di un mondo estraneo, inafferrabile; un
mondo che non può offrire più nulla, una realtà priva di desideri.
L'incomunicabilità é elemento ricorrente nei dipinti dell'artista norvegese:
le persone sono spesso separate da oggetti: ad esempio alberi.
La solitudine che accompagna Munch per gran parte della sua vita non lo
aiuta di certo ad allontanare lo sguardo da quei fantasmi che popolano il
suo doloroso passato; anzi lo spinge a fuggire sempre di più dalla realtà,
da quel mondo esterno che lui percepisce come ostile. La sua vita
trascorre senza mai incontrare o cercare amore, essendo questo per lui da
sempre collegato alla orrenda figura della morte (madre, sorella, padre).
La situazione diventa ancora più drammatica nel momento in cui il pittore
scopre, oltre alla malattia fisica, anche il terrore della malattia mentale,
della psicosi.
"Ho ricevuto in eredità due dei più terribili nemici dell'umanità: la
tubercolosi e la malattia mentale. La malattia, la follia e la morte erano
gli angeli neri che si affacciavano sulla mia culla."
18
L'amore non può esistere per lui; il pittore rifiuta più volte le richieste di
matrimonio dichiarando di non avere il diritto di sposarsi a causa della
propria malattia e follia mentale.
Gli occhi negli occhi, 1894
I due amanti paiono due cadaveri, o due fantasmi. Munch dipinge il
personaggio maschile (forse se stesso) pallido come un morto, e la
sua controparte femminile dello stesso colore del tronco dell'albero
19
che li separa. I loro volti inespressivi sono rappresentativi della loro
situazione: nemmeno la più piccola speranza d'amore é permessa.
Separazione, 1896
In quest’opera i due amanti guardano in direzioni opposte; si trovano ad
anni luce di distanza, sebbene sembrino quasi toccarsi.
O forse più che di separazione si potrebbe parlare di "mancato incontro":
forse i due amanti non sono mai esistiti, e la ragazza non é che un
romantico sogno, una speranza che abbandona per sempre il cuore del
pittore, allontanandosi definitivamente da lui e lasciandolo nella sua
solitudine. I personaggi di Munch appaiono immersi in una solitudine, in
uno stato di profondo bisogno che tuttavia non può essere soddisfatto e i
loro animi sono destinati ad un drammatico epilogo.
20
Sera sul viale Karl Johan, 1892
In quest’opera l'artista ritrae se stesso in disparte, come una solitaria ed
ignorata presenza.
E’ la raffigurazione di un esperienza terribile: sentirsi completamente
estranei alla vita, alle persone che passeggiano davanti a lui sul
marciapiede; persone che assumono le sembianze di fantasmi, di
maschere allucinate che vagano senza una vera meta. Munch dipinge ciò
che sente e non ciò che vede e quei volti privi di espressione non sono
altro che la realtà percepita dal pittore. Munch non riesce che a pensare a
se stesso come ad una insignificante macchia nera, che tende a perdersi
ed a dissolversi nell'oscurità della notte.
Insieme alla sera, sulla strada sembra essere calato un silenzio tombale e
la folla si è trasformata in un corteo spettrale che compatto sembra
marciare su di noi. 21
“ Vedevo tutte le persone dietro le loro maschere- sorridenti,
flemmatiche- volti tranquilli- vedevo attraverso di essi e c’era sofferenza-
in tutti loro- cadaveri smorti- frettolosi e affaccendati- correvano in giro
lungo una via tortuosa- il termine era la tomba.”
Munch ci mostra un gruppo di persone che potremmo essere noi stessi:
egli coglie l’aspetto rispettabile e tranquillo di coloro che percorrono la
“strada della vita”, ma anche, nello stesso tempo, l’angoscia e lo
svuotamento che ne tormentano la psiche.
Il tema della maschera è molto presente nell’immaginario di fine
Ottocento, quando le analisi freudiane guardano oltre le convenzioni e il
moralismo, scoprendo le ansie e le pulsioni che destabilizzano l’esistenza