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Sintesi
Introduzione Terra e arte tesina


Questa tesina di maturità tratta vari argomenti: in Italiano "A sé stesso" di Leopardi, in Filosofia Il tempo della coscienza, Bergson, in Storia la Guerra civile spagnola, in Latino ''O fons bandusiae'' di Orazio, in
Greco Medea, Euripide, in Geografia astronomica i terremoti.

Collegamenti

Terra e arte tesina


Italiano- ''A sé stesso'', Leopardi.
Filosofia- Il tempo della coscienza, Bergson.
Storia - La Guerra civile spagnola.
Latino - ''O fons bandusiae'', Orazio.
Greco - Medea, Euripide.
Geografia astronomica - I terremoti.
Estratto del documento

sconosciuta,senza alcuna fama,non considerata ma piena di bellezza,diverrà

famosa e verrà introdotta nella lista delle fonti pregiate in quanto lui ne parla.

L’autore afferma quindi come grazie alla sua arte,la bellezza della fonte verrà ora

riconosciuta ed ammirata da tutti.

Fies nobilium tu quoque fontium,

me dicente cavis impositam ilicem

saxis, unde loquaces

lymphae desiliunt tuae.

Simile funzione la ritroviamo nell'opera La Grenouillère di Monet.Tramite infatti il

lavoro dell’artista,un evento comune,non considerato,assume importanza e

diviene famoso. Più che sui personaggi,Monet si concentra sulla natura,sulla

luce,sul movimento provocato dal vento sulle foglie,sulle ombre,sui riflessi

dell'acqua. Attraverso ciò l’artista riposiziona il nostro concetto di bello;rende

esplicita a tutti una bellezza che molto spesso tralasciamo ma che è pura come

quella dell'acqua. Tramite un accurato labor limae,Monet riesce a rendere ''viva''

l'acqua cosicché,osservando il quadro,ci sembra quasi di poter sfiorare e sentire la

freschezza dell'acqua. Simile lavoro è svolto da Orazio che utilizza la parola

splendidior,l’aggettivo splendidus infatti, riunisce in sé la limpidezza e la

lucentezza insieme. Tramite l'allitterazione in “s” del primo verso che ha valore

onomatopeico riproducendo il rumore dell'acqua. Tramite loquaces... lymphae

desiliunt,l'allitterazione della liquida infatti vuole riprodurre musicalmente, con

effetto onomatopeico, il fluido chiacchierio delle acque.

Il gioco di colori e riflessi in La Grenouillère può essere ricollegato al gioco di

opposizioni espresso da Orazio attraverso,ad esempio, il termine

Gelidos,l'aggettivo è infatti in netto contrasto col calore del sangue e quindi

freddo = morte, caldo = vita. Attraverso il termine rubro,un epiteto coloristico. Il

rosso fumante del sangue caldo si oppone alla limpidezza e al candore della fonte.

Quindi,così come la fonte diverrà famosa perchè Orazio ne descrive la

bellezza,così nell'opera di Monet viene data importanza ad elementi essenziali ma

molto spesso trascurati. Un comune obbiettivo si pongono quindi entrambi gli

artisti ossia quello di rendere nota la bellezza di cose che molte volte trascuriamo.

Il paesaggio paradisiaco descritto da Orazio prende vita grazie al colore di Monet.

CATALANO

ANTONIETTA

L'URLO DI LEOPARDI

Or poserai per sempre,

Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,

Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,

In noi di cari inganni,

5 Non che la speme, il desiderio è spento.

Posa per sempre. Assai

Palpitasti. Non val cosa nessuna

I moti tuoi, né di sospiri è degna

La terra. Amaro e noia

10 La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.

T'acqueta omai. Dispera

L'ultima volta. Al gener nostro il fato

Non donò che il morire. Omai disprezza

Te, la natura, il brutto

15 Poter che, ascoso, a comun danno impera,

E l'infinita vanità del tutto.

Un'apostrofe ("Stanco mio cor"); un'anafora ("Perì...perì"); un'anastrofe ("i moti tuoi"); un chiasmo ("La

vita, altro mai nulla; e fango è il mondo"); un enjambement ("né di sospiri è degna, La terra").

v. 2 Svanì ("perì"): perire è più forte; è un verbo che solitamente si usa per gli uomini, per cui la morte

di questa illusione provoca dolore come la morte di una persona.

v. 2 Illusione ("inganno"): è tipico del linguaggio leopardiano (cfr. Il Risorgimento, strofa 14, vv 5-6:

"Proprii mi diede i palpiti, / natura, e i dolci inganni"; e Le Ricordanze, strofa 4, vv 1-2: "O speranze,

speranze; ameni inganni / della mia prima età".)

v. 10 Spregevole ("fango"): fango ha un valore più forte perchè non è un pensiero, ma un'immagine

molto concreta.

vv. 11-12 Rinuncia definitivamente ad ogni speranza ("dispera l'ultima volta"): disperare va inteso nel

senso letterale "di-sperare", cioè perdere, abbandonare la speranza. L'ultima volta, cioè

definitivamente.

v. 14 Perverso ("brutto"): brutto è più forte perché rimanda ad un'immagine, a qualcosa di spaventoso.

v. 16 Universo ("tutto"): universo è riduttivo, perché il poeta non si riferisce solo a qualcosa di

materiale, ma proprio a tutto ("illusioni, speranze").

A SE STESSO

A se stesso è una poesia di Giacomo Leopardi scritta a Napoli nella primavera del 1835. Fu pubblicata

nell'edizione Canti nello stesso anno.

Questo componimento, insieme a Il pensiero dominante,Amore e morte,Consalvo e Aspasia,

appartiene al cosiddetto ciclo di Aspasia.

La poesia è stata scritta in seguito all'esperienza amorosa non corrisposta da Fanny Targioni Tozzetti.

Il Ciclo di Aspasia è una serie di componimenti poetici di Giacomo Leopardi, con temi principali

sull'amore e la morte, nonché sulla caduta e la vanità di ogni illusione.

L'ispirazione per le liriche proviene dalla traumatica vicenda d'amore vissuta dal poeta con Fanny

Targioni Tozzetti, a cui il poeta fa riferimento usando lo pseudonimo di Aspasia.

Le poesie che compongono il ciclo sono:Il pensiero dominante,Amore e Morte,Consalvo,A se

stesso,Aspasia.

A se stesso si compone di endecasillabi e settenari sciolti, interrotti da numerosi enjambements, che

danno un andamento spezzato al testo. La spezzatura è maggiormente accentuata da una serie di

brevissime frasi. Il lessico è spoglio e secco. Sono presenti per lo più sostantivi e verbi, gli aggettivi

invece sono molto rari. I sostantivi sono molto significativi perché rimandano a concetti importanti e

attirano l'attenzione del lettore, posti all'inizio o alla fine del verso: "terra", "mondo", "natura", "noia",

"vita", "morire", "fato", "poter", "vanità"; molti di questi termini si collegano ad una sfera negativa. L'uso

della sillaba ai rimanda ad un suono doloroso.

ESEGESI DEL COMPONIMENTO

Il componimento chiude il "Ciclo di Aspasia". È un amaro colloquio del poeta con se stesso. È ormai

finita anche l'ultima illusione (l'amore), che credeva eterna. L'io lirico è convinto che ogni desiderio sia

ormai spento, e non ci sia più nulla che possa infondergli speranza o illusione. Il cuore non palpita più,

resta solamente il lento ed inesorabile scivolare verso la morte. La vita non è altro che "amaro e noia"

(amarezza e noia) e "fango è il mondo". Al cuore non resta che disprezzare l'antica propensione

all'illusione e all'infinita vanità dell'universo (riecheggiamento del versetto biblico "vanità delle vanità,

tutto è vanità" del Libro diQoelet). La poesia segna il distacco definitivo dalla fase giovanile delle

illusioni.

Il canto, scritto probabilmente nel maggio 1833 e ispirato dalla delusione d'amore per Fanny Targioni

Tozzetti, si presenta come la conclusione del "Ciclo di Aspasia", ovvero come l'affermazione

drammatica che ormai al mondo non vi è più nulla per cui il cuore del poeta possa palpitare.

L'esperienza dell'amore (grazie alla quale, scrisse nel "Pensiero LXXXII", l'uomo "diventa uomo") si è

conclusa con una delusione amarissima, conferma ultima della vanità di ogni speranza e sentimento.

Il breve testo si conclude con un'esortazione a disprezzare "te,la natura, il brutto / poter che, ascoso, a

comun danno impera, / e l'infinita vanità del tutto." Il richiamo all'Ecclesiaste (Vanità delle vanità, e

ogni cosa è vanità) congiunge al ben noto nichilismo leopardiano la risonanza del testo sacro.

Il linguaggio della poesia è nudo, privo di immagini, ben lontano dalla musicalità evocativa dei Canti

pisano-recanatesi. Si compone di 16 versi endecasillabi e settenari, alternati liberamente e collegati

da qualche rima, o, più spesso, da assonanze e allitterazioni. L'aspetto che risalta maggiormente è il

periodare continuamente interrotto da punti fermi. I periodi sono dunque per lo più brevissimi, fino alla

misura estrema di una sola parola (v.3). Il ritmo, serrato, è pertanto caratterizzato da un'energia

trattenuta, quasi bloccata. I frequenti enjambement, invece di produrre, come nell'Infinito, una

dilatazione del ritmo e del pensiero, contribuiscono all'effetto di spezzatura.

Il lessico, a sua volta, appare spoglio, con pochissimi aggettivi, che pure disegnano quasi una sintesi

del pensiero leopardiano: stanco mio cor, inganno estremo / eterno, cari inganni, ultima volta, brutto

poter, comun danno, infinita vanità.

o anche Il grido, è un celebre dipinto di E dvard Munch(titolo originale in norvegese:Skrik).

L'URLO,

Realizzato nel 1893 su cartone con olio,tempera e pastello, come per altre opere di Munch è stato

dipinto in più versioni, quattro in totale.

Analisi dell'opera

L'opera è un simbolo dell'angoscia e dello smarrimento che segnarono tutta la vita del pittore

norvegese che cercò molto a lungo un'ispirazione adatta ad eseguire quest'opera. La scena

rappresenta un'esperienza vera della vita dell'artista: mentre si trovava a passeggiare con degli amici

su un ponte della città di Nordstrand(oggi quartiere di Oslo), il suo animo venne pervaso dall'angoscia

totale, perché innamorato follemente di Silvia(la moglie pazza di Manzoni) e colse l'attimo così dipinse

questo personaggio terrificante e che fa paura agli occhi. Così descrive la scena lo stesso Munch con

alcune righe scritte sul suo diario mentre era malato a Nizza,nell'Ospedale di San Caterina di Osvaldo:

«Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di

rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e

sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo

ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.»

Si distinguono chiaramente sullo sfondo due persone, ferme in attesa lungo il ponte, forse estranee al

terrore che angosciava il loro compagno. Mentre la bocca spalancata sembra emettere dei suoni che

sconvolgono il paesaggio, con delle linee curve, ma non la strada, unica consigliera e amica

dell'uomo, testimone talvolta del distacco, il volto deformato sembra un teschio; e anche il corpo

sembra essere privo di colonna vertebrale. La funzione comunicativa prevalente individuata nel dipinto

attraverso la lettura dell'opera è espressiva. L'uso del colore e gli accostamenti cromatici associati a

lunghe pennellate tese a deformare i soggetti rappresentati suggeriscono uno stato emotivo di

angoscia. L'associazione delle linee ondulate con le linee diagonali crea un senso di dinamicità che

provoca tensione nell'osservatore. L'uso della luce contribuisce a far scaturire nell'osservatore un

senso di inquietudine e dramma della natura poiché conferisce il senso dell'immediatezza dell'evento

rappresentato, colpendo la figura principale frontalmente come se fosse illuminata dalla luce di un

flash. Anche la composizione degli elementi costitutivi del quadro è orientata a sottolineare l'aspetto

espressivo dell'opera mettendo in primo piano il soggetto che emette l'urlo, staccandolo dallo sfondo

attraverso la frapposizione dell'elemento ponte.

L’artista ci offre il ricordo, lo scatto di quel momento per lui inspiegabilmente terrificante attraverso i

suoi occhi. Filtra il reale attraverso il suo stato d’animo, la sua intima sofferenza, il pesante tanfo della

paura. I colori del tramonto perforano la sua sensibilità con violenza, animandosi di cruenta intensità.

Ed ecco che allora, nell’impeto dell’angoscia, l’uomo che urla solitario sul ponte perde ogni forma

umana, diventa preda del suo stesso sentimento, serpentiforme, quasi senza scheletro, privo di

capelli, deforme. Si perde insieme alla sua voce straziata ed alla sua forma umana tra le lingue di

fuoco del cielo morente, così come morente appare il suo corpo, le sue labbra nere putrescenti, le sue

narici dilatate e gli occhi sbarrati, testimoni di un abominio immondo. Munch parla con il suo

linguaggio unico e drammatico dell’impotenza dell’uomo di fronte alla supremazia della natura, dello

sgomento della follia, di fronte alla quale siamo piccoli ed inequivocabilmente soli. Il dipinto fa in realtà

parte di un più vasto progetto, una narrazione ciclica intitolata “Il Fregio della vita” (1893-1918)

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32 pagine