Sintesi
Spazio e tempo

Introduzione:
Spazio e tempo nell'evoluzione del pensiero.
Le idee di spazio e di tempo hanno un posto preminente nella nostra mappa della realtà. Esse servono ad ordinare cose ed eventi nel nostro ambiente e sono quindi di grande importanza non solo nella vita quotidiana, ma anche nei nostri tentativi di comprendere la natura attraverso la scienza e la filosofia. Non c'è legge della fisica che per la sua formulazione non richieda l'uso dei concetti di spazio e di tempo. La profonda modificazione di questi concetti fondamentali determinata dalla teoria della relatività fu perciò una delle più grandi rivoluzioni nella storia della scienza. La fisica classica era basata sull'idea sia di uno spazio assoluto, tridimensionale, indipendente dagli oggetti materiali in esso contenuti e regolato dalle leggi della geometria euclidea, sia di un tempo inteso come dimensione separata, anch'esso assoluto, che scorre uniformemente e indipendentemente dal nostro mondo materiale. In Occidente, questi concetti di spazio e di tempo erano così profondamente radicati nella mente di filosofi e scienziati che furono assunti come proprietà vere e indiscusse della natura.
Soprattutto nel '900 molti studiosi iniziarono a studiare e trattare dello spazio e del tempo. Ognuno con i suoi pensieri, ognuno a suo modo ha cercato di dare una spiegazione.
Dicendo che "Ogni nostra conoscenza, sia di tempo che di spazio, è essenzialmente relativa" si intende che tutto quello che sappiamo sullo spazio e sul tempo, non è definitivo nè eterno, in futuro l'argomento sarà sicuramente ripreso e ritrattato in modo diverso, con spiegazioni diverse. A volte capita che si pensi allo spazio e al tempo, ma sappiamo dargli una spiegazione? Sappiamo dire cosa sono realmente?
Lo spazio e il tempo regolano la nostra esistenza sono importanti, anzi fondamentali. Ma non sono misure. Senza spazio e tempo probabilmente ci sentiremmo persi, ma di certo continueremmo a vivere. Quindi lo spazio e il tempo rimarranno sempre cose astratte e concrete al tempo stesso, possiamo dire di sapere cosa sono ma non riuscire a spiegarlo a parole. Ed è proprio questo che affascina e che mi ha portato ad analizzare lo spazio e il tempo sotto i vari aspetti, letterari e scientifici, attraverso diversi autori, con diversi pensieri.
L’idea di fare una tesina che prendesse in considerazione la concezione dello spazio e del tempo ha le sue fondamenta proprio nella constatazione del fatto che spesso anche se il tempo e lo spazio hanno una oggettività inconfutabile nello stesso tempo spesso sono soggetti a infinite interpretazioni individuali in ogni campo, a partire dal campo scientifico, filosofico, letterario ed artistico.
Latino:
Seneca fu uno dei primi ad affrontare l'argomento del tempo nelle sue opere. Nacque probabilmente nel 4 a.C. in Spagna però fu condotto molto presto a Roma dove compì i suoi studi. Gli imperatori gli furono molto ostili tanto che Caligola progettò di farlo uccidere e Claudio, invece, lo condannò all'esilio in Corsica, dove rimase dal 41 al 49 d.C. Nel 54 d.C. però lo vediamo affiancato al nuovo imperatore non ancora diciottenne Nerone, quindi ebbe praticamente il doverno dell'impero nelle sue mani, insieme con Agrippina e il pretto del prefetorio Afranio Burro. Nel 59 Nerone fece uccidere la madre Agrippina e Seneca rimase comunque al suo fianco anche se la sua posizione si fece sempre più debole. Nel 62 poi lui si ritirò a vita privata, realizzando finalmente quella vita contemplativa a cui aspirava fin dalla giovinezza. Nel 65 però venne accusato di essere complice di Pisone quando fu scoperta la congiura ordita contro Nerone e fu costretto a togliersi la vita. Seneca affrontò la morte con coraggio, serenità e nobiltà d'animo, ispirandosi all'esempio delle "morti filosofiche" di Socrate e di altri grandi sapienti del passato.
Seneca affrontò nei suoi scritti frequentemente, ma in modo non organico, il tema del tempo. In più di un'occasione gli studiosi hanno cercato di ricavare qualche indicazione risolutiva e quindi di fare il punto sull'intera questione. Così risultano solitamente in evidenza due precisi momenti e due opere: il dialogo De brevitate vitae e le Epistulae ad Lucilium. Il primo fu scritto molto probabilmente al ritorno dall'esilio in Corsica (nel 48-49); il secondo fu composto dopo l'abbandono della vita pubblica (cioè tra il 62 e il 65, l'anno della morte). Circa quindici anni separano dunque queste due opere e, di mezzo, c'è la fondamentale esperienza politica dello stoico Seneca. Eppure il modo in cui è affrontata la questione del tempo, nel dialogo e nella prima lettera dell'epistolario, mostra una serie di costanti che ci permettono di delineare un quadro abbastanza preciso della sua concezione da parte del filosofo.
Il De brevitate vitae è uno dei 10 trattati in forma dialogica nei quali Seneca espone le sue teorie filosofiche ed in questo caso il rapporto tra uomo e tempo. Nel De brevitate vitae, dedicato all'amico Paolino, Seneca sostiene che gli uomini hanno torto a lamentarsi per la brevità del tempo assegnato dalla natura alla loro esistenza, perchè lui dice che "la vita, se sai farne buon uso, è lunga". Il problema è che la stragrande maggioranza degli uomini la spreca, dissipandola in occupazioni frivole e vane: questi uomini sono definiti occupati, contrapposti al saggio che invece p l'unico che conosce il giusto modo di usare il tempo. Secondo Seneca, infatti, spreca il suo tempo chiunque si dedichi ad altro che non sia la ricerca della saggezza e della verità.Seneca giunge alla conclusione che la vita è abbastanza lunga per chi sa vivere intensamente ogni istante, come il saggio. A lamentarsi della brevità della vita è lo stolto poichè egli non domina le cose ma ne è dominato e vive in una condizione di perenne alienazione: schiavo delle passioni e impegnato nell'inseguimento dei beni che non gli appartengono e non è nè padrone di sè nè del suo tempi e paradossalmente giunge spesso alla fine della vita senza aver mai realmente vissuto.
L'epistolario invece costituisce uno dei maggiori esempi di meditazione letteraria: in esso Seneca ha modo di riesaminare la personale esperienza di vita, all'insegna dell’ideale filosofico di scuola stoica del quale dare testimonianza. In particolare, concluso il periodo trascorso come maestro e consigliere politico di Nerone, egli fa daccapo i conti con l'uso del tempo e con il proprio stile di vita. Lo fa già a partire dalla prima lettera in cui riprende alcuni dei temi analizzati nel De brevitate vitae. In questa lettera Seneca esorta Lucilio a diventare padrone di se stesso, cioè a liberarsi di ogni condizionamento esteriore, e a considerare il suo tempo un bene prezioso utilizzandolo nel modo adeguato. Consapevole che ogni giorno si muore, deve afferrare le ore che passano e tenerle saldamente in quanto sono l'unico bene di cui all'uomo è stato dato il possesso da parte della natura. L’accento ora sembra spostarsi in una prospettiva più disincantata rispetto alla vita e alla fortuna e si affaccia il tema della morte. Quella dell'epistolario sembra una prospettiva forse più serena, dalla quale emerge la consapevolezza che in fin dei conti, al contrario di tutte le altre cose, il tempo è pur sempre nelle nostre mani. Ovviamente si tratta del tempo in cui viviamo, dato che futuro e passato non ci appartengono.
Da queste considerazioni si coglie come il tempo sia, per Seneca, la vita stessa, quella che individualmente ciascuno decide (o non decide) di trascorrere in piena coscienza. Solo sullo sfondo sta la concezione tecnica dell'antica scuola stoica per la quale il tempo era “un'estensione connessa al movimento del cosmo”. Tuttavia per Seneca il tempo è qualcosa di determinato e oggettivo in quanto indubbiamente sta tra la nascita e la morte, sta cioè tra la 'non vita' prima della vita e la 'non vita' dopo la vita; è una sorta di contenitore all'interno del quale si raccolgono i fatti di cui si è protagonisti. Decisiva è in ogni caso la consapevolezza critica che Seneca mostra per lo svolgersi della propria giornata lungo il percorso (o, meglio, il precipitare) verso la morte: solo chi è consapevole di vivere non sarà sorpreso dalla morte che gli è destinata.

Aurelio Agostino nacque nel 354 a Tagaste in Numidia (attuale Algeria). Suo padre, Patrizio, era un piccolo proprietario agricolo; pagano si farà battezzare solo in punto di morte; la madre, Monica, era invece cristiana. Le modeste possibilità economiche della famiglia, aggravate dalla morte del padre, non avrebbero permesso la prosecuzione degli studi del giovane Agostino, intervenne allora il ricco Romaniano per sostenere le spese e permettergli di concludere gli studi. Agostino a vent'anni potè tornare in patria per insegnare grammatica, ma la madre Monica non lo volle in casa: perchè Agostino conviveva con un ragazza, da cui aveva avuto, due anni prima, un figlio e perchè aveva aderito al manicheismo. Il manicheismo era un movimento religioso che presentava la realtà come lotta tra i principi del bene e del male, in esso Agostino sperava di trovare una spiegazione razionale soddisfacente alle domande che l'assillavano. Agostino, nelle Confessioni, ricostruirà le meschine ambizioni di successi mondani di quel periodo, eppure non era felice: egli racconta che, mentre era con alcuni amici in una stradina di Milano, vide un mendicante che, pieno di vino, era allegro e in vena di scherzare, e provò un senso di invidia perchè quell'uomo aveva la felicità, quella che mancava ad Agostino. Dopo il manicheismo, Agostino si accosta al Cristianesimo grazie all'incontro con Ambrogio e con il neoplatonismo, grazie al quale capì che il male non era sostanza ma privazione del bene. Nel 368 Agostino decise di rinunciare alla brillante carriera, diede le dimissioni e si trasferì a casa di un amico, con la madre, il figlio, il fratello, l'amico, due cugini e due discepoli, mentre la donna da lui amata tornò in Africa. Tornato a Milano, la vigilia di Pasqua del 387, fu battezzato per mano di Ambrogio e morì infine nel 430.
Le Confessiones sono sicuramente l'opera più conosciuta di Agostino, sono in 13 libri e sono state scritte intorno al 397-398. Il titolo può sembrare equivoco: per Agostino il termine "confessioni" ha un valore essenzialmente religioso e non intimo, egli "confessa", cioè proclama la sua fede in un Dio buono e onnipotente, che solo è degno di lode. Le intenzioni dell'autore sono decisamente di edificazione religiosa. L'opera è fortemente autobiografica ma negli ultimi quattro libri viene meno la meditazione sulla vita passata, nonostante ciò, non cambia il carattere dell'opera che resta riconoscimento della grandezza di Dio e testimonianza della fede di Agostino in lui e della propria condizione di peccatore.L'opera è stata scritta come meditazione sulla presenza misteriosa di Dio, che Agostino ha sperimentato nelle sue vicende personali, come si vede nei primi nove libri, e che ognuno può vedere in se stesso o nel mondo che lo circonda, come si vede invece negli ultimi quattro libri. Ma neanche nei primi nove libri importano all'autore veramente le sue personali vicende, in sè per sè, bensì interessa porre in rilievo la presenza di Dio che si concretizza in esse. In questo senso si può parlare di unità dell'opera e di frattura solo apparente fra i primi e gli ultimi libri. Lo stile delle confessioni è caratterizzato dalla fusione del linguaggio biblico con la lingua letteraria e ne risultano pagine colme di figure retoriche. Il ritmo dell'opera risulta improvvisamente spezzato dall'alternanza dei tempi. L'improvviso mutarsi del ritmo esprime la mutevolezza delle commozioni che avvolgono la meditazione agostiniana sulla misteriosa presenza di Dio nel cuore dell'uomo. L'uso della paratassi e dell'antitesi sà all'opera un ritmo vivace e facilmente riconoscibile. Il concetto di tempo Agostino lo affronta nell'intero libro XI delle Confessiones. Per rispondere alla domanda su cosa facesse Dio prima che creasse il cielo e la Terra, Agostino si interroga sul significato del tempo e sulla sua esistenza prima della creazione. Questa domanda presuppone che anche Dio sia nel tempo. In realtà, secondo Agostino, Dio é fuori dal tempo, é nell'eternità e non crea le cose nel tempo. Con la creazione delle cose, Dio crea anche il tempo, quindi non esiste tempo prima della creazione. Riprendendo il pensiero di Aristotele, cioè che il passare del tempo potesse essere misurato solo dall'anima, Agostino nega l'esistenza autonoma e oggettiva di passato, presente e futuro per affermare che essi si concretano solo nella dimensione soggettiva e interiore dell'animo umano, dove il presente può essere presente stesso ma anche contemporaneamente rievocazione del passato e anticipazione del futuro. Le tre dimensioni del tempo (passato, presente e futuro) non sono altro che tre articolazioni del distendersi dell' anima: il ricordo, il prestare attenzione a qualcosa, l' attesa. L'anima consente di connettere le tre dimensioni temporali in un'unità. La conseguenza é che, se non ci fosse l' anima, non ci sarebbe il tempo. Agostino misura dunque il tempo sulla base delle impressioni provate intimamente e non degli eventi che le hanno generate.
Anche Seneca si era soffermato sulla misurazione del tempo nella dimensione dell'animo ma quest'ultimo aveva riflettuto in particolare sulla rievocazione del passato sottolineando come essa fosse possibile solo per gli uomini saggi perchè per costoro non avrebbe costituito un trauma ripensare all'inconsistenza delle azioni compiute.
Arte:
Nato nei primi anni del Novecento grazie all'intuizione dello spagnolo Pablo Picasso e dal francese Georges Braque, il Cubismo si sviluppò come momento di definitiva rottura con tutte le modalità tradizionali di interpretazione della realtà, introducendo una nuova visione dello spazio che annulla completamente l'uso della prospettiva unicentrica. Il Cubismo riduceva a principi geometrici le forme naturali. Fondamentali per lo sviluppo del Cubismo fu l'influenza dell'arte africana, che rappresentava la figura umana in forme sintetiche e semplificate, libere da ogni convinzione stilistica tradizionale. Così era risultato che un oggetto poteva mostrare più lati, offrendosi a una nuova disposizione su tela, creando rapporti diversi da quelli tradizionali. Nacque così una nuova dimenzione dello spazio pittorico che, escludendo la distanza, il vuoto e la misura, non è più illusionistico, e in esso gli oggetti si possono distendere, aprire, sovrapporsi, sconvolgendo le regole dell'imitazione. Le cose vengono mostrate simultaneamente davanti, dietro, dall'alto, di lato, di sotto, obliquamente, come se gli artisti, prima di dipingerle, le avessero osservate muovendosi nello spazio intorno ad esse. I pittori sono stati indotti a preoccuparsi delle nuove possibilità di misurare lo spazio che sono indicate con il termine "quarta dimensione". La quarta dimenzione non è riferita solo al problema spaziale, ma anche a quello temporale, poichè la conoscenza dell'oggetto avviene attraverso fasi successive che sfuggono al tempo reale della visione. Il Cubismo sceglie soggetti convenzionali come il paesaggio, il ritratto, il nudo e la natura morta, raffigurandoli con un linguaggio semplificato, essenziale e geometrizzato che mantiene riferimenti con la realtà concreta, dal momento che le immagini sulla tela sono quelle trattenute o solezionate dalla coscienza e che questo processo conoscitivo si attua nel rapporto con gli oggetti. Gli artisti cubisti espressero dunque la precisa volontà di superare il limite dato dalla pure osservazione visiva, rappresentando sulla tela la percezione che la nostra mente ha degli oggetti che ci circondano e introducendo la variabile del tempo. La divisione dei piani di superficie in forme geometriche che si intersecano tra di loro, colorate in modo sobrio e quasi monocromatico, scompone infatti l'oggetto rendendolo non immediatamente riconoscibile. L'osservatore non può più limitarsi a guardare velocemente il quadro; gli viene infatti richiesto di dedicare a esso un preciso tempo di lettura, utile ad analizzarne ogni più piccolo particolare, affinchè si possa ricostruire con gradualità l'immagine, cogliendone appieno il significato.
Il movimento cubista ha attraversato tre fasi: il Cubismo primitivo, che comprende le prime sperimentazioni di Picasso, il Cubismo analitico, che indica il procedimento dato da numerose scomposizioni e ricomposizioni dell'oggetto rappresentato, il Cubismo sintetico, caratterizzato dall'utilizzo di una maggiore bidimensionalità dello spazio rappresentato e da immagini più semplici e immediate. A questi tre momenti principali fecero seguito la Section d'Or , contrassegnata da uno spiccato interesse per la matematica e la geometria, e il Cubismo orfico, che tendeva a una ricerca di forme ritmiche e colori puri, dalla sensibilità più lirica ed evocativa. Nella scultura c'erano problemi diversi da quelli della pittura, la sua tridimensionalità era il primo problema. Ma le indicazioni fondamentali per la scultura cubista vengono fornite anch'esse da Picasso con la scomposizione dei piani, la loro frammentazione e incastro.
Nella produzione dei pittori cubisti non sono più i soggetti (artistici) ad acquistare un senso all'interno di uno spazio-tempo definito, consolidato, ma è lo spazio-tempo a diventare funzione della mancanza di senso dei soggetti. Lo spazio-tempo si deforma perché l'uomo è deformato, alienato. Non è uno spazio-tempo deformato dall'importanza positiva dei soggetti,in Picasso e nel cubismo i soggetti sono irriconoscibili, maschere di se stessi: lo spazio-tempo è deformato proprio perché viene percepito come senza senso e l'uomo vi si trova immerso in maniera casuale, come è casuale il significato della vita. Picasso vuole porsi fuori da un contesto semantico vero e proprio, esattamente come i suoi personaggi, proprio perché egli si pone in antitesi allo spazio-tempo di quel periodo che va dalla fine dell'Ottocento alla prima guerra mondiale. I suoi dipinti - lui stesso lo dirà - avevano la funzione di esorcizzare la coscienza dai condizionamenti di un mondo impossibile.
Per un artista del genere, che vive l'ideologia del suo tempo in maniera sofferta, come artista sradicato, dal comportamento individualistico se non anarchico, comunque lontano dal sentire borghese convenzionale, il contesto, la prospettiva, lo sfondo non hanno alcun valore. Per un artista che rifiuta la logica convenzionale del post-impressionismo, non possono esserci prospettive definite, sicure, ma solo punti di vista relativi, osservatori plurimi, piani sfaccettati, asimmetrici. Tutto questo lo troviamo nel quadro Les Demoiselles d'Avignon. Questo fu proprio il dipinto che segnà una vera e propria rottura col passato, con l'intera tradizione europea dal Rinascimento in poi. Il quadro raffigura un gruppo di prostitute all'interno di un bordello di Barcellona. La scena all'inizio comprendeva anche due figure maschili che però ora sono completamente scomparse. Le tre figure femminili sulla sinistra del dipinto presentano un'armonia molto schematica, già segnata da un tentativo di geometrizzazione delle forme. Ben diversa appare invece la resa formale delle altre due figure sulla destra, i cui volti mostrano una forte somiglianza con quella delle maschere africane. Assolutamente rivoluzionaria appare la concezione spaziale, che annulla completamente la profondità della scena. Al punto di vista unico della prospettiva tradizionale, Picasso sostituisce una visione simultanea dell'oggetto da più punti di vista. Forme taglienti e spigolose si incastrano tra loro, segnate da linee marcate, annullando ogni distinzione tra spazio e oggetto raffigurato, per dare forma a personaggi scomposti, ritratti in pose assolutamente innaturali, con facce viste contemporaneamente di fronte e di profilo, o teste che si appoggiano su corpi girati di schiena, come fossero staccati tra loro. Questo quadro all'inizio fu aspramente criticato e Picasso fu accusato di mettere in ridicolo la pittura moderna. Solo successivamente il quadro fu "compreso" e il Cubismo potè affermarsi in tutta la sua portata rivoluzionaria.
Fisica:
Negli stessi anni in cui Picasso e Braque definiscono il nuovo linguaggio, la teoria della relatività di Einstein mette in crisi il concetto di spazio e tempo assoluti.
I veri cambiamenti per quanto riguarda la concezione di spazio e tempo si sono avuti con l’introduzione in fisica di un nuovo concetto quello della relatività, introdotto da Einstein, che considera il tempo come variabile connessa allo spazio, quindi sia che il tempo si presenti come dimensione della coscienza, sia come variabile relativa allo spazio, esso acquisisce una imprecisione che lo scrittore o l’artista afferrano in chiave soggettiva, mostrando il fluire del tempo come “vissuto” psicologico dei propri personaggi, come sequenza non cronologica, ma associativa, in chiave psicanalitica, come punto di domanda a cui cercare un significato. Fino alla Teoria della relatività di Einstein (relatività ristretta e generale), il tempo era concepito come assoluto e spesso distaccato dal mondo fisico. Aristotele lo definiva come "la misura del movimento". Lo spazio, inoltre, era regolato dalla geometria euclidea. La fisica classica newtoniana pre-relativistica postula l'esistenza dello spazio e del tempo assoluti, che hanno cioè proprietà determinate indipendentemente dal sistema di riferimento utilizzato. Nel 1905, come soluzione al disaccordo fra la meccanica classica e i risultati dell'esperimento di Michelson-Morley, che mostravano l'invarianza della velocità della luce nel vuoto misurata in diversi sistemi di riferimento inerziali, Albert Einstein espose una teoria che, al posto di introdurre un sistema privilegiato, richiedeva la revisione dei concetti di spazio e tempo della fisica classica, introducendo nuovi postulati. Questa teoria è la relatività ristretta. Il primo postulato stabilisce la covarianza delle leggi dell'elettromagnetismo e della meccanica in tutti i sistemi di riferimento, mentre il secondo stabilisce che la velocità della luce nel vuoto è la stessa in tutti i sistemi di riferimento. Con l'accettazione da parte della comunità scientifica della teoria della relatività è stato demolito il concetto di spazio e di tempo assoluti e separati l'uno dall'altro, mentre ha preso il suo posto il concetto di spaziotempo, nel quale non c'è un sistema di riferimento privilegiato e per ogni evento le coordinate spaziali e temporali sono legate tra di loro in funzione dello spostamento relativo dell'osservatore. Con l'assenza di un tempo assoluto, anche il concetto di contemporaneità è stato modificato dall'avvento della relatività: si può definire al suo posto l'altrove assoluto, cioè l'insieme degli eventi che non appartengono né al futuro né al passato, al di fuori cioè del cono di luce. Come ho già detto Einstein si pose il problema dello spazio e del tempo per risolvere il disaccordo tra meccanica classica e i nuovi risultati dell'esperimento di Michelson e Morley.
Einstein considerò che se il tempo della percezione degli oggetti fosse istantaneo (T=0 ), la velocità della luce dovrebbe essere infinita, come si era esemplificato fino ad allora: quando apriamo gli occhi ed osserviamo il mondo, vediamo quello che è effettivamente e contemporaneamente presente attorno a noi. Ma Einstein sapeva che Michelson e Morley, due scienziati americani, avevano dimostrato nel 1887 che la velocità della luce era elevata, ma non infinita e che infatti corrispondeva a circa 300.000 Km/secondo (quantità che indicheremo con c). Ciò significa che la luce delle stelle che vediamo in cielo proviene dal passato; potremo infatti casualmente vedere la luce emessa da una stella, che in effetti non esiste più da molto tempo. uovendoci alla velocità della luce esploreremmo tutto il passato dell'universo: poiché il rapporto S/T deve risultare come limite massimo uguale alla velocità della luce, che nel vuoto è stata misurata come costante universale c; se la velocità delle luce è costante, per rimanere tale a tutte le condizioni del moto, devono variare il numeratore e/o il denominatore del rapporto che esprime la velocità. Inoltre Einstein proponendo la sua teoria della relatività nel 1905, formulò l'ipotesi che se riteniamo l'energia totale (E) una costante universale, il cambiamento delle dimensioni relative tra spazio e tempo deve corrispondere ad una variazione della massa dei corpi. Da qui la famosa equazione della relatività, E = mc2. Questa formulazione comporta che, in prossimità della velocità della luce, la massa di un corpo in moto deve diventare energia. Con Einstein si realizza un grande cambiamento nel modo di pensare allo spazio ed al tempo: l'equazione della relatività stabilisce che se la massa dei corpi in movimento varia a seconda della velocità, allora nuove dimensioni dello spazio/tempo vengono definite dalle interazioni della massa variabile con il campo della energia.Per Einstein spazio e tempo non sono più quantità assolute e distinte, di valore primordiale come aveva supposto Newton, ma intrinsecamente relative, per cui lo spazio non è assolutamente distinguibile dal tempo; sono gli eventi di interazione tra energia e materia che determinano dimensioni variabili dello spazio/tempo nell'universo.

Inglese:
Not only Einsten, with the introduction of "relativity", questioned the idea of time and space. The French philosopher Henri Bergson, too, was particularly interested in time, making a distinction between historical time that is external and linear and phsycological time that is internal and subjective and that considers the emotional relativity. As a consequence, the chronological order of events and real settings weren't anymore the backbone of the novels of the first decade of 20th century since the writers started the exploration of the self. So, it was not necessary the passing of the time to know the characters, but simply the analysis of their reactions to the events of everyday life because such reactions revealed their interior reality. To do this, the stream of consciousness technique and the interior monologue were used by writers, and in particular by James Joyce because this technique reproduced the mind's activity in a continuos flow of thoughts, sensation, memories, associations and emotions. Joyce uses the technique of the manipulation of time and he doesn't respect the chronological order; he uses the association of ideas and flashback. In his stories there isn't only one point of view, but he expresses the points of view of many characters.
(The Joyce's vision of space in Dubliners and of time in Ulysses)
James Joyce was the first and the most important artist among the great experimentalists of the 20th century. He was born in Dublin from a good family and was educated in his native town. He specialised in languages and graduated in 1902. He felt the Irish environment frustrating, and provincial. He decided to cut himself free from his family, country and religion by escaping from Ireland into permanent self-exile. He live in Paris, Trieste and Zurich. He continued to write about Dublin, the town that he recreated and described by using his memory, which remained for him the centre of the world. In a visit to Ireland he met Nora Barnacle, with whom he spent the rest of his life; they had a son and a daughter. In 1917 an attack of glaucoma caused him to become totally blind. He was also troubled by his daughter’s mental illness. In the 1939, with the outbreak of World War II, Joyce returned to Zurich, where he died in the 1941.
Dubliners: Joyce had a position of love and hate for his city because he considered life in Dublin very strict and narrow. He felt to be like in a prison. As a matter of fact he didn't have the opportunity to express freely his opinion and his ideas. So he decided to move away. He left Dublin not to escape, but to improve and change hiss life. This is a condition of love and hate because, eve though he criticize Irish people and Dubliners in particular, Dublin is always the real protagonist and the setting of his works. Talking about Dublin and Dubliners, he gave his opinion about the country and its inhabitants, but in a detached way. Not living in Dublin anymore, he wasn't really involved in the negative situation of the nation, he analyzed the situation from outside. At the same time he could have a clear idea on the condition of the country, because the fact that he was outside made him realistic and not passionate or romantic. He always give a clear image of Dublin like in a photo to fix in his mind. He sayd "I want to give a picture of Dublin so complete that if the city one day suddenly desappear from the earth, it could be reconstructer out of my books". Dubliners is a collection of 15 short stories that can be grouped in the four period of man's life:
1st period: childhood
2nd period: adolescence
3rd period: the audult life
4th period: the public life.
The last story is "The Dead" and it is the epilogue, out of the four groups.
In Dubliners Joyce represents the life of Irish people criticizing the fact that these people are subjugated an apathetic, because they don't react to their situation of oppression. So the main theme of the collection of stories is the paralysis, that represents the inhability and the fear to change one's own life. Joyce criticizes the fact that the Dubliners don't try to improve their condition and compares them to the slaves. The paralysis is both physical and moral: physicale because they don't react and moral because they are suffocated by the British government and they don't think. During the story there is the climax with the epiphany, that is the moment of revelation. The epiphany is important because in that moment characters in the story can change their life. Something, for example a photo, a song, a voice or a person, shakes people and makes them think about their life. Something, for example a photo, a song, a voice or a person, shakes people and makes them thim about their life, giving them the opportunity to change. But, even if they were conscious of this opportunity, they refused to change for the fear and they become even more paralyzed. Joyce thought that the artist should be invisible in his works, in the sense that he must not express his own viewpoint. So the story is told with the characters' viewpoint to give the idea of reality and objectivity. For this reason Joyce didn't use the omniscient narrator, because he always makes comments about his works. He chooses Dublin beacuse for him is the center of paralysis.
Ulysses: Joyce, before writing Ulysses, asked a lot of information to his friends and relatives to have an idea of Dublin. As a matter of fact he left this city when he was 20 and he didn't come back for the rest of his life. The protagonists of the story are three: Stephen Dedalus, Leopold Bloom and his wife Molly. Stephen Dedalus is the literary double of Joyce. This name is simbolic:
Stephen is the first martyr who dead because he preached his religion, there is a union between Joyce and Stephen: also Joyce is Catholic and they have in common that they aren't understood by their people;
Dedalus was the artisan who created the wax wings for Icaro to escape from labyrinth and Joyce wants to escape from Ireland through the wings of art.
Stephen Dedalus is homeless and fatherless like Telemachus, Ulysses' son. Molly corresponds to Penelope, Ulysses' wife, but unlike her she is not faithful to her husband. The relationship between Molly and Leopold is typical of the lack of passion and strong family ties of modern life. Leopold Bloom represents Ulysses. It's important to analyze that while Ulysses is a hero, Leopold is not a hero but a common man who lives an ordinary life. Joyce choses the protagonist of Ulysses because he shared the idea of travel. Like Ulysses made a travell all his life and visit a lot of places, Leopold makes a trip in one day and he only knows Dublin, there isn't evolution in his life. And while Ulysses made a real travel full of adventures, Leopol Bloom makes a voyage in hi psychology, an introspective travel. The 24 hours of Bloom's day correspond to the 24 book of the classical epic. The novel's 18 episodes correspond to as many incidents in Homer, and the way the ancient epic is ironically played against the modern is one of the imaginative and linguistic triumphs of the book. Joyce uses the myth to point out that the modern time is a timr of depression, anxiety and that there aren't heroes in this period. He wants to exalt the splendor of the past and he says thet it's possible to improve changing one's own life.
The story opens on the 16th of June 1904. This date was an important anniversary for Joyce: it was the day when Nora said yes to him and so they started to live together. This day is called "Bloom's day" from the name of the protagonist and it is celebrated every year in Dublin: a group of lovers of Joyce meet and make the same travel made by Leopold Bloom in the story. The novel is very interesting because all the most important corner of Dublin are represented and evoke sensations and emotions. Leopold Bloom is a middle-age canvasser and the typical irish man. Stephen Dedalus is the artist who has problem with his roommates and he is forced to leave his house. Molly is an erotic and sensual woman who spends all day betraying her husband. She is all the day out and she has a lot of love affair with her director of music because she is a musician.
Molly represents sensuality, passion, instinct: the materialistic part of man.
Stephen Dedalus represent the spirituality.
Leopold Bloom is the union of these two parts, he represents the balance and the common man. When he was in Dublin he goes to the artistic corne of Dublin, but also in the squallid one, like the brothel.
The protagonists are analyzed during their travel. Their stories are in parallelism because in this way Joyce can describe all the corners of Dublin. Bloom invites Stephen at his house, but then they separate.

Italiano:
(Proprio come Joyce trova angusto il clima che c'è a Dublino, lo stesso prova Leopardi per la sua città natìa Recanati. Anch'egli, come Joyce infatti, se ne allontana ma, a differenza di quest'ultimo, vi fa ritorno.)
Leopardi nacque il 1798 a Recanati. Giacomo fu istruito inizialmente da precettori ecclesiastici, ma ben presto non ebbe più nulla da imparare da essi e continuò i suoi studi da solo. Imparò in breve tempo il latino, il greco e l'ebraico. Emerge un quadro di una cultura arcaica e superata e di un'erudizione arida e accademica, dagli orizzonti ristretti: era la cultura propria dell'ambiente familiare di Leopardi e di quell'attardato mondo provinciale. Anche sul piano politico Giacomo segue gli orientamenti del padre. Tra il 1815 e il 1816 in Leopardi si attua la conversione dall'erudizione al bello, abbandona le aride minuzie filologiche e si appassiona ai grandi poeti. La sua apertura verso il mondo esterno gli rende dolorosamente insostenibile l'atmosfera chiusa e stagnante di Recanati. Nel 1819 tenta la fuga dalla casa paterna ma il tentativo viene scoperto e sventato. Lo stato d'animo conseguente a questo fallimento lo porta a uno stato di aridità. Da questa crisi ne consegue un ulteriore cambiamento, un passaggio dal bello al vero, dalla poesia d'immaginazione alla filosofia, Nel 1822 ha la possibilità di uscire finalmente da Recanati e vedere il mondo esterno: Leopardi si reca a Roma, ma l'uscita tanto desiderata si risolve in una cocente disillusione perchè gli ambienti letterari di Roma gli appaiono vuoti e meschini. Tornato a Recanati nel 1823 si dedica alle Operette morali, a cui affida il suo pensiero pessimistico. Nel 1825 ha l'opportunità di lasciare la sua famiglia e di mantenersi con il proprio lavoro intellettuale: l'editore milanese Stella gli offre un assegno fisso per una serie di collaborazioni. Soggiorna così a Milano, a Bologna e successivamente a Firenze. Trascorre l'inverno tra il 1827 e il 1828 a Pisa dove la dolcezza del clima e una relativa tregua dei suoi mali favoriscono un "risorgento" della sua facoltà di sentire e di immaginare. Nasce così A Silvia che apre la serie dei "grandi idilli". L'aggravarsi delle sue condizioni di salute lo costringono a tornare a Recanati dove viene isolato nel palazzo paterno, senza rapporti con nessuno. Nell'aprile del 1830 accetta l'offerta di alcuni amici fiorentini di assegni mensili per un anno. Lascia così Recanati, per non farvi più ritorno. Qui comincia una nuova fase della vita di Leopardi: esce dalla cerchia chiusa ed esclusiva del suo io, stringe rapporti sociali intensi, viene a contatto con il dibattito culturale e politico. A Firenze fa anche l'esperienza della passione amorosa che però lo porta ad un'altra delusione che ispira un nuovo ciclo di canti, detto "ciclo di Aspasia". In questo periodo stringe una forte amicizia con un napoletano Antonio Raniero con cui farà vita comune fino alla morte, avvenuta a Napoli, dove si era trasferito con Ranieri.

Poetica: Al centro della meditazione di Leopardi si pone subito un motivo pessimistico: l'infelicità dell'uomo. Egli identifica la felicità con il piacere. Ma l'uomo aspira al piacere infinito nello spazio e nel tempo. Siccome nessuno dei piaceri goduti dall'uomo può soddisfare questa esigenza, nasce nell'uomo un senso di insoddisfazione perpetua e quindi di infelicità. La natura in questa fase è considerata benigna perchè ha voluto offrire all'uomo dei rimedi all'infelicità che sono l'immaginazione e le illusioni. Il progresso della civiltà, opera della ragione, ha però fatto conoscere all'uomo il vero rendendolo infelice. Al contrario dei moderni, gli antichi erano però in grado di dimenticare il nulla e il vuoto della propria esistenza attraverso una vita più attiva e più intensa. Il progresso della civiltà e della ragione, spegnendo le illusioni ha allontanato il soggetto di questo agire, dalla via tracciata dalla natura benigna. Per questo la condizione negativa del presente viene vista come l'effetto di un processo storico realizzatosi con l'allontanamento progressivo della condizione originaria di maggiore felicità. Questa fase è chiamata "pessimismo storico".
C'è poi una seconda fase chiamata "pessimismo cosmico" in cui la concezione di natura benigna entra in crisi quando Leopardi si rende conto che più che al bene dei singoli individui, la natura mira alla conservazione della specie, e per questo fine più sacrificare anche il bene del singolo e generare sofferenza. Il male quindi rientra nel piano della natura che ora non è più vista come madre benigna, amorosa e provvidente, ma come meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue ceature. Quindi l'infelicità non è più effetto del progresso storico, ma è una condizione di tutti i tempi. Leopardi instaura una critica contro tutte le ideologie ottimistiche del suo tempo che esaltano il progresso e profetizzano un miglioramento indefinito della vita degli uomini, grazie alle nuove scienze sociali ed economiche e alle scoperte della tecnologia moderna. Secondo Leopardi l'unico progresso possibile è quello per cui si arriva alla consapevolezza lucida della reale condizione umana, indicando la natura come vera nemica, e costituendo una social catena per combattere le sue minacce.

Composto nel 1819, l'Infinito è il primo degli idilli, nonché una delle liriche più note del Leopardi. Le riflessioni del poeta sul rapporto fra il pensiero umano e l'infinità dell'universo sia nello spazio sia nel tempo si traducono non in filosofia in versi ma in autentica poesia. Inoltre, in questo componimento prende forma la poetica del vago e dell'indefinito.
Questa breve poesia può essere divisa in questo modo:
vv. 1-3: Indicazione, ma non descrizione, di uno spazio concreto (l'area delimitata dalla siepe) e di un'abitudine personale (consuetudine di salire sul colle e stato d'animo).
vv. 4-8: Astrazione e visione mentale dello spazio. Non è un'azione definita, ma una durata evidenziata dai gerundi "sedendo e mirando".
vv. 8-13: Il minimo evento dello "stormir (del vento) tra queste piante" segna il passaggio dall'immaginazione spaziale a quella temporale. Il poeta instaura una contrapposizione tra concreto e presente, e spazio e tempo immaginati dal pensiero.
vv. 13-15: Il pensiero si smarrisce generando piacere.
In questi quindici densissimi versi Leopardi concentra una profonda esperienza interiore, trasportandoci in un viaggio tra ciò che è delimitato, "finito", umanamente sperimentabile, e ciò che va oltre le possibilità dei nostri sensi ed è raggiungibile solo nell'immaginazione. Noi uomini, infatti, siamo una piccolissima cosa rispetto all'Universo, la nostra vita occupa una frazione infinitesimale del suo tempo, e solo con un grande sforzo di immaginazione possiamo figurarci uno spazio e un tempo senza fine.
Nell'Infinito, il poeta dice (o immagina) di trovarsi in un luogo preciso, che ama e frequenta abitualmente: un colle solitario, tradizionalmente identificato nel monte Tabor, che domina sulle campagne sopra Recanati. Solo, in cima al colle, in uno spazio circoscritto e delimitato da una siepe, il poeta siede e guarda, ma non riesce a vedere: proprio questo fa scattare il meccanismo immaginativo.
Si tratta di un'esperienza paradossale: non è la possibilità di vedere dall'alto ampi spazi, ma l'ostacolo alla vista, l'esperienza dei limiti umani, a suggerire l'idea dell'infinito. Annota infatti Leopardi nello Zibaldone (28 luglio 1820): “L'anima immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario”.
Agli spazi senza fine si associano immediatamente sovrumani silenzi e profondissima quiete, che producono un sentimento di paura, di sgomento. Leopardi ama il silenzio e la quiete di quel luogo, che gli permettono di meditare e fantasticare. Ma, proiettati in uno spazio sterminato, il silenzio e la quiete diventano quasi insopportabili, poiché si oppongono implicitamente all'idea di vita, che è fatta di suoni, di rumori, di movimento.
Poi, qualcosa strappa il poeta alle sue immaginazioni: una realtà concreta ma effimera come il vento interrompe i suoi pensieri, ma contemporaneamente li rilancia in direzione di un approfondimento del problema. Il poeta viene riportato al qui e ora, ma la voce del vento tra le piante suggerisce immediatamente un confronto con quello infinito silenzio, e la mente si tuffa negli abissi del tempo, quasi cercando di misurare le inconcepibili dimensioni dell'eterno attraverso il confronto tra l'interminabile fila delle stagioni passate (morte) e quella presente (viva), di cui si sente il suono.
L'immaginazione permette di collocare l'io che vive qui e ora nell'infinità del tempo e dello spazio. Ne deriva una sensazione di annegare, di naufragare nel mare dell'immensità. Ma allo sgomento ora si sostituisce, o si aggiunge, paradossalmente, un sentimento di dolcezza, che non viene spiegato, ma comunicato, attraverso le parole vaghe e indeterminate del testo e i loro suoni.
In tutta la lirica è evidente il contrasto tra i termini concreti e molto comuni del finito e i termini più astratti dell'infinito, accompagnati da aggettivi che ne intensificano il significato. Ma sono ancora più significativi i collegamenti e gli intrecci tra questi due campi: dati concreti, come gli ampi spazi nascosti dalla siepe o la quiete e il silenzio del colle, si collegano a interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete dell'infinito immaginato, mentre il suono del vento si oppone a quello infinito silenzio, e al sentimento del presente e della vita che quel suono suscita si contrappongono il sentimento dell'eterno e della lunghezza incommensurabile del tempo trascorso, delle morte stagioni.
Dal punto di vista formale, la poesia ha un'architettura speculare: è divisa in due parti uguali, di sette versi e mezzo, che corrispondono alle due esperienze dell'infinito spaziale e dell'infinito temporale; ai due estremi troviamo gli unici versi sintatticamente conclusi; le due serie di termini riguardanti lo spazio e il tempo sono disposte e graduate in modo opposto. Osserviamo poi la frequenza degli enjambements: è come se la sintassi premesse continuamente contro i confini della metrica, spingesse ad andare oltre, come fa il pensiero alla ricerca dell'infinito.

Giuseppe Ungaretti è nato l'8 febbraio 1888 ad Alessandria d'Egitto. Qui Ungaretti inizia a occuparsi di letteratura e a leggere i più grandi scrittori a lui contemporanei, come Leopardi. Di questi anni rimarrà in lui la memoria di una paesaggio fantastico e irreale. Nel 1912 si reca a Parigi dove frequenti gli ambienti dell'avanguardia e scrive anche delle poesie in francese. Nel 1914 Ungaretti si reca in Italia per partecipare con entusiasmo alla guerra, si era arruolato come volontario. Alla fine del conflitto ritorna a Parigi dove si sposa nel 1919. Nel 1921 si trasferisce a Roma e aderisce al fascismo, convinto che quella dittatura potesse rafforzare la solidarietà nazionale. In italia lavora come giornalista collaborando si più prestigiosi periodici italiani. Nel 1936 è chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura italiana presso l'Università di San Paolo in Brasile. Le vicende della Seconda guerra mondiale segnano comunque il maturare di una nuova e dolorosa consapevolezza, preceduta da alcuni gravi lutti familiari: la morte del fratello, nel 1937, e la perdita del figlio, due anni dopo. Ungaretti morì a Milano nel 1970.

Il Sentimento del tempo: Le poesie raccolte nel Sentimento del tempo presentano un mutamente rispetto a quelle contenute nell'Allegria. Nell'Allegria le singole liriche miravano a fissare l'attimo della "folgorazione", l'stante in cui si manifesta, in modo quasi magico, il mistero della vita; il tempo qui è concepito come un'entità discontinua, un insieme di attimi separati e distinti tra loro. Nel Sentimento del tempo Ungaretti intende invece evidenziare un altro modo possibile di intendere il tempo; esso è infatti qui sentito come durata, come causa del mutare di tutte le cose, in un processo continuo di distruzione e rinascita.
Lo scenario privilegiato in cui si collocano le liriche di questa raccolta è la città di Roma. In effetti la loro composizione risale al soggiorno del poeta nella capitale, ma le ragioni di tale ambientazione vanno ricercate soprattutto nei significati che il poeta attribuisce alla città e nella loro connessione con il tema fondamentale del tempo. Per Ungaretti Roma, con i suoi monumenti antichi, è innanzitutto il luogo della memoria, lo strumento che permette di cogliere il tempo come durata. Il ricordo degli antichi splendori è ancora presente nei resti degli edifici sparsi per la città, ma il loro deterioramento rende evidente come il trascorrere del tempo faccia tutto perire, anche le civiltà più illustri. La memoria quindi, se consente di recuperare il passato, finisce per identificarlo nelle forme mutilate dei monumenti, erosi dal tempo. L'altro aspetto che fa di Roma un luogo privilegiato per cogliere il <<sentimento del tempo>> è rappresentato dalle sue numerose opere barocche. L'epoca barocca infatti ebbe un senso acuto del trascorrere del tempo e di come <<tutto passi sulla scena di questo mondo>>. Tale consapevolezza emerge prepotentemente dalle sue opere, spesso pervase da un sentimento cupo e incombente di morte. C'è infine ancora un aspetto per cui l'antichità romana diviene fonte di isporazione per la poesia di Ungaretti. In numerose liriche fanno infatti la loro comparsa alcune divinità della mitologia greco-romana; esse coprono quella sensazione di vuoto che si prova sia di fronte all'arte barocca, sia davanti al Colosseo. Non a caso la sezione centrale si intitola La fine di Crono ed esemplifica gli intendimenti dell'intera raccolta. Sul piano tecnico, la novità essenziale del sentimento del tempo consinte nel recupero delle strutture sintattiche e, sopratturro, delle forme metriche tradizionali. Alla tradizione il poeta si riallaccia esplicitamente attraverso una lettura attenta e appassionata di Petrarca e Leopardim testimoniata da numerosi elementi di stile e temi presenti nella raccolta. I due poeti inoltre gli sono vicini anche in relazione alla riflessione sul tempo: Leopardi infatti sente la fine di una civiltà giunta al culmine della sua evoluzione, mentre Petrarca si trova di fronte a un mondo, quello della classicità, da ripristinare attraverso la memoria dell'antico.

Geografia astronomica:
La nascita dell'Universo ha segnato l'inizio dello spazio del tempo: la comunità scientifica ha decretato che lo spazio-tempo è nato insieme all'espansione dell'Universo.
Nel secolo scorso, la scoperta dell'espansione dell'Universo fu una vera rivoluzione, perchè in contrasto con l'idea di un Universo statico e immutabile.
L'età stimata dell'Universo è di circa 15-20 miliardi di anni e, dal momento della sua origine, l'Universo è in uno stato dinamico e subisce mutamenti profondi. L'origine e la successiva evoluzione dell'Universo sono oggetto di studio della cosmologia.
Per spiegare l'origine dell'Universo nel secolo scorso sono state formulate due ipotesi cosmologiche fondamentali: l'ipotesi dello stato stazionario e l'ipotesi del big bang.
Secondo il modello dello stato stazionario, l'Universo è uniforme nello spazio e nel tempo, non ha un inizio preciso e non cambia nel tempo.
Secondo il modello del big bang, l'Universo è nato in seguito a un'esplosione, a partire da una singolarità, uno stato iniziale di densità e temperature infinite. L'esplosione primordiale avrebbe generato non solo tutta la materia che costituisce l'Universo, ma anche le quattro forze fondamentali (forza gravitazionale, elettromagnetica, di interazione nucleare forte, di interazione nucleare debole), lo spazio e il tempo. Dall'esplosione, inoltre, avrebbe preso l'avvio l'espansione che continua tuttora.
Il modello che i cosmologi utilizzano come riferimento per descrivere le modalità di creazione della materia è detto "modello standard". Secondo tale modello il momento in cui si è originato l'Universo è detto tempo zero. I cosmologi sono riusciti a ricostruire in modo abbastanza attendibile per via teorica la storia dell'Universo a partire da 10-43 secondi dopo il tempo zero. Invece è impossibile sapere che cosa sia accadutonell'intervallo di tempo tra 0 e 10-43 s, denominato era di Plank, perchè l'universo era una singolarità, un sistema che non può essere descritto con le leggi fisiche e per il quale è impossibile parlare di spazio e di tempo. Al termine dell'era di Plank, l'Universo doveva avere dimensioni infinitesimali, una temperatura dell'ordine di 1033 K e le forze fondamentali erano unite in un'unica "superforza". Successivamente all'era di Plank, l'Universo cominciò a espandersi a velocità elevatissima e in un tempo brevissimo (meno di 1 s) cominciarono a formarsi le particelle della materia più semplici, mentre la temperatura e la densità diminuivano. Nei tre minuti dopo la temperatura scese ancora e cominciarono le prime reazioni di fusione nucleare tra protoni. Si formarono così nuclei atomici di deuterio, di elio e piccole percentuali anche di elementi anche più pesanti. Questa fase di nucleosintesi non durò a lungo: 4 minuti dopo il big bang, l'Universo divenne troppo freddo per innescare nuove reazioni di fusione nucleare e la sua composizione non potè modificarsi ulteriormente. Nei 300mila anni successivi, proseguì l'espansione, conseguente all'esplosione iniziale, ma a un ritmo ridotto rispetto alla fase iniziale. Dopo 300mila anni la temperatura si ridusse tanto da permettere la formazione di atomi. Con il trascorrere del tempo, la temperatura diminuì ulteriormente. Cominciarono a formarsi nebulose di gas e in esse si avviarono i processi di condensazione, che culminarono nella formazione delle prime protogalassie.
Ci sono tre prove a sostegno della teoria del big bang.
La prima prova è il moto di recessione delle galassie che dimostra che le galassie si allontanano in ogni direzione, "trascinate" dall'espansione uniforme dello spazio.
La seconda prova è l'analisi delle percentuali di idrogeno e elio nell'Universo attuale. Tali percentuali concordano con quelle previste dalla teoria e non sarebbero facilmente giustificabili senza tale teoria. La materia appare infatti costituita per il 75% da idrogeno e per poco meno del 25% di elio.
La terza prova è anche la più convincente ed è l'esistenza della cosidetta radiazione cosmica di fondo. Tale radiazione fu scoperta da due studiosi che avevano modificato una radio antenna a corno di 6 m con cui captarono un rumore radio persistente. Pensarono che il rumore fosse dovuto a difetti dell'apparecchiatura, ma si accorsero ben preso che il rumore proveniva uniformemente da tutte le direzioni del cielo e che si manteneva costante nonostante tutti gli sforzi di correzione dei difetti dell'antenna e indipendentemente dall0ora o dal periodo dell'anno in cui veniva effettuato il rilevamento. Le radiazioni rilevate erano radiazioni elettromagnetiche a bassa energia con lunghezza d'onda variabile. Attraverso modelli teorici, avevano avanzato l'ipotesi che una radiazione fossile, residua del big bang, permeasse tuttora l'Universo.
Attualmente l'Universo si sta espandendo, ma il destino che avrà resta oscuro. gli astrofisici ritengono che il parametro da determinare per capire quale sarà l'evoluzione dell'Universo sia la densità. La densità, infatti, dipende dalla quantità di materia, e questa a sua volta determina l'intensità della forza di attrazione gravitazionale. L'attrazione gravitazionale è l'unico fattore che può impedire l'espanzione dell'Universo.
Dal punto di vista teorico gli scenari futuri possibili potrebbero essere tre.
1. Se la densità dell'Universo è sufficiente per generare una forza gravitazionale in grazo di fermare la spinta all'espanzione, l'Universo cesserà di espandersi e ricadrà su se stesso, contraendosi. Il gigantesco collasso è detto "big crunch". Un universo che si espande per poi contrarsi è un universo chiuso.
2. Se invece la densità dell'Universo è troppo piccola e non genera una forza gravitazionale sufficiente per impedire all'espansione di durare per sempre, le galassi si allontaneranno sempre più e le stelle con il passare del tempo si esauriranno fino a spegnersi. L'Universo, che in questa seconda ipotesi sarebbe un universo aperto, diventerà sempre più freddo, oscuro e vuoto.
3. Se la forza gravitazionale non sarà sufficiente per causare una contrazione, ma riuscirà a contrastare l'espansione tanto da rallentarlà sempre più, senza però causare un collasso, si avrà quello che viene chiamato un universo piatto.

Filosofia:
La filosofia prima di Heidegger pensava l'essere come cio che è, tipo Parmenide. La metafisica ha cercato la verità delle cose in quell'aspetto di esse che non è soggetto al divenire, cioè l'essenza di una cosa era per loro ciò che rimane, ciò che non è soggetto a mutare. L'idea dell'essere come qualcosa che sta e non diviene, sempre uguale a sè produce, secondo Heidegger e secondo Nietzsche, la società dell'organizzazione totale del lavoro. L'esistenzialismo pone al centro l'esistenza umana per trovarne i caratteri specifici. C'è un'impossibilità quindi, secondo Heidegger e secondo gli esistenzialisti, di pensare l'essere come pura oggettività, come appunto ciò che è, sempre uguale a sè e non diviene. Heidegger era figlio di una famiglia cattolica: i suoi studi sono stati pagati con borse di studio del vescovo del suo paese. Dopo aver terminato gli studi diventò assistente di Husserl, in questo periodo lui ha un interesse religioso che si lega al rifiuto di considerare l'essere come pura oggettività. Il problema di Heidegger era però quello di essere un pensatore religioso quando il cattolicesimo si stava avvicinando proprio a quella filosofia greca dell'essere che egli non poteva accettare. Husserl fu una figura importante per la sua formazione, era il fondatore della fenomenologia, il cui motto era "alle cose stesse", cioè sforzarsi di non ridurre le nostre conoscenze, i nostri atti di pensiero a puri atti di pensiero ma riconoscerne l'oggettività. La fenomenologia Husserliana sembrava orientarsi ancora sull'ideale di un soggetto puro, disincarnato. A questa concezione, Heidegger oppone una diversa considerazione della soggettività che egli interpreta in termini di storicità, di concretezza vissuta, di radicale finitezza: di <<fatticità>> della vita umana. Ma la fatticità concreta dell'uomo non può essere colta mediante l'atteggiamento neutrale di uno "spettatore disinteressato", quale è quello indicato dalla fenomenologia di Husserl. Heidegger prende quindi la tradizione religiosa, anche se è comunque contro la metafisica greca nel pensiero religioso moderno, e la tradizione fenomenologica, tendendo a salvare l'oggettività delle cose e dei giudizi, e le "unisce". Resta fedele a Husserl come metodo, cioè vuole cogliere le cose stesse e non solo la nostra vita spirituale, anche se l'oggettività propria della fenomenologia urta con il suo avanguardismo esistenzialistico (con il suo pensiero fondato sulla critica alla metafisica). La fenomenologia diventa quindi scienza dell'essere, poichè pone al centro l'uomo, l'unico che comprende l'essere, e diventa ermeneutica, cioè interpretazione dell'essere dell'uomo.
Essere e tempo è un libro incompiuto. Heidegger aveva pensato altre sezioni, ma si è fermato solo alla seconda parte della prima sezione. Anche se il libro è incompiuto si può affermare che tutto il pensiero di Heidegger dopo Essere e tempo è come se andasse a continuare e completare il libro. In questo libro si parla di riproporre il problema dell'essere partendo dall'uomo, che è appunto l'unico che si pone questo problema. La prima sezione di Essere e tempo è l'analitica esistenziale: l'uomo comincia a esaminare cosa è per lui l'essere. Secondo Heidegger essere significa "io esisto" e non è solo semplice presenza ma vuol dire stare fuori, tendere oltre, oltrepassare sè e la realtà in direzione del futuro. Invece di parlare di uomo, Heidegger parla di esserci perchè l'uomo è l'unico che "si comprende" nel suo essere, l'unico che si pone il problema dell'essere e se lo pone in relazione al mondo: cioè l'uomo è qui ma si guarda anche intorno, cerca di andare da qualche altra parte, si procura i mezzi per cambiare o mantenere la propria situazione. L'uomo si rapporta alle cose perchè è sempre aperto rispetto al mondo: il suo è un "essere-nel-mondo" in cui l'uomo costituisce la totalità del rapporto, non è, quindi, solo un oggetto tra tanti ma è una sorta di occhio sul mondo sempre interessato, che vuole conoscere le cose come stanno al fine di produrre qualcosa e per questo l'uomo è un <<progetto>>, sempre interessato. Ma l'uomo è anche <<essere gettato>> nel senso che si trova ad essere senza averlo scelto. Quando l'uomo dice che una cosa è, lo dice a partire dal suo progetto, l'uomo non può che guardare il mondo dal suo punto di vista. Il mondo non è una "cosa" già data, che sta "fuori", esso non consiste nemmeno nella somma di tutti gli enti, oppure in un'immensa cornice che li racchiude. Il mondo non ha la struttura ontologica degli oggetti che l'uomo incontra al suo interno, esso va inteso invece come un carattere strutturale dell'esserci stesso, vale a dire come un esistenziale. Il rapporto dell'uomo con il mondo circostante e le cose non è da intendersi come un agire di tipo razionale, ma come un <<prendersi cura>>. La cosa di cui l'uomo si prende cura è la cosa come mezzo, come ciò che viene usato.
I modi fondamentali in cui l'uomo è nel mondo sono tre: la situazione affettiva, il comprendere, il parlare.
1. La situazione affettiva è il sentirsi emotivamente nel mondo: l'uomo si <<apre>> emotivamente al mondo. Nella situazione affettiva l'uomo si ritrova a essere senza sapere da dove viene e dove va: il suo essere si rivela come un <<essere-gettato>>. Fra gli stati d'animo assume particolare rilievo l'angoscia: a differenza della paura (che è semre paura di qualcosa), l'angoscia ha un carattere di totale indeterminatezza; davanti all'angoscia non c'è che il nulla, perchè il mondo ha perso di significato.
2. L'esserci è però nel mondo soprattutto nella forma del comprendere. Il comprendere assume un carattere di progetto delle possibilità di esistenza. Il progetto dà senso all'essere-nel-mondo dell'uomo e rende possibile l'interpretazione dei significati del mondo, del quale, per questo, vi è comprensione.
3. Il parlare, terzo modo dell'uomo, esprime quanto compreso e interpretato.
Heidegger stabilisce tra i tre modi costitutivi dell'uomo un rapporto di circolarità: essi sono cooriginari. Per Heidegger, non si dà mai un osservatore neutrale e distaccato delle cose: comprensione e interpretazione sono sempre influenzate dalle nostre tonalità emotive.
Grazie al linguaggio l'uomo è sempre legato ad un certo modo di giudicare e valutare le cose. Nel mondo comune dell'esistenza quotidiana l'uomo tende ad uniformarsi a quello che si dice, si pensa, si fa. Ognuno è gli altri e nessuno è se stesso, prevale l'anonimia. Secondo Heidegger, in questa dimensione risiede l'inautenticità dell'uomo. Egli chiama questa situazione <<scadimento>> dell'uomo. Con questo termine egli intende sottolineare lo stato di smarrimento di se stesso che caratterizza l'esserci-nel-mondo prigioniero dell'opinione pubblica anonima.
L'essere dell'uomo appare sempre come cura. L'uomo vive <<prendendosi cura>> delle cose e <<avendo cura>> degli altri uomini. Con il termine <<cura>> Heidegger indica la totalità delle strutture esistenziali fin qui esaminate: il progetto, l'essere-gettato, lo scadimento.
⦁ Il progetto anticipa e prepara il futuro;
⦁ l'essere-gettato si riferisce al passato in quanto trasforma l'uomo in un fatto;
⦁ lo scadimento definisce la condizione del presente.
Le forme della cura mostrano dunque come le modalità temporali (futuro, passato, presente) costituiscano il senso dell'esistenza.
L'esistenza consiste innanzitutto nel protendersi verso delle possibilità: all'uomo appartiene una costante incompiutezza. Finchè c'è l'uomo è incompleto in quanto ha sempre delle possibilità ulteriori da attuare: solo quando muore, semplicemente non c'è più. Ma la morte, per Heidegger, non è solo il venire meno di una presenza: essa va compresa come la possibilità ultima che l'uomo assume quando nasce. L'uomo si rapporta sempre alla sua fine non come ad un fatto, ma come ad una possibilità, la <<possibilità dell'impossibilità dell'esserci>>. L'uomo esiste sempre come un essere in vista della sua fine, vale a dire come <<essere-per-la-morte>>.
Scopo di Heidegger non è quello di offrire una visione pessimistica della vita e neppure è quello di proporre un ideale di vita basato sul solo pensare alla morte. Per il filosofo tedesco, percorrendo la morte come la possibilità più proprio, l'uomo. anzichè chiudersi in una situazione data come definitiva, assume se stesso in modo autentico come un perenne poter essere e si rende responsabile dinanzi alle possibilità finite della sua esistenza. La morte, se compresa autenticamente come possibilità <<non offre nulla da realizzare all'uomo>>, nel senso che non gli pone dinanzi uno scopo che deve tradursi in realtà. Percorrere la morte non significa dunque anticiparla come realtà, oppure attendere il momento del decesso e prepararsi a tale evento. Significa piuttosto mantenersi costantemente nell'imminenza della morte come possibilità in senso radicale. In tale situazione di vicinanza alla morte, l'uomo si apre alla comprensione delle concrete possibilità offerte dalla vita, per sceglierle responsabilmente senza subirle in modo passivo e banale. Così comprendiamo meglio come la temporalità sia fondamento della cura, vale a dire della totalità delle strutture dell'esistenza. L'uomo, per Heidegger, non si trova semplicemente calato nel tempo, nella storia intesa come successione di eventi: al contrario, egli esiste storicamente solo in quanto il suo essere è costitutivamente temporale. La storia stessa non è altro che lo storicizzarsi dell'uomo. Ma l'uomo esiste sempre come esser-con-gli-altri, il suo storicizzarsi assume così il carattere del <<destino comune>>, con cui Heidegger indica lo storicizzarsi della comunità, del popolo. Se l'essere non è quindi oggettività pura, l'essere è la temporalità storica dentro cui l'uomo è il soggetto in cui il mondo si concretizza, l'essere è tempo. Heidegger vive nella Germania che nel 1933 diventa nazista. Egli si fa nominare, nello stesso anno, rettore dell'università di Friburgo e aderisce al nazismo. Il legame tra Heidegger e il nazismo si saldava con le esigenze del suo pensiero, in cerca di un «nuovo avvio», proprio come la Germania di quegli anni. Heidegger vide nella figura di Hitler la persona che potesse risvegliare una nuova realtà. Ma il nazismo di Heidegger era stato considerato una breve parentesi, visto che il filosofo si dimetteva dall’incarico del rettorato già nell’aprile del 1934. Questa dimissione era il frutto di una delusione: i nazisti non erano all’altezza delle speranze che il filosofo nutriva nella loro azione, i nazisti non sembrano volere «il nuovo inizio» sperato. Dopo questa esperienza, Heidegger si ritirò in una sorta di silenzio per tutto il resto del tempo fino alla fine della guerra, e certo dopo non ha mai dichiarato di aver sbagliato, non si è mai pentito.

Storia:
Nazismo e Hitler: Adolf Hitler era rimasto un personaggio sconosciuto fino al novembre del 1923, quando era finito in prigione per aver tentato di organizzare un colpo di Stato a Monaco di Baviera. La formazione politica da lui guidata "Il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi" rimase sino agli anni '20, un gruppo minoritario e marginale. Questa formazione si basava sulla violenza contro gli avversari politici e utilizzava una robusta organizzazione armata: le SA. Dopo il tentativo di Hitler a Monaco, egli aveva cercato sull'esempio di quanto aveva fatto Mussolini in Italia, di dare al partito un volto più rispettabile, riuscendo ad assicurarsi così un certo sostegno finanziario da parte di alcuni ambienti della grande industria. Egli, però, non aveva affatto rinunciato al nucleo centrale del suo programma, infatti vi fu una riunione di tutti i tedeschi per la nuova "Grande Germania", Hitler aveva esposto con grande chiarezza i suoi progetti a lungo termine e tutto era scritto nel libro scritto in prigione "La mia battaglia". All'inizio degli anni '30, con lo scoppio della crisi economica, la maggioranza dei Tedeschi era ridotta alla fame, perdendo così la fiducia nella Repubblica e Hitler offriva loro non solo la riconquista di un primato della nazione tedesca, ma anche l'indicazione di alcuni capi espiatori cui addossare le responsabilità delle disgrazie del paese. Nel settembre del 1930 il cancelliere Bruning, leader del centro cattolico, convocò nuove elezioni sperando di far uscire dalle urne una maggioranza favorevole ad ua politica capace di fronteggiare gli effetti della crisi. Accadde invece che i nazisti ebbero un forte incremento, a spesa della destra tradizionale. Nel 1932 la crisi economica continuava a colpire e in una Germania sempre più debole, il Nazismo diventava sempre più una certezza. I Nazisti riempivano le piazze con i loro comizi e le città diventavano un teatro di scontri tra questi ultimi e i comunisti , in soli due mesi vi furono infatti più di 150morti. Per sbarrare la strada ad Hitler, i partiti democratici non trovarono di meglio che appoggiare l'85enne Hindenburg. Quest'ultimo fu eletto con un margine abbastanza netto su Hitler, ma una volta confermata la carica, cedette alle pressioni dei militari e della grande industria. Nelle successive elezioni politiche i nazisti si affermarono come primo partito tedesco, i gruppi conservatori finirono col convincersi che senza di loro non era possibile governare. Il 30 gennaio 1933 Hitler fu convocato dal presidente della Repubblica e accettò di capeggiare un governo dove i nazisti avevano 3 ministeri su 11. Così facendo, si pensò di poter "bloccare" Hitler, ma il suo piano era appena cominciato, infatti gli bastarono pochi mesi per imporre un regime totalitario e l'occasione per una prima stretta repressiva gli fu offerta da un episodio drammatico: l'incendio appiccato al Reichstag ( Parlamento Nazionale ). L'arresto di un comunista olandese, semisquilibrato mentale, fornì al governo il pretesto per un'imponente operazione di polizia contro i comunisti. Hitler mirava ormai all'abolizione del Parlamento e il Reichstag appena eletto lo assecondò approvando una legge suicida che conferiva al governo i pieni poteri. In luglio Hitler potè varare una legge che proclamava il partito Nazionalsocialista come unico partito in Germania. Il dittatore aveva così realizzato parte del suo programma, successivamente, nella notte del 30 giugno 1934, reparti delle SS assassinarono le SA. Di conseguenza, nasceva il Terzo Reich, il tramite tra il Fuhrer e le masse era costituito dal partito unico e da tutti gli organismi a esso collegato, come ad esempio il fronte del lavoro. Compito di queste organizzazioni era di trasformare l'insieme dei cittadini in una comunità di popolo, ovviamente da queste comunità di popolo erano esclusi gli elementi "antinazionali", i cittadini di orgine straniera o di discendenza non ariana e soprattutto gli ebrei. Questi ultimi in Germania erano circa 500.000 su una popolazione di 60 milioni, erano concentrati nelle grandi città ed occupavano le zone medio-alte della scala sociale: erano artisti, intellettuali e commercianti. La discriminazione fu ufficialmente sancita nel settembre del 1935, dalle cosiddette Leggi di Norimberga che tolsero agli ebrei la parità dei diritti con gli altri cittadini e proibirono i matrimoni fra ebrei e non ebrei. La persecuzione antisemita ebbe un'accelerazione dopo l'uccisione di un diplomatico tedesco a Parigi da parte di un ebreo, da qui ci fu "la notte dei cristalli", notte in cui tutte le vetrine dei negozi degli ebrei furono distrutte e la vita degli ebrei fu resa impossibile. La macchina del regime nazista potè andare avanti senza ostacoli sia per via della repressione poliziesca sia per i Lager, ma non solo, infatti la Chiesa di Roma stipulò nel '33 un concordato col governo nazista, assicurandosi la libertà di culto e la non interferenza dello Stato negli affari del clero. Dopo la conquista dello Stato, Hitler costruì il nuovo Stato nazista sul principio del capo, egli era non solo la guida del popolo, ma anche colui che sapeva esprimerne le autentiche aspirazioni. Era insomma fornito di un carisma non comune, un essere straordinario che aveva un contatto diretto con il suo popolo. Vittime principali delle politiche naziste per la realizzazione di una "comunità di popolo" furono appunto gli ebrei che vennero discriminati, perseguitati e infine sterminati nei campi di concentramento. Il mito della razza occupò un posto centrale nella teoria del nazismo.
Dal 1939 al 1941: il “blitzkrieg” (guerra lampo) tedesca
Lo spazio e il tempo sono due concetti che influenzarono molto la politica offensiva tedesca. Nelle intenzioni dei capi nazisti si sarebbero dovute sanare le ferite rimaste aperte dal 1919, riconquistando la Posnania, la Prussia orientale e il corridoio di Danzica, estendendo verso est il territorio tedesco, attraverso una guerra lampo basata sulla sorpresa, sulla velocità e sulla potenza. L’obiettivo ultimo era rappresentato dalla realizzazione di un disegno politico ed economico teso alla conquista di un nuovo “spazio vitale” verso est, che avrebbe reso la Germania una potenza invincibile.
Hitler viene incoraggiato nella guerra di conquista anche dalla debolezza degli avversari, Francia e Inghilterra.
Il 23 agosto 1939 il patto di non-aggressione tra Germania e URSS è un passo ulteriore verso il conflitto mondiale. Esso prevedeva la spartizione della Polonia e l’occupazione sovietica di ex territori dell’impero zarista (le repubbliche baltiche e la Finlandia), ma soprattutto consente ai due paesi, in realtà nemici, di guadagnare tempo utile alla preparazione bellica, differendo il momento dell’inevitabile scontro diretto.
La storia della seconda guerra mondiale può dividersi in quattro parti.
La prima parte, che giunge fino all’attacco di Hitler alla Russia, è contrassegnata dalle campagne “lampo” di Polonia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Belgio e Francia e dalla battaglia di Inghilterra, prima battuta di arresto nell’andamento del conflitto. Avendo rinunciato all’invasione delle isole britanniche, Hitler, prima di rivolgersi contro Stalin, porta a termine la conquista del sud-est europeo: è questa l’ultima campagna lampo.
La seconda parte comprende la resistenza russa, l’aggressione giapponese e i primi colpi di arresto inferti dalle forze dell’Asse agli Alleati, sia in Europa e in Africa che nel Pacifico. Dal 7 dicembre 1941 (attacco a Pearl Harbour) il conflitto, divenuto mondiale, ha visto una serie di vittorie tedesco-giapponesi; un anno dopo, alla fine del 1942, il vento comincia a girare: El Alamein, Stalingrado, isole Midway, Guadalcanal segnano il confine delle conquiste delle nazioni dell’Asse. La controffensiva alleata comincia a organizzarsi; il suo avvio è lento e faticoso, poiché il nemico è padrone di importantissime posizioni strategiche e mantiene sotto il suo giogo numerose nazioni.
La terza parte della guerra va dal novembre 1942 (battaglia di Stalingrado) al gennaio 1945, periodo in cui il cerchio si stringe inesorabilmente intorno alla Germania e al Giappone che, a poco a poco, sono costrette ad abbandonare la maggior parte delle loro conquiste. In questo periodo inoltre determinante appare la potenza industriale delle Nazioni Unite, che farà sentire sempre di più il suo peso sulla bilancia.
La quarta parte infine è costituita dall’assalto finale, prima in Europa, poi in Asia.
Il periodo delle campagne lampo va dunque dal settembre del 1939, fino a giugno del 1941 (invasione dell’URSS). La strategia della “guerra lampo” era fondata sul massiccio impiego di carri armati e dell’aviazione nello sfondamento delle linee nemiche, lasciando alla fanteria motorizzata il compito di eliminare le ultime sacche di resistenza. Il 1° settembre 1939 i tedeschi varcano i confini polacchi a occidente, mentre i sovietici li superavano ad oriente. Alla fine del mese la Polonia, smembrata in due, scomparve di fatto dalla carta dell’Europa. Nel frattempo, il 3 settembre, Francia e Gran Bretagna avevano dichiarato guerra alla Germania. Ma approfittando della lentezza di reazione degli alleati, che rimangono fermi per alcuni mesi, Germania e Russia procedono nella guerra lampo, la prima occupando la Danimarca e la Norvegia, poi Belgio, Olanda e Lussemburgo (maggio 1940), la seconda conquistando Estonia, Lettonia, Lituania e Finlandia. Infine il 14 giugno, dopo la sconfitta delle Ardenne e la rotta di Dunkerque, Parigi è occupata, la Francia divisa in due dall’armistizio: nella parte nord del paese il potere fu assunto da un governatore militare tedesco, mentre nel sud con capitale Vichy, si insediava il governo collaborazionista presieduto dal maresciallo Pétain. Intanto da Londra il generale Charles De Gaulle chiedeva ai francesi di continuare la lotta contro i tedeschi a fianco degli inglesi per liberare la Francia.
La Gran Bretagna, ormai sola, viene attaccata il 1° settembre 1940 con un’operazione aerea, che aveva l’obiettivo di piegare la resistenza britannica. Ma l’operazione risulta essere più difficile del previsto, dopo 10 giorni di offensiva la Luftwaffe aveva perso circa 450 apparecchi, mentre la RAF ne perdeva solo 153. In una seconda ondata di attacchi gli apparecchi tedeschi abbattuti erano 400 contro 219 della RAF, che, nonostante tutto restava sempre padrona del cielo inglese. Così alla fine di ottobre, si può dire che la guerra lampo aerea è fallita, e sta per cominciare la battaglia di logoramento. Sia la battaglia di Inghilterra che il fallimento dell’invasione dell’Unione Sovietica segnano la disfatta della “guerra lampo” e l’inizio della guerra di logoramento da cui la Germania uscirà stremata. A questo punto il vero problema era costituito dalla capacità di rifornire continuamente di mezzi e di uomini il fronte. L’espressione “guerra lampo” non indicava solo un’efficace strategia dei generali tedeschi, ma rappresentava anche un indirizzo economico-produttivo, capace di sostenere brevi campagne militari, tali da non costringere ad uno sforzo economico alla lunga insostenibile. Germania, Giappone e Italia furono infatti travolti proprio dall’impossibilità di sostenere la mobilitazione sui vari fronti, una volta che il conflitto aveva assunto le caratteristiche di guerra lunga e di logoramento.
Viceversa, nel fronte degli Alleati la superiorità nel campo tecnologico, ma soprattutto la capacità produttiva degli Stati Uniti avevano determinato un rovesciamento della situazione. Fra il 1940 e il 1945 gli Stati Uniti produssero da soli due milioni e mezzo di camion, 90.000 carri armati, 300.000 aerei. Oltre all’enorme sforzo produttivo, anche la superiorità tecnologica determinò la vittoria alleata. Basti pensare alla messa a punto dei dispositivi di radio-localizzazione e di televisione, comunemente noti sotto il nome di “radar”, che hanno avuto un ruolo di capitale importanza nelle operazioni difensive ed offensive aeree e navali. Infine la realizzazione della prima bomba atomica da parte degli Stati Uniti ha costretto il Giappone, già in posizione assai critica, ad abbandonare definitivamente il conflitto.
La corsa al miglioramento del materiale bellico, attraverso l’applicazione di innovazioni tecniche, è proseguita durante tutti i sei anni di durata della guerra. Le innovazioni tecnologiche sperimentate in tempo di guerra ebbero un’importante ricaduta anche nella produzione di pace.

DANTE ALIGHIERI - IL PARADISO:
Il viaggio di Dante: lo spazio, il tempo e i loro valori morali con riferimento al I Canto
Mentre la struttura e l’ordinamento dell’Inferno e del Purgatorio erano in gran parte frutto della inventiva di Dante, la struttura e l’ordinamento delle sfere paradisiache gli erano dati dall’astronomia medievale. Qui si trovava di fronte a un compito opposto: risolvere e sublimare la troppo solida realtà empirica in sembianza simbolica. Egli doveva organizzare una rappresentazione particolare del viaggio dalla terra al cielo. Ogni specie di viaggio, sia pure un volo, è legato a determinate circostanze di spazio e di tempo, e alla necessità di superare impedimenti e resistenze, non fosse altro quelli offerti dalle distanze. Il poeta ha saputo realizzare con arte magistrale il prodigio di un viaggio celeste senza tempo, senza spazio, senza resistenze. Il pellegrino va sempre più in alto, sollevato e tratto dalla luce celeste che si specchia negli occhi di Beatrice. Si sposta senza accorgersene, senza sapere se sia lo spirito soltanto a muoversi o se anche il corpo lo segua

S’i’ era sol di me quel che creasti 73-75
Novellamente, amor che ‘l ciel governi,
tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti.

Inoltre non prova fatica alcuna, né sensazioni di tempo o di spazio. Riconosce i diversi cieli e vi si orienta solo in base alla loro gradazione concettuale. Trascorre velocissimo da stella a stella e gli sembra di star fermo. Le dimensioni dei cieli sono immense: si va da un raggio minimo (cielo della luna) di 215.152 km, a uno massimo (cielo stellato) di 128.963.429 km. Spostarsi quindi da un segno zodiacale a quello immediatamente più vicino (da Mercurio in Ariete a Venere in Pesci, e da Venere in Pesci al Sole in Ariete) implica un movimento che copre uno spazio immenso. La velocità con cui Dante percorre milioni di chilometri nel breve spazio di un giorno non può che apparire miracolosa per un essere umano. In verità il viaggio di Dante è un fatto reale ma soprattutto è ascesa dell’uomo finalmente libero dal peccato verso il suo luogo naturale.
La ripartizione spaziale degli abitatori celesti su questa o quella sfera ha valore puramente dimostrativo per il visitatore mortale. Infatti, dopo aver attraversato tutte le sfere, e avervi riconosciuto beati di ogni genere, nello sconfinato Empireo gli si mostra ancora una volta l’intero Paradiso con tutti i beati e tutti gli angeli disposti in una nuova forma, di gigantesca rosa. Il primo ordinamento viene negato ed affermato dal secondo, annullato e spiegato.
Alla fine del Purgatorio si era interrotta la narrazione del viaggio. Con il primo canto del Paradiso essa riprende con l’indicazione astronomica della stagione e dell’ora: i “quattro cerchi” che formano “tre croci” indicano l’Est, dove in congiunzione con l’Ariete (la migliore stella) sorge, nell’equinozio di primavera, il sole che ora rifulge nello splendore del Mezzogiorno. La determinazione astronomica dell’ora della salita al cielo mostra la centralità della “poesia della scienza” e gli elementi di questa scienza: i quattro cerchi e le tre croci stanno a indicare le quattro virtù cardinali (fortezza, prudenza, giustizia, temperanza) e le tre teologali (fede, speranza, carità), mentre il cerchio rimanda all’idea di perfezione e la croce a quella di salvezza. La scienza insomma è una manifestazione della presenza divina. Dante si uniforma alle leggi divine che regolano l’universo ed entra in consonanza con il volere divino.

Surge ai mortali per diverse foci 37-42
La lucerna del mondo; ma da quella
Che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.

Beatrice si volge verso il sole, Dante cerca di fare altrettanto, ma solo per poco riesce a sostenerne la vista. Torna allora con lo sguardo a Beatrice, si sente trasformare e portare oltre i limiti dell’umano. Beatrice gli spiega che suono e luce dipendono dal fatto che essi hanno abbandonato la terra e stanno salendo verso il cielo. Dante, purificato dal viaggio attraverso l’Inferno e il Purgatorio, sale alle stelle.
Il “trasumanar”, come dice Dante, è una tappa fondamentale dell’ascesa verso Dio, lo introduce nel mondo del miracolo e della grazia e dà al suo intelletto una nuova recettività dello spazio senza limiti e delle leggi che lo governano, del tutto diverse da quelle terrestri. Nasce da qui il bisogno di Dante di spiegare nel primo canto in maniera razionalistica la natura del viaggio. La salita a Dio, nella perfezione dell’unità di anima e corpo, rientra nell’ordine generale dell’universo. Dante scopre nel suo viaggio che l’intero universo è manifestazione di Dio, e l’ordine gli si rivela come legge suprema, anzi la forma essenziale del creato. L’ordine come forma divina dell’universo è il concetto fondamentale attorno a cui ruota tutto il Paradiso: ogni essere è collegato con tutti gli altri e tutto il cosmo è in moto verso Dio, forma perfetta, atto puro.

E (Beatrice) cominciò: “Le cose tutte quante 103-105
Hanno ordine fra loro, e questo è forma
Che l’universo a Dio fa simigliante.

La visione di un infinito mare, che è quello delle cose esistenti e disseminate in forme molteplici per l’universo, popolato e solcato da navi, è testimonianza di una poesia per un verso metafisica, ma per altro verso concreta, il tentativo di conciliare la realtà storica fatta da uomini diversamente distribuiti e operanti all’interno di un ordine precostituito e predisposti ad un fine. In questa visione il mare rappresenta l’ordine universale.
Anche tutta la realtà deve dunque trovare la sua sistemazione nell’ordine divino; solo così gli accidenti e i fenomeni possono farsi davvero storia, acquistare senso e valore. Solo così è possibile superare le contraddizioni sulla base sicura della legge morale improntata all’obbedienza della volontà divina.


Matematica:
f(x) è una funzione definita in un intervallo [a; b], escluso al più un punto xo interno ad esso. Il concetto di limite si applica all'intorno di un punto, non al dominio. Si dice che per x tendente a xo la funzione f(x) ha per limite il numero l, e si scrive
Quando fissato un numero positivo ε, sia sempre possibile determinare in corrispondenza ad esso, un intorno completo I del punto xo, tale che per tutti i valori della x che appartengono all'intervallo [a; b] e cadono nell'intorno I, escluso eventualmente xo, i corrispondenti valori della funzione soddisfano la disequazione |f(x)-l|<ε cioè le disequazioni l-ε< f(x)< l+ε.
L'intorno di l è arbitrario: se cambiamo l'intorno di l cambia anche l'intorno di xo.
Se il
Scelto in maniera arbitraria un intorno di l, in corrispondenza esiste un intorno del punto xo tale che, ogni volta che prendiamo una x appartenente all'intorno di xo e diverso da xo, segue che f(x) appartiene all'intorno di l
def
lim f(x)= l <=> ∀ I(l) ∃ I(xo)/ ∀x∈ I(xo) −{xo} => f(x)∈ I(l)
x->xo
xo= punto di accumulazione del dominio
ε= quantità positiva scelta arbitrariamente ε>0
La ε serve per determinare il valore di l che è finit0o
δ dipende dalla scelta di ε, perciò si parla di δε
|f(x)|<k con k>0 −k<f(x)<k
|x−xo|<δε −δε<x−xo<δε xo−δε<x<xo+δε
0<|x−xo|<δε x−xo>0 x≠ xo
def
lim f(x)= l <=> ∀ I(l) ∃ I(xo)/ ∀x∈ I(xo) −{xo} => f(x)∈ I(l)
x->xo
1) ∀ I(l) <=> ∀ε>0
2) ∃ I(xo) <=>∃δε>0
3) ∀x∈ I(xo) −{xo} <=> 0<|x−xo|<δε
4) f(x)∈ I(l)<=> l−ε<f(x)<l+ε cioè |f(x)−l|<ε
In definitiva
lim f(x)= l <=> ∀ε>0 ∃δε>0/ ∀x∈D ∧ 0<|x−xo|<δε=>|f(x)−l|<ε
x->xo
Dettagli
Publisher