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Sintesi
Introduzione Stato e Economia - Tesina


Questa tesina di maturità prende in esame l'intervento dello Stato in economia, come questo ai tempi d'oggi sia cambiato, inoltre viene affrontato il tema della crisi economica che oggi sta colpendo tutto il mondo.
Tesina maturità argomenti: in Filosofia i fisiocratici e Karl Marx, in Economia politica Adam Smith, in Storia la crisi del 1929, la Prima Guerra mondiale, i1 dopoguerra, in Italiano Italo Svevo, in Greco l'oratoria e in Fisica la corrente elettrica.

Collegamenti

Stato e Economia - Tesina


Filosofia - I fisiocratici, Karl Marx.
Storia - La crisi del 1929, La Prima Guerra mondiale, i1 dopoguerra.
Italiano- Italo Svevo.
Greco - L'oratoria.
Fisica - La corrente elettrica.
Estratto del documento

OLTRE LA MANO INVISIBILE

Cambiamento del ruolo dello stato in economia con particolare riferimento al

1900.

SOMMARIO:

- Introduzione: Cambiamento del ruolo dello stato in economia con particolare

riferimento al 1900;

- L'evoluzione del liberalismo economico;

- Introduzione alla crisi “del sistema economico liberale”; Crisi del 1929;

- Le cause storico-politiche della crisi;

- Primi rimedi e loro conseguenze; Due modi di intendere il ruolo dello Stato in

economia;

- Il 1932-33: il New Deal di Franklin Delano Roosevelt;

- L’intervento statale e la fine del liberismo. Varie forme di interventismo dello

stato in economia;

- La diffusione e l'interpretazione delle idee keynesiane;

- The birth and the decline of the welfare state: Thatcherism;

- Motivazioni dell’intervento pubblico;

- Bibliografia. mano

La crisi economica è grave. Le ragioni stanno certo nella cattiva politica, nella

libera consentita alla speculazione finanziaria, nell’eccesso di fiducia, nella forza

regolatrice del mercato, comprimendo o addirittura osteggiando il ruolo delle

: incentivi e

pubbliche istituzioni. A questo punto per rimediare non c’è che una strada

interventi pubblici, con le riforme istituzionali che possono favorire l’economia. Oggi,

in settori cruciali dell’attività economica, il ruolo dello Stato è certamente diverso

rispetto al passato, ma non per questo meno pregnante. Bisogna perseguire la

funzione del benessere sociale mediante l’intervento nell’economia per una più

efficiente ed equa distribuzione delle risorse e per la stabilità del sistema economico.

Da <<Perché è necessario ripensare l'economia per una società giusta, Kaushik Basu, Oltre la mano

invisibile.Prefazione>> Fonte: http://www.laterza.it/index.php?

option=com_content&view=article&id=1148&Itemid=101

“La scienza economica ha prodotto un’abbondante letteratura sui vantaggi del libero

mercato. E dal punto di vista puramente logico non c’è dubbio che l’affermazione sia

valida: il libero mercato può assolvere a funzioni sociali importanti, anche se non

necessariamente contemplate dai singoli individui che costituiscono la società. O, per

un equilibrio di mercato può essere socialmente

dirla come farebbe un economista,

efficiente anche se è il prodotto di individui che mirano ciascuno al proprio interesse

egoistico. Esistono teoremi che dimostrano questo concetto con precisione e con tutta

la potenza di fuoco della moderna teoria economica.

L’errore che compie una buona parte degli operatori – lobbisti, avvocati, politici ed

influenti giornalisti economici – che attinge alla saggistica economica tradizionale

concettualizzazione manualistica del libero

consiste nel non rendersi conto che la

mercato descriverà pure tutte queste qualità, ma che un mercato del genere non solo

non esiste ma probabilmente non può esistere nella realtà. E che non è neanche

sostenibile la tesi più cauta secondo cui avvicinarsi al modello di un mercato 1

perfettamente libero serva a condurci verso una qualche sorta di ideale sociale. Il

teorema del libero mercato possiede una grande forza intellettuale e un grande

l’abuso

fascino estetico, ma che ne viene fatto comporta implicazioni enormi per il

pianeta (in particolare riguardo al modo in cui decidiamo le politiche economiche,

ragioniamo sulla globalizzazione e rigettiamo il dissenso”.

L'evoluzione del liberalismo economico

liberalismo economico liberismo

Il o ritiene che la libera iniziativa economica

dell'individuo, non condizionata dallo Stato, sia la condizione per il funzionamento del

mercato. La libera concorrenza e il libero scambio determinano l'aumento della

produzione a beneficio della maggioranza della popolazione. Il solo intervento dello

Stato, riconosciuto come lecito, è quello di rimuovere gli ostacoli che impediscono il

corretto funzionamento del mercato.

Nel dibattito economico del XVIII secolo la Fisiocrazia ha esposto per prima questo

natura

concetto individuando nella la fonte di ogni ricchezza e condannando qualsiasi

ingerenza da parte delle autorità, che ostacolasse o indirizzasse lo sviluppo economico

del paese. Ai fisiocrati va riconosciuto il merito di aver superato l'idea mercantilistica

che la ricchezza e il suo incremento siano dovuti allo scambio. In Inghilterra fu Adam

nell'<<Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle

Smith a sostenere

nazioni>> la medesima teoria con la differenza che la ricchezza non è prodotta dal

lavoro dei campi ma dall'attività industriale, che proprio in quel periodo conosceva il

suo straordinario sviluppo. Smith, il padre dell’economia politica classica, è l’ideatore

della mano invisibile <<è come se nel mondo economico ci fosse una mano invisibile

che guida gli interessi individuali in modo che producano un benessere collettivo>>.

Tuttavia egli stesso non riteneva così centrale il tema della <<mano

invisibile>> prova ne è il fatto che nell’indice della prima stesura della

Ricchezza delle nazioni non compariva neanche.

La politica liberista ebbe il massimo sviluppo in Europa nel periodo 1850-1880,

soprattutto ad opera dell'Inghilterra e continuò ad essere seguita fino alla prima

guerra mondiale. In ambito dottrinale, dagli anni '70 dell'Ottocento, si ebbe il

superamento dell'impostazione tradizionale dell'economia con la scuola marginalista o

valore/lavoro,

neoclassica. Essa criticò la concezione ricardiana di condivisa da Marx,

secondo la quale il valore della merce era stabilito dalla quantità di lavoro socialmente

utile per produrla; riprese la teoria della "mano invisibile" di Smith, ma sviluppò in

L'analisi economica doveva partire non

tutt'altro modo l'indagine economica.

dall'offerta ma dalla domanda, dal bisogno del compratore che sa valutare quanto dei

suoi risparmi o del suo reddito va speso per l'acquisto delle merci. Il valore di una

merce quindi è indicato nella sua "utilità marginale", cioè in relazione al suo grado o

termini, il valore e l'utilità di una merce sono in relazione

"margine" di utilità. In altri

alle altre merci e ai bisogni degli uomini . Analogamente l'imprenditore è spinto a

produrre una certa quantità di merce nella misura in cui consegue un "sufficiente

margine" di guadagno. Questa analisi viene affrontata dai marginalisti in modo isolato

e indipendente da considerazioni di altra natura, sia di ordine sociale, sia di ordine

politico, come invece le precedenti teorie avevano sostenuto. 2

Tale sistema, ritenuto stabile e armonico, sarà oggetto di critica da parte di Keynes

che propose descrizioni più ampie e dinamiche dei rapporti economici.

Introduzione alla crisi “del sistema

economico liberale”

Liberismo economico

Il entra in crisi in un determinato periodo storico, caratterizzato

dal grande crollo di Wall Street che portò alla crisi del 1929. Con questo termine viene

indicato un periodo della storia economica del Novecento durante il quale si ridussero

considerevolmente e su scala mondiale produzione, occupazione, redditi, salari,

tutte le grandezze economiche il cui

consumi, investimenti, risparmi, ovvero

andamento caratterizza di norma lo stato di progresso o di regresso dell'economia di

un paese .

Le cause storico-politiche della crisi

Nel primo dopoguerra l'economia degli Stati Uniti ebbe un forte incremento, dovuto

richiesta d'investimento che veniva dall'Europa

anche alla grande per la ripresa delle

varie potenze che avevano partecipato al primo conflitto mondiale. Infatti, in America

<<beni

dal 1922 al 1929, la produzione industriale – soprattutto quella dei nuovi

durevoli>> aumentò del 64%, la produttività del lavoro del 43%, i profitti del 76% e i

salari del 30%. A stimolare l’economia americana furono molti altri fattori:

- l'espansione dell’industria edilizia e delle industrie da questa indotte;

- una serie di innovazioni, basate sullo sfruttamento di nuovi prodotti (l’automobile,

grazie all’adozione di nuovi sistemi di produzione) e delle industrie collegate

(petrolifere, della gomma, dell’acciaio, delle costruzioni stradali, dei trasporti stradali,

ecc.);

- lo sviluppo dell'industria

elettrica, la cui produzione

raddoppiò tra il 1923 e il 1929;

- l’impulso notevole alla

razionalizzazione dei processi

produttivi, con l’adozione, nelle

industrie dei prodotti di massa,

di un’organizzazione scientifica

del lavoro, o «taylorismo»,

mirante ad eliminare i tempi

morti, e a ridurre al minimo i

movimenti inutili (un esempio

per tutti fu l'adozione della

catena di montaggio da parte della Ford agli inizi del secolo).

A partire dal giugno del 1929, la domanda interna americana si trova di fronte ad un

calo e la crisi di sovrapproduzione comincia a colpire le industrie fondamentali e le

3

attività agricole. Il mercato dei <<beni durevoli>> per l’appunto tende ad essere

molto dinamico all’inizio ma poi si satura in fretta. Di conseguenza il tasso di crescita

delle imprese in questi settori tende a rallentare. E questo rallentamento si ripercuote

sull’economia nel suo complesso perché le industrie che producono automobili, radio

ecc. chiedono meno componenti e materie prime ai settori industriali collegati.

Gli imprenditori, i finanzieri, i risparmiatori non riescono a vedere questa dinamica

mentre si sta realizzando. Anzi una grande ondata di euforia, legata ai buoni risultati

del sistema economico statunitense, invita chiunque abbia qualche risparmio da

qualche parte ad acquistare i titoli emessi dalle imprese, il cui valore sta crescendo

rapidamente col crescere della produzione. A un certo momento, intorno al 1927-1928,

le dinamiche della produzione e dei valori azionari si divaricano: mentre il mercato si

va saturando – la produzione si fa eccessiva rispetto alla domanda e le

ordinazioni segnano il passo - , il mercato continua ad andare come un

treno.Nell’autunno del 1929 tutto questo gioco smette di funzionare. Gli operatori si

accorgono che non c’è più relazione tra l’andamento economico della produzione e

delle vendite “non troppo positivo” e il valore delle azioni “molto positivo”. Dopo

settimane di oscillazioni il 24 ottobre 1929 (giovedì nero) tredici milioni di azioni

vengono vendute a prezzi bassissimi. Salvo brevi periodi di ripresa, il ribasso continua

fino all'8 luglio 1932. Ma la crisi, oltre che borsistica, industriale, agricola e

crisi bancaria.

commerciale, fu anche una Infatti sia l'industria che l'agricoltura erano

fortemente indebitate con le banche. Durante gli "anni ruggenti", le banche avevano

ecceduto nei prestiti, nella previsione di una restituzione regolare e nella fiducia nei

risparmiatori che avrebbero dovuto accrescere i loro depositi. Con la crisi, un enorme

numero di imprese non fu in grado di pagare i debiti alle scadenze e intanto, le

banche, erano premute da coloro che avevano depositato soldi, e che ora chiedevano

la restituzione delle somme depositate. Di conseguenza, trovatesi di fronte alla

pressione dei depositanti e all'impossibilità di far rientrare i prestiti, molte banche

furono costrette a chiudere. A questo punto, le imprese che già cominciavano a essere

in difficoltà per la saturazione dei mercati sono messe con le spalle al muro. Ora non

hanno più soldi per mandare avanti l’economia visto che le banche hanno smesso di

finanziare a causa della mancanza di fondi. Non avendo più soldi per mandare avanti

la produzione, acquistare le materie prime e pagare gli stipendi agli operai le imprese

sono costrette a:

- Chiudere o rallentare fortemente la produzione!.

In questo modo i salari si ridussero e ciò non contribuì ad accrescere la produzione,

ma portò solamente ad una riduzione dei prezzi; il tasso di disoccupazione accrebbe

notevolmente: molti operai e impiegati vennero licenziati.

L’economia statunitense si ritrova in ginocchio. Per tutelarsi, gli USA, ritirarono gli

investimenti dal mercato internazionale al quale si aggiunse la politica doganale. La

"Hawley-Smoot", la dura tariffa doganale che gli Stati Uniti adottarono dal giugno del

1930, ebbe caratteristiche duramente protezionistiche portandoli a scegliere la via

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