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La tesina è un percorso interdisciplinare che pone l'attenzione sullo Stato Etico, attraverso il metodo dialettico hegeliano
Filosofia: Hegel
Storia: Bismarck e Guglielmo II
Italiano: Edgar Allan Poe
Scienze: Flatlandia
Arte: Dalì
Stato Etico: Perversione del metodo dialettico
La mappa concettuale che oggi presento, riassume il percorso che ho deciso di approfondire “Stato Etico:
perversione del metodo dialettico”. La cosa che salta immediatamente all’attenzione è che in realtà la mappa
è composta da tre livelli che, sovrapposti, compongono l’immagine completa. Il primo livello è la
rappresentazione della casa, riassunto con delle parteti e un tavolino. La scelta della casa acquista un
confronto immediato con una definizione hegeliana con la quale il filosofo afferma l’eticità dello Stato,
considerandolo come l’istituzione “superiore”, capace di “regolare” il gioco degli egoismi individuali e di
“sublimarlo”, spiritualizzarlo, riconducendolo ad una finalità altissima, di tipo comunitaria, dunque ad una
dimensione etica, nella quale ciascuno trova la sua “libertà concreta”, della propria condotta, attraverso
l’affermazione dello spirito assoluto; il primo livello rappresenta dunque la tesi. Il secondo livello è composto
da una scala a chiocciola: La struttura, la vita, il procedimento dello Spirito è la dialettica non più intesa come
quella aristotelica costituita dai due momenti della tesi e dell'antitesi ma da un movimento a spirale con
ritmo triadico a tre lati, secondo il quale ogni posizione (tesi) deve essere superata, negata (antitesi) nelle
sue determinazioni particolari, per riaffermarsi, negando l'ultimo stadio raggiunto, con la negazione della
negazione (quindi con una nuova affermazione), in una determinazione superiore (sintesi). Lo sviluppo
dialettico della realtà da senso e significato al suo lato negativo, all'antitesi, indispensabile se considerato in
funzione della totalità. La filosofia nella sua ricerca deve sforzarsi di vedere il positivo nella negatività: ed
ecco perché il terzo livello è un quadro di Dalì, Corpus Hypercubus: Il titolo della tela fa riferimento al fatto
che la figura di Cristo non è inchiodata all'usuale croce, ma è magicamente sospesa nell'aria, accostata ad
una struttura fatta da otto cubi che simulano la forma della croce, ma che in realtà esprimono la
rappresentazione dello sviluppo, nello spazio tridimensionale, di un solido che si studia nella geometria della
"quarta dimensione": l'ipercubo. Si tratta di un solido (avente come "facce" otto cubi) che non è possibile
vedere, essendoci preclusa la quarta dimensione, ma solo intuire. L'analogia con lo sviluppo delle facce di
cubo su di un piano, può aiutare a comprendere la raffigurazione. È il momento della sintesi, del superamento
dell’antitesi per una progressiva e compiuta attuazione di sé, mediante la rivalutazione della tesi stessa, che
sembrava essere ormai abbandonata. Ogni livello e poi caratterizzato dagli elementi che identificano gli
argomenti del percorso: il primo livello, oltre che dal titolo, che comunque riprendere un’immagine di
Flatlandia, comprende due fotografie rappresentanti Il “Cancelliere di ferro” Bismarck ed il kaiser Guglielmo
II, che saranno qui trattati secondo la chiave di lettura che offre Luciano Canfora in 1914. Il secondo livello
ritrova in sé un corvo, l’animale per eccellenza che meglio di tutti identifica la tetra figura di Edgar Allan Poe,
e della sua concezione di perversità. Il terzo livello contiene al suo interno la dicitura completa del titolo,
come momento conclusivo del processo conoscitivo.
Il mio percorso non può che partire da una domanda, che è alla base stessa del concetto di Stato Etico: Che
cos’è un’utopia? Un’utopia è una terra di perfetta armonia, dove vige la giustizia e da dove le iniquità sono
state bandite, anzi, dove propriamente non sono mai esistite. “Utopia” è un termine greco, anche se non
furono i Greci a coniarlo, ma un pensatore cristiano vissuto in età rinascimentale, Tommaso Moro:
inappagato della realtà in cui viveva, del clima di accesa intolleranza che nel ‘500 si respirava nell’Inghilterra
dilaniata dai conflitti religiosi, egli volle immaginare un’isola felice, sulla quale gli abitanti conducessero una
vita migliore, più umana e solidale. I motivi che hanno indotto nella storia i pensatori a prendere le distanze
dalle società reali e a rifugiarsi in costituzioni e paesi immaginari, frutto della loro fervida fantasia, possono
essere tanti: primo fra tutti è senz’altro la profonda insoddisfazione nei confronti dello stato di cose, un senso
di amara delusione per il paese in cui si vive.
In questo senso, l’immagine che probabilmente meglio esprime il significato delle utopie è quella delle idee
kantiane che, è sempre bene ricordarlo, sono trascendentali: esse sono forme mentali a carattere infinito e,
per questo, non possono mai trovare un corrispettivo nella realtà finita; così l’idea di Dio, di anima e di mondo
non potremo mai applicarle alla realtà, “riempendola” di contenuto empirico, ma ciò non toglie che esse
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abbiano un ruolo costitutivo ed euristico, servono cioè a guidare l'indagine verso sempre maggiore unitarietà
e sistematicità, sono il faro che illumina il nostro conoscere. Potrebbe essere questo il caso di Hegel poiché
sostiene che la realtà esistente è espressione della razionalità e, pertanto, è inutile cercare società
alternative?
Rispolverando ancora una volta la civiltà greca, attraverso il mito di Prometeo, “Hegel allude al doppio
significato della luce: essa illumina il mondo esteriore e ricalca passivamente la struttura delle cose; questo
è l’aspetto teoretico, dei suoi principi fondamentali; ma c’è anche e soprattutto una luce pratica, una luce
della coscienza, i cui raggi svelano il sapere che essa ha di sé e dei suoi oggetti.” (Mechane: Hegel, Nietzsche
e la costruzione dell’illusione). La differenza sostanziale tra lo Spirito manifestante e la luce è questa: lo Spirito
manifesta sé stesso, perché non è altro al di fuori di sé, la luce rende percepibile ciò che le è altro ed esteriore,
una sorta di rivelazione evangelica.
Il filosofo resta saldamente legato alla nozione di “razionalità”, senza però arrivare a porla su un piano distinto
dalla realtà e ad essa superiore: al contrario il reale e il razionale coincidono perfettamente, è la realtà stessa
che, nelle sue strutture profonde, è assolutamente razionale e, se talvolta non ci appare tale, è solo per un
nostro errore di prospettiva. Ciò non implica - come si potrebbe essere indotti a credere - che ogni singolo
accadimento sia in sé razionale, ma piuttosto che lo sia il procedere della realtà considerata nel suo
complesso, la sua storia, nelle sue strutture generali, con la conseguenza che, in un mondo dove il reale e il
razionale sono due facce della stessa medaglia, l’utopismo si sgretola e non riveste più alcuna funzione.
L’assoluto, lo Spirito, si realizza processualmente determinandosi mediante opposizione e conflitto, ed è
orientato verso una progressiva e compiuta attuazione di sé: il modo in cui tale principio opera nella realtà
non è solo storico, ma anche dialettico. Può lo Spirito realizzarsi nella e per la realtà attraverso il linguaggio
e la processualità storica? Può un sistema essere tragicamente determinato, chiuso e razionalmente definito,
da un insieme di analogie, teoremi e giustapposizioni? Lo spazio entro il quale Hegel intende rapportare il
suo pensiero, è composto da due o tre dimensioni? E’ unilaterale?
La battuta viene spontanea, poiché nel 1884 Edwin Abbot con Flatlandia sembrerebbe far ricorso alla
dialettica hegeliana, alla sua concezione di sistema chiuso, autoritario e autonomo, una rappresentazione
che meglio di altre riesce a identificare lo Stato come organismo superiore, così come delineato da Hegel.
L’evocazione di un mondo, quello bidimensionale di Flatlandia, che si pone come “Assoluto”, governato dalle
“Leggi di Natura” che si sviluppano mediante la propria emancipazione in figure geometriche, regge le proprie
membra utilizzando due armi: “terrorismo ed eufemismo, cioè allo Stato e alla Storia”. (Giorgio Manganelli).
Lo Stato è universalità dotata di forza, in un sistema fortemente gerarchico, controllato da leggi matematiche,
di stampo frenologico, secondo le quali le caste sono suddivise per mezzo della “conformazione naturale”:
linee, triangoli, quadrati, pentagoni fino ad arrivare ai così stimati circoli (chiamati così per un formalismo
piuttosto cortese, considerando che in realtà si tratta di poligoni con un numero abbastanza considerevole
di lati). La Storia è l’insieme delle menzogne proposte dai teoremi geometrici e attuata dal terrore e da una
mentalità ristretta o meglio che pretende di possedere una verità già realizzata in sé, nel proprio mondo. Se
ne fa rappresentante, come esempio più eclatante, lo strano monarca del regno di Pointlandia, “nelle più
oscure profondità dell’esistenza, nel reame di Pointlandia, nell’abisso dell’adimensionalità”, come lo
definisce lo stesso Abbot. Perché proprio Pointlandia?! Perché al suo interno si risolve la dicotomia tra
“fenomeno” e “noumeno”, è la ricetta preparata da Hegel: Il punto è se stesso, rappresenta se stesso, è la
storia di sé, pensa e attua sé, non ha cognizione della pluralità perché ogni sua rappresentazione è in realtà
la manifestazione stessa di sé, inevitabilmente, è il “Suo Tutto, Esso è; e non c’è altro al di fuori di Esso”. Il
punto riempie ogni spazio perché è lui fautore dei propri confini e per questo è felice, o meglio
autocompiaciuto, poiché in sé si risolve il benestare di tutto l’universo.
Una rottura epistemologica non può essere presa in considerazione dalle menti ottuse, anche se in questo
caso non parliamo di angoli, del Gran Consiglio dei Circoli: il risultato potrebbe essere una forte
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destabilizzazione dell’ordine e del potere centrale, garantito dalle leggi dello Spirito. Tutte le rivolte, da quella
del colore di Cromatiste, un circolo ribelle che attraverso l’utilizzo dell’arte tenta di sovvertire la naturale
armonia, facendo sprofondare le regioni di Flatlandia nell’anarchia, e la rivoluzione, o meglio, la rivelazione
della Terza Dimensione, sono risolte “non con discorsi e risoluzioni di questa e quella maggioranza –da un
nuovo postulato matematico – ma con il sangue e il ferro”, immobilismo. La domanda verrebbe spontanea:
come mai proprio una frase del “Cancelliere del sangue e del ferro” Bismarck, può aiutarci a comprendere
un saggio che nasce dalla mente dell’autore per conferire importanza alle tesi sull’esistenza di dimensioni
che vadano oltre la terza?
Tralasciando le coincidenze storiche, siamo nel 1862, è interessate notare una certa somiglianza tra
l’ambientazione e la struttura di Flatlandia con la rigida “Realpolitik” del Cancelliere, che da lì a poco avrebbe
permesso il predominio prussiano rispetto il grande impero Austro-Ungarico, con la conseguente nascita del
Reich.
Lo Stato è concepito come potenza in conflitto con le altre potenze, si pensi alla guerra franco-prussiana, e si
può affermare unicamente attraverso l’azione bellica. La Germania di Bismarck è stata capace, attraverso un
semplice pretesto, il dispaccio di Ems, di far precipitare la Francia nel sentimento bellicoso. “Se non avessimo
reso giustizia alle esigenze di codesto sentimento, avremmo perduto, quanto al compimento del nostro
sviluppo nazionale: Si sarebbe raffreddato di nuovo il sentimento nazionale tedesco, che i nostri successi
l’avevano reso così forte.” (Bismarck, Pensieri e Parole). Ecco come il contenuto della Storia del mondo è
razionale: non un succedersi slegato e casuale di eventi, ma un tutto unitario, dialetticamente articolato e
mosso, nel quale si attua la libertà. Lo Spirito, e come sua declinazione il sentimento tedesco, vive come
“spirito del mondo”, che si incarna nei vari “popoli”, e costituisce il fine della storia, mentre i suoi mezzi sono
gli “individui”, con le loro passioni: Signore Signori, ecco “l’astuzia della Ragione”.