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La Costituzione Italiana
Il primo governo formato in Italia dopo il 25 Aprile 1945 fu espressione dell’unità antifascista. Fu composto,
infatti, dai rappresentanti dei partiti che avevano guidato la Resistenza. Alla testa del governo fu chiamato
Ferruccio Parri, che era stato tra i più prestigiosi comandanti partigiani. Nel dicembre del 1945 il governo
Parri fu sostituito da un governo formato dal democristiano Alcide De Gasperi: durante il fascismo aveva
sofferto un anno di carcere e nel 1943 era stato tra i fondatori della Democrazia cristiana. Nell’Aprile del
1946 Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto, ma questa mossa non bastò a salvare la
monarchia. Il 2 Giugno 1946 si svolse il referendum sulla forma istituzionale dello Stato e le elezioni per
un’Assemblea costituente, che avrebbe dovuto dare all’Italia una nuova costituzione: al referendum la
repubblica prevalse. Umberto II andò in esilio in Portogallo. Fino al 2002, inoltre, una norma della
Costituzione impedì agli eredi maschi di Umberto l’ingresso in Italia. L’Assemblea costituente era composta
da 556 persone: dopo un lungo dibattito la Costituzione fu approvata il 22 dicembre 1947 ed entrò in vigore
il 1 gennaio 1948. L’Assemblea costituente aveva scelto una costituzione lunga: l’Italia usciva dalla dittatura
fascista e tutti quelli che avevano vissuto quell’esperienza desideravano regolare, in modo preciso, tutti i
principi fondamentali di convivenza civile. La seconda scelta che l’Assemblea costituente dovette fare fu tra
una costituzione flessibile e una rigida; fu scelta la seconda, cioè un tipo di costituzione che non fosse
modificabile da leggi ordinarie. La nostra costituzione è composta di 139 articoli; a questi si aggiungono 18
disposizioni transitorie e finali. I primi 12 articoli della costituzione enunciano i principi fondamentali sui
quali si devono basare tutte le altre leggi. In questi articoli si affermano i valori essenziali per ogni
convivenza civile. Seguono poi due parti: la prima riguarda i diritti e doveri dei cittadini; la seconda contiene
la descrizione della struttura del nostro Stato e descrive il funzionamento degli organi costituzionali: come il
Parlamento, il Presidente della Repubblica, la Magistratura. In sostanza, la Costituzione garantisce al
cittadino diversi diritti ma in cambio, richiede in cambio di adempiere ad alcuni doveri sacrosanti. I primi tre
articoli della Costituzione Italiana sono, a mio giudizio, i più importanti per quanto riguarda i diritti
fondamentali. L’articolo 1 afferma che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” L’Assemblea
costituente, con questo articolo, ha riconosciuto il diritto al lavoro come mezzo di affermazione del singolo
e della sua personalità e nello stesso tempo come strumento di progresso materiale e sociale. L’articolo 2
afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale” Vengono in questo articoli riconosciuti i diritti dell’uomo e
richiesti allo stesso tempo dei doveri di diverso tipo. L’articolo 3 afferma che “Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese” Qui è affermato il principio di eguaglianza di tutti gli uomini: esso è
il principio cardine della nostra Costituzione ed il criterio che condiziona l’interpretazione dell’intero
ordinamento giuridico. Analizziamo ora due degli articoli che sanciscono i doveri del cittadino, ossia gli
articoli 53 e 54. L’articolo 53 afferma che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione
della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” Il pagamento dei
tributi costituisce un dovere di solidarietà che aiuta a costruire quello Stato sociale delineato dall’articolo 3,
comma 2. Infatti, con il versamento delle imposte, il contribuente partecipa alle spese pubbliche necessarie
ad assicurare i servizi pubblici e sociali di cui si avvale la comunità nel suo complesso. L’articolo 54 afferma
che “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le
leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore,
prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” Il cittadino deve essere pronto a giurare fedeltà alla
Repubblica e alla Costituzione Italiana; deve anche rispettarne le leggi. Si sostiene, anche, che il cittadino
che svolge lavori pubblici deve adempiere ai suoi compiti con cura ed essere pronto a prestare giuramento
nei casi stabiliti dalla legge.
Concetto di cittadinanza in Kant ed Hegel
I filosofi Kant ed Hegel hanno delineato differenti concetti di Stato e di funzione del cittadino; essi hanno
anche dato un giudizio personale sulla guerra. Kant propone l’idea di una divisione dei poteri e afferma che
bisogna creare uno Stato repubblicano basato su tre “principi della ragione”: 1)la libertà; 2) l’uguaglianza
davanti alla legge; 3) l’indipendenza dell’individuo in quando cittadino (cioè la capacità di essere “partecipe
al potere legislativo”). Nel contesto in cui Kant ha vissuto, quello della Prussia, il suo pensiero politica ha
assunto caratteri profondamente innovativi. Il suo Liberalismo si contrappone al dispotismo, anche a quello
del sovrano “illuminato”, che pretende di regolare “dall’alto” la vita dei cittadini. Secondo il filosofo un
“governo paternalistico […] è il peggiore dispotismo che si possa immaginare”, perché costringe i sudditi ad
“aspettare che il capo dello Stato giudichi in quale modo essi devono essere felici”. Kant ha ribadito anche
la sua convinzione che bisogna porre fine alle politiche di potenza degli Stati e alle guerre di sterminio, che
rischiano di dar luogo solo ad una “pace perpetua nel grande cimitero del genere umano”. Bisogna quindi
seguire una politica di pace, che può reggersi su almeno tre condizioni positive che sono: 1)una costituzione
repubblicana; 2) un federalismo di liberi Stati; 3) il dovere dell’ospitalità universale. Nella prima condizione,
Kant ha sottolineato il fatto che in un regime in cui i gli individui sono solo sudditi e non cittadini, la guerra è
la cosa più facile del mondo, perché il sovrano non è membro dello Stato, ma ne è il proprietario; in un
regime liberale un freno alle imprese belliche è costituito dal fatto che i cittadini rifletteranno bene prima di
decidere una guerra che potrà coinvolgerli. Nella seconda condizione, in tale federalismo coesisterebbero
Stati diversi (non vi sarebbe, cioè, un unico “Stato dei popoli”), ma tutti sarebbero collocati su un piano di
uguaglianza, senza più la tradizionale egemonia delle grandi potenze. La terza condizione dovrebbe essere
realizzata sulla base del diritto cosmopolitico. Tale diritto riguarderebbe non tanto il rapporto di uno Stato
con i propri cittadini (la prima condizione) o con gli altri Stati (la seconda condizione), quanto il rapporto
con i cittadini degli altri Stati, verso i quali dovrebbe esserci un dovere di ospitalità. Il filosofo Hegel assume
posizioni totalmente divergenti da quelle di Kant. Per quanto riguarda la concezione democratica della
sovranità popolare, egli osserva che, fuori dallo Stato, il popolo è solo una “moltitudine informe”, cioè
disorganizzata, priva di una propria identità che si pone fuori dallo Stato, ponendosi fuori dall’eticità, dalla
razionalità, è fuori dalla realtà, è un insensato. Hegel considera la monarchia costituzionale come l’esito più
maturo dello Stato moderno e vede la Prussia come modello di questa fase suprema di sviluppo dello Stato.
Egli esclude il principio democratico della partecipazione di ogni cittadino al governo dello Stato. Solo
attraverso le diverse forme in cui concretamente partecipa alla vita sociale (ad esempio, nelle classi e nelle
corporazioni), l’individuo può influire sugli affari statali. Hegel ritiene che è impossibile realizzare la pace
perpetua proposta da Kant, in quanto la politica internazionale, e la storia stessa del mondo, si basa
unicamente sui rapporti di forza fra gli Stati. Così Hegel afferma che la guerra ha un valore morale:
permette, cioè, di conservare la salute etica di un popolo contro la tendenza a rafforzarsi degli interessi
particolari. Manzoni e il coro dell’atto III de l’Adelchi
Alessandro Manzoni ha scritto due tragedie, il Conte di Carmagnola (1816-1820) e l’Adelchi (1822). Le
tragedie manzoniane si collocano in una posizione di rottura rispetto alla tradizione del genere. Sono due le
novità: la scelta della tragedia storica e il rifiuto delle unità aristoteliche. Manzoni ha, infatti, collocato i
conflitti dei suoi personaggi in un determinato contesto storico, ricostruito con fedeltà: non c’è bisogno di
inventare fatti, perché nella storia, in ciò che gli uomini hanno effettivamente compiuto, vi è il più ricco ed
affascinante repertorio di soggetti drammatici. Manzoni rifiuta le unità aristoteliche, perché esse
chiudevano lo sviluppo di un’azione in stretti limiti di tempo e luogo: ciò costringe il poeta a far giungere i
personaggi, in poco tempo, alla risoluzione decisiva. Solo liberandosi da queste regole, il poeta tragico può
riprodurre il vero, di costruire caratteri autentici. A mio avviso, la tragedia più interessante, per i suoi
contenuti e per i protagonisti, è l’Adelchi. La tragedia ha come protagonista la bella Ermengarda, figlia di
Desiderio re dei Longobardi, che viene ripudiata dal marito Carlo Magno e torna dal padre. Desiderio vuole
vendicarsi costringendo il papa Adriano a incoronare re dei Franchi i figli di Carlo Magno rifugiatosi presso
di lui. Giunge a Desiderio un messo di Carlo Magno che gli intima di rinunciare a questa richiesta: Desiderio
rifiuta e la guerra è dichiarata. Le truppe longobarde sono comandate dal figlio di Desiderio, Adelchi. Vani
sono i suoi tentativi di opporsi ai Franchi: a Verona avviene lo scontro decisivo, dove Adelchi perde la vita.
Ermengarda muore di dolore, in seguito alla notizia delle nuove nozze di Carlo Magno mentre Desiderio
viene preso prigioniero. La tragedia si conclude quindi con la vittoria dei franchi sui longobardi. Nella
tragedia è assai significativo il coro dell’atto III, perché Manzoni, prendendo spunto dalle vicende narrate
nella tragedia e confrontandole con gli avvenimenti attuali del paese, manda agli Italiani un messaggio
politico. Il poeta manda un ammonimento agli Italiani, affinchè non facciano affidamento su forze straniere
per la loro liberazione nazionale. Infatti Vittorio Emanuele III aveva chiesto aiuto al re dei francesi,
Napoleone III, per liberare la Lombardia dagli Austriaci. In sostanza, gli Italiani hanno ottenuto questo
territorio solo grazie all’aiuto di una potenza straniera. Manzoni infatti invita gli Italiani a non contare su
forze straniere per la liberazione. L’invito non è espresso in forme oratorie e predicatorie, ma accostando i
protagonisti della tragedia a quelli della vicenda politica italiana. Ad esempio, il papa Adriano rappresenta
l’Italia, che chiede aiuto ai franchi ed a loro re Carlo Magno (rappresentano la Francia e Napoleone III), per