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Sintesi
Introduzione Solitudine e Creazione tesina


La seguente tesina di maturità presenta i temi della solitudine e della creazione, permettendo vari collegamenti interdisciplinari: in italiano viene presentato il pensiero letterario di Gabriele D'Annunzio, in Filosofia Nietzsche, in Storia le due figure di Stalin e di Hitler, in Inglese Oscar Wilde.
La tesina continua con l'analisi dei seguenti argomenti: in Francese Charles Baudelaire, in Latino Tacito, in Geografia astronomica la formazione dell'universo, in Greco Sofocle e in Fisica Maxwell.


Collegamenti

Solitudine e Creazione tesina


Italiano - D'Annunzio.
Filosofia- Nietzsche
Storia - Hitler e Stalin.
Inglese -Oscar Wilde.
Francese- Baudelaire.
Latino - Tacito.
Geografia astronomica - La formazione dell'universo.
Greco - Sofocle.
Fisica - Maxwell.
Estratto del documento

verso la madre. Una delle figure forse più emblematiche della letteratura francese.

Pieno di debiti e sogni di ribellione, condusse una vita difficile. Tentò di rimediare alla

sua solitudine prima con l’amore tormentato con Jeanne Duval, ma si sa, gli artisti

difficilmente riescono a chiudersi in una relazione stabile, allora decise che l’unico

modo per scappare all’”umore nero” erano i paradisi artificiali, la droga, il vino. Non

era un semplice fuggire da vigliacco. Baudelaire ci vedeva qualcosa nel vino. Nella

poesia “Le vin du solitaire” che si trova nei “Fiori del male”, il poeta da vita alla

bottiglia e la elogia. Solo ella poteva renderlo “trionfante e simile a Dio”.

C’era chi invece scappava dalla propria sofferenza scegliendo di vivere circondato

dall’arte, lontano dalla vita e dalla gente mediocre. C’era chi sceglieva di vivere

seguendo i principi dell’estetismo, come ad esempio Oscar Wilde. La sua vita fu breve

ed intensa, visse solamente 46 anni e fra questi ci furono anni davvero difficili per lui.

Visse durante l’età vittoriana, un periodo nel quale tutto ciò che era diverso dal

comune non era accettato, un periodo di ipocrisie e falsità. Wilde si faceva notare per

la sua stravaganza nel vestire e nel pensare, era un Dandy e la prima regola da

seguire nel dandismo era proprio “vivere la vita come un’opera d’arte”. Wilde riuscì a

fare scalpore con le sue opere e con la sua vita privata, lasciata la moglie, si dichiara

omosessuale e inizia una storia con Alfred Douglas, uomo crudele e superficiale che lo

lascerà morire a Parigi in povertà e solitudine. L’unica opera di Wilde è “Il ritratto di

Dorian Gray”, chiave di lettura è la Bellezza, fondamentale credo per Wilde. Per questa

Bellezza, Dorian venderà la propria anima ad un ritratto che invecchierà e si

macchierà delle sue colpe per lui. La sua vita, anziché migliorare, degenererà. Il

ritratto diventerà un’ossessione, un demone per Dorian, che sempre più solo e folle,

arriverà a stracciarlo, uccidendo anche sé stesso. Proprio nella prima pagina del

romanzo ritroviamo una prefazione dedicata interamente all’arte ed all’artista “che

può esprime qualsiasi cosa”. L’arte che per essere tale non deve avere fini pratici, non

serve al lucro, ma è inutile e questa inutilità, agli occhi di Wilde, la rende meravigliosa.

Scrive inoltre “I libri sono scritti bene o scritti male. Questo è tutto”. il suo libro è

effettivamente scritto bene, possiamo concludere.

In Italia, qualcuno seguì l’estetismo, anche se in modo diverso. Si parla di Gabriele

D’Annunzio. Egli fece della sua vita la più grande opera d’arte. Rendeva reale

l’estetismo, non si fermava solamente a descrivere personaggi “tutti impregnati

d’arte”, ma egli stesso indossò per gran parte della sua vita la maschera dell’esteta,

rifugiandosi in un mondo di pura arte, disprezzando il vivere comune borghese. Questa

fase estetizzante incontrò un periodo di crisi negli anni Novanta, ma tornò più forte di

prima, seguendo la filosofia dell’Oltreuomo di Nietzsche, all’arte si aggiungeva il

“vivere inimitabile”. A creargli intorno un alone di mito contribuivano anche i suoi

amori tormentati, come quello con l’attrice Eleonora Duse. Stupiva anche la sua villa

della Capponcina, sui colli di Fiesole, dove conduceva una vita da principe

rinascimentale. A differenza di Wilde però, D’Annunzio ci crede di meno, non mette a

rischio la sua vita ed i suoi guadagni per la sua arte, è uno scrittore che vuole mettersi

in primo piano, legato alle esigenze del mercato e ciò che lui stesso diceva di

disprezzare di più, ovvero il denaro. Egli infatti afferma “ lusso

Io sono un animale di ; e

superfluo Questa contraddizione non verrà mai superata e

il m'è necessario come il respiro.”

proprio nel”Piacere”, il primo romanzo di D’Annunzio, si renderà conto della debolezza

di questa figura. Il protagonista Andrea Sperelli è un doppio dello scrittore, un giovane

aristocratico, con una personalità fragile. Per Andrea, la maschera da esteta lo priverà

di ogni energia morale e creativa. La vera crisi la troverà nel rapporto con la donna,

attratto dalla donna fatale, Elena Muti, alla fine sceglierà la donna angelo, Maria

Ferres, usandolo come gioco sessuale. Verrà abbandonato da quest’ultima, resasi

conto del fatto che il suo uomo fosse preso realmente da un’altra donna. L’esteta

rimarrà solo, nel suo vuoto e nella sua sconfitta.

Non sempre però si parla di creazioni positive. “Chi non ama la solitudine, non ama

neppure la libertà” diceva Schopenhauer, ma ritengo siano pochi gli uomini che

riescono davvero ad accettare la loro condizione solitaria, senza sfociare nella pazzia,

nel rancore o nell’odio verso gli altri. Sofocle, ad esempio, nelle sue tragedie ci

presenta sempre dei personaggi grandiosi, ma rinchiusi nel loro dolore, nella loro

solitudine. Prendiamo in considerazione l’”Elettra”, una tragedia completamente

focalizzata su questa ragazza che, dopo aver perso il padre per mano della madre

Clitemestra, ed il fratello, esiliato dal nuovo sposo della madre, Egisto, si ritrova

completamente sola in quella che una volta era la sua casa, il suo palazzo a Micene.

La ragazza, tenuta in disparte per paura che generasse un figlio che si potesse

vendicare della morte di Agamennone, si richiude in sé stessa, rimugina sul suo

passato, sulla sua sofferenza, sulle due figure maschili ormai perse, sulla figura della

madre, verso la quale non prova più affetto, ma solo odio, una madre che è diventata

per lei solamente una padrona crudele. Elettra si nutre di odio nel suo isolamento, si

lascia riempire dal rancore, anche se sarà incapace di portare a termine la sua opera,

ovvero il matricidio, senza prima ritrovare il fratello Oreste. Grazie a lui, la madre verrà

uccisa. Notiamo quanto odio avesse covato Elettra, quando Oreste che sta per

uccidere la madre, ha un momento di esitazione e sua sorella lo incita, pronunciando

la famosa frase “colpisci ancora, colpisci una seconda volta”.

Simile è il comportamento di Nerone. Nemmeno lui riesce a compiere il matricidio con

le sue mani, ma attraverso quelle del liberto Aniceto. Questo imperatore emblematico

viene descritto negli “Annali” di Tacito. Lo storico mette in luce le tare psichiche di

Nerone ed il gusto criminale. La sua corte diventa palcoscenico di drammi, fra cui

proprio il matricidio di Agrippina. Nerone arriva a negare valori indissolubili come il

legame fra madre e figlio. Calpesta ogni tipo di affetto. La sua solitudine e follia crea il

gesto orribile, ma crea anche la solitudine e l’angoscia di Agrippina, che si sente

persa, tradita ed aspetta una fine vicinissima. Possiamo dedurre quindi che la

solitudine non crei solamente azioni folli o opere d’arte, ma che possa creare di

rimando altri sentimenti negativi in chi ci circonda. Alla fine, Agrippina sceglie di farsi

pugnalare dai carnefici proprio nel ventre che ha generato il mandante dell’omicidio. E

la frase “tu quoque me deseris” rimanda alle ultime parole di Cesare mentre veniva

ucciso da Bruto.

Il folle e crudele imperatore ci fa pensare ad un’altra figura fondamentale nella storia

dell’Europa del Novecento. La figura di un leader che prese in mano le sorti di

un’intera nazione, Adolf Hitler. Forse pensando a quest’uomo, si pensa ad una mente

eccelsa, ad un oratore preparato e con solidi studi alle spalle. Eppure il vero Hitler è

quell’uomo che, nel periodo fra le due guerre, conduceva una vita ai margini della

società, più semplicemente, era un fallito. Senza un titolo di studio e nessuna

possibilità di lavoro, Hitler partecipò come volontario alla Grande Guerra, ma venne

considerato “inadatto al comando”, affermazione paradossale in quanto quindici anni

dopo, si ritrovò padrone della Germania. Il suo talento da oratore lo portò a

conquistare le masse, i ceti medi e gli estremisti. Più che sulla capacità decisionale,

che scarseggiava, fece affidamento sul suo carisma personale. Infatti, se notiamo, i

suoi slogan e formule di propaganda erano molto semplicistiche e prive di rigore e

profondità. Ma la Germania aveva, in fondo, bisogno di qualcuno che prendesse in

mano la situazione. Piena di debiti di guerra, nonostante gli aiuti Statiunitensi col

piano Young, dopo la crisi del 29, la Germania era in piena crisi economica. Rifondato il

partito Nazista, protettosi con la creazione delle SS e delle SA, Hitler si proponeva

come risolutore di qualsiasi problema. Avrebbe eliminato la disoccupazione, avrebbe

riportato la Germani al suo splendore e dopo aver partecipato alle elezioni del 30, nel

1933 Hitler è a capo del governo. Nasce il Terzo Reich, non uno stato, ma un impero,

dopo quello di Carlo Magno e degli Hohenzollern. Vengono eliminati i sindacati, il

parlamento, tutti i poteri sono del Furher, tutti coloro che la pensano in modo diverso

vengono portati nei campi di concentramento, che in seguito diventeranno l’inferno

degli ebrei.

Un solo leader, la figura solitaria di Adolf Hitler che vuole creare uno stato totalitario a

sua immagine e somiglianza. Non scherzava. Come ci spiega la Arendt il regime

totalitario si basa sul potere nelle mani di un solo, sull’imposizione di un’ideologia, sul

controllo della società, su di un partito unico e sulla violenza. Proprio questo fece

Hitler, si rese indispensabile allo stato. Divenne la coscienza della Germania, la fonte

del diritto e della legittimità. Impose un’ideologia, ovvero quella dello stato totalitario,

nel quale tutti gli uomini sono uguali e ariani, appartenenti alla razza superiore, una

razza che doveva lottare per la propria purezza, eliminando le razze inferiori. Con la

sua continua propaganda controllò le menti dei tedeschi, infatti afferma “ In una riunione

massa . Il singolo veniva

di il pensiero è eliminato. Ed è proprio questo lo stato mentale che io voglio”

completamente assoggettato ai voleri dello stato, al bene comune. Ed, infine, eliminò

chi era scomodo, chi era un pericolo per lo stato e lo fece con la violenza. Dopo le

Leggi di Norimberga e la notte dei coltelli, più di 30.000 ebrei vennero portati

all’inferno e non tornarono.

Se parliamo di Hitler, come possiamo lasciare da parte l’uomo d’acciaio, il dittatore

sovietico, Stalin.

Prese in mano l’URSS, anche se nel testamento di Lenin era scritto chiaramente di

allontanare dallo stato quell’uomo troppo freddo e pericoloso per lo stato. In un primo

momento venne ostacolato da Trockij che proponeva una “rivoluzione permanente”

che non toccasse solo l’Unione Sovietica, ma anche altri paesi dell’Unione Europea,

ma Stalin ebbe la meglio anche su di lui, con la sua “rivoluzione in un solo paese”. In

modo simile ad Adolf, anche Stalin voleva rinforzare il proprio paese, renderlo

indipendente da tutti gli altri. Procedette alla collettivizzazione forzata delle terre e chi

ne pagò i conti furono i kulaki, i contadini possidenti, che ribellatisi vennero eliminati

fisicamente. Le terre vennero rese proprietà dello stato, per far sì che la produzione

arrivasse al massimo. Controllò anche lui le menti dei suoi cittadini, rendendo il lavoro

un valore morale. Secondo lo stacanovismo, propagandato dal regime, prendendo

come modello il minatore Stachanov, l’uomo che lavorava senza dare segni di sforzo e

che lavorava al massimo era un uomo giusto, un uomo da rispettare. Venne istituito il

sabato comunista, ovvero una giornata non retribuita, dove il lavoro era

completamente dedicato e possiamo dire regalato allo stato.

Stalin non era un uomo comune, era diverso da tutti gli altri. Aveva una grande

risolutezza, ma anche un carattere crudele e schivo che sfociò in comportamenti

malsani e paranoici. Dopo aver eliminato i kulaki e tutti gli oppositori, la paura che

qualcun altro potesse ribellarsi e togliergli il potere, lo portò a vedere chiunque come

un nemico. Si richiuse nel suo silenzio e nella sua solitudine, diffidando addirittura del

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