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Introduzione Sogno, tesina
La seguente tesina di maturità per liceo classico vuol esser un viaggio nel mondo del sogno. I collegamenti presenti in questa tesina classica sono:
Filosofia - L'interpretazione dei sogni di Sigmund Freud
Italiano - "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo e "il sogno" di Giacomo Leopardi
Latino - Somnium Scipionis di Cicerone
Greco - Il sogno di Medea di Apollonio Rodio
Storia - Il sogno americano
Inglese - The great Gatsby di Francis Scott Fitzgerald
Lo stile delle profezia si concentra sul piano formale con una serie di tempi futuri,
presenti nel paragrafo 3, e trova sottili riscontri espressivi nello stile allusivo degli
enunciati del paragrafo 4 “ eius temporis ancipitem video quasi fatorum viam” e nella
forma arcaica del simbolismo aritmetico “ cum aetas tua septenos octiens solis
anfractus reditusque converterit”; mentre la rivelazione del destino delle anime è
introdotto dall’imperativo “sic habēto” caratterizzato delle prescrizioni di leggi e dei
testi dal qule la profezia acquista solennità.
Il Paragrafo 5 enuncia il tema di fondo del Somnium “omnibus qui patriam
conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum0 locum, ubi beati
aevo sempiterno fruantur”, Cicerone prende come spunto le idee dei pitagorici,
secondo cui il cielo , e precisamente la Via Lattea, era un luogo riservato ai grandi
sapienti. Platone aveva attribuito un analogo destino ai filosofi, i quali evitano la
contaminazione corporea e pertanto sono degni di accedere per primi alla <<vera
Terra>>. Per Platone i filosofi sono i veri reggitori degli stati in quanto hanno una
cognizione teorica della giustizia ; per Cicerone, invece, il grande uomo di stato non
è il filosofo bensì il magistrato , o un oratore o, ad ogni modo, un uomo che sappia
dare attenzione alla virtù. 19
Greco
Apollonio Rodio - Le Argonautiche “ il sogno di
Medea”
“Un sonno profondo riposava dai suoi dolori
Medea, distesa sul letto. Ma la turbavano sogni terribili,
ingannatori, come succede a chi è in preda all'angoscia.
Le sembrava che lo straniero affrontasse la prova
non per il desiderio di portar via il vello d'oro,
che non per questo fosse venuto alla reggia
di Eeta, ma per portarla nella sua casa
come legittima sposa. E vedeva se stessa
lottare coi tori e sconfiggerli agevolmente;
ma i suoi genitori mancavano alla promessa,
dicendo che non a lei avevano dato l'incarico
di aggiogare i tori, e tra gli stranieri e suo padre
sorgeva una lite insanabile. Entrambe le parti
si rimettevano a lei: sarebbe stato ciò che sceglieva il suo cuore.
E lei sceglieva subito: lasciava i suoi genitori
per lo straniero. Loro, li prese un immenso
dolore e diedero un grido d'ira furente.
Sparve il sonno a quel grido e balzò su tremando
per la paura e guardò intorno i muri della sua stanza:
a stento riprese fiato nel petto, e gridò:
"Me infelice, quale terrore mi ha dato il sogno angoscioso!
Temo che da questo viaggio sorga un'enorme sciagura.
Palpita per lo straniero il mio cuore. Là, nella sua patria lontana,
sposi una donna greca: io devo darmi pensiero
della mia vita di vergine, della casa dei miei genitori.
Tuttavia voglio crearmi un cuore che sia pronto a tutto
e non restare più sola, ma tentare, se mai mia sorella
mi chieda aiuto in questo frangente, temendo per i suoi figli.
Sì, questo potrebbe spegnere dentro il mio cuore la pena".
Disse, e si alzò dal letto, e aprì di colpo la porta,
vestita della sola tunica e a piedi nudi:
voleva vedere Calciope subito, e varcò la soglia
del cortile, ma poi lungo tempo restò nel vestibolo,
trattenuta dalla vergogna, e si volse, e tornò indietro,
e dalla sua camera di nuovo si gettò fuori e di nuovo
rientrò: inutilmente i piedi la portavano avanti e indietro.
Quando avanzava, la vergogna la teneva ferma là dentro;
trattenuta dalla vergogna, la spingeva il desiderio possente.
Per tre volte tentò, e si fermò per tre volte. Alla quarta,
si sentì mancare, e cadde prona sul letto.
Come una giovane sposa piange nella stanza nuziale
lo splendido sposo a cui l'hanno data i genitori e i fratelli, 20
e per vergogna e riserbo non si mescola alle sue ancelle -
resta seduta in disparte, e soffre il dolore -
lui l'ha ucciso il destino, prima che entrambi godessero
il reciproco amore; piange la donna straziata
in silenzio, e fissa gli occhi sul letto vuoto,
temendo il sarcasmo e le ingiurie delle altre donne:
Medea.”
così piangeva (Argonautiche, III vv.616-667)
Apollonio Rodio è l’autore delle Argonautiche, un classico poema epico in quattro
libri che narra le gesta di Giasone e dei suoi compagni, diretti
nella Colchide per impadronirsi del vello d’oro.
Il vello d’oro era la pelle dell’ariete che Ermes inviò a Nefele, e
che in seguito Pelea ordinò proprio all’eroe greco Giasone di
conquistare.
Nefele era madre di Frisso ed Elle e sposa del re greco Atamante,
che tuttavia la ripudiò per sposare Ino. Comprendendo che la vita
dei propri figli era seriamente minacciata dalla gelosia della
matrigna, Nefele chiese aiuto agli dei. Giunse dal cielo un ariete
alato dal vello d’oro, che caricò i ragazzi sul dorso e li portò in salvo volando verso
est. Ma mentre attraversava lo stretto che divide Europa ed Asia, Elle scivolò e cadde
in acqua; il tratto di mare in cui annegò da lei prese il nome di Ellesponto. L’ariete
condusse Frisso al sicuro nella Colchide dove fu ben accolto dal re Eete e, per
gratitudine verso gli dei che gli avevano salvato la vita, sacrificò l’ariete a Zeus.
In seguito, Frisso affidò il prezioso vello d’oro a Eete, che lo espose in un boschetto
dall’occhio vigile di un drago che non dormiva mai. Molto anni
sacro, custodito
dopo, gli Argonauti, guidati da Giasone, riusciranno a impadronirsi del vello d’oro
con l’aiuto della figlia di Eete, Medea.
Proprio alla figura di Medea Apollonio Rodio ha dato, nel suo poema, grande rilievo.
La nota saliente è il modo in cui l’autore ha tratteggiato la figura, in un primo
momento, di un’adolescente innamorata, stupita e disorientata di fronte al nuovo
sentimento che sente nascerle in seno.
Medea, dal primo momento che vede Giasone, è rapita da lui; ella grida non appena
lo vede; prova una sensazione che non è ancora amore ma è indice di un sentimento a
lei sconosciuto. 21
In seguito Apollonio indugia nel descrivere Medea che, tornata a casa, pensa e
ripensa a Giasone, a quell’uomo che le sembra il più bello di tutti, ai suoi gesti, al suo
modo di camminare, di parlare; si sente attratta verso quell’uomo e non sa ancora
perché.
E’ un sogno che rivela a Medea il suo amore, o meglio è Medea che lo confessa a se
stessa attraverso l’incoscienza del sogno, arrivando addirittura ad auto-convincersi
che Giasone è arrivato lì solo per portarla via con sé e farla sua sposa. Certo, perché il
sogno si avveri, ella sa che Giasone deve, comunque, portare a termine l’impresa per
cui”ufficialmente” giunto in quella città: rubare il vello d’oro. Inoltre, l’impresa è
difficile e la fanciulla non può neanche sopportare l’idea che all’uomo di cui si è
innamorata possa succedere qualcosa: deve aiutarlo. Ma aiutare Giasone significa
tradire la sua gente, la sua famiglia. Pensa allora di diventare sua complice e poi
suicidarsi, ma così comunque attirerebbe il disonore su di lei e sulla sua famiglia;
infine, decide di uccidersi subito, per non compiere un’azione terribile e infamante.
Medea, però, è pur sempre una giovinetta e, subito dopo aver pensato alla morte,
torna in lei, prepotente, la vita ed ella ricorda quanto le sia cara. Tormentata da tali
pensieri, Medea indugia qualche tempo sul da farsi ed è un ritratto finemente
psicologico quello che ne traccia Apollonio: Medea dibattuta, lacerata e altalenante
tra vari, discordi e impetuosi pensieri.
Inoltre, è una figura del tutto originale nell’ambito della letteratura amorosa; per la
prima volta, con Apollonio, viene rappresentato il sentimento amoroso intriso di una
tale passione che porta al delitto, quello del fratello Absirto. Infatti, partita con
Giasone alla volta della Grecia, per non farsi raggiungere fa a pezzi il fratellino,
gettando le parti del suo corpo dietro di sè e ritardando così l’inseguimento di Eete
che pietosamente si ferma a raccoglierle. La descrizione letteraria dell’amore, sino a
quel momento, era stata, infatti, molto più pudica e riservata.
Nell’omonima tragedia di Euripide, Medea è una figura totalmente diversa: non è più
una fanciulla, ma una donna, madre di due figli e concubina di Giasone da alcuni
anni. Ella ha seguito Giasone in Grecia, a Corinto, è stata da lui amata, ma non
sposata, in quanto barbara. A turbare la loro convivenza sopraggiunge la decisione di
Giasone di abbandonarla per sposare Glauce, figlia di Creonte, il re di Corinto.
Da questo episodio prende le mosse la tragedia, con l’entrata in scena del
personaggio della nutrice. Quest’ultima esorta i due figli di Medea a stare attenti ai
22
modi violenti della madre; Medea infatti ha saputo che il re Creonte vuole cacciare
dal paese lei e i suoi figli, per cui è in preda alla disperazione e all’ira. Pertanto, il
pubblico si aspetta l’ingresso in scena di una creatura furiosa, quand’ecco che appare
Medea, calma e padrona di sé. Ella si rivolge alle donne di Corinto,il coro, e
comunica loro la sua intenzione di vendicarsi del torto ricevuto da Giasone. Le donne
corinzie sono d’accordo con lei perché, in quanto donne, conoscono bene la difficoltà
e la precarietà della loro condizione. In Grecia, infatti, la donna non godeva di molti
diritti, in particolare se straniera.
Medea è appoggiata dal coro perché nessuno è al corrente della vendetta che intende
attuare: uccidere la sposa di Giasone e il padre di lei. Infatti fingendosi rassegnata,
manda alla novella sposa come dono di nozze una veste candida che, appena
indossata dalla ragazza, sprigiona fiamme indomabili che la bruciano insieme al
padre accorso in aiuto, e, per vendicarsi appieno del suo uomo, ucciderà anche i loro
figli. Medea, in pratica, ucciderà per vendetta i suoi stessi figli. Il momento cruciale
in cui Medea decide di uccidere i propri figli è molto toccante e viene descritto con
grande intensità. La protagonista va incontro ai bambini ma, non appena li vede,
cadono tutti i suoi propositi. Prende coscienza di non poter compiere un atto così
atroce che, alla fine, le si ritorcerà contro, causandole un dolore ancora più grande di
quello che sta provando, ma poi prevale il desiderio di vendetta, la paura di diventare,
impuniti i propri nemici, “oggetto di scherno”.
lasciando
Proprio in questa alternanza di pensieri ci sembra di riconoscere la Medea di
uccidersi o aiutare l’amato. Ma vi è però
Apoll