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Storia: Lo sterminio ebraico
Storia dell'Arte: Maus, fumetto di Art Spiegelman
Tedesco: Voelkische Bewegung (movimento antisemita popolare)
Filosofia: Hannah Arendt
L S – I
A HOAH NTRODUZIONE
Shoah è una parola ebraica che significa «catastrofe», e ha sostituito il termine
«olocausto» usato in precedenza per definire lo sterminio nazista, perché con il suo
richiamo al sacrificio biblico, esso dava un senso a questo evento e alla morte, invece
insensata e incomprensibile, di sei milioni di persone.
La Shoah è il frutto di un progetto d’eliminazione di massa che non ha precedenti,
difatti è stato coniato il termine genocidio per riuscire a definire lo sterminio di un
intero popolo.
La domanda che sorge spontanea è: come mai l’Europa, che si è sempre definita un
paese civilizzato, ha potuto permettere la morte di 6.000.000 di anime innocenti?
L’antecedente principale fu l’odio antisemita, conduttore della politica nazista. Nel
1935 a Norimberga fu varata una legislazione che confinava gli ebrei
all’emarginazione. Tre anni dopo, l’Italia, abbraccia questo aberrante sistema di
“difesa della razza” escludendo gli ebrei dalla vita del resto del paese. Il problema di
fondo è che non è il primo fatto riscontrabile nella storia, le più comuni forme di
antisemitismo furono i pogrom (sommosse appoggiate dallo Stato contro la
popolazione ebraica) provocati da campagne diffamatorie violente, spesso con la
diffusione di voci false sull’uso, da parte degli ebrei, di sangue di bambini cristiani a
scopo rituale. Verso la fine del Diciannovesimo secolo, partiti politici antisemiti
vennero fondati in Germania, Francia e in Austria diffondendo pubblicazioni come “Il
Protocollo degli Anziani di Sion” che affermavano teorie di una cospirazione
internazionale ebraica.
Nel diciannovesimo secolo nacque anche il “Voelkische Bewegung”, formato da filosofi
tedeschi, artisti, letterati, i quali consideravano lo spirito ebraico estraneo allo spirito
tedesco – essi perpetravano l’idea che gli ebrei non fossero realmente cittadini
tedeschi.
“Dominare il Mondo”- cantavano le giovani SS. Le mire di potere di Hitler non avevano
confini, egli voleva creare un uomo interamente rinnovato, forse erroneamente
ispirato al superuomo di Nietzsche; egli voleva estirpare il cristianesimo per sostituirlo
“[…]una fede forte ed eroica,
con una nuova morale contenuta nel “Mein Kampf”:
in un nuovo invisibile Iddio del destino e del sangue. […]”
Soltanto un culto, quindi una religione poteva portarlo alla meta, e il Fuerer andava
modellando la popolazione tedesca al fine di riuscirci.
Dunque è stato affermato che il nazismo è stato soprattutto una religione. Dimostrare
ciò ci allontanerebbe troppo da nostro tema; ci basta osservare le tre caratteristiche
che definiscono una religione:
- La percezione di una potenza superiore;
- La sottomissione ad essa;
- Le relazioni con essa. 4
Tutte e tre le caratteristiche erano incontestabilmente presenti. Ma sarebbero state
nozioni vaghe se non si fosse opposto agli occhi dei fedeli un entità malvagia, un anti-
razza, gli ebrei rappresentavano il “Diavolo” in questo culto insensato. L’adorazione
della divinità è stimolata se si scatena l’odio contro l’Impuro.
E l’ebreo non era solo impuro, ma era impuro anche tutto ciò che veniva a contatto
con esso.
Una parte della colpa dello sterminio ebraico va attribuita quindi alla popolazione
tedesca, poiché pochi non avrebbero mai potuto causare quello che è stato il
genocidio ebraico senza il consenso del popolo.
L S
E TAPPE DELLA HOAH
Inizialmente il sistema prescelto da Hitler per “ripulire” la Germania dagli ebrei fu
quello di rendergli le condizioni di vita intollerabili, attraverso una legislazione
oppressiva, al fine di costringerli ad emigrare. Tuttavia, questo metodo non ottenne i
risultati sperati (1933-1939), in quanto l’obiettivo del regime nazista era rendere il
Reich “Judenfrei” ovvero “libero dagli ebrei”.
I dati risalenti a quel periodo ci mostrano che dei 520.000 ebrei che vivevano in
Germania, ne restavano 350.000 nel 1938. Essendosi verificato l’Anschluss nello
stesso anno, i tedeschi si trovarono a dover “affrontare” anche gli ebrei austriaci,
stimati a 190.000.
Erano troppi gli ebrei da far emigrare, quindi era un progetto fallimentare. Ogni
qualvolta la Germania si espandeva, il numero degli ebrei cresceva e le nazioni estere
non furono in grado o non vollero accogliere l’ondata di ebrei che fuggiva dal Terzo
Reich.
Hitler allora ebbe un’altra idea, decise di trasferire gli ebrei in un luogo distante dalla
Germania. Il luogo venne individuato nell’isola di Madagascar, ma la resistenza della
Gran Bretagna impediva la realizzazione del progetto.
Nel 1940 la situazione è “degenerata” per Hitler, in quanto il numero degli ebrei non
ammontava più 540.000 bensì si assommava a 2.000.000 di persone, in quanto sono
inclusi anche gli ebrei polacchi.
Inizialmente il Fuehrer aveva in mente l’emigrazione forzata ebraica fuori dai confini
del Reich, ma il suo obiettivo divenne più ambizioso: difatti egli voleva eliminare
l’influenza ebraica da tutti i territori al di fuori del controllo dell’asse.
Hitler pensava a nuove possibili soluzioni.
I G O
HETTI AD RIENTE 5
Con l’invasione da parte della Germania del Belgio, dell’Olanda, della Francia, della
Norvegia, e della Danimarca, bisognava rendere “Judenfrei” tutta l’Europa. Di
conseguenza Hitler, decise di concentrare tutti gli ebrei nei territori polacchi occupati,
quindi optò per la creazione di grandi ghetti.
Non dobbiamo dimenticarci che fra i capisaldi della dottrina di Hitler troviamo anche il
pensiero che la Germania aveva bisogno di più “spazio vitale”, e quest’ultimo era
appunto riscontrabile nell’Est Europa; i territori conquistati dal Fuehrer dovevano
essere destinati ai tedeschi che avrebbero dovuto insediarcisi.
Quindi “la soluzione finale” del problema ebraico divenne una soluzione “transitoria”
in attesa della fine della guerra, in quanto sarebbe stato il momento più opportuno per
trovare una soluzione alternativa.
La Shoah si può sintetizzare in 5 fasi distinte:
1. La privazione dei diritti civili degli ebrei;
2. L’espulsione di quest’ultimi dal territorio germanico;
3. La creazione di ghetti, al fine di separare la popolazione germanica dalla
popolazione ebraica, costringendola a distaccarsi dalla loro vita quotidiana
vivendo in condizioni di precarietà sia economica che sanitaria. I ghetti vennero
circondati dal filo spinato e sorvegliati dalle guardie tedesche giorno e notte.
4. Il rastrellamento ebraico, eseguito dalle Einsatzgruppen, le quali trucidarono ed
uccisero una moltitudine di ebrei imprecisata;
5. La deportazione degli ebrei nei campi di sterminio, ove essi venivano selezionati
immediatamente e veniva decisa la loro sorte, che era:
a. Essere uccisi subito, con l’ausilio delle camere a gas; 6
b. Essere inviati nei campi di lavoro e sfruttati fino all’esaurimento delle
loro forze. In ogni caso era prevista la loro eliminazione.
“Se questo è un uomo”
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che tornando a sera trovate
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no .
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno. 7
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi. Primo Levi.
Si sa che esiste una nutrita letteratura sulla vita nei campi di concentramento.
Nessun libro però, riesce a dare al lettore l’idea della condizione umana degli ebrei nei
campi di concentramento più di quanto abbia fatto Primo Levi una semplice poesia.
Mentre negli altri racconti, si cerca di sensibilizzare il pubblico narrando dì crudeltà e
violenza, cercando di colpire il lettore, in questa poesia Levi ha dato testimonianza
dell’inferno da lui stesso vissuto, in una prospettiva psicologica, di dignità calpestata e
di abiezione dell’uomo di fronte al genocidio.
Levi scrive il romanzo “Se questo è un uomo” appena fa ritorno dal campo di
concentramento di Auschwitz in Polonia, narrando tutti gli orrori che lui e i suoi
compagni hanno dovuto vedere, o soffrire. Ciò che conferisce forza alla
rappresentazione è l’assenza di emotività e di retorica, unità alla lucidità di scrittura,
riuscendo a fissare un quadro di orrore indicibile nelle nostre menti.”Se questo è un
uomo” non è solo un libro di memorie, bensì è anche uno studio acutissimo, sulle leggi
che regolano quella società anormale che è il Lager. La chiarezza “scientifica” dello
sguardo, è una prerogativa costante dello scrittore.
L A VITA
Quest’autore nasce nel 1919 a Torino, e si
laurea in chimica nel 1941. Partecipo nel
1943 alle formazioni partigiane di Giustizia
e Libertà, e venne catturato nello stesso
anno dai nazifascisti e deportato nel campo
di concentramento di Auschwitz, dove
rimase sino alla liberazione da parte
dell’Armata Rossa avvenuta nel 1945. Fu
uno dei pochissimi sopravvissuti arrivati con
lui al campo.
L’autore attribuì la sua sopravvivenza a una
serie di coincidenze ed incontri fortunati. Di 8
rilevante importanza è l’incontro con Lorenzo Perrone, un muratore che gli fece avere
regolarmente del cibo. In un secondo momento, nel 1944, Levi venne esaminato da
una commissione di selezione, incaricata di reclutare chimici per le Buna, una fabbrica
di proprietà della IG Farben, dove svolse mansioni meno faticose ed ebbe modo di
contrabbandare del materiale al fine di ottenere del cibo extra.
Infine nel 1945 lo scrittore si ammalò di scarlattina e venne trasferito nel Ka-be
(“Krakenbau” in italiano: infermeria del campo), riuscendo a scampare alla marcia di
evacuazione di Auschwitz.
Le opere successive di Levi si muovono nella direzione del racconto. Ritroviamo “La
Tregua”, che ci mostra il difficoltoso viaggio di ritorno che compiono gli ebrei,
attraverso tutta l’Europa, verso la loro vecchia patria. La “Tregua” è ancora un’opera di
memoria, non d’invenzione, ma ha un taglio narrativo. In questo libro ritroviamo le
sofferenze e le pene alleviate da un sottile humour, difatti la narrazione assume una
dimensione avventurosa.
Le seguenti opere dell’autore riprendono la sua visione tecnico-scientifica in quanto è
influenzato dalla sua formazione chimica. Mentre la sua produzione finale riprende il
tema ebraico nel suo romanzo “Se non ora, quando?” e narra la vicenda di partigiani
israeliti dell’Europa orientale. Inoltre all’esperienza dei Lager è dedicato l’ultimo libro
di Levi, un saggio “I sommersi e i salvati”; in quest’opera l’autore si pone interrogativi
tormentosi ed angosciosi, e qui non ritroviamo più la compostezza e la visione
distaccata e scientifica del’autore.
Muore suicida nel 1987. 9
Maus, RACCONTO DI UN SOPRAVVISSUTO
A S
RT PIEGELMAN
Art Spiegelman nasce a Stoccolma nel 1948 da genitori ebrei polacchi rifugiati, che
presto si trasferiscono negli Stati Uniti. Già al liceo studia fumetto e illustrazione,
crescendo artisticamente nello straordinario fervore culturale del movimento
underground newyorkese. Sulle sue pagine che nei primi anni ’80 vede la luce a
puntate la prima parte di "Maus, racconto di un sopravvissuto".
Nel 1986 essa viene raccolta in un volume e riscuote un immediato successo,
divenendo un autentico caso letterario. La seconda parte esce nel 1991 ed è di nuovo
un trionfo di pubblico e di critica: l’anno successivo Spiegelman è il primo fumettista
della storia ad essere insignito del prestigiosissimo Premio Pulitzer.
C ’ “M ”?
HE COS È AUS
"Maus" è uno splendido romanzo a fumetti, molto citato e poco letto, in cui un grande
fumettista si confronta con l’immane tragedia dell’Olocausto e con la figura del padre,
un sopravvissuto di Auschwitz, cercando nello stesso tempo di “custodire la memoria”