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Sintesi
ACCIDIA – Verga “I Malavoglia” – Svevo “Inetto” – E. Munch “Il Grido” – M. Donizetti “Accidia”
AVARIZIA – Dickens “A Christmas Carol” – M. Donizetti “Avarizia”
GOLA - Fratelli Grimm “Hänsel und Gretel” – J. Harris “Chocolat” – Caravaggio – “Bacco” – M. Donizetti “Gola”
INVIDIA – Fratelli Grimm “Schneewittchen” – M. Donizetti “Invidia”
IRA – W. Blake “A poison tree” – M. Donizetti “L’Ira”
LUSSURIA – G. Flaubert “Madame Bovary” – D’Annunzio “Il Piacere”- T. Lautrec “Il Bacio” – G.Klimt “Il Bacio” - A. Eisenstaedt “V-J day a Times Square”
SUPERBIA – Hitler – Regime dei totalitarismi – M. Donizetti “Superbia” - Jean-Auguste-Dominique Ingres “Napoleone sul trono Imperiale”
Estratto del documento

ACCIDIA

Disprezzo per la vita con le sue frustrazioni e le sue prove, malinconia.

L'accidia è l'avversione all'operare, mista a noia e indifferenza. Il senso del termine è in stretto rapporto con

quello della noia, con la quale l'accidia condivide una medesima condizione originaria determinata dalla vita

contemplativa: entrambe nascono da uno stato di soddisfazione e non, si badi bene, di bisogno. Il

significato del termine accidia è oggi vago, ma resta fortemente connotato, nelle culture cristiane, di

implicazioni moralistiche e negative. Due conseguenze tipiche sono l'instabilità e il disprezzo per gli impegni

della propria vita. L'uomo non padroneggia più la vita, le vicende lo avviliscono, ed egli non sa più vederci

chiaro. Non sa più come cavarsela in determinate situazioni della propria esistenza e il compito a lui

affidato gli si erge davanti a lui insuperabile, come la parete di una montagna. Per descrivere meglio l’uomo

il cui vizio dominante è l’accidia ho scelto Giovanni Verga “I Malavoglia” e Italo Svevo con la figura

dell’inetto nel suo romanzo “Una vita”.

Giovanni Verga

Verga nasce nel 1840 a Catania da una famiglia benestante di idee liberali. Compie i primi studi presso

Antonio Abate, patriota entusiasta che gli trasmette la sua passione per i romanzi storico - patriottici e per

la narrativa d’appendice: i suoi romanzi giovanili riflettono gli ideali risorgimentali dello scrittore. Col

passare degli anni Verga decise di dedicarsi totalmente al mestiere di scrittore. Così abbandona gli studi in

legge (1869) e si trasferisce a Firenze, allora capitale del regno. Tre anni dopo si stabilisce a Milano, vero

centro della cultura nazionale e dell’industria editoriale. Qui frequenta i

salotti intellettuali e gli ambienti della Scapigliatura, si dà alla vita

mondana e agli amori. Tra il 1866-1875 Verga raggiunse il successo con

una serie di romanzi che narrano vicende passionali ambientate nel

mondo aristocratico. Nel frattempo Verga amplia i suoi riferimenti

culturali: legge i realisti francesi. Mentre in Italia si apre il dibattito sulla

questione meridionale: in questo clima nasce il suo progetto di un ciclo di

cinque romanzi ambientati in Sicilia ( I Malavoglia, Mastro don Gesualdo,

La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni, L’uomo di lusso). Ma il suo

pubblico rimase deluso del rinnovamento delle tecniche narrative che

adottò. Le cupe storie di contadini e pescatori risultano sgradevoli. Così i

Malavoglia fanno fiasco; Mastro don Gesualdo và un po’ meglio ma non

raggiunge il successo dei romanzi mondani. Di tanto in tanto Verga torna a

narrare storie sentimentali borghesi; è il caso del romanzo Il marito di Elena, definito dallo scrittore “una

ciambella riuscita senza buco”. Dei suoi testi per il teatro quello che fa maggior successo è Cavalleria

rusticana (1884), storia a forti tinte di un “delitto d’onore”. Nel 1893 compie a ritroso il viaggio della sua

giovinezza e si trasferisce definitivamente a Catania. Tornato in Sicilia, continua a scrivere ma il lavoro che

più gli sta a cuore non riesce a prender forma, e col passare degli anni finisce per rinunciare alla letteratura.

Nel 1922 muore a Catania. 7

“I Malavoglia”

I Malavoglia sono pescatori di Aci Trezza e possiedono una barca: la

Provvidenza. La famiglia è composta da: Padron ‘Ntoni (il nonno);

Bastianazzo (il figlio); Maruzza ( la moglie di Bastianazzo); e dai nipoti

‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Padron ‘Ntoni parte con la barca a

vendere altrove un carico di lupini, ma naufraga. Bastianazzo muore e

per pagare i debiti bisogna vendere la casa. Qui inizia una lunga serie di

sventure: Luca, partito militare, muore nella battaglia di Lissa; Mariuzza

muore di colera. Mentre Padron ‘Ntoni cerca di recuperare la casa,

compromessa dalle voci di una relazione col brigadiere Don Michele,

fugge di casa. Mena, a causa delle difficoltà economiche, deve rinunciare

all’amore di compare Alfio, il carrettiere. Dopo la morte di padron ‘Ntoni,

Alessi riesce a riscattare la casa, dove va a vivere con la moglie, i figli e la

sorella Mena. Una notte ‘Ntoni uscito di prigione, ritorna a casa ma la

sua ribellione lo ha tagliato per sempre dalla vita della famiglia e del

paese.

Nel romanzo vi è una sorta di visione pessimistica della vita da parte dell'autore: egli sottolinea il fatto che

le disgrazie debbano essere subite passivamente e vengano una dopo l'altra per affondare le sorti di una

famiglia intera. Quella in questione, è una famiglia di tipo patriarcale con due capisaldi: Padron ‘Ntoni e

l'imbarcazione "La Provvidenza". Il primo è il senex, il galantuomo, custode della saggezza; si ricordino, a tal

proposito, i tantissimi proverbi sciorinati in ogni momento. È possibile ipotizzare che l'autore, attraverso

queste manifestazioni della cultura del popolo, esprima il proprio giudizio e le proprie opinioni: egli

comunica con il lettore attraverso i detti e le sentenze. La seconda, la barca, è la fonte di guadagno, simbolo

della vita: in essa sono racchiuse le speranze di una buona pesca.

Ho scelto i Malavoglia per rappresentare l’accidia perché i personaggi,pur tentando di migliorare le proprie

condizioni economiche, combattendo una continua lotta per la sopravvivenza, si allontanano dal modello di

vita consueto e finiscono male (come 'Ntoni e Lia). Soltanto quelli che si adattano alla loro condizione

possono salvarsi (è il caso di Alessi e di Mena). 8

ACCIDIA

Disprezzo per la vita con le sue frustrazioni e le sue prove, malinconia.

Italo Svevo

Italo Svevo (pseudonimo di Aron Hector Schmitz) nacque a Trieste, allora sotto l'Impero asburgico, nel

1861, da famiglia ebrea di commercianti agiati. Avviato dal padre alla carriera commerciale, compì gli studi

prima a Trieste e poi in Germania, dove entrò in contatto con la letteratura tedesca. Tornato a Trieste per

proseguire la sua educazione, iniziò a collaborare con giornali e a scrivere testi letterari (essenzialmente

teatrali). Nel 1880, tuttavia, il padre fallì a causa di un investimento sbagliato; Italo dovette cercarsi un

impiego, e venne assunto da una filiale della banca Union di Vienna. Svevo visse dunque un declassamento

sociale, e il lavoro da impiegato venne sentito come arido e opprimente. Nel 1895 la madre morì; in questa

occasione conobbe una cugina più giovane di lui, Livia Veneziani, e, innamoratosene, la sposò.

L'avvenimento rappresentò una svolta: Livia era figlia di un ricco commerciante, e Svevo poté lasciare il

lavoro per affiancare il suocero nella direzione dell'impresa.

Il nuovo lavoro e gli impegni, che lo portarono anche a

viaggiare in buona parte d'Europa, fecero raggiungere

all'autore il suo ideale di uomo attivo e operoso, di

successo, e lo allontanarono dalla letteratura. In precedenza

Svevo aveva pubblicato a proprie spese due romanzi, Una

vita (1892) e Senilità (1898), ignorati dalla critica e dal

pubblico: anche questi fallimenti portarono lo scrittore a

rifiutare nuove fatiche letterarie, sebbene continuasse

occasionalmente a scrivere, per lo più pagine di diario,

abbozzi di saggi, appunti. Due furono gli avvenimenti che

riavvicinarono Svevo alla scrittura: la Prima guerra

mondiale, che portò alla requisizione della fabbrica del

suocero; l'incontro con il giovane James Joyce, allora

insegnante di inglese a Trieste. L'amicizia tra i due, le loro

discussioni letterarie, i giudizi lusinghieri che Joyce aveva

dato sui precedenti romanzi di Svevo, il minore carico di

impegni lavorativi, portarono l'autore a cimentarsi di nuovo in un romanzo. Nel 1923 uscì La coscienza di

Zeno, che, ancora una volta, non ebbe alcun rilievo in Italia. Svevo, frustrato, spedì l'opera a Joyce, che si

trovava a Parigi, e che nel frattempo era divenuto un affermato scrittore grazie ai capolavori Gente di

Dublino, Dedalus e Ulisse, e ne ottenne un giudizio entusiasta. Fu proprio grazie a Joyce e all'attenzione di

altri intellettuali, soprattutto francesi, che il romanzo ottenne fama europea, rimanendo tuttavia quasi

sconosciuto in Italia, dove il suo valore venne intuito, tra i pochi, da Montale. Svevo ora aveva lo stimolo e i

riconoscimenti per dedicarsi assiduamente alla letteratura; ma un incidente d'auto, avvenuto nel dicembre

del 1928, lo condusse improvvisamente alla morte. 9

“Una vita”

Una vita (ma il titolo pensato da Svevo era Un inetto, scartato

dall'editore perché poco allettante), pubblicato nel 1892, ha per

protagonista Alfonso Nitti, un giovane impiegato di banca, che,

abbattuto dal lavoro triste e ripetitivo, vive dei suoi vagheggiamenti

letterari, sognando di ottenere fama come scrittore. Invitato in casa

del padrone della banca, conosce un altro giovane che la frequenta,

Macario, uomo di mondo, sicuro e brillante, e Annetta, la figlia del

padrone, che inizia a frequentare. Nonostante abbia la possibilità di

iniziare una relazione con la ragazza, e così sistemarsi come

desiderava, Alfonso fugge, tornando dalla madre (che viveva in un

paese lontano da Trieste), la trova malata e la assiste fino alla

morte. Tornato a Triste, Alfonso scopre che Annetta si è fidanzata

con Macario; ingelosito e ferito dal disprezzo che sente intorno a

lui, compie azioni che danno adito a fraintendimenti, i quali

culminano in una sfida a duello, lanciatagli dal fratello di Annetta, e

che conduce il protagonista al suicidio.

Italo Svevo ci propone una figura che incarna il vizio dell’accidia: l’inetto.

L'inetto a vivere, l'eroe malato che non riesce a condurre un'esistenza normale, debole, incerto, impotente

di fronte a sentimenti e azioni che desidera attuare ma non riesce a mettere in pratica, e vede la vita

scorrergli davanti senza che possa catturarla.

Alfonso è la prima figura di inetto sveviano: non riesce a vivere, è perso nei suoi sogni effimeri e

inconcludenti, non approfitta delle situazioni favorevoli che gli si presentano, è vittima di incomprensioni

per i suoi comportamenti. 10

ACCIDIA

Disprezzo per la vita con le sue frustrazioni e le sue prove, malinconia.

Edvard Munch "Il Grido"

Edvard Munch (Løten, 12 dicembre 1863 – Ekely, 23 gennaio 1944) è stato un pittore norvegese dell'arte

espressionista.

L'urlo (1893) è probabilmente la sua opera più conosciuta. L'opera è un simbolo dell'angoscia e dello

smarrimento che segnarono tutta la vita del pittore norvegese che cercò molto a lungo un'ispirazione

adatta ad eseguire quest'opera. La scena rappresenta un'esperienza vera della vita dell'artista: mentre si

trovava a passeggiare con degli amici su un ponte della città di Nordstrand (oggi quartiere di Oslo), il suo

animo venne pervaso dal terrore e colse l'attimo così dipinse questo personaggio. 11

AVARIZIA

scarsa volontà a spendere e a donare ciò che si possiede

L’avarizia è un amore smodato di possedere, è la conservazione egoistica di qualsiasi bene ci appartenga,

sia esso concreto o spirituale. In questo senso si può dire che essa sia l'opposto della carità. L'avaro ha il

terrore del futuro, da cui si garantisce accumulando un potere che non si esercita nel presente, ma che si

accumula per l'avvenire. E' di questa possibilità futura che l'avaro gode e che protrae fino al momento della

morte, da lui tanto temuta perché vista come la separazione dal futuro, per garantirsi il quale ha

accumulato per tutta la vita. L’esempio che ho scelto di uomo avaro lo conosciamo tutti, perché c’è lo ha

mostrato Charles Dickens in “A Christmas Carol” dove il protagonista riesce a superare il vizio di accumulare

il suo capitale diventando così un uomo caritatevole.

AVARICE

Greed is the inordinate desire to possess wealth, goods, or objects of abstract value with the intention to

keep it for one's self, far beyond the dictates of basic survival and comfort. It is applied to a markedly high

desire for and pursuit of wealth, status, and power.

As a secular psychological concept, greed is, similarly, an inordinate desire to acquire or possess more than

one needs. It is typically used to criticize those who seek excessive material wealth, although it may apply

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