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Sintesi

Introduzione Senso della vita tesina



Con questa tesina di maturità ho voluto riflettere sul senso della vita attraverso alcuni autori che si sono posti tale domanda. Dall’interrogativo di Giacomo Leopardi sul significato della vita umana nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia al pensiero di Arthur Schopenhauer, dal senso della vita nella poesia Ulysses di Alfred Lord Tennyson all’interrogativo di Paul Gauguin nel dipinto Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? per finire con Giuseppe Ungaretti con la poesia Sono una creatura. La tesina permette anche dei collegamenti disciplinari.

Collegamenti


Senso della vita tesina



Italiano-

Giacomo Leopardi e Giuseppe Ungaretti

.
Filosofia-

Arthur Schopenauer

.
Inglese-

Alfred Lord Tennyson

.
Arte-

Paul Gauguin

.
Estratto del documento

CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Vecchierel bianco, infermo,

mezzo vestito e scalzo, con

silenziosa luna? gravissimo fascio in su le spalle, per

Sorgi la sera, e vai, montagna e per valle, per

contemplando i deserti; indi ti posi. sassi acuti, ed alta rena, e fratte, al

Ancor non sei tu paga vento, alla tempesta, e quando avvampa

di riandare i sempiterni calli? l’ora, e quando poi gela,

Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga corre via, corre, anela,

di mirar queste valli? varca torrenti e stagni, cade,

Somiglia alla tua vita risorge, e più s’affretta, senza

posa o ristoro, lacero,

la vita del pastore. sanguinoso; infin ch’arriva colà dove

Sorge in sul primo albore; la via e dove il

move la greggia oltre pel campo, e vede tanto affaticar fu volto: abisso orrido,

greggi, fontane ed erbe; immenso, ov’ei

poi stanco si riposa in su la sera: precipitando, il tutto obblia Vergine luna,

altro mai non ispera. tale è la vita

Dimmi, o luna: a che vale mortale.

al pastor la sua vita

la vostra vita a voi? dimmi: ove tende

questo vagar mio breve Nasce l’uomo a fatica,

il tuo corso immortale? O greggia mia che posi, oh te beata,

Nasce l’uomo a fatica, che la miseria tua, credo, non sai!

ed è rischio di morte il nascimento. Quanta invidia ti porto!

Prova pena e tormento Non sol perché d’affanno

quasi libera vai;

per prima cosa; e in sul principio stesso ch’ogni stento, ogni danno,

la madre e il genitore ogni estremo timor scordi;

il prende a consolar dell’essere nato. ma più perché giammai tedio non provi.

Poi che crescendo viene, Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,

tu se’ queta e contenta;

e gran parte dell’anno

senza noia in quello stato.

Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,

e un fastidio m’ingombra

l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre

con atti e con parole

studiasi fargli core,

e consolarlo dell’umano stato:

altro ufficio più grato

non si fa da parenti alla lor prole.

Ma perché dare al sole,

perché reggere in vita

chi poi di quella consolar convenga?

Se la vita è sventura,

perché da noi si dura?

Intatta luna, tale

è lo stato mortale.

Ma tu mortal non sei

e forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,

che si pensosa sei, tu forse intendi,

questo viver terreno,

il patir nostro, il sospirar, che sia;

che sia questo morir, questo supremo

scolar del sembiante,

e perir dalla terra, e venir meno

ad ogni usata, amante compagnia. Forse s’avess’io l’ale

E tu certo comprendi da volar su le nubi,

il perché delle cose, e vedi il frutto e noverar le stelle ad una ad una

del mattin, della sera, o come il tuono errar di giogo in giogo,

del tacito, infinito andar del tempo. più felice sarei, dolce mia greggia,

Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore più felice sarei, candida luna.

O forse erra dal vero,

rida la primavera, mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:

a chi giovi l’ardore, e tu che procacci forse in qual forma, in quale

il verno co’ suoi ghiacci. stato che sia, dentro covile o cuna,

Mille cose sai tu, mille discopri, è funesto a chi nasce il dì natale.

che son celate al semplice pastore.

Spesso quand’io ti miro

star così muta in sul deserto piano,

che, in suo giro lontano, al ciel confina;

ovver con la mia greggia

seguirmi viaggiando a mano a mano;

e quando miro in cielo arder le stelle;

dico fra me pensando:

a che tante facelle?

Che fa l’aria infinita, e quel profondo

infinito seren? che vuol di questa

solitudine immensa? ed io che sono?

Così meco ragiona: e della stanza

smisurata e superba,

e dell’innumerabile famiglia;

poi di tanto adoprar, di tanti moti

d’ogni celeste, ogni terrena cosa,

girando senza posa. Arthur Schopenhauer

LA VOLONTA’ DI VIVERE

“C’è un unico errore innato, ed è quello di

credere che noi esistiamo per essere felici.”

“La vita oscilla come un pendolo, di qua e di là,

tra il dolore e la noia che sono in realtà i suoi

Schopenhauer(1788-1860), vari elementi costitutivi.”

come Leopardi, basa il Arthur

proprio pensiero su Schopenhauer

un’analisi della realtà.

L’intento è di mostrarci

quale sia la vera natura del mondo e il conseguente disagio dell’umanità:

entrambi, infatti, oltrepassano i limiti del mondo terreno ed esprimono la loro

idea sul vero significato della vita mostrando la realtà per quella che è e

smascherando la più grande delle illusioni: la felicità.

L’uomo è portato ad interrogarsi sul senso della vita e non vuole vivere

nell’illusione, vuole oltrepassare il fenomeno, cioè la pura illusione, e giungere

a capire il noumeno, cioè la realtà senza le false illusioni, attraverso la

conoscenza intuitiva. Tuttavia, poiché l’uomo non è solamente intelletto ma

anche corporeità, attraverso un’intuizione geniale, ripiegando in se stesso

nell’intimità del proprio io, riesce a conoscere l’essenza illusoria dell’essere: se

si guarda dal di dentro, se segue i suoi sentimenti, la brama, la volontà di

vivere, l’impulso che lo porta senza posa a vivere ed agire, può conoscere il

noumeno. Il nostro corpo è il fenomeno che copre la vera essenza del mondo, è

manifestazione di un principio che è volontà. Dietro la molteplicità dei

fenomeni vi è la volontà di vivere, essenza segreta del mondo, che è inconscia,

unica, eterna, incausata e senza scopo. Il suo unico fine è di continuare ad

essere, di perpetuarsi per l’eternità. La volontà si pone fuori dal mondo della

rappresentazione, si sottrae alle forme del mondo fenomenico (spazio e

tempo). Il noumeno è energia, impulso cieco ed irrazionale. Poiché la volontà è

presente ovunque e sempre, nel mondo non c’è posto per l’individuo, le cui

iniziative non sono altro che un mezzo del principio infinito. Miliardi di esseri

(vegetali, animali, umani) non vivono dunque che per vivere e continuare a

vivere. E’ questa, secondo Schopenhauer, l’unica crudele verità sul mondo,

anche se gli uomini hanno cercato per lo più di “mascherarne” la terribile

evidenza postulando un Dio cui finalizzare la loro vita e in cui trovare un senso

per le loro azioni. Ma Dio, nell’universo doloroso di Schopenhauer, non può

esistere e l’unico assoluto è la volontà stessa. Per Schopenhauer la vita è

dolore per essenza. Infatti, volere significa desiderare e desiderare significa

trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe

avere. Ciò che gli uomini chiamano “godimento”(fisico) e “gioia” (psichica) non

è altro, come aveva sostenuto Giacomo Leopardi, che una cessazione di dolore,

ossia lo “scaricarsi” di una tensione preesistente: perché ci sia piacere,

argomenta infatti Schopenhauer, bisogna per forza che vi sia uno stato

precedente di dolore. Mentre il dolore, identificandosi con il desiderio, che è la

struttura stessa della vita, è un dato primario e permanente, il piacere è solo

una funzione derivata del dolore, che vive unicamente a spese di esso. Accanto

al dolore, che è una realtà durevole, e al piacere, che è qualcosa di

momentaneo, Schopenhauer pone, come terza situazione esistenziale di base,

la noia, la quale subentra quando viene meno l’aculeo del desiderio.

La vita umana, conclude Schopenhauer, è come un pendolo che oscilla

incessantemente tra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace,

e per di più illusorio, del piacere e della gioia. Ma se il dolore costituisce la

legge profonda della vita ciò che distingue le situazioni e i casi umani sono solo

il diverso modo e o le diverse forme in cui esso si manifesta. L’uomo è quindi

solo un burattino e la vita viene a non aver più senso.

Volontà di vivere

Alfred Lord Tennyson

ULYSSES AND THE MEANING OF LIFE

We are not now that strength which in old

days moved earth and heaven; that which

Maybe the key to the meaning of we are, we are; one equal temper of heroic

life is not in our answers, our hearts, made weak by time and fate, but

hopes, or our wishes, but in our strong in will to strive, to seek, to find, and

struggles. This is a salient theme in not to yield

The Odyssey,

Homer’s epic poem Alfred Lord Tennyson

which tells the story of Odysseus,

the king of Ithaca, after the end of Adesso non abbiamo quella forza che negli anni

Trojan War. Odysseus’ tribulations passati muoveva terra e cielo; ciò che siamo, siamo;

on his homeward journey are temperamento di cuori eroici, resi deboli dal tempo

legendary, as he battles giants, e dal destino, ma forti nella volontà, di lottare, di

monsters, storms, and the sirens of cercare, di trovare, e di non cedere.

beautiful women who call sailors to

their death. After finally reaching

home, Homer suggest that

Odysseus desired to leave again, an idea picked up centuries later by Dante. In

the nineteenth century Alfred Lord Tennyson (1809-1892) expanded on this

theme. Tennyson was the Poet Laureate of the United Kingdom during Queen

Victoria’s reign, and one of the most popular poets in the English language. His

poem Ulysses, famously captured Ulysses’ dissatisfaction with life in Ithaca

after his return and his subsequent desire to set sail again. Perhaps nothing in

Western literature conveys the feeling of going forward and braving the

struggle of life more movingly than this poem. Ulysses is a restless spirit ever

open to new knowledge and experience ambiguous but fascinating Ulysses of

Inferno XXVI whose endless searching becomes a dangerous desire for

forbidden experience. Ulysses gives a full account of his own nomadic nature

and contrasts it with his son’s commitment to building up a stable, civilized

society in Ithaca. Ulysses fully expressed the Victorian theme of withdrawal

from a dreary reality into a dreamy world. For Tennyson’s Ulysses the world of

epic action is over. Tennyson pessimism never leads to radical solution but it

expressed in poetry: it always touches on themes of regret, loss, and the

ultimate meaninglessness of life in a purposeless world. Ulysses found joy and

meaning, not in port, but in his journeys, in the dark troubled sea of life which

tosses us as we wr

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