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un popolo disperso si sveglia improvvisamente;
tende l'orecchio, solleva la testa 5
colpito da uno strano rumore crescente.
Il coro si apre con una considerazione amara da parte di Manzoni sulla degradazione del popolo
latino. Il Foro, simbolo della civiltà romana, è ormai in rovina, così come le officine dove un tempo
si forgiavano le armi. Il popolo latino viene definito dal poeta come un "volgo disperso", perché
non ha più nessuna consapevolezza della grandezza civile e militare degli antenati; esso è
solamente un popolo schiavo, ben lontano dal riconoscere il rumore dell'appressarsi della guerra,
mentre per i romani era così familiare. In questi primi versi del coro vediamo subito la grande
attenzione per gli umili, carattere tipico di Manzoni.
Dagli sguardi dubbiosi, dai volti impauriti,
quale raggio di sole traluce da folte nuvole,
che rivela la fiera virtù dei padri:
negli sguardi, nei volti confusi ed incerti 10
si mescolano e si contrastano l'umiliazione della schiavitù
con il misero orgoglio di un tempo ormai andato.
Il ritratto dei latini rivela un popolo che ha ormai perso la propria identità e le proprie radici.
L'umiliazione della schiavitù contrasta con un orgoglio di una grandezza ormai passata, e per
questo inutile e senza senso. Da qui emerge un accenno polemico nei confronti dei classicisti, che
cercavano di far rivivere qualcosa che si allontana di molto dal presente.
Il volgo si raduna voglioso di libertà, si disperde impaurito,
per sentieri tortuosi, con passo incerto,
fra il timore degli antichi padroni e il desiderio della loro sconfitta, avanza e si ferma di nuovo;15
e sogguarda e fissa la turba dispersa scoraggiata e confusa
dei crudeli signori,
che fugge dalle spade dei Franchi, che non si fermano mai.
L'atteggiamento del volgo è incerto: si alternano in esso attimi in cui si desidera la libertà,
succeduti dal timore nei confronti degli antichi padroni. Davanti ai loro occhi la folla dei signori
Longobardi che fuggono, definita una "turba", ovvero un mucchio di persone senza anima. I "torti
sentieri" stanno ad indicare l'incuria e lo stato di inciviltà al quale si è ridotta la società, in
contrapposizione con le grandi strade costruite dai romani.
Il volgo li vede agitati, come fiere tremanti,
le rossastre criniere dritte per la paura, 20
che cercano i noti nascondigli;
e qui, messo da parte l'usuale atteggiamento minaccioso,
le donne superbe, con il viso pallido,
guardano pensose i figli pensosi.
I padroni Longobardi vengono paragonati a delle fiere braccate, che per la paura sembrano avere
i loro caratteristici capelli rossastri dritti. L'agitazione pervade anche l'animo delle donne, che
abbandonano l'atteggiamento da padrone e guardano preoccupate i propri figli, pensando al loro
destino.
E appresso ai fuggitivi, con la spada desiderosa di sangue, 25
come cani da caccia sciolti, correndo, frugando,
da destra e da sinistra, arrivano i guerrieri:
il volgo li vede, e estasiato da una contentezza mai provata,
con la galoppante speranza che precorre l'evento,
e sogna la fine della dura schiavitù.
La fuga dei padroni e l'arrivo dei guerrieri longobardi viene paragonata ad una scena di caccia, di
fronte alla quale il popolo sogna la liberazione da parte dei soldati stranieri. Da qui comincia ad
emergere il pensiero del poeta, finora rimasto estraneo: il sogno è appunto una fantasticheria che
non ha nulla a che vedere con la realtà. Si preannuncia dunque l'esito della battaglia per il volgo,
che spera in qualcosa che Manzoni nei versi successivi dimostra come non sia realizzabile.
Udite! Quei soldati Franchi sul campo di battaglia,
che impediscono la fuga dei vostri tiranni,
sono giunti da lontano, attraverso aspri sentieri:
hanno rinunciato alle gioie dei pranzi festosi,
si alzarono in fretta dai dolci riposi 35
immediatamente chiamati dalle trombe della guerra.
Da questo punto in poi si apre la riflessione di Manzoni sulle infondate speranze di libertà del
volgo. Il popolo Franco per giungere in Italia ha rinunciato alla tranquillità del proprio ambiente
familiare.
Lasciarono nelle stanze della casa in cui nacquero
le donne preoccupate, che ripetutamente davano loro l'addio,
con preghiere e consigli interrotti dal pianto:
sulla fronte hanno gli elmi delle passate battaglie, 40
hanno posto le selle sugli scuri cavalli,
corsero sul ponte che risuonava cupamente.
Il poeta prosegue parlando della partenza dei soldati Franchi, delle loro donne preoccupate.
L'ultimo verso descrive una tipica immagine medievale: il ponte levatoio che si abbassa per lasciar
uscire i soldati dal castello.
A schiere, passarono di terra in terra,
cantando gioiose canzoni di guerra,
ma con l'animo rivolto ai dolci castelli: 45
per valli petrose, per dirupi,
montarono la guardia durante le gelide notti,
ricordando i fiduciosi colloqui d'amore.
Il tragitto per l'Italia è stato faticoso per i soldati stranieri, nonostante vi sia in loro la gioia di
accingersi a combattere per la vittoria. Tutto ciò serve per dimostrare che un esercito non viene da
così lontano, attraverso tragitti faticosi, per ridare la libertà ad un popolo straniero.
Sopportarono gli oscuri pericoli di soste forzate,
le corse affannose attraverso luoghi mai attraversati, 50
il rigido comando militare, la fame;
videro le lance scagliate contro i petti,
accanto agli scudi, rasente agli elmetti,
udirono il fischio delle frecce che volavano.
In questi versi il poeta continua ad elencare i pericoli affrontati dai Franchi nella discesa in Italia.
E il premio sperato, promesso a quei soldati, 55
sarebbe, o delusi, capovolgere le sorti,
porre fine al dolore di un volgo straniero?
Tornate alle vostre superbe rovine,
alle attività pacifiche delle officine riarse, 60
ai campi bagnati dal sudore servile.
Manzoni si rivolge al volgo, destinato a rimanere deluso, poiché non verrà liberato da un popolo
partito con l'intento di assoggettarlo. Dovrà dunque tornare schiavitù di sempre.
Il forte si mescola col nemico sconfitto,
anche con il nuovo signore rimane la vecchia situazione;
sia l'uno che l'altro popolo vi rendono schiavi.
Si spartiscono i servi, gli armenti;
giacciono insieme sui campi di battaglia 65
di un volgo disperso senza nome.
Qui vediamo la ricomparsa della espressione “volgo disperso”, quindi abbiamo una struttura
ciclica. Il “volgo disperso”, dopo la speranza della liberazione, ritorna ad essere “il volgo
disperso”. Dobbiamo dire che la trattazione di vicende del passato permette a Manzoni di inviare
ai contemporanei un messaggio attualissimo: non contare sulle forze straniere per la liberazione
nazionale. Risorgimento Italiano
Come abbiamo detto poco fa una delle cause dell’inesistenza delle tematiche negative in Italia era
quella del ruolo attivo dell’intellettuale nelle lotte risorgimentali. Con il termine Risorgimento si
suole indicare il periodo della storia d'Italia durante il quale la penisola italiana venne unificata
politicamente e si vuole fornire l'idea della rinascita dell'unità nazionale per lungo tempo perduta.
Innanzitutto dobbiamo riferirci a quello che accade all’indomani del Congresso di Vienna, che si è
svolto tra il 1814 e 1815 per ridefinire la carta politica del continente dopo la sconfitta di
Napoleone. Il Congresso decide, in base al principio di legittimità, di restituire la sovranità sui
singoli territori ai monarchi che vi regnavano prima delle conquiste di Napoleone. La penisola
italiana fu gravemente penalizzata dalla decisione del Congresso, perché confermò la
frantumazione politica precedente all’età napoleonica restituendo territori alle rispettive dinastie.
Inoltre l’egemonia sull’Italia fu assegnata all’Austria, che per modo diretto o attraverso le parentele
controllava quasi tutta l’Italia. La frantumazione politica dell’Italia determinò una forte
arretratezza sul piano economico a causa della mancanza di un mercato interno ampio. Infatti
l’economia dell’Italia era quasi rurale con mezzi agricoli arretrati, solo nella pianura padana si era
sviluppata una grande azienda agricola. Anche le attività industriali erano poco avanzate e presenti
solo al Nord. Perciò si incominciò a pensare che la risoluzione del problema economico era
l’unificazione nazionale . L’idea dell’unità d’Italia esisteva già alla fine del 700, ma dopo i falliti
moti del 1820-21 e 1830-31 cominciarono a essere formulati programmi politici molto validi. Si
delinearono così due orientamenti: uno liberale-moderato che presentava una evoluzione graduale
verso l’unità nazionale con un sblocco monarchico-costituzionale; altro democratico-
repubblicano che proponeva la via delle insurrezioni popolari con l’obbiettivo di edificare una
repubblica democratica. Inizialmente fu l’orientamento democratico a dimostrare maggiori capacità
di iniziative con Mazzini che fondò nel 1831 un’organizzazione politica la Giovane Italia. Il
programma della Giovane Italia prevedeva l’instaurazione di una repubblica unitaria attraverso le
insurrezioni popolari. Perciò Mazzini fece un’ opera di educazione morale che indicava al popolo,
reso cieco da secoli, la strada da seguire. Ma dopo i ripetuti fallimenti delle insurrezioni mazziniane
negli anni trenta e quaranta, si aprì una profonda crisi nel movimento democratico. Da questo
momento vediamo l’affermazione dei moderati che ebbero anche l’appoggio del papa Pio IX, che
mostrava inclinazioni moderate. Ma le riforme dei moderati, che delusero sia liberali che
democratici, e la crisi economica, che colpì tutta l’Europa, crearono una situazione favorevole alle
rivoluzioni. Infatti nel 1848 scoppiò la rivoluzione in Sicilia. I siciliani chiedevano l’emanazione di
una Costituzione e l’indipendenza da Napoli. Ferdinando II, per porre fine alla rivoluzione, accettò
le condizioni. Anche la Toscana, Piemonte e Stato pontificio concessero le Costituzioni per la paura
delle rivolte. Solo nel Lombardo-Veneto fu negata la costituzione. Perciò i moderati milanesi
cercarono l’appoggio del Piemonte, proponendo a Carlo Alberto un intervento armato. Dopo molte
incertezze il sovrano dichiarò guerra, che fu chiamata prima guerra di indipendenza, all’Austria.
Ma dopo le prime vittorie , grazie all’appoggio di Ferdinando II e papa Pio IX, l’Austria fece
franare le speranze di successo: Carlo Alberto fu sconfitto a Custoza. Di fronte al fallimento dei
moderati, furono i democratici a riprendere la guida della lotta nazionale. Con l’insurrezione di
Roma, Pio IX fu costretto alla fuga e si formò la Repubblica Romana con orientamento
democratico. Più tardi Carlo Alberto riprese le ostilità, ma fu definitivamente sconfitto dagli
austriaci e dovette abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Intanto la rivoluzione si
spegneva e le città che si erano liberate caddero una a una . Ultime ad arrendersi furono Roma e
Venezia. Negli anni cinquanta troviamo una figura molto importante: Cavour, presidente del
Consiglio di Ministri. Cavour condannava il mazzianesimo e considerava la monarchia liberale e
costituzionale unica risoluzione del problema italiano. Per la ricerca delle alleanze internazionali
Cavour spinse il Piemonte nella guerra di Crimea, con scarsi risultati pratici ma con effetti
propagandistici rilevanti. L’influenza di Cavour cresceva velocemente, a causa della enorme crisi
che i democratici stavano attraversando negli anni cinquanta. Quindi fu affidata ai moderati la guida
del processo unitario, il cui centro era diventato il Piemonte. Nei tardi anni cinquanta Cavour strinse
legami sempre più forti con la Francia, in cui individua l’alleato migliore per giungere a uno scontro
diretto con l’Austria. Questi rapporti giunsero a compimento con gli accordi di Plombieres (1859),
che impegnava Napoleone III a entrare in guerra nel caso di un’aggressione austriaca. Quindi nel
1859 Cavour, con un gioco diplomatico, riuscì a trascinare l’Austria nella Seconda Guerra di
Indipendenza. Ma dopo iniziali successi, Napoleone si ritirò, preoccupato dalle conseguenze della