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invece, pervaso da un’ansia religiosa che, o si concreta nel ritorno alle
fedi tradizionali o sfocia nell’immanentismo, cioè in una religione
dell’umanità, fondata sul culto dei valori spirituali più alti, che dirigono
la storia, o in un mistico panteismo, che fa coincidere Dio col mondo e
ne avverte l’arcana presenza nella natura e nella storia; comunque, in
un deciso spiritualismo. Inoltre, pur accogliendo l’esaltazione
illuministica della libera ragione umana, rivendica il valore del
sentimento e della fantasia. Nasce così un concetto più organico della
vita dello spirito, fondata sulla libera associazione di tutte le sue facoltà,
una delle quali, anzi, il sentimento, non è più sentita come inferiore, ma
come il mezzo che ci pone in contatto più immediato con l’Assoluto, cioè
con l’intima realtà della vita universale, con ciò che i Romantici
chiamano l’infinito.
Tutti d'accordo nell'assegnare all'Infinito questo ruolo primario, i
romantici si differenziano invece per il diverso modo di intendere
l'Infinito stesso e di concepirne i rapporti con il finito. Il modello più
caratteristico e maggiormente seguito dai poeti e dai filosofi tedeschi,
come si è già detto, è quello panteistico. Infatti, il sentimento della
“Einfühlung ” fra l'Infinito e il finito è così forte da far sì che essi,
1
tendano a concepire il finito come la realizzazione vivente dell'Infinito,
sia esso inteso, alla maniera di un panteismo naturalistico che identifica
l'Infinito con il ciclo eterno della natura oppure di un panteismo
idealistico che identifica l'Infinito con lo Spirito, ossia con l'Umanità
stessa e fa della natura un momento della sua realizzazione.
Sebbene prevalente, il modello panteistico non è l'unico, poiché accanto
ad esso troviamo anche un'altra concezione dei rapporti tra finito ed
Infinito: una concezione per la quale l'Infinito viene in qualche modo a
distinguersi dal finito, pur manifestandosi o rivelandosi in esso. In
questo caso, il finito non appare più la realtà stessa dell'Infinito, ma
1 Einfühlung è una parola tedesca che significa “partecipazione emotiva” e che viene tradotto in italiano
comunemente con empatia. Il termine indica la proiezione delle proprie emozioni su un oggetto di
natura contemplato con amore, immedesimandosi con esso. Nella contemplazione estetica diventa la
percezione delle proprie forze emotive trasferite in un oggetto. Secondo tale teoria questo fenomeno si
manifesta specialmente nei confronti delle opere d’arte, in quanto esse sono già connotate per offrirsi al
fruitore come oggetti emozionali.
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come la sua manifestazione più o meno adeguata. Per cui, se il primo
modello, sostiene l'identità tra finito e Infinito, il secondo modello,
afferma la distinzione tra i due, ammettendo la trascendenza dell'Infinito
rispetto al finito e considerando l'Infinito stesso come un Dio che è al di
là delle sue manifestazioni.
Il riferimento dell’infinito nel Romanticismo ricorre spesso ad alcuni
essenziali punti cardine come:
Assoluto e titanismo: caratteristica inequivocabile del
romanticismo è la teorizzazione dell'assoluto, l'infinito immanente
alla realtà (spesso coincidente con la natura) che provoca
nell'uomo una perenne e struggente tensione verso l'immenso,
l'illimitato. Questa sensibilità nei confronti dell'assoluto si
identifica nel titanismo: viene paragonata dunque allo sforzo dei
Titani che perseverano nel tentativo di liberarsi dalla prigione
imposta loro da Zeus, pur consapevoli di essere stati condannati a
restarci per sempre.
Sublime: secondo i romantici, l'infinito genera nell'uomo un senso
di terrore e impotenza, definito sublime, che non sono tuttavia
recepiti in modo violento, tali da deprimere il soggetto, ma al
contrario l'incapacità e la paralisi nei confronti dell'assoluto si
traduce nell'uomo in un piacere indistinto, dove ciò che è orrido,
spaventevole e incontrollabile diventa bello.
“Sehnsucht”: dal tedesco traducibile come nostalgia, desiderio
del desiderio o male del desiderio. È la diretta conseguenza di
quanto sperimenta l'uomo nei confronti dell'assoluto, un senso di
continua inquietudine e struggente tensione, un sentimento che
affligge il soggetto e lo spinge ad oltrepassare i limiti della realtà
terrena, opprimente e soffocante, per rifugiarsi nell'interiorità o in
una dimensione che supera lo spazio-tempo.
Ironia: la consapevolezza della finitudine delle cose che
circondano l'uomo e che egli stesso crea si traduce nell'ironia, per
cui l'uomo prende coscienza della sua stessa limitatezza. L'ironia,
9 che Socrate medesimo usava per autosminuirsi quando si
confrontava con i suoi interlocutori (ironia socratica), si identifica
quindi in un atteggiamento dissimulatore.
Il concetto di infinito è stato ben analizzato in Italia da Leopardi;
egli, pur non accettando completamente la concezione romantica
del termine, fu forse l’unico in grado di spiegarne l’essenza.
La visione dell’infinito in Giacomo
Leopardi
Lontano dall'idea matematica e filosofica, l'infinito leopardiano è il
riflesso di una realtà incommensurabile sui sensi limitati di una creatura
finita, determinata: il poeta approda a un sentimento, la dolcezza dei
naufragio, non ad un concetto. L’idea e il sentimento dell’infinito sono le
componenti principali del vasto problema del significato e valore
dell’esistenza nell’opera leopardiana. Per il poeta, l’infinito è tutto ciò
che è illimitato, dunque una dimensione radicalmente opposta a quella
umana, caratterizzata proprio da un'insuperabile finitezza.
Il problema si
articola attraverso il
lamento,
l’insoddisfazione, e
quindi la
svalutazione della
vita umana, da una
parte, e dall’altra
nell’aspirazione a
trascendere i limiti imposti all’esistenza mortale per attingere a
quell’appagamento che l’uomo invano cerca su questa terra. Il problema
travaglierà tutta la vita interiore di Leopardi dando luogo a dubbi,
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contrasti, ed oscillazioni che raggiungono a volte punte esasperanti;
solo sulla soglia della morte il poeta saprà darne una soluzione ferma e
convincente.
Rappresentato dapprima nel celebre idillio del 1819, il problema
dell’infinito verrà ripreso nello Zibaldone, in modo impegnativo nelle
prime pagine, e saltuariamente poi attraverso quasi tutta l’opera. Esso
riapparirà, nella forma di meditazioni sulla mortalità ed immortalità
“Zibaldone”
ancora nello e attraverso tutta la poesia.
L’intuizione poetica dell’infinito racchiude tre momenti:
(“io nel pensier mi fingo”)
1. La funzione dell’immaginazione che ha
come “attività” principale la raffigurazione del piacere;
2. La rappresentazione dell’infinito vero e proprio in termini di
(“sovrumani silenzi, e profondissima
spazio, tempo e suono
quiete”, “infinito silenzio”, “l’eterno”, “le morte stagioni, e la
presente e viva, e il suon di lei”);
3. Il particolare atteggiamento del poeta verso l’immensità
(“s’annega il pensier mio / e il naufragar m’è dolce in
dell’infinito
questo mare”).
Questi tre elementi sono presenti ovunque Leopardi medita sul
problema, talora identici, più sovente con variazioni notevoli. Sul piano
delle immagini, l’idea dell’infinito orienta la poesia leopardiana verso la
visione degli spazi celesti, dello sterminato pulviscolo di astri e mondi in
esso presenti. Ma essa esercita una considerevole influenza anche sul
vaghi"
piano stilistico, inducendo ad un uso massiccio di quei termini " e
"indefiniti" di cui Leopardi asseriva la particolare poeticità; quanto più
larga e tendenzialmente illimitata è infatti la visione, tanto meno precise
e determinate devono essere le parole impiegate per esprimerla. D’altro
canto, anche le parole riferite a contenuti non cosmici finiscono nel
poeta per assorbire una traccia della stupefazione e dell’annichilimento
da lui provati di fronte all’infinito. Va però detto che al cospetto
dell’infinito l’uomo è costretto anche a prendere amara coscienza della
propria inadeguatezza; creatura finita per eccellenza, egli potrà infatti
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solo intuire, ma mai compiutamente razionalizzare ed esprimere
l’illimitatezza di ciò che è infinito. Alla sua portata è tutt’al più l’
"indefinito", ovvero una pallida controfigura umana di quell’infinità
sempre sfuggente. Ciò spiega perché anche in questo caso il poeta provi
quel misto di piacere e angoscia così caratteristico del suo rapporto col
mondo.
La capacità dell'uomo di far sorgere in sé un'immaginazione del vago e
dell'indefinito, in luogo della semplice vista delle cose, è dolce e
piacevole, ed è tipica dei fanciulli e degli uomini dell'età antica. Questa
sensazione sta all'origine anche delle illusioni. Si tratta della sensazione-
"oltre"
esperienza di un rispetto alla semplice vista delle cose: ma un
oltre che non esiste, che e' solo prodotto dell'immaginazione umana,
anche se l'uomo desidera perdersi in esso, lo trova una cosa dolce.
"negativo",
L’infinito di Leopardi, quindi, è nel senso che è un infinito
creato dall’immaginazione e dal desiderio, come puro prodotto della
problema
mente umana. È chiaro che il suo modo di porsi di fronte al "
dell’infinito" è di tipo metafisico ed è la ricerca del rapporto tra infinito
come spazio assoluto e tempo assoluto e la nostra cognizione del tempo
e dello spazio empirici. Ma nella sua riflessione inserisce il suo
particolare modo di interpretare l’infinito, o meglio l’indefinito, come
fluttuare di sensazioni.
Per Leopardi l’infinito coincide con lo slancio vitale, con lo spasimo, la
tensione che l’uomo ha connaturata in sé verso la felicità. L’infinito
diventa il principio stesso del piacere, e il fine stesso a cui tende questo
slancio dell’uomo. È il desiderio assoluto di felicità che porta l’uomo a
ricercare il piacere in un numero sempre crescente di sensazioni, nella
speranza vana della sua completezza; è una tensione che non ha limiti,
né per durata nel tempo, né per estensione, per questo si scontra
irrevocabilmente con la vita umana, lo spazio, il tempo, la morte. Questa
tensione può spegnersi solo nel momento della morte perché è uno
slancio connaturato alla vita stessa; l’anima, amando sostanzialmente il
piacere, abbraccia tutta l’estensione immaginabile di questo
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sentimento, senza poterla neppure concepire, perché non si può formare
l’idea chiara di una cosa che ella desidera illimitatamente. Per superare i
limiti fisici della natura umana interviene l’immaginazione, che ha come
"attività" principale la raffigurazione del piacere. Resta però nell’animo
un senso di inappagamento, di insoddisfazione perché non si riesce
effettivamente a concepire l’infinito, ma solo l’indefinito, che è un’idea
inadeguata, approssimata, vaga: e questa insoddisfazione conduce alla
noia spirituale. Ci sono però immagini, sensazioni che suscitano
nell’animo l’idea di infinito, ad esempio la visione di una torre antica,
perché il concepire uno spazio di molti secoli produce una sensazione
indefinita, l’idea di un tempo
indeterminato, dove l’anima si
perde e sebbene sa che non ci
sono confini, non li distingue e
non sa quali siano.
Ovviamente, a questo proposito,
l’immagine che meglio ha
esemplificato questa concezione
leopardiana dell’indefinito è
senz’altro costituita dagli
"interminati spazi" della famosa
poesia intitolata, appunto
“L’Infinito” scritta nel 1819:
Sempre caro mi fu
quest’ermo colle
e questa siepe che da tanta
parte
dell’ultimo orizzonte il
guardo esclude.
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Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni e la presente
e viva, e il suon di lei: Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
"L'Infinito" è il primo di quei primi componimenti che il poeta pubblicò
"Piccoli Idilli".