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Sintesi
Italiano: Primo Levi, Aleksandr Solženicyn.

Storia: i campi di concentramento. Gulag e lager nazisti.

Diritto: totalitarismo.

Scienze delle finanze: l'aspetto economico dei campi di concentramento.
Estratto del documento

Propaganda Antireligiosa entravano nelle cattedrali, chiese, monasteri, anche durante le mense,

con bandiere rosse, gridando: "Morte ai preti!”, dopo di che distrugevano le icone, le macchiavano

di vernice e a volte sul loro dorso incollavano il ritratto di Stalin; sputavano le croci, entravano

nell’altare e indossavano gli abiti sacerdotali e i credenti non osavano opporsi perché alla porta

erano quelli del NKVD, armati, pronti ad intervenire. Hanno profanato e bruciato libri religiosi e

biblioteche della parrocchia, dell’episcopia.

“GULAG”

Durante l'Unione Sovietica, in particolare negli anni dello stalinismo, Mosca ha considerato la

Repubblica Socialista Sovietica Moldava non solo una fonte di materia prima, ma "una fonte di

manodopera a basso costo per i cantieri, le imprese industriali e minerarie di carbone in diverse

regioni del paese sovietico ". Ma questo non è stato l’unico motivo delle deportazioni di massa e

non è stata Moldavia l’unica a subire una tragedia del genere da parte del regime stalinista che ha

portato non solo alla sterminazione parziale del popolo di questi stati ma anche alla sterminazione

delle minoranze etniche rifugiate su questi territori (ebrei dalla Cecoslovachia e Austria che si

trasferirono in Polonia).

Innanzitutto la Moldavia ha subito tre ondate di deportazioni forzati, Polonia cinque, Lituania

tre, Lettonia ed Estonia una deportazione di massa ciascuna dirette verso una vasta rete di campi

di lavoro chiamati “Gulag” che un tempo erano disseminati in lungo e in largo in tutta l’Unione

Sovietica, dalle isole del mar Bianco alle sponde del mar Nero, dal Circolo polare artico alle

pianure dell’Asia centrale, da Murmansk al Kazakistan, dal centro di Mosca alle periferie di

Leningrado. 2

Il Gulag è ormai sinonimo in Europa di campo di concentramento del sistema sovietico. Il

termine in sé rappresenta l’abbreviazione di : ГУЛаг - Главное управление исправительно-

трудовых лагерей , "Direzione principale dei campi di lavoro correttivi” e si può dire che entra

nel linguaggio sovietico solo all’inizio del 1931 quando viene istituita un’amministrazione

autonoma per la gestione dei campi comunisti.

L’amministrazione dei Gulag ha in prevalenza questi scopi di carattere generale:

a) isolare gli elementi poco sicuri e sospetti e utilizzarli come manodopera forzata;

b) assicurare manodopera a basso prezzo a imprese statali su tutto il territorio nazionale;

c) costruire nuovi complessi concentrazionari;

d) liquidare periodicamente talune categorie di detenuti.

In aggiunta alla categoria più comune di campi che praticavano lavoro fisico pesante e vari tipi

di detenzione, esistevano anche altre forme.

Šaraška (шарашка, luogo d'ozio) - laboratori di ricerca dove gli scienziati arrestati,

 alcuni dei quali eminenti, venivano riuniti e sviluppavano in segreto nuove tecnologie e

ricerche di base.

Psichuška (психушка, manicomio) - trattamento medico forzato mediante

 imprigionamento psichiatrico, utilizzato, al posto del campo di lavoro, al fine di isolare ed

esaurire psichicamente i prigionieri politici. Questa pratica divenne comunissima dopo lo

smantellamento ufficiale del sistema dei Gulag.

 Campi o zone speciali per fanciulli ("малолетки", maloletki, minorenni), per disabili e

per madri con neonati ("мамки", mamki). Queste categorie erano considerate

improduttive e spesso soggette a molti abusi.

Campi per "mogli di traditori della Patria" (esisteva una categoria particolare di

 repressi: "membri familiari dei traditori della Patria" (ЧСИР, член семьи изменника

Родины).

Migliaia di zek furono usati per estrarre minerale di uranio e preparare attrezzature

 per i test di Novaja Zemlja, nell'isola di Vajgac, a Semipalatinsk, tra gli altri luoghi.

Esistono documenti sull'uso di prigionieri dei Gulag nei primi test nucleari .

Avraham Shifrin (The First Guidebook to Prisons and Concentration Camps of the Soviet

 Union, 1982) definisce come "campi di sterminio" 43 campi dell'Unione Sovietica nei

quali i prigionieri furono "forzati a lavorare in condizioni pericolose e insane responsabili

di una morte certa". L'autore identifica tre tipi di campi:

1) campi dai quali nessuno uscì vivo (miniere di uranio e impianti di arricchimento);

2) campi di lavoro pericoloso per l'industria bellica (impianti nucleari ad alto rischio);

3) campi di lavoro pericoloso, responsabile di disabilità e malattie fatali (impianti senza

ventilazione). « Per fare le camere a gas, ci mancava il gas » - Aleksandr Solženicyn

Dopo la seconda guerra mondiale, non sono bastate le

deportazioni per la piccola Moldavia; Stalin aveva ancora un

piano per essa: la carestia indotta. Nel autunno del 1946, i

funzionari comunisti spazzarono via tutti i prodotti alimentari

dalle case dei cittadini fino all’ultimo granello, non importava se

avevano 2 o 14 bambini, se erano poveri o ricchi. E chi si

opponeva, veniva immediatamente fucilato o inviato nel Gulag 3

(una morte ancora più dolorosa). Chi cercava di fuggire all'estero, in particolare in Romania, era

catturato,fucilato o inviato nel Gulag. Chi riusciva a superare il confine con la Romania veniva

catturato dai bolscevichi e "rimpatriato" per essere fucilato o inviato nel Gulag. La fame

organizzata è arrivata a un tale livello che ha costretto le persone a mangiare tutti i tipi di erba,

animali che di solito non si devono mangiare (gatti,cani,topi...) e persino uomini già morti dalla

fame.

“Viviamo in tempi difficili, le persone che mangiano persone. Vengono sepolti circa 50 ogni

giorno. Si passano le giornate con grande orrore – non abbiamo nemmeno un boccone di pane e

tutti muoiono come delle mosche ...” - il riccordo di una sopravvissuta della fame del 1946-1947, Moldavia.

Il fenomeno di canibalismo si verificò nel 1933, quando furono condotti esperimenti sociali di

sopravvivenza, che videro migliaia di "elementi socialmente nocivi" deportati in aree

completamente disabitate e prive di mezzi di sussistenza, allo scopo di identificare un metodo di

colonizzazione del "Far East" sovietico. Sull'isola di Nazino, nel cuore della Siberia, furono

trasferite 13.000 persone: quasi tutte morirono d'inedia, freddo e fame, si uccisero a vicenda o

furono giustiziate. Gli episodi di cannibalismo erano all'ordine del giorno.

IL CAMMINO

C’èra un sistema preciso per spaventare le persone e farle salire sulle macchine dei soldati

sovietici e deportarle. Di solito, un grupo di due o tre soldati armati e un adetto alla sicurezza

bussavano alla porta e alla finestra nel cuore della notte, prendendo di sorpresa le famiglie. “Avete

a disposizione un quarto d'ora per prepararvi!”, questo era l'ordine dato alle persone spaventate a

causa di ciò che è accaduto, senza capire dove stavano andando e perché. Spesso, tra coloro

che entravano in casa, c ’èra anche il “benefattore” che aveva denunciato la famiglia, aiutando

così la NKVD per rilevare gli elementi pericolosi. I deportati avevano l’autorizzazione di prendere

10 kg a persona delle cose più neccessarie. Immediatamente venivano caricati nei camion e

portati alla stazione ferroviaria.

Qui, i membri di ogni famiglia venivano separati come segue: i capi delle famiglie da una parte, i

maggiorenni da un’altra, e le donne con figli piccoli e gli anziani – da un’altra parte ancora. Dopo

dovevano salire a bordo dei vagoni merci, in ciascuno di essi salivano

70-100 persone, senza cibo ne acqua. Sulle carozze c'era scritoo: “Treno

con lavoratori che fuggono dalla Romania, da sotto il giogo dei

boiard accoglieteli con fiori!” o “Emigranti volontari”, cosa molto

curiosa perchè piena di menzogna e crudeltà come nel caso del

messaggio di benvenuto posto all'ingresso di numerosi campi di

concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale: “Arbeit

macht frei” che in tedesco significa “Il lavoro rende liberi”.

Tutti i detenuti venivano sottoposti ad un controllo medico, nell’arco del quale si definiva il tipo

di lavoro da assegnare: lavoro di fatica, di sforzo medio o senza fatica fisica. Giornate lavorative

erano di 270—300 all’anno, di 10-12 ore al giorno. Le quantità di cibo giornaliero erano definite

dalle leggi, però in realtà questi leggi non venivano osservate e tanti detenuti soffrivano di

malnutrizione e carenze vitaminiche. La mortalità in maggior parte era causata dalle malattie di

raffreddore a causa dell’abbigliamento inadatto e delle condizioni inadeguate degli edifici di

detenzione (tra cui baracche di legno non riscaldate) e dallo stato di denutrizione. I detenuti che

4

lavoravano male o si impegnavano poco nel loro lavoro a loro assegnato venivano messi in

condizioni di vita peggiori e venivano sottoposti ad una vera persecuzione psicologica degradante.

Le torture e le umiliazioni erano all’ordine del giorno. Per esempio: trascinare rocce o tronchi da

un luogo all'altro, contare i gabbiani, urlare "internazionale" per molte ore. Se un prigioniero non

urlava, due o tre prigionieri venivano uccisi, urlavano fino a quando non crollavano dalla

stanchezza. E tutto questo durante la notte al freddo.

Nel periodo tra il 1920 e il 1953 il totale documentabile di vittime del sistema di lavoro correttivo

è dai 8 ai 20 milioni di individui, fra prigionieri politici e comuni. Vi si aggiungano circa 800.000

esecuzioni di «controrivoluzionari» eseguite fuori dal sistema dei campi. Ma secondo le denunce

di Solženicyn e di altri dissidenti sovietici, l’intero sistema sovietico, provocò in totale circa 50

milioni morti, compresi quelli uccisi dalle numerose carestie, anche se non esiste nessuna cifra

ufficiale al riguardo.

Sospettati, nella maggior parte dei casi, di attività antisovietica e di spionaggio, alcune centinaia

di italiani, per lo più emigrati politici e giunti in Urss negli anni Venti, per sfuggire al fascismo,

incantati dal miraggio del paradiso comunista, «morirono fucilati dopo processi sommari e lunghe

sofferenze nei campi di lavoro forzato». Il Centro studi Memorial di Mosca e della Fondazione

Feltrinelli di Milano, fornisce un elenco di 1.025 vittime italiane, completo di note biografiche.

Uno dei capitoli più sconvolgenti è quello in cui si parla dei campi di concentramento per i

bambini. Non solo i figli dei condannati che lo seguivano nel gulag o quelli che vi nascevano, o

quelli che furono costretti a denunciare e dimenticare i genitori, persino cambiare nome, ma intere

generazioni, un numero enorme di bambini abbandonati (besprizorniki) a causa delle tremende

circostanze in cui versava il paese, del susseguirsi di cataclismi come la guerra civile, la

collettivizzazione forzata e poi le carestie degli anni Trenta. Una parte finiva negli orfanotrofi

(386.000 nel 1934). Milioni di altri erano abbandonati a se stessi. Per loro si istituirono campi

specializzati. Erano considerati un problema di ordine pubblico. Bande di adolescenti si erano resi

responsabili di delitti efferati, spesso in gruppo. I vertici del partito decisero di intervenire, non

tanto perché mossi a pietà dalle condizioni dell’infanzia abbandonata, ma per ovviare a un

problema che spaventava l’opinione pubblica già provata dalle difficili condizioni di vita per tutti.

Viene citata una lettera indirizzata nel marzo 1935 da Voroshilov a Stalin, Molotov e Kalinin in

cui, a partire da un fatto di cronaca che aveva creato molta sensazione (un duplice omicidio

commesso da due sedicenni), si suggerisce che “il Comitato centrale debba ordinare all’NKDV di

organizzare immediatamente strutture in cui collocare non solo i ragazzi abbandonati, ma anche

quelli privi di sorveglianza, mettendo così al riparo la capitale dal sempre crescente teppismo

‘giovanile’”. “Non capisco perché questi farabutti non si possano fucilare. Bisogna forse aspettare

che crescano a diventino banditi ancora più pericolosi?”, la conclusione. Stalin lesse, e diede

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