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Latino: Tacito
Filosofia: Karl Marx
Italiano: Gabriele D’Annunzio
Inglese: Oscar Wilde
Storia: il bombardamento Atomico (Hiroshima e Nagasaki)
Fisica: il nucleare
Geografia astronomica: la catena protone-protone
guerre combattute, gli incarichi portati a termine, parla di cifre,
elenca l’inventario dei beni dello Stato. Poi, a conclusione, la frase
netta e tagliente come una spada: “Depongo tutti i miei poteri, e vi
rendo le armi, le leggi, i popoli soggetti”.»
(da F. Sampoli, Il potere come vocazione, in «Archeo», 2 Novembre 2003, pp.
63 sg.)
Nonostante questa citazione possa ingannare il lettore, Augusto
rinunciando a tutto ciò che conquistò, fu implorato nel corso degli
anni dal Senato a tornare a comandare la Repubblica e così gli
vennero via via attribuiti tutti i poteri e il titolo di “Augustus”, da
“Augeo” ovvero “accrescere”: iniziò quindi l’Impero.
Historiae
Publio Cornelio Tacito intorno al 100 scrisse le e
“Annales”:
successivamente gli Nelle prime anche Tacito elogia
Ottaviano parlando, nell’ultimo libro, della sua ascesa al potere
dopo la battaglia di Azio: l’autore, nonostante reputi la dittatura di
un solo uomo l’unica soluzione per rifondare l’Impero, è
pienamente cosciente che ciò avrebbe significato la perdita della
libertà di parola, di scrittura e di pensiero: Augusto fondò infatti il
“circolo di Mecenate” e si circondò di artisti e letterati da lui protetti
in cambio di elogi e grazie (Cfr. citazione di Virgilio a inizio pagina) e
si dovette arrivare a Tacito, 50 anni dopo, quando la storia analizza
obiettivamente i fatti, per ascoltare critiche vere e proprie sul
primo imperatore.
Negli Annales, Tacito parla dell’Imperatore Traiano e
immediatamente lo confronta con Augusto: Entrambi furono tra i
pochi imperatori amati dal popolo romano ma, come la storia ci
insegna, raggiunsero la stima dei romani promettendo
l’irrealizzabile e facendo credere l’irreale.
Il popolo era così diventato una massa di parassiti, dediti alla cura
del corpo e accontentati semplicemente da “Panem et Circenses”,
interessati più ai “gossip” dei politici del tempo (si pensi alle
vicende di Claudio e Messalina, di Clodia sorella di Clodio Pulcro
ecc.) che alle vicende politiche dell’Impero, permettendo a chi
sedeva sul trono più ambito del tempo di agire indisturbato (anche
il Senato, dopo il governo di Commodo, perse via via tutta la sua
influenza).
Finisce così il nostro “viaggio” nella Roma Antica, ma prima di
parlare di due illustri personaggi con una stravagante e deleteria
visione di popolo, parleremo di uno dei critici più rivoluzionari della
nostra storia, un uomo che capì realmente com’era costituito un
sistema e tutte le sue falle, un uomo che scoprì come ogni altro
uomo fosse alienato dal resto del mondo.
Filosofia
(Karl Heinrich Marx, 1818 - 1883)
Karl Marx nasce nel 1818 da famiglia di origini ebraiche che si
convertì al Luteranesimo per motivi di discriminazione (sotto
Federico Guglielmo II). Terminati i suoi studi presso l’Università di
Berlino, il filosofo iniziò a dedicarsi da giornalista alla trattazione del
Osservazioni sulle recenti
tema della libertà di stampa: scrisse le
istruzioni per la censura in Prussia che però non pubblicò per
Dibattiti sulla libertà di stampa e sulla
prudenza e nel 1842 i
pubblicazione dei dibattiti alla Dieta. Moses Hess finanziò i suoi
articoli, egli era a capo di un movimento radicale e convertì Marx e
Engels al comunismo.
«La prima libertà di stampa» - scrive -«consiste nel fatto che essa
non è un'industria», mentre «la vera e propria cura radicale della
censura sarebbe la sua abolizione»
(Umberto Cerroni, cit., p. 20)
Le più famose opere di Karl Marx però non riguardano la censura
bensì l’economia: Il filosofo infatti, stimolato dalla lettura
dell'Abbozzo di una critica dell'economia politica di Engels, iniziò a
studiare gli Economisti Classici a Parigi e il frutto di questo studio
Manoscritti economico-filosofici del 1844
furono i : egli criticò tutti gli
scritti economici classici mettendone in evidenza ogni loro
controversia (approfondirà queste controversie anche con analisi
Il Capitale)
matematiche ne e condannò l’economia borghese
basata sul Dio-Demonio Denaro, causa dell’alienazione.
«Il denaro è il potere alienato dell'umanità. Quello che non posso
come uomo e quindi quello che le mie forze individuali non possono,
lo posso mediante il denaro. Dunque il denaro fa di ognuna di
queste forze essenziali qualcosa che essa in sé non è, cioè ne fa il
suo contrario»
Manoscritti,
(Karl Marx, cit., p. 154.)
Rifacendosi a Feuerbach, che sosteneva che l’alienazione scindeva
l’uomo religioso dalla propria realtà, sottomettendolo ad una realtà
completamente estranea che lui stesso ha posto, Marx parla di
alienazione in chiave socio-economica.
Ogni individuo del popolo è nel “sistema”, esso contribuisce a “far
girare la ruota”, ma l’alienazione riguarda l’individuo in quattro
aspetti fondamentali:
-Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto poiché egli produce
un oggetto che non gli appartiene e che deve essere iniettato subito
nel sistema: il lavoratore così dipende dal prodotto in tutto e per
tutto.
-Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività la
quale è semplicemente strumento di profitto: l’uomo con la sola
ricerca del profitto si sente bestia e ha come fine ultimo della vita
niente di più che “mangiare, bere e procreare”.
-Il lavoratore è alienato rispetto alla sua essenza (Wesen)
poiché contrariamante al lavoro “libero” che la natura detta
all’uomo, il lavoro richiesto dal sistema capitalistico è restrittivo,
forzato e ripetitivo.
-Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo dato che ogni altra
persona al mondo è solo ed esclusivamente un altro capitalista che
ha lo scopo di espropriarlo del frutto della sua fatica e subire la
stessa sorte generando automaticamente un rapporto di
conflittualità.
Il popolo che lavora, studia e vive la vita come “massa di
lavoratori”, quindi, non è semplicemente alienato dalla politica e da
ogni decisione che verte su di esso e rischia di usarlo come mezzo,
ma è anche alienato al suo interno, individuo per individuo, da un
sistema che collabora alla cancellazione di ogni valore diverso da
“mangiare, bere e procreare”, un po’ come i “panem et circenses”
di cui viveva il popolo romano: la storia è ciclica, si ripete sempre e
probabilmente non impareremo mai dai nostri errori.
L’idea di popolo, massa, stato e potere costituiscono però un
elemento negativo sull’arte. Un autore-personaggio il cui
esibizionismo lo vide più famoso prima come persona che come
scrittore, ha esposto dettagliatamente la sua singolare idea di
popolo e i suoi effetti negativi sull’arte in un saggio intitolato
“L’anima dell’uomo sotto il socialismo” .
English
(Oscar Wilde; Dublino, 16 Ottobre 1854 - Parigi 30 novembre 1900)
Oscar Wilde, partendo da una riflessione sulla disobbedienza e sulla
ribellione, attraverso le quali si è realizzato il progresso, asserisce
che lo Stato deve rinunciare a governare e lasciare in pace
l’umanità.
«La democrazia, a proposito della quale si nutrono grandi speranze,
significa semplicemente prevaricazione del popolo da parte del
popolo per il popolo. Il popolo vive la sua vita in una specie di rozzo
comfort, come bestioline vezzeggiate, che vestono vestiti usati
senza mai essere sé stessi. […] Lo Stato e il popolo uccidono
l’individualismo, la vera e unica libertà, l’unica condizione che rende
bella l’anima dell’uomo che può esprimere al meglio la propria
potenzialità. […] In particolare, l’assenza di governo è l’unica forma
di governo adatta all’artista»
(Oscar Wilde, L’anima dell’uomo sotto il socialismo, 1891)
Ma governo o folla sono indistinguibili per Wilde perché tutta
l’autorità è negativa. Poi, Wilde si fa ancora più “razzista” nei
confronti del popolo quando dice che ci sono tre tipi di despoti:
-Il despota che tiranneggia il corpo: il Principe. Ma il principe può
anche essere colto
-Il despota che tiranneggia anima e corpo: il Papa. Ma ci sono stati
Papi colti
-Il despota peggiore, con un’autorità cieca, sorda, obbrobriosa e
grottesca:
Il popolo. È impossibile per un artista vivere con il popolo
I despoti corrompono, il popolo corrompe e abbrutisce. E a chi
potrebbe dire che l’individualismo è egoismo, Wilde risponde che il
vero egoismo è chiedere agli altri di vivere come loro vorrebbero e
altruismo è lasciare in pace gli altri.
Chiaro è il suo risentimento con l’ambiente puritano contro il quale
la sua personalità si scontrava. La sua vita sregolata e provocatoria
con i suoi atteggiamenti clamorosi, stravaganti e spesso scandalosi,
fu condannata dalla folla popolare. Racconta Joyce che la sua
caduta fu salutata da un urlo di gioia puritana e che la folla
popolare si mise a ballare di fronte al tribunale quando Wilde venne
condannato. Eppure, nota sempre Joyce che il centro motore
dell’arte di Wilde, non si distaccò, almeno negli ultimi anni, da un
credo che muove le folle dai tempi del cristianesimo: il peccato.
«L’uomo non si può avvicinare al cuore divino se non attraverso
quel senso di separazione e di perdita che si chiama peccato»
(James Joyce, prefazione a L’anima dell’uomo sotto il socialismo)
Folla massa e popolo costituiscono una contraddizione nell’ideologia
e nel riscontro pratico dell’opera di un altro personaggio dal
protagonismo esibizionistico.
Italiano
(Gabriele D’Annunzio; Pescara, 12 Marzo 1863 – Gardone Riviera, 1 Marzo
1938)
La moderna società di massa, le “città terribili” dominate dalla
“folla”, sono per D’Annunzio viste con l’orrore di un nazionalista
individualistico, pomposamente eroico, apertamente razzista.
Il disprezzo aristocratico per la massa, per il popolo, è ampiamente
connaturato del resto nel suo superomismo, nel suo sentirsi un
essere superiore, privilegiato, nella narcisistica affermazione
dell’altezza della propria funzione sociale.
Del resto, è la Bellezza, che per D’Annunzio è un valore assoluto, ha
da allontanare il genio solitario e superiore dalla degradazione della
massa.
Ma è la caratteristica della cultura decadente quella di aspirare al
bello, al raffinato gusto estetico, all’arte quale unica fonte di
innalzamento sociale al di sopra degli altri. E D’Annunzio come
Wilde, confonde arte e vita, una vita “inimitabile” che in realtà, nel
caso di D’Annunzio, ha scatenato paradossalmente un vero e
proprio “mito di massa” . Del resto D’Annunzio ha però abilmente
sfruttato i meccanismi delle mode costruendo a differenza di Wilde
il proprio successo in base al consumo di massa della sua opera.
Anima dell’uomo sotto il socialismo
Laddove nell’ Wilde sostiene
che il pubblico di massa non deve e non è capace di valutare,
criticare o condizionare il successo di un opera, D’Annunzio si rende
ben conto che per sostenere la sua splendida vita ha bisogno di un
pubblico vasto. Allora lancia il messaggio sconfortato attraverso
Il Piacere,
l’ultimo capitolo de dove il protagonista eroe-esteta, il
quale vuole subordinare tutto all’arte, fallisce proprio perché la
società di massa con la sua volgarità economica all’arte è ostile o
indifferente.
Purtoppo Andrea Sperelli, alter-ego d’annunziano vede i suoi ideali
di bellezza soccombere contro l’invasione della volgarità e della
massa. E Claudio Cantelmo, altro personaggio alter-ego dell’autore,
le vergini delle rocce,
de convinto di appartenere a una specie
superiore ben diversa dalla volgarità del popolo, incarna bene il
superomismo d’annunziano, a volte dai tratti di una megalomania
patetica.
Prima di passare alla parte scientifica che tratterà proprio il
funzionamento delle reazioni nucleari e i rischi correlati,
spostiamoci leggermente in avanti nel tempo per parlare
dell’evento che più sconvolse la storia umana moderna: in poche
ore infatti morirono più di duecentomila persone a causa di un
episodio ancora discusso e che non si finirà mai di discutere.
Storia
(Il fungo della Bomba Atomica: Hiroshima, 6 Agosto 1945)
Correva l’anno 1945 e l’Europa aveva da poco vissuto la fine di una
guerra che la devastò fisicamente, moralmente e ne segnò la storia