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Sintesi
Italiano: Luigi Pirandello

Filosofia: Arthur Schopenhauer

Storia: La Propaganda Dei Regimi Autoritari

Inglese: Oscar Wilde

Francese: Gustave Flaubert

Storia Dell’arte: Han Van Meegeren

Matematica: Limite Di Una Funzione

Fisica: Paradosso Dei Gemelli
Estratto del documento

constatato che nulla è rimasto ormai della sua gioventù, del suo amore,

e che molti lo avevano tradito.

In questo modo Enrico IV tenta, nonostante abbia ormai ammesso la

sua guarigione, di dimostrare quanto false ed ipocrite siano le vite di

coloro che lo circondano, cristallizzate in una forma di cui non sono

neanche consapevoli. La stessa morte di Belcredi per mano di Enrico IV

simboleggia non la vendetta per gelosia, ma il bisogno esasperato di

netto taglio con il passato perduto. Spaventando tutti, potrà continuare

a fingersi pazzo, vivendo la propria vita in libertà e non più costretto da

rigide imposizioni delle quali oramai è libero.

I venti anni perduti gli sembrano riconquistati, quando gli appare

Frida, figlia di Matilde e ritratto della stessa da giovane, ma è

un'illusione che dura poco: solo rifugiandosi di nuovo nella pazzia, con

l'omicidio di Belcredi, Enrico IV si sottrae di nuovo al fluire del tempo

ed al rimpianto degli anni perduti.

Enrico è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente, ma

dell'impossibilità di adeguarsi ad una realtà che non gli si confà più,

stritolato, nelle altrui vedute, assume una forma immutabile agli occhi

di tutti, ma non di se stesso, l’unica “via di scampo”è quella di rifugiarsi

nel già vissuto.

In Enrico IV troviamo l’esasperazione del conflitto fra apparenza e

realtà, fra normalità e anormalità, fra il personaggio e la massa, fra

l’interiorità e l’esteriorità.

Per superare questo conflitto il personaggio tende sempre più a

chiudersi in se stesso, perciò l’anormalità diventa sistema di vita.

La crisi dei vecchi valori è nata secondo Pirandello dalla scoperta della

relatività di ogni cosa; la modernità è un insieme di spinte

contraddittorie condannate alla relatività del proprio punto di vista:

non esiste più una verità assoluta.

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A questa crisi l’autore risponde con l’elaborazione di una nuova

poetica, fondata sull’umorismo, sollecitata dalla lettura di maestri

dell’umorismo europeo e di studiosi di psicologia.

L’uomo da sempre vive in una dimensione illogica all’interno della quale

cerca di crearsi una serie di inganni ed illusioni che la rendano

apparentemente sensata; l’umorismo è la tendenza dell’altro a svelare

le contraddizioni e nasce dalla crisi dei valori ottocenteschi che

minaccia il concetto stesso di verità.

Non si propongono valori, ma si mettono in risalto le contraddizioni

della vita (irridendole e compatendole allo stesso tempo), il contrasto

tra forma e vita, tra persona e personaggio.

La forma è tutta quella serie di auto-inganni creati dall’uomo in base ai

propri ideali ed alle leggi civili, e blocca la spinta alle pulsioni vitali,

cristallizza la vita, vale a dire quella forza profonda ed oscura che si

manifesta solo raramente nella malattia o nei momenti in cui non si è

coinvolti nel meccanismo dell’esistenza.

Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona ma

una maschera (un personaggio) che recita la parte assegnatagli dalla

società (quella di padre, d’impiegato…) e che egli stesso s’impone in

base ai propri principi morali.

Quando si ha la consapevolezza di tutto questo si diventa maschere

nude, si è consci di tale contraddizione, ma completamente impotenti di

fronte ad essa: più che vivere ci si guarda vivere, compatendo non solo

gli altri ma anche se stessi.

È proprio quest’amaro distacco dalla vita che contraddistingue

l’umorismo dalla comicità:

• la comicità nasce da un semplice “avvertimento del contrario”

(l’avvertimento che una situazione risulta contraria a come dovrebbe

essere) che provoca il riso;

• l’umorismo nasce, invece, da un “sentimento del contrario”, in

altre parole una riflessione sulle cause per le quali tale situazione

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risulta ribaltata, che provoca, dopo l’istintiva risata, un amaro

sentimento di pietà.

L’esempio più appropriato della frantumazione dell’io e del

relativismo pirandelliano che evidenzia il contrasto tra apparenza

e realtà è il romanzo “Uno, nessuno e centomila”.

UNO, NESSUNO E CENTOMILA

Il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre di non essere per gli altri

quell’UNO che è per sé. La moglie Dida, svelandogli che il suo naso

pende verso destra, ha squarciato tutte le sue certezze, avviando una

riflessione sull’intera esistenza. Ecco visualizzato lo sbriciolamento del

reale che da univoco (UNO) diventerà poliedrico (CENTOMILA) e

sfocerà nel nulla (NESSUNO).

Vitangelo allo specchio, simbolo dell’io davanti a se stesso, scopre di

vivere senza "vedersi vivere". Si getta quindi all’inseguimento

dell’estraneo inscindibile da sé che gli altri conoscono in centomila

identità differenti. Il protagonista si stacca dal proprio "fantoccio

vivente", per se stesso è ormai nessuno: la distruzione dell’io è

consumata.

Maschera creata dagli altri, fantoccio della moglie, è il "caro Gengè",

amato teneramente da Dida fino a trasformare Vitangelo in un’ombra

vana. Il padre "banchiere – usuraio" lo ha ingabbiato nel ruolo di "buon

figliuolo feroce": ecco un’altra marionetta nel "gioco della parti" della

vita. La gente lo vede come uno spietato usuraio.

L’aspirazione di Vitangelo è rimanere al di là dello specchio, essere un

"Un uomo così e basta". E’ possibile? Egli, alla ricerca di una via di

fuga dai centomila estranei a sé che vivono negli altri, decide di

uccidere le sue "marionette” ma, per aver voluto dimostrare di non

essere ciò che si credeva, è ritenuto pazzo: la gente non vuole

accettare che il mondo sia diverso da come lo immagina. Non c’è via di

fuga: Vitangelo scopre che le marionette non si possono distruggere.

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La decisione di vendere la banca del padre per uccidere l’usuraio

Moscarda, fa sorgere una volontà che lo fa essere Uno. Questo atto, per

tutti assurdo, crea attorno a lui un vuoto in cui s’inserisce Anna Rosa,

donna dalla psiche molto simile alla sua: frantuma la propria identità

atteggiandosi davanti allo specchio, vorrebbe fermare la vita per

conoscersi.

Vitangelo, presentandosi come una persona completamente diversa dal

Moscarda che tutti hanno davanti agli occhi da anni, perderà la moglie,

la ricchezza e la "faccia", ma saprà trovare nell'ospizio per poveri da lui

stesso fatto costruire, il proprio vero io che gli era stato negato.

Egli, avvolto nella coperta verde "naufraga dolcemente" nella serenità

della natura, senza passato né futuro. Estraniarsi da sé è l’unica via per

fuggire alle centomila costruzioni che falsificano la realtà e la

imprigionano in un nome immutabile.

La vita "non termina" ed è un divenire pulsante: meglio, dunque, essere

nessuno poiché l’essere uno si è rivelato un’illusione di fronte allo

svelarsi delle centomila maschere.

Pirandello evidenzia non i fatti, ma la vita interiore del "Fu Vitangelo

Mostarda”.

IL FU MATTIA PASCAL

“ Il fu Mattia Pascal” Romanzo di Luigi Pirandello, pubblicato nel 1904

prima a puntate sulla rivista “Nuova Antologia”, poi in volume. È la più

famosa tra le opere narrative dello scrittore siciliano, la prima che gli

assicurò il successo letterario in Italia e all’estero.

Il romanzo fu scritto a seguito della grave crisi familiare del 1903, che

pose Pirandello in cattive condizioni economiche e scatenò la malattia

mentale della moglie, e giunse alla definitiva pubblicazione dopo una

serie di cambiamenti e accorgimenti nel 1921.

Mattia Pascal vive in un immaginario paese ligure, Miragno, dove il

padre, che si era arricchito con i traffici marittimi e il gioco d'azzardo,

ha lasciato in eredità alla moglie e ai due figli una discreta fortuna. A

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gestire l'intero patrimonio è un avido e disonesto amministratore, Batta

Malagna, la cui nipote, Romilda, è messa incinta da Mattia, dopo che

non è riuscito a farla sposare con l'amico Pomino.

Mattia è costretto a sposare Romilda e a convivere con la "vedova

Pescatore", la suocera, che non manca di manifestare il suo disprezzo

per il genero, considerato un inetto. Tramite l'amico Pomino, Mattia

ottiene un lavoro come bibliotecario, ma dopo un po' di tempo,

scontento per il lavoro che trova umiliante, per il matrimonio infelice, e

a causa della morte della madre e della figlia, decide di fuggire e di

tentare l'avventura in America. Arrivato a Montecarlo e fermatosi a

giocare alla roulette, in seguito ad una serie di vincite fortunate,

diventa ricco grazie ad una vincita al casinò. Deciso a ritornare a casa

per riscattare la sua proprietà e vendicarsi dei soprusi della suocera,

un altro fatto muta il suo destino. Mentre è in treno legge per caso su

un giornale che a Miragno è stato ritrovato nella roggia di un mulino il

cadavere di Mattia Pascal.

Sebbene sconvolto, comprende presto che, credendolo tutti ormai

morto, può crearsi un'altra vita. Così, con il nome inventato di Adriano

Meis inizia a viaggiare prima in Italia e poi all'estero. Infine, decide di

stabilirsi a Roma in una camera ammobiliata. S’innamora, ricambiato,

di Adriana, la dolce e mite figlia del padrone di casa, Anselmo Paleari, e

sogna di sposarla e di vivere un'altra vita, ma presto si rende conto che

la sua esistenza è fittizia. Infatti, non essendo registrato all'anagrafe, è

come se non esistesse e pertanto non può sposare Adriana, non può

denunciare il furto subito da Terenzio Papiano, un losco individuo

penetrato nella sua stanza per rubare del denaro, e non può svolgere

alcuna delle normali attività quotidiane, poiché privo d’identità. Finge

così un suicidio e, lasciato il suo bastone e il suo cappello vicino ad un

ponte del Tevere, ritorna a Miragno come Mattia Pascal.

Sono intanto trascorsi due anni e arrivato al paese, Mattia viene a

sapere che la moglie si è risposata con Pomino e ha avuto una bambina.

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Si ritira così dalla vita e trascorre le sue giornate nella biblioteca

polverosa dove lavorava in precedenza a scrivere la sua storia e ogni

tanto si reca al cimitero per portare sulla tomba del "fu Mattia Pascal"

una corona di fiori. Nella Premessa seconda (filosofica) a mo' di scusa il

protagonista decide di mettere per scritto la sua strana vicenda: Mattia

lascerà il manoscritto nella biblioteca dove aveva lavorato con l'obbligo

però di aprirlo soltanto cinquant'anni dopo la sua terza, ultima e

definitiva morte. Il consiglio di mettere per scritto il suo caso viene a

Mattia da un suo amico bibliotecario, don Eligio.

Il romanzo è il simbolo del Relativismo Orizzontale. Mattia Pascal è in

Caso

una forma, ha una famiglia e un lavoro, ma il lo fa uscire dalla

Mattia Pascal Adriano Meis.

forma per entrare nella forma di

Adriano si accorge che la sua forma gli va meglio e vorrebbe tornare ad

essere Mattia, ma questo non può accadere perché il passare del tempo

proibisce di rientrare nella stessa forma.

Il tema centrale dell'opera è quello della perdita dell'identità che

Mattia prima caccia via e poi riottiene e accetta. L'identità è qualcosa

d’importante che ogni individuo deve preservare per far sì che il suo

ricordo rimanga per sempre. Inoltre un individuo non può privarsi della

sua identità, poiché ciò gli proibisce di vivere innanzi tutto alcuni

aspetti sociali della vita, e per di più, è impossibile scordarsi della "vita

passata". Si può anche considerare quello dell'identità come una

problematica utopica: l'uomo che, da se stesso, inizia a ripensarsi ed a

ricostruirsi. In Pirandello l'utopia purtroppo crolla, l'unica variante è

nel’fu', che dice il passaggio narrativo da una temporalità ad un'altra, il

movimento ad anello annulla l'utopia. Pascal è sempre in cerca

dell’identità, ma non riesce mai a trovarla. 15

ARTHUR SCHOPENHAUER:

TRA LA REALTA’ E L’APPARENZA

Schopenhauer è il più grande

avversario di Hegel e considera la

filosofia idealista come una

concezione fasulla.

Egli assume come punto di

partenza e di imitazione Kant e

Platone: l’elemento dualistico

accomuna Platone (dualismo tra

mondo sensibile e mondo delle

idee) e Kant (dualismo tra i

fenomeni e i noumeni), in

entrambi gli autori c’è una

contrapposizione tra la realtà

(noumeno per Kant e mondo delle

idee per Platone) e l’apparenza

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