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Sintesi

Presentazione Realtà e apparenza tesina


Il tema apparenza e realtà ha suscitato il mio interesse. In particolare sono stata colpita dal pensiero di Pirandello e ho cercato di rapportarlo ai giorni nostri, rendendomi conto di come fosse sempre più moderno, in quanto egli basa il suo pensiero sul contrasto tra forma e vita, maschera e volto, apparire ed essere, contrasto che oggi viene accentuato dalla tecnologia che, sostituendo alla nostra realtà un’altra virtuale ci propone una realtà fittizia che troppo spesso prende il posto di quella reale. La tecnologia, oltretutto, assottiglia la linea già impercettibile che separa verità e verosimiglianza: prendiamo la Tv, che ci propina mere verità che in realtà sono solamente illusioni, oppure internet, grazie al quale ci si nasconde dietro nickname e false identità. Più andiamo avanti, più l'insicurezza e la relatività aumentano anche a causa della fragilità dell’essere umano. Talvolta distinguere realtà ed apparenza è difficile per i nostri occhi: l’unica cosa rimasta certa è che esistono centomila sfaccettature con cui una realtà, oscura a tutti noi, si propone ad ognuno di noi. L' apparenza è quello che vogliamo vedere, è la cosa più semplice che ci salta agli occhi e spesso è anche la cosa più comoda o facile per noi da comprendere. La realtà è sempre più complessa, a volte è troppo dura da accettare, a volte non la vogliamo proprio vedere. L' apparenza è pura illusione. Troppo spesso ci soffermiamo su di essa senza andare più a fondo per poter conoscere la realtà. Ma alla fine quella con cui ci ritroviamo a combattere ogni giorno è proprio la realtà e non importa quante illusioni noi ci siamo fatti, lei verrà a galla, prima o poi. Sta a noi scegliere se vivere l' illusione o la vita.

Luigi Pirandello


Luigi Pirandello nasce ad Agrigento, il 28 giugno 1867. Studia a Palermo, Roma, ed infine a Bonn consegue la sua laurea nel 1891. Tornato a Roma, viene introdotto dal Capuana negli ambienti letterari e giornalistici della capitale dove si stabilisce definitivamente con la moglie. La malattia mentale della moglie che sospetta, a torto, che egli la tradisca lo pone di fronte al tema che sarà centrale nella sua produzione: il contrasto tra apparenza e realtà. Nel 1926 fonda la sua compagnia teatrale. Nel 1929 entra a far parte dell'Accademia d'Italia, una congrega di intellettuali di stampo fascista. Nel 1934 riceve il premio Nobel. Muore a Roma nel 1936.
Scrittore, drammaturgo e narratore, rappresentò sulle scene l'incapacità dell'uomo di identificarsi con la propria personalità, il dramma della ricerca di una verità al di là delle convenzioni e delle apparenze. Al centro della concezione pirandelliana c’è il contrasto tra apparenza e sostanza. Ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti, in un modo diverso da quello degli altri: a fronte della realtà esterna che si presenta una e immutabile, abbiamo le centomila realtà interne di ciascun personaggio, per cui la vera realtà è nessuna. Tra realtà e non-realtà ci sono due distinte dimensioni:
1)la dimensione della realtà oggettuale, che è esterna agli individui e che apparentemente è uguale e valida per tutti, perché presenta per ognuno le stesse caratteristiche fisiche ed è la non-realtà inafferrabile e non riconoscibile: ciò che resta nell'anima dell'individuo è la sua disintegrazione in tante piccole parti quante sono le possibilità concrete dell'individuo di vederla. Della realtà oggettuale esterna noi non cogliamo che quegli aspetti che sono maggiormente confacenti al particolare momento che stiamo vivendo, in base al quale riceviamo dalla realtà certe impressioni, certe sensazioni che sono assolutamente individuali e non possono essere provate da tutti gli altri individui;
2) la dimensione della realtà soggettuale, che è la particolare visione che ne ha il personaggio, dipendente dalle condizioni sia individuali che sociali, ci sono tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita dell'individuo. Per i personaggi pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettuale, ma una realtà soggettuale, che, a contatto con la realtà degli altri, si disintegra e si disumanizza. L'uomo però deve adeguarsi ad una legge imposta dalla società, egli si costruisce quindi una maschera. Siccome il personaggio non ha nessuna possibilità di mutare la propria maschera si verifica la disintegrazione fisica e spirituale dei personaggi che si può riassumere nella teoria della triplicità esistenziale:

  1. come il personaggio vede se stesso;

  2. come il personaggio è visto dagli altri;

  3. come il personaggio crede di essere visto dagli altri.


Le conseguenze della triplicità sono tre:
1) il personaggio è uno quando viene messa in evidenza la realtà-forma che lui si dà;
2) è centomila quando viene messa in evidenza la realtà-forma che gli altri gli danno;
3) è nessuno quando si accorge che ciò che lui pensa e ciò che gli altri pensano non è la stessa cosa, quando la propria realtà-forma non è valida sia per sé che per gli altri, ma assume una dimensione per sé e un'altra per ciascuno degli altri.
La forma è la maschera, l'aspetto esteriore che l'individuo-persona assume all'interno dell'organizzazione sociale per propria volontà o perché gli altri così lo vedono e lo giudicano. Essa è determinata dalle convenzioni sociali, dalla ipocrisia, che è alla base dei rapporti umani. Il concetto di forma nelle novelle e nei romanzi e di maschera nella produzione teatrale sono equivalenti. La maschera è la rappresentazione più evidente della condanna dell'individuo a recitare sempre la stessa parte, imposta dall'esterno, sulla base di convenzioni che reggono l'esistenza della massa. Quando il personaggio scopre di essere calato in una forma determinata da un atto accaduto una sola volta e di essere riconosciuto attraverso quell’atto e identificato in esso cade in una condizione angosciosa senza fine, perché si rende conto che:

  • la realtà di un momento è destinata a cambiare nel momento successivo;

  • la realtà è un'illusione perché non si identifica in nessuna delle forme che gli altri gli hanno dato.


È nella maschera che ritroviamo un contrasto più profondo fra illusione e realtà, fra l'illusione che la propria realtà sia uguale per tutti e la realtà che si vive in una forma, dalla quale il personaggio non potrà mai salvarsi. Nella società l'unico modo per evitare l'isolamento è il mantenimento della maschera: quando un personaggio cerca di rompere la forma, o quando ha capito il gioco, viene allontanato, rifiutato, non può più trovare posto nella massa in quanto si porrebbe come elemento di disturbo in seno a quel vivere apparentemente rispettabile.
Solo la follia permette al personaggio il contatto vero con la natura (quel mondo esterno alle vicende umane nel quale si può trovare la pace dello spirito) e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi contatti sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili perché troppo forte il legame con le norme della società. Così accade a Enrico IV, un nobile del primo Novecento fissato per sempre nella rappresentazione del personaggio storico da cui prende il nome, dopo aver battuto la testa per una caduta da cavallo. In Enrico IV troviamo l'esasperazione del conflitto fra apparenza e realtà, fra normalità e anormalità, fra il personaggio e la massa, fra l'interiorità e l'esteriorità. Per superare questo conflitto il personaggio tende sempre più a chiudersi in se stesso, per cui l’anormalità diventa sistema di vita. La guarigione di Enrico IV dalla pazzia, improvvisa e fisicamente inspiegabile, proietta il personaggio nelle vicende quotidiane, ma lo rende anche consapevole di non poter più recuperare i 12 anni vissuti “fuori di mente”, per cui non gli resta che fingersi ancora pazzo dopo aver constatato che nulla era rimasto ormai della sua gioventù, del suo amore, e che molti lo avevano tradito. Enrico IV assume una forma immutabile agli occhi di tutti, ma non di se stesso, rifugiandosi nel già vissuto e fingendo di essere ancora pazzo.

Uno, nessuno, centomila


L’esempio più appropriato della frantumazione dell’io e del relativismo pirandelliano che evidenzia il contrasto tra apparenza e realtà è il romanzo “Uno, nessuno e centomila”. Il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre di non essere per gli altri quell’UNO che è per sé. La moglie Dida, svelandogli che il suo naso pende verso destra, ha squarciato tutte le sue certezze, avviando una riflessione sull’intera esistenza. Ecco visualizzato lo sbriciolamento del reale che da univoco (UNO) diventerà poliedrico (CENTOMILA) e sfocerà nel nulla (NESSUNO). Vitangelo allo specchio, simbolo dell’io davanti a se stesso, scopre di vivere senza "vedersi vivere". Si getta quindi all’inseguimento dell’estraneo inscindibile da sé che gli altri conoscono in centomila identità differenti. Il protagonista si stacca dal proprio "fantoccio vivente", per se stesso è ormai nessuno: la distruzione dell’io è consumata. Maschera creata dagli altri, fantoccio della moglie, è il "caro Gengè", amato teneramente da Dida fino a trasformare Vitangelo in un’ombra vana. Il padre "banchiere – usuraio" lo ha ingabbiato nel ruolo di "buon figliuolo feroce": ecco un’altra marionetta nel "gioco della parti" della vita. La gente lo vede come uno spietato usuraio. L’aspirazione di Vitangelo è rimanere al di là dello specchio, essere un "Un uomo così e basta". E’ possibile? Egli, alla ricerca di una via di fuga dai centomila estranei a sé che vivono negli altri, decide di uccidere le sue "marionette" ma, per aver voluto dimostrare di non essere ciò che si credeva, è ritenuto pazzo: la gente non vuole accettare che il mondo sia diverso da come lo immagina. Non c’è via di fuga: Vitangelo scopre che le marionette non si possono distruggere. La decisione di vendere la banca del padre per uccidere l’usuraio Moscarda, fa sorgere una volontà che lo fa essere Uno. Questo atto, per tutti assurdo, crea attorno a lui un vuoto in cui si inserisce Anna Rosa, donna dalla psiche molto simile alla sua: frantuma la propria identità atteggiandosi davanti allo specchio, vorrebbe fermare la vita per conoscersi. Vitangelo, presentandosi come una persona completamente diversa dal Moscarda che tutti hanno davanti agli occhi da anni, perderà la moglie, la ricchezza e la "faccia", ma saprà trovare nell'ospizio per poveri da lui stesso fatto costruire, il proprio vero io che gli era stato negato. Egli, avvolto nella coperta verde "naufraga dolcemente" nella serenità della natura, senza passato né futuro. Estraniarsi da sé è l’unica via per fuggire alle centomila costruzioni che falsificano la realtà e la imprigionano in un nome immutabile. La vita "non conclude" ed è un divenire palpitante: meglio, dunque, essere nessuno poiché l’essere uno si è rivelato un’illusione di fronte allo svelarsi delle centomila maschere. Pirandello mette in rilievo non i fatti ma la vita interiore del "Fu Vitangelo Moscarda".

Nazismo


La crisi economica del 1929, che aveva messo in ginocchio molte nazioni europee causata dal crollo della borsa di Wall Street avvenuta negli Stati Uniti, ebbe effetti pesanti nella Germania che già, negli scorsi quindici anni, era stata afflitta da due altre gravi crisi: quella dopo la Prima Guerra Mondiale e quella del 1923 (periodo in cui l’inflazione era molto alta).Il nazional - socialismo, o come fu definito in seguito nazismo, nacque quindi in un clima di profonda crisi cosi come si era affermato il fascismo in Italia. Il fondatore di questo movimento d’estrema destra fu un reduce di guerra austriaco, Adolf Hitler che in seguito si fece chiamare “Fuhrer” il corrispondente italiano di duce appellativo con il quale si fece chiamare Benito Mussolini, fondatore del movimento dei fasci di combattimento(duce dal latino dux =comandante, guida, capo).Nel 1923 i nazisti, alla guida di Hitler, tentarono un colpo di stato in Baviera(Putsch di Monaco). L’intervento della polizia riportò l’ordine e capi dell’azione, Hitler compreso furono arrestati.
In carcere Hitler, definì i punti della sua ideologia nazista. Le sue tesi sono raccolte nel volume Mein Kampf (la mia battaglia), pubblicato nel 1925:
- il riconoscimento “della razza ariana”(ossia tedesca);
- esigenza della Germania di riconquistare lo “spazio vitale” in Europa;
- i propositi di dominio assoluto della razza pura del mondo;
- l’eliminazione di coloro che venivano identificati come i peggiori nemici della patria, cioè gli ebrei ,i comunisti, i socialisti e gli immigrati;
- riunificazione di tutti i popoli di stirpe tedesca in una grande Germania,
- attuazione di una politica di deciso riarmo per rilanciare la produzione industriale lo sfrenato imperialismo,
- obbedienza assoluta al Fuhrer

Affermazione dei nazisti


Il partito nazional-socialista di Hitler alle elezioni del1930 ottenne, il 18,3% dei voti. Hitler era riuscito ad attirare le simpatie dei grandi industriali e dei proprietari e l’appoggio degli ambienti militare e degli strati più poveri della popolazione, com’era accaduto in Italia con il Fascismo. Nel gennaio 1933 il presidente Hindenburg affidò a Hitler l’incarico di formare un nuovo governo.

La nascita del Terzo Reich


Come già aveva fatto Mussolini in Italia, Hitler instaurò un regime dittatoriale o totalitario basato sul suo potere personale. In Germania il passaggio dallo stato democratico a quello totalitario fu molto rapido. L’occasione fu fornita da un attentato incendiario, che distrusse completamente il palazzo del parlamento(Reichstag) avvenuto il 27 febbraio 1933, di cui fu accusato ingiustamente un comunista Georgi Dimitrov, ma in realtà erano stati i nazisti ad appiccare l’incendio. In pochi mesi furono dichiarati fuori legge tutti i partiti, ad eccezione di quello nazista. Fra il 1933 e il 1934 Hitler si fece accordare tutti i poteri del parlamento, sostituì le istituzioni dello stato con gli organi del partito. Costituì, inoltre, un corpo di polizia politica, la Gestapo, che chiuse i giornali non schierati col nazismo e diede inizio alla persecuzione degli ebrei. Il definitivo consolidamento del regime hitleriano avvenne nell’estate del 1934. Dopo aver ridotto al silenzio tutte le opposizioni, si occupò dell’eliminazione degli avversari interni al partito. La notte del 30 giugno rimasta famosa come “la notte dei lunghi coltelli, i militari delle SS (Schuts - Staffeln cioè squadre di protezione, create fin dal 1925 da Hitler per la sua protezione personale) uccisero per volere del Fuhrer, circa 200 esponenti di una corrente interna del partito nazista e i principali esponenti delle SA(Sturn Abteilungen = squadre d’assalto, esistenti fin dal 1921 simili alla milizia fascista, con il compito preciso di esercitare violenza sugli avversari politici)diventate troppo autonome. Completato il rafforzamento del potere, Hitler assunse la carica di Cancelliere, di Presidente e di comandante supremo delle forze armate: era l’atto di nascita del III Reich.

Germania nazista


I successi in politica estera e in economia aumentarono il consenso di massa attorno al regime e gli isolati tentativi di resistenza furono rapidamente soffocati. I pochi oppositori al regime furono internati nei campi di concentramento o lager, in cui erano costretti a lavorare come schiavi. Nel 1935, con le leggi di Norimberga erano stati proibiti i matrimoni tra Ebrei e ariani. La notte del 9 novembre 1938, ricordata come “la notte dei cristalli”, un’ondata di violenza anti-semita investì tutta la Germania: negozi, sinagoghe e luoghi di incontro degli Ebrei vennero distrutti, molti persero la vita, molti incominciarono ad affollare i lager. Fu l’inizio del piano d’eliminazione fisica della razza “ebraica”, che avrebbe raggiunto il culmine durante il secondo conflitto mondiale.

Durante la “notte dei cristalli” i tedeschi


Osservano l’incendio della Sinagoga di Borneplatz. L

La propaganda dell'Inganno


Il primo settembre 1939, l'esercito tedesco invase la Polonia. La guerra che il regime nazista scatenò con quell'atto avrebbe prodotto sofferenze e perdite senza precedenti. Dopo l'invasione dell'Unione Sovietica da parte della Germania nell'estate del 1941, le politiche naziste antisemite si trasformarono in vero e proprio genocidio. La decisione di distruggere gli Ebrei polacchi venne annunciata alla conferenza di Wannse e, il 20 gennaio 1942, ai dirigenti del partito, delle SS e a funzionari di stato i cui ministeri avrebbero contribuito a mettere in atto la "Soluzione Finale alla Questione Ebraica" in tutta Europa. Dopo la conferenza, la Germania nazista cominciò a porre in atto il genocidio su scala continentale con la deportazione degli Ebrei provenienti da tutta Europa ad Auschwitz-Birkenau, Treblinka e negli altri centri di sterminio situati nella Polonia occupata. I leader nazisti cercarono di ingannare non solo la popolazione tedesca, ma anche il mondo esterno e soprattutto le vittime sulla realtà del genocidio nei confronti degli Ebrei. Cosa vennero a sapere, i cittadini comuni tedeschi, delle persecuzioni e dello sterminio degli Ebrei? Nonostante la pubblica diffusione e pubblicazione di alcune dichiarazioni generiche sull'obiettivo di eliminare gli "Ebrei", il regime diffuse anche una propaganda che nascondeva i dettagli specifici della "Soluzione Finale": Contemporaneamente, il controllo operato sulla stampa impedì ai Tedeschi di venire a conoscenza delle dichiarazioni dei leader alleati e sovietici che condannavano i crimini compiuti dalla Germania.
Allo stesso tempo, storie edificanti vennero inventate come parte integrante dell'inganno: un opuscolo pubblicato nel 1941, ad esempio, riportava entusiasticamente come i Tedeschi in Polonia avessero dato lavoro agli Ebrei, costruito ospedali puliti, organizzato la distribuzione di minestra calda per gli Ebrei, dando loro giornali e organizzando corsi professionali. Poster e articoli ricordavano continuamente ai Tedeschi la propaganda che gli Alleati avevano distribuito durante la Prima Guerra Mondiale, contenente storie inventate di atrocità, come ad esempio quella che soldati tedeschi avessero tagliato le mani a bambini belgi.
Allo stesso modo, i responsabili deI genocidio nascosero le proprie intenzioni omicide anche a molte delle loro vittime. Sia prima che dopo le deportazioni, i Tedeschi usarono espressioni eufemistiche per spiegare e giustificare il trasferimento degli Ebrei dalle loro case ai ghetti o ai campi di transito e, poi, da questi alle camere a gas di Auschwitz e di altri centri di sterminio. Quando i Tedeschi deportarono gli Ebrei dalla Germania e dall'Austria nel ghetto "modello" di Theresienstadt, vicino a Praga, o in altri ghetti, solerti funzionari timbrarono i loro passaporti con il termine apparentemente neutro di "evacuato". Allo stesso modo, i burocrati del regime definirono le deportazioni come "re-insediamento" anche se tale "re-insediamento" terminava spesso con la morte.

La propaganda nazista sui Ghetti


Un tema ricorrente della propaganda antisemita creata dai Nazisti fu che gli Ebrei seminavano malattie. Per scoraggiare i non-Ebrei dall'entrare nei ghetti e vedere così di persona le condizioni di vita al loro interno, le autorità tedesche misero all'entrata cartelli che avvertivano che il ghetto era in quarantena, mettendo in guardia la popolazione sul pericolo di malattie altamente infettive. Siccome la scarsa igiene e le scarsità d'acqua si univano a razioni di cibo da fame, minando velocemente la salute degli Ebrei che risiedevano nei ghetti, tali avvertimenti divennero una profezia che si auto avverrò quando il tifo e altre malattie infettive decimarono le popolazioni dei ghetti. In seguito, la propaganda nazista utilizzò queste epidemie, di fatto causate dall'uomo, per giustificare l'isolamento degli "sporchi" Ebrei dal resto della popolazione.

Un poster antisemita realizzato in Polonia nel marzo del 1941


La didascalia recita: "Gli Ebrei sono pidocchi e portano il tifo."
Questo cartellone, opera dei Tedeschi, mirava a instillare¬ la paura degli Ebrei nelle menti dei Polacchi di religione cristiana.

Theresienstadt: una truffa propagandistica


Uno degli sforzi più famosi da parte dei Nazisti per ingannare sulle loro reali attività, fu l'istituzione, nel novembre del 1941, di un ghetto-campo di concentramento per Ebrei a Terezin, in Bohemia, una zona della Cecoslovacchia. Conosciuta con il suo nome tedesco, Theresienstadt costituì sia un ghetto per Ebrei anziani o altolocati provenienti dalla Germania, dall'Austria e dai territori Cechi, sia come campo di transito per gli Ebrei cecoslovacchi che vivevano nel Protettorato di Boemia e Moravia, allora sotto il controllo della Germania.
Immaginando che alcuni Tedeschi si sarebbero accorti che la versione ufficiale che gli Ebrei venivano inviati a Est per lavorare non era plausibile, specialmente se riferita agli anziani, ai veterani di guerra disabili e a importanti musicisti e artisti, il regime nazista pubblicizzò cinicamente l'esistenza di Theresienstadt come residenza comune dove Ebrei tedeschi e austriaci anziani o disabili potevano "ritirarsi" a vivere in pace e sicurezza. Questa storia venne inventata ad uso dell'opinione pubblica interna al Terzo Reich, ma in realtà il ghetto servì come campo di transito prima della deportazione nei ghetti e nei centri di sterminio nella Polonia occupata e in quelli nei Paesi Baltici e in Bielorussia.
Nel 1944, cedendo alle pressioni della Croce Rossa Internazionale e di quella Danese - che avevano seguito la deportazione di quasi 400 Ebrei danesi nel ghetto di Theresienstadt nell'autunno del 1943 - le SS autorizzarono alcuni rappresentanti della Croce Rossa a visitare il ghetto. In quel momento, le notizie dello sterminio degli Ebrei avevano già raggiunto la stampa mondiale e la Germania stava perdendo la guerra. Per organizzare meglio l'inganno, le SS accelerarono le deportazioni dal ghetto subito prima della visita e ordinarono ai prigionieri rimasti di "abbellire" il ghetto e di "metterlo in ordine": i prigionieri dovettero così creare nuovi giardini, dipingere le case e rimettere a nuovo gli edifici. Le autorità delle SS misero in scena eventi culturali e sociali per impressionare i funzionari in visita. Dopo che i rappresentanti della Croce Rossa ebbero lasciato Theresienstadt, le SS ricominciarono le deportazioni, che non ebbero termine fino all'ottobre del 1944. In tutto, i Tedeschi deportarono dal campo-ghetto ai campi di sterminio dell'"Est" 90,000 Ebrei provenienti dalla Germania, dall'Austria, dalla Cecoslovacchia, dall'Olanda e dall'Ungheria; solo poche migliaia sopravvissero. Inoltre, più di 30.000 prigionieri morirono mentre si trovavano a Theresienstadt, nella maggior parte dei casi a causa delle malattie e della fame.

Film di propaganda: Obiettivo su Theresienstadt


Già a partire dal dicembre del 1943, funzionari delle SS appartenenti all'Ufficio per l'Emigrazione degli Ebrei di Praga - che dipendeva dall'Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich - decisero di realizzare un film sul campo-ghetto di Theresienstadt. La maggior parte delle sequenze venne realizzata nell'estate successiva alla visita della Croce Rossa e mostra i prigionieri del ghetto mentre si recano a concerti, giocano a calcio, lavorano nei giardini delle proprie case e si rilassano sia dentro gli edifici che li ospitavano che all'esterno, al sole. Per questo film, le SS obbligarono alcuni prigionieri a lavorare come scrittori, attori, scenografi, editori e compositori. Molti bambini parteciparono alle riprese in cambio di cibo, compresi latte e caramelle che normalmente non facevano parte delle razioni giornaliere. Lo scopo che i funzionari della RSHA si proponevano girando il film non è mai stato completamente chiarito: forse era destinato soltanto al pubblico internazionale, considerando che, nel 1944, la popolazione tedesca si sarebbe sicuramente chiesta come mai gli abitanti del ghetto sembravano vivere in condizioni decisamente migliori (se non addirittura lussuose) della maggior parte dei Tedeschi in tempo di guerra. Alla fine, le SS riuscirono a terminare il film soltanto nel marzo del 1945 e non ebbero la possibilità di proiettarlo. La pellicola, inoltre, non sopravvisse alla guerra.
Così come accadde in diverse altre occasioni in cui il regime nazista cercò di ingannare l'opinione pubblica tedesca e internazionale, anche in questo caso esso si avvantaggiò della scarsa voglia della maggior parte dei cittadini di comprendere appieno le reali dimensioni di quei crimini. I leader della resistenza ebraica, per esempio, cercarono di avvertire gli abitanti del ghetto delle intenzioni dei Tedeschi, ma anche quelli che sentirono parlare dei centri di sterminio, in molti casi non credettero a quello che era stato loro raccontato. "Il senso comune non era in grado di afferrare la realtà dello sterminio di decine e centinaia di migliaia di Ebrei" come disse Yitzhak Zuckerman, uno dei leader della resistenza ebraica a Varsavia.

James Ensor


Nella cultura nordica si è creato uno spirito critico dell'individuo all'interno della società molto sviluppato, in tutti i campi oltre alla sola componente artistica, come nel cinema, nel teatro, etc. La riflessione del ruolo dell'individuo all'interno della società diventa un elemento di riflessione quasi tragico, che appartiene a tutto il nord Europa e in particolare quella scandinava. Ensor non appartiene direttamente alla natura scandinava, essendo nato in Belgio, è stato negli ultimi anni fortemente rivalutato e considerato come uno dei personaggi fondamentali nell'espressionismo soprattutto tedesco. Da un punto di vista unicamente pittorico è un artista che inizialmente si mostra interessato all'impressionismo, il quale diventa più che altro un punto di riferimento per l'uso del colore. Ensor si concentra sulla riduzione del numero di colori, nati dalla combinazione dei 6 colori principali. Dal punto di vista figurativo, la sua arte, che è profondamente influenzata dal teatro, è caratterizzata dalla trasfigurazione del volto. Diventa un’allegoria magica dell'entità dell'individuo e dello stato della consistenza della società. La maschera diventa il soggetto fondamentale di Ensor. Vuole cogliere il carattere distintivo del suo tempo, ovvero una società che tende a celare se stessa, che tende a citare la parte della parodia, del grottesco, di un mondo che ostenta valori in cui non crede. Un mondo che è lontano, distratto, dai valori essenziali, e che però gioca in maniera tragica a crearsi una rispettabilità che suona di "falso". Così le maschere di Ensor subiscono nel corso del tempo un evoluzione, e da maschere buffe, grottesche, di stampo carnevalesco, diventano progressivamente delle immagini orride, delle maschere che trasferiscono inquietudine, che non infondono nessuna gioia, assomigliano quasi a degli scheletri. Tutta l'opera di Ensor è incentrata in maniera quasi ossessiva sul tema della maschera. La maschera però non è mai singola, è sempre inserita all'interno di una molteplicità, a volta addirittura una moltitudine di personaggi. Sono le maschere nella loro complessità, nella capacità di cambiar pelle, a disegnare una moltitudine che è inafferrabile nella sua vera essenza, propone un modo di essere, di stare al mondo, talmente vuoto da risultare difficile da definire.
"L'entrata di Cristo a Bruxelles" rappresenta una delle opere fondamentali di Ensor. Al centro della scena vi è una moltitudine, le maschere, i volti, fagocitano l'ambiente, mentre al contrario le vesti non sono ben definite. Rappresenta una festa, apparentemente festosa; e degli elementi simbolici, che tradiscono le riflessioni dell'artista. Il Cristo è quasi indistinguibile, si trova al centro, quasi in fondo, sembra salutare qualcuno. È più simile a una statua che viene portata sulle spalle all'interno di una grande festa di piazza, sembra quasi una sfilata di carri di una festa. Ensor infatti pone l'accento sulla qualità di un mondo che è talmente distratto che probabilmente oggi, se nel vociare festante e superficiale della massa pure arrivasse una figura, nel bene o nel male, significativa come Cristo, se potesse arrivare a Bruxelles in un contesto quasi assurdo per Cristo, è tanto lo stato di corrosione di quella comunità che l'immagine del Cristo sarebbe tratta alla stregua di un carro carnevalesco. L'immagine di Cristo diventa anche metafora dell'artista. L'arte perde progressivamente capacità di essere riconosciuta dalla gente, perde un ruolo centrale che aveva avuto nel mondo classico o nel mondo rinascimentale. L'arte moderna progressivamente parla di una condizione di emarginazione della società moderna. L'arte del '900 è quasi sempre lo spirito critico, la capacità dell'artista di saper cogliere ciò che per molti solo evidenziare diventa scomodo. Spesso assumersi questo ruolo, però, significa auto-confinarsi alla dimensione di chi raramente è ascoltato, che raramente riesce a polarizzare l'attenzione su di se. Ensor apre un elemento di riflessione che fa della componente ironica, critica, il suo carattere essenziale e distintivo. C'è una altro aspetto nell'arte di Ensor che vale la pena sottolineare, il ricorrere continuo alla trasfigurazione del volto, al grottesco, alla maschera, disegnano quella che Rosenkranz, pensatore tedesco, ha definito "estetica del brutto", che ci riporta al significato più originario dell'arte, che disegna Cicerone, che parla degli scultori greci, e quando ne parla non dice mai "tale scultore è bravo perché fa delle sculture belle". Parla dei due grandi scultori classici, Mirone e Policleto, dicendo che Policleto è migliore del secondo, non perché fa sculture più belle, ma perché Policleto si avvicina di più alla verità. Ensor attraverso la trasfigurazione della maschera, attraverso il grottesco, cerca di trovare la verità del suo mondo. Ed in questo senso la sua grande arte insegue l'estetica del brutto e non quella del bello così come noi siamo abituati superficialmente ad intendere.

La comunicazione


Comunicare, dal latino communis: che appartiene a tutti, significa propriamente condividere, "mettere qualcosa in comune con gli altri". L'atto della comunicazione ha infatti lo scopo di trasmettere a qualcuno informazioni e messaggi.
La comunicazione è uno scambio interattivo fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cultura di riferimento.
E’ la definizione fornita dal pioniere degli studi in materia Paul Watzlawick in “Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi” (1971).
Egli ha evidenziato come “le nevrosi, le psicosi e in generale le forme di psicopatologie non nascono nell’individuo isolato, ma nel tipo di interazione patologica che si instaura tra individui”. Risulta quindi fondamentale l’interazione esistente tra le persone che comunicano e l’influenza esercitata su di essi dalla cultura, attraverso i segni e i simboli cui vengono attribuiti significati.
Tale elaborazione teorica genera cinque assiomi:

  1. l’impossibilità di non comunicare;

  2. i livelli comunicativi di contenuto e relazione;

  3. la punteggiatura della sequenza di eventi;

  4. la comunicazione numerica e analogica;

  5. l’interazione complementare e simmetrica.


Il primo assioma dice che è impossibile non comunicare: qualsiasi interazione umana è una forma di comunicazione. Qualunque atteggiamento assunto da un individuo, diventa immediatamente portatore di significato per gli altri: … non è possibile non avere un comportamento … ne consegue che non si può non comunicare. L’attività o l’inattività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro.
Il secondo stabilisce un rapporto tra il contenuto e la relazione che c’è fra i comunicanti: secondo gli studiosi di Palo Alto il contenuto classifica la relazione. Ogni comunicazione comporta un aspetto di metacomunicazione (messaggio che viene posto un altro contesto rispetto al precedente livello comunicativo) che determina la relazione tra i comunicanti. Per esempio la frase “Oggi mi sento male” trasmette sia l’informazione sulla situazione di malessere, sia la richiesta “Fai qualcosa per aiutarmi”: Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione,
Il terzo assioma evidenzia la connessione tra la punteggiatura della sequenza di comunicazione e la relazione che intercorre tra i comunicanti: il modo di interpretare la comunicazione è in funzione della relazione tra i comunicanti. Poiché la comunicazione è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da una direzione all’altra e le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono scandite dalla punteggiatura, il modo di leggerla sarà determinato dal tipo di relazione che lega i comunicanti. Una serie di comunicazioni non è solo una sequenza ininterrotta di scambi: coloro che vi partecipano introducono sempre qualcosa di importante definito come “punteggiatura della sequenza di eventi“.
Il quarto assioma attribuisce agli esseri umani la capacità di comunicare sia analogicamente sia digitalmente.
Quando gli esseri umani comunicano per immagini, ad esempio disegnando, la comunicazione è analogica. La comunicazione analogica si basa sulla somiglianza tra gli strumenti di supporto e le grandezze rappresentate: mantiene quindi un rapporto di analogia con i fenomeni e gli oggetti che designa e trasmette. Esempi di mezzi di comunicazione analogici sono: il termometro a mercurio, l’orologio a lancette. Quando si comunica usando le parole, la comunicazione segue il modulo digitale. Questo perché le parole sono segni arbitrari che permettono una manipolazione secondo le regole della sintassi logica che li organizza. La comunicazione digitale si basa sull’uso di segnali discreti per rappresentare in forma numerica i fenomeni e gli oggetti che intende designare. Esempi di mezzi di comunicazione digitali sono: il fax, il compact disc, l’orologio a cristalli liquidi (in cui l’indicazione dell’ora e delle sue frazioni è visualizzata con scatti di cifre).
_Infine, per il quinto assioma, tutti gli scambi comunicativi si fondano o sull’uguaglianza o sulla differenza e quindi possono essere simmetrici o complementari. Un rapporto è complementare quando è impostato sulla differenza fra i comunicanti. Sono simmetrici gli scambi in cui gli interlocutori si considerano sullo stesso piano (marito/moglie, compagni di classe, fratelli, amici).

Le vignette sono state tratte da:
Guglielmo Gulotta, Commedie e drammi nel matrimonio, illustrazioni di Alfredo Chiappori, Feltrinelli, 1976

La pubblicità


La pubblicità è un mezzo per convincere sempre più gente a comprare prodotti per la casa e per altre cose. Viene fatta sui giornali, viene trasmessa dalla radio, dalla televisione, da internet. Delle volte inganna e la gente compra dei prodotti anche se non servono perché su certi prodotti, tipo su un Tronkj, c’è scritto che se ne mangi uno puoi vincere tre vespe. La pubblicità esisteva già ai tempi dell’antica Roma. Infatti degli studiosi hanno trovato, negli scavi di Pompei delle lapidi, tipo dei manifesti di marmo, dove si pubblicizzavano le lotte tra i gladiatori, si diceva anche che i posti a sedere erano riparati dal sole. Tra tutti i veicoli pubblicitari esistenti, la stampa (insieme all’affissione) è di sicuro uno dei più longevi. Capire gli elementi che compongono un messaggio pubblicitario a mezzo stampa è utile per capire la natura stessa di un messaggio pubblicitario. Infatti, anche se i mezzi di comunicazione cambiano e si moltiplicano (televisione, internet, tablet, telefonini e così via) il messaggio pubblicitario in sé non si trasforma mai completamente da un mezzo all’altro, piuttosto assume forme che sono sì diverse, ma sempre figlie della stessa idea, con una trama di fondo molto simile. Ecco quali sono gli elementi che danno vita a un annuncio stampa.

Headline


Titolo (linea di testa, letteralmente). L’headline è la frase iniziale di un messaggio pubblicitario a mezzo stampa, la più importante, quella che anche visivamente colpisce subito: serve, in coppia con il visual, a reclamizzare il prodotto e a dare la chiave di lettura al messaggio pubblicitario stesso. Di solito una buona headline è immediata (5-7 parole), memorabile (resta in mente, si fa ricordare) e specifica (non fine a se stessa, ma capace di sottolineare i punti di forza del prodotto).

Visual


Il visual fa con l’immagine quello che l’headline fa con le parole. È la parte visiva del messaggio pubblicitario, l’immagine, appunto. Per esempio potrebbe essere una foto realmente scattata, oppure un soggetto ottenuto con le tecniche di design digitale. Anche il visual, come l’headline, serve a dare la chiave di lettura al messaggio pubblicitario e proprio come l’headline, anche un buon visual dovrebbe essere immediato, memorabile e specifico.

Bodycopy


Il testo (di solito due o tre righe e scritta più piccola dell’headline) che approfondisce alcuni concetti importanti relativi al prodotto o all’azienda, ma secondari rispetto all’headline.

Logo


Il segno grafico distintivo del prodotto (o dell’azienda), generalmente posizionato in basso a destra.

Payoff


Il breve testo (4-5 parole e posizionato di norma in basso a destra vicino al logo) che riassume l’identità del prodotto o dell’azienda e che inquadra tutto il messaggio pubblicitario in un’ottica più ampia.
Esempio:
Batterie Duracell:
Headline: Sei a corto di energia?
Visual: mostra il pupazzo che usa le batterie Duracell arrivare primo al traguardo mentre i pupazzi che non usano le batterie Duracell cadono a terra scarichi prima della fine del percorso.
Bodycopy: Le batterie Duracell durano più delle normali batterie perché hanno una formula speciale, progettata per un uso intensivo e prolungato.
Logo: Il logo delle batterie Duracell
Payoff: Duracell, le batterie che durano più a lungo
La pubblicità oltre a presentare i vantaggi del proprio prodotto, spesso inganna e mostra una verità diversa da come è realmente. Le imprese vantano la loro disponibilità verso i clienti, e sottolineano la loro attenzione nei confronti dei bisogni della gente e nella salvaguardia dell’ambiente. Invece parecchie fabbriche sfruttano i lavoratori, inquinano la natura e imbrogliano i consumatori.
Oggi il consumatore è assillato da messaggi pubblicitari: pubblicati sui giornali, trasmessi in televisione, spediti per posta o tramite e-mail, stampati sui manifesti pubblicitari. Ma i messaggi di questi spot pubblicitari sono corretti e sinceri oppure a volte c’è il rischio che la pubblicità inganni il potenziale cliente per un interesse economico?
Quando ci si trova di fronte agli scaffali di un supermercato è facile che alcuni prodotti risultino subito più familiari di altri anche se in realtà non si sono mai acquistati o utilizzati, ma solo perché si sono visti tantissime volte pubblicizzati in televisione o sui giornali. Allora tornano alla mente le caratteristiche promosse nello spot e la tentazione di acquistare il prodotto è forte. Certamente la pubblicità influenza molto le decisioni del consumatore, anche a livello inconscio. Ma il rischio è quello di fidarsi ciecamente di quello che viene trasmesso e promosso dallo spot pubblicitario. Saranno vere tutte le caratteristiche e i pregi tanto osannati in pubblicità oppure lo spot ha il solo scopo di indurre all’acquisto e per far questo non si bada a lealtà e correttezza?
Purtroppo sempre più spesso capita che alcuni spot pubblicitari siano ingannevoli, ovvero lo scopo unico è quello di indurre il consumatore all’acquisto tramite informazioni false o distorte rispetto alla realtà.

Oscar Wilde


Oscar Wilde was born in 1854 in Dublin. He was educated at Trinity College, Dublin. At Oxford he was attracted to the Aesthetic Movement. Wild quickly won a reputation as a brilliant conversationalist, dandy, and aesthete. After graduating, Wilde moved to London. Because of his flamboyant personality he became the leader of the Aesthetic movement, and was invited to the United States for a series of lectures in 1881. Between 1885 and 1891 he wrote a series of fables which he collected in two volumes: The Happy Prince and Other Tales (1888) and A House of Pomegranates (1891). Wild’s first literary success came in 1891 with a novel, The Picture of Dorian Gray. He went to Paris where he lived a miserable existence. He died alone in a small hotel in 1900.

The Picture of Dorian Gray


Dorian Gray, a young man of outstanding beauty, is sought after by the best London Society. Everybody loves him and wants to be in his company. Lord Henry Wotton introduces him to the philosophy of a new Hedonism, a life of pleasure founded on Youth and Beauty. The artist Basil Hallward paints a portrait of Dorian that wonderfully captures the young man’s extraordinary charms. Dorian, impressed by the perfection of his own beauty as it is portrayed by the painter, wishes never to grow old. Unaccountably, his wish in granted: his dissolute and immoral life leaves no signs on his own face but disfigures the painting, which shows the marks of Dorian’s moral decay. Disgusted by the portrait, Dorian finally tries to destroy it but, as soon as he does it, he dies. After his death, the portrait resumes its perfect beauty, while the signs of corruption appear on Dorian’s body.

I limiti


Teoricamente il limite è una cosa molto semplice: se io considero un piccolo intervallo sull'asse delle x ad esso corrisponderà un intervallo più o meno piccolo sull'asse delle y; se quando restringo l'intervallo sull'asse delle x mi si restringe anche l'intervallo corrispondente sull'asse delle y allora ho un limite
In figura all'intervallo in viola AB corrisponde l'intervallo in viola A'B' ed all'intervallo più piccolo in blu CD corrisponde un intervallo più piccolo in blu C'D'; allora posso avvicinarmi ad un punto quanto voglio: basta rendere sempre più piccolo l'intervallo sulle x
Poiché l'intervallo posso renderlo piccolo quanto voglio allora posso sostituirlo al concetto di punto.

Definizione di limiti (caso c ed l finiti)


lim┬(x→c) f(x)= l Ɛ >0 ] I (c) ∀ x є I (c) - {c}l – Ɛ < f (x) < l + Ɛ
Quando verifichiamo un limite di questo tipo si deve risolvere il sistema {(f(x)> l+ Ɛ@f(x)< l- Ɛ)┤ e le soluzioni dovranno costituire
un I(c) , ∀ Ɛ > 0
Esempio:
verificare che 〖lim⁡〗┬( x→3) (7x+4)=25
il sistema diventa {(7x+4<25+ Ɛ@7x+4>25- Ɛ)┤ {(7x<25+ Ɛ-4@7x>25- Ɛ-4)┤ {(7x<25+ Ɛ@7x>25- Ɛ)┤ {(x<(21+ Ɛ )/7@x>(21- Ɛ )/7)┤
(21- Ɛ )/7 3 (21+ Ɛ )/7 (21- Ɛ )/7<x< (21+ Ɛ )/7 queste x formano un I (3) , ∀ Ɛ > 0
Estratto del documento

PRESENTAZIONE

Il tema apparenza e realtà ha suscitato il mio interesse. In particolare sono stata colpita dal pensiero di Pirandello e ho cercato di rapportarlo

ai giorni nostri, rendendomi conto di come fosse sempre più moderno, in quanto egli basa il suo pensiero sul contrasto tra forma e vita,

maschera e volto, apparire ed essere, contrasto che oggi viene accentuato dalla tecnologia che, sostituendo alla nostra realtà un’altra

virtuale ci propone una realtà fittizia che troppo spesso prende il posto di quella reale. La tecnologia, oltretutto, assottiglia la linea già

impercettibile che separa verità e verosimiglianza: prendiamo la Tv, che ci propina mere verità che in realtà sono solamente illusioni, oppure

internet, grazie al quale ci si nasconde dietro nickname e false identità. Più andiamo avanti, più l'insicurezza e la relatività aumentano anche

a causa della fragilità dell’essere umano. Talvolta distinguere realtà ed apparenza è difficile per i nostri occhi: l’unica cosa rimasta certa è

che esistono centomila sfaccettature con cui una realtà, oscura a tutti noi, si propone ad ognuno di noi. L' apparenza è quello che vogliamo

vedere, è la cosa più semplice che ci salta agli occhi e spesso è anche la cosa più comoda o facile per noi da comprendere. La realtà è

sempre più complessa, a volte è troppo dura da accettare, a volte non la vogliamo proprio vedere. L' apparenza è pura illusione. Troppo

spesso ci soffermiamo su di essa senza andare più a fondo per poter conoscere la realtà. Ma alla fine quella con cui ci ritroviamo a

combattere ogni giorno è proprio la realtà e non importa quante illusioni noi ci siamo fatti, lei verrà a galla, prima o poi. Sta a noi

scegliere se vivere l' illusione o la vita. LUIGI PIRANDELLO

Luigi Pirandello nasce ad Agrigento, il 28 giugno 1867. Studia a Palermo,

Roma, ed infine a Bonn consegue la sua laurea nel 1891. Tornato a Roma,

viene introdotto dal Capuana negli ambienti letterari e giornalistici della

capitale dove si stabilisce definitivamente con la moglie. La malattia

mentale della moglie che sospetta, a torto, che egli la tradisca lo pone di

fronte al tema che sarà centrale nella sua produzione: il contrasto tra

apparenza e realtà. Nel 1926 fonda la sua compagnia teatrale. Nel 1929

entra a far parte dell'Accademia d'Italia, una congrega di intellettuali di

stampo fascista. Nel 1934 riceve il premio Nobel. Muore a Roma nel 1936.

Scrittore, drammaturgo e narratore, rappresentò sulle scene l'incapacità

dell'uomo di identificarsi con la propria personalità, il dramma della ricerca

di una verità al di là delle convenzioni e delle apparenze. Al centro della

concezione pirandelliana c’è il contrasto tra apparenza e sostanza.

Ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti, in un

modo diverso da quello degli altri: a fronte della realtà esterna che si

presenta una e immutabile, abbiamo le centomila realtà interne di

ciascun personaggio, per cui la vera realtà è nessuna. Tra realtà e non-

realtà ci sono due distinte dimensioni:

1) la dimensione della realtà oggettuale, che è esterna agli individui e che

apparentemente è uguale e valida per tutti, perché presenta per ognuno

le stesse caratteristiche fisiche ed è la non-realtà inafferrabile e non

riconoscibile: ciò che resta nell'anima dell'individuo è la sua

disintegrazione in tante piccole parti quante sono le possibilità concrete

dell'individuo di vederla. Della realtà oggettuale esterna noi non cogliamo

che quegli aspetti che sono maggiormente confacenti al particolare

momento che stiamo vivendo, in base al quale riceviamo dalla

realtà certe impressioni, certe sensazioni che sono assolutamente

individuali e non possono essere provate da tutti gli altri individui;

2) la dimensione della realtà soggettuale, che è la particolare visione che ne ha il personaggio, dipendente dalle condizioni sia

individuali che sociali, ci sono tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita dell'individuo. Per i

personaggi pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettuale, ma una realtà soggettuale, che, a contatto con la realtà degli

altri, si disintegra e si disumanizza. L'uomo però deve adeguarsi ad una legge imposta dalla società, egli si costruisce quindi una

maschera. Siccome il personaggio non ha nessuna possibilità di mutare la propria maschera si verifica la disintegrazione fisica e

spirituale dei personaggi che si può riassumere nella teoria della triplicità esistenziale:

1) come il personaggio vede se stesso;

2) come il personaggio è visto dagli altri;

3) come il personaggio crede di essere visto dagli altri.

Le conseguenze della triplicità sono tre:

1) il personaggio è uno quando viene messa in evidenza la realtà-forma che lui si dà;

2) è centomila quando viene messa in evidenza la realtà-forma che gli altri gli danno;

3) è nessuno quando si accorge che ciò che lui pensa e ciò che gli altri pensano non è la stessa cosa, quando la propria realtà-

forma non è valida sia per sé che per gli altri, ma assume una dimensione per sé e un'altra per ciascuno degli altri.

La forma è la maschera, l'aspetto esteriore che l'individuo-persona assume all'interno dell'organizzazione sociale per propria

volontà o perché gli altri così lo vedono e lo giudicano. Essa è determinata dalle convenzioni sociali, dalla ipocrisia, che è alla

base dei rapporti umani. Il concetto di forma nelle novelle e nei romanzi e di maschera nella produzione teatrale sono

equivalenti. La maschera è la rappresentazione più evidente della condanna dell'individuo a recitare sempre la stessa parte,

imposta dall'esterno, sulla base di convenzioni che reggono l'esistenza della massa. Quando il personaggio scopre di essere

calato in una forma determinata da un atto accaduto una sola volta e di essere riconosciuto attraverso quell’atto e identificato

in esso cade in una condizione angosciosa senza fine, perché si rende conto che:

• la realtà di un momento è destinata a cambiare nel momento successivo

• la realtà è un'illusione perché non si identifica in nessuna delle forme che gli altri gli hanno dato.

È nella maschera che ritroviamo un contrasto più profondo fra illusione e realtà, fra l'illusione che la propria realtà sia uguale per

tutti e la realtà che si vive in una forma, dalla quale il personaggio non potrà mai salvarsi. Nella società l'unico modo per evitare

l'isolamento è il mantenimento della maschera: quando un personaggio cerca di rompere la forma, o quando ha capito il gioco,

viene allontanato, rifiutato, non può più trovare posto nella massa in quanto si porrebbe come elemento di disturbo in seno a

quel vivere apparentemente rispettabile.

Solo la follia permette al personaggio il contatto vero con la natura (quel mondo esterno alle vicende umane nel quale si può

trovare la pace dello spirito) e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi contatti sono solo

momenti passeggeri, spesso irripetibili perché troppo forte il legame con le norme della società. Così accade a Enrico IV, un

nobile del primo Novecento fissato per sempre nella rappresentazione del personaggio storico da cui prende il nome, dopo aver

battuto la testa per una caduta da cavallo. In Enrico IV troviamo l'esasperazione del conflitto fra apparenza e realtà, fra

normalità e anormalità, fra il personaggio e la massa, fra l'interiorità e l'esteriorità. Per superare questo conflitto il

personaggio tende sempre più a chiudersi in se stesso, per cui l’anormalità diventa sistema di vita. La guarigione di Enrico IV dalla

pazzia, improvvisa e fisicamente inspiegabile, proietta il personaggio nelle vicende quotidiane, ma lo rende anche consapevole

di non poter più recuperare i 12 anni vissuti “fuori di mente”, per cui non gli resta che fingersi ancora pazzo dopo aver constatato

che nulla era rimasto ormai della sua gioventù, del suo amore, e che molti lo avevano tradito. Enrico IV assume una forma

immutabile agli occhi di tutti, ma non di se stesso, rifugiandosi nel già vissuto e fingendo di essere ancora pazzo.

UNO, NESSUNO E CENTOMILA

L’esempio più appropriato della frantumazione dell’io e del relativismo pirandelliano che evidenzia il contrasto tra apparenza e

realtà è il romanzo “Uno, nessuno e centomila”. Il protagonista, Vitangelo Moscarda, scopre di non essere per gli altri quell’UNO

che è per sé. La moglie Dida, svelandogli che il suo naso pende verso destra, ha squarciato tutte le sue certezze, avviando una

riflessione sull’intera esistenza. Ecco visualizzato lo sbriciolamento del reale che da univoco (UNO) diventerà poliedrico

(CENTOMILA) e sfocerà nel nulla (NESSUNO). Vitangelo allo specchio, simbolo dell’io davanti a se stesso, scopre di vivere senza

"vedersi vivere". Si getta quindi all’inseguimento dell’estraneo inscindibile da sé che gli altri conoscono in centomila identità

differenti. Il protagonista si stacca dal proprio "fantoccio vivente", per se stesso è ormai nessuno: la distruzione dell’io è

consumata. Maschera creata dagli altri, fantoccio della moglie, è il "caro Gengè", amato teneramente da Dida fino a

trasformare Vitangelo in un’ombra vana. Il padre "banchiere – usuraio" lo ha ingabbiato nel ruolo di "buon figliuolo feroce": ecco

un’altra marionetta nel "gioco della parti" della vita. La gente lo vede come uno spietato usuraio. L’aspirazione di Vitangelo è

rimanere al di là dello specchio, essere un "Un uomo così e basta". E’ possibile? Egli, alla ricerca di una via di fuga dai centomila

estranei a sé che vivono negli altri, decide di uccidere le sue "marionette" ma, per aver voluto dimostrare di non essere ciò che si

credeva, è ritenuto pazzo: la gente non vuole accettare che il mondo sia diverso da come lo immagina. Non c’è via di fuga:

Vitangelo scopre che le marionette non si possono distruggere. La decisione di vendere la banca del padre per uccidere

l’usuraio Moscarda, fa sorgere una volontà che lo fa essere Uno. Questo atto, per tutti assurdo, crea attorno a lui un vuoto in cui si

inserisce Anna Rosa, donna dalla psiche molto simile alla sua: frantuma la propria identità atteggiandosi davanti allo specchio,

vorrebbe fermare la vita per conoscersi. Vitangelo, presentandosi come una persona completamente diversa dal Moscarda che

tutti hanno davanti agli occhi da anni, perderà la moglie, la ricchezza e la "faccia", ma saprà trovare nell'ospizio per poveri da lui

stesso fatto costruire, il proprio vero io che gli era stato negato. Egli, avvolto nella coperta verde "naufraga dolcemente" nella

serenità della natura, senza passato né futuro. Estraniarsi da sé è l’unica via per fuggire alle centomila costruzioni che falsificano la

realtà e la imprigionano in un nome immutabile. La vita "non conclude" ed è un divenire palpitante: meglio, dunque, essere

nessuno poiché l’essere uno si è rivelato un’illusione di fronte allo svelarsi delle centomila maschere. Pirandello mette in rilievo non

i fatti ma la vita interiore del "Fu Vitangelo Moscarda". Nazismo

La crisi economica del 1929, che aveva messo in ginocchio molte nazioni europee causata

dal crollo della borsa di Wall Street avvenuta negli Stati Uniti, ebbe effetti pesanti nella

Germania che già, negli scorsi quindici anni, era stata afflitta da due altre gravi crisi: quella

dopo la Prima Guerra Mondiale e quella del 1923 (periodo in cui l’inflazione era molto alta).Il

nazional - socialismo, o come fu definito in seguito nazismo, nacque quindi in un clima di

profonda crisi cosi come si era affermato il fascismo in Italia. Il fondatore di questo movimento

d’estrema destra fu un reduce di guerra austriaco, Adolf Hitler che in seguito si fece chiamare

“Fuhrer” il corrispondente italiano di duce appellativo con il quale si fece chiamare Benito

Mussolini, fondatore del movimento dei fasci di combattimento(duce dal latino dux

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