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Sintesi
Letteratura: "La coscienza di Zeno" Italo Svevo, "Lettera al padre" e "La metamorfosi" Franz Kafka, "Uno, nessuno e centomila" Luigi Pirandello.
Psicologia: il complesso edipico di Sigmund Freud e riferimento a "il caso clinico del piccolo Hans".
Storia: quadro storico generale del 1900
Estratto del documento

INDICE

1 Introduzione pag. 4

2 Il quadro storico e culturale di riferimento pag. 5

2.1 La caduta delle certezze tradizionali

3 Analisi rapporto padre-figlio attraverso l’analisi freudiana pag. 7

3.1 Il complesso di Edipo

3.2 “Il caso del piccolo Hans”

4 La figura paterna nella letteratura novecentesca pag. 10

Il conflitto con il padre in:

4.1 - Italo Svevo: “La coscienza di Zeno”

4.2 - Franz Kafka: “Lettera al padre”

“La metamorfosi”

4.3 - Luigi Pirandello: “Uno, nessuno e centomila”

5 Conclusioni pag. 17 2

1. Introduzione

Si può dire che la spinta al conflitto con l’autorità cui si è sottoposti sia una condizione atavica

dell’uomo. Una fase necessaria dello sviluppo dell’individuo in quanto tale, che per questo motivo è

difficile da analizzare, proprio perchè indipendente da ogni fattore esterno se non il meccanismo

della vita stessa. Probabilmente rientra in quell’impulso all’affermazione legato all’istinto alla

sopravvivenza che l’essere vivente sente di dover realizzare. Hegel, nell’elaborazione della

fenomenologia dello spirito, teorizza che alla trasformazione della coscienza in autocoscienza segue

un processo di acquisizione di consapevolezza che spinge tale figura a desiderare tutto ciò che la

circonda e a vedere il mondo stesso come ostacolo per il conseguimento di questi desideri. Questa

percezione di ostilità porta la stessa autocoscienza ad affermare la propria volontà attraverso un

violento conflitto con le altre autocoscienze, allo scopo di ottenere un riconoscimento. È nel

conflitto che Hegel introduce l’incontro con la morte, perché un’autocoscienza può vedersi

vincitrice solo al soccombere della sua rivale.

Sembra quindi che, anche se in diverse forme, sia un’idea intrinseca comune quella di dover, ad un

certo punto, scegliere l’autocoscienza, l’autorità o l’ostacolo più forte, combattere con esso, e

sconfiggerlo per poter semplicemente essere.

Ciò nonostante, quest’analisi vuole evidenziare come, in seguito a determinati cambiamenti storici,

sociali, politici ed economici, e sullo sfondo di una nuova epoca, si sia diffusa nell’immaginario

generale che una qualsiasi autocoscienza, una qualsiasi autorità o un qualsiasi ostacolo, sia

diventato quell’autocoscienza, quell’autorità e quell’ostacolo e cioè: la figura paterna. 3

2. Quadro storico e culturale di riferimento

Il periodo storico che potrebbe essere considerato il fondamento o addirittura la causa del

cambiamento e più specificatamente dell’individuazione, qui in analisi, è quella che vede alcune tra

le trasformazioni più profonde nella storia della modernità nascere, avere luogo e incidere le proprie

conseguenze nella mentalità e nella coscienza degli individui che le vissero: la seconda rivoluzione

industriale, il tentativo di una politica democratica di massa nell’età giolittiana, la prima guerra

mondiale e il disastroso dopoguerra.

La lunga pace a livello europeo e il crescente benessere generale, che fu tale dalla fine dell’800 fino

allo scoppio della prima guerra mondiale, promosse nella speranza comune l’illusione dell’inizio di

una stabile situazione di prosperità e serenità che rese ancora più brusco e sconvolgente il risveglio

che i conflitti e le crisi portarono e più profonda la delusione che seguì.

La seconda rivoluzione industriale, che trasformò l’Europa tra il 1895 e il primo decennio del 1900,

condusse anche l’Italia verso la tanto attesa modernizzazione e pose a confronto, ma più che altro in

conflitto, due grandi figure che caratterizzarono la struttura sociale italiana per lungo tempo: il

padrone capitalista e l’operario proletario. L’espansione dell’industrializzazione favorì la diffusione

della razionalizzazione scientifica dell’organizzazione del lavoro, che ridimensionò inevitabilmente

quella che prima era l’identità dell’operaio autonomo e possessore del proprio lavoro, in una massa

di lavoratori senza alcuna identità professionale sfruttati e ignorati nei loro bisogni. Di fronte alle

ingiustizie sociali che la classe proletaria subiva, l’operario venne progressivamente investito della

responsabilità di rivoluzione dei deboli contro i forti. I fautori di tale nomina non furono soltanto le

organizzazioni sindacali, che stavano acquisendo un ruolo sempre più importante nel legittimare la

lotta al padrone, ma anche pensatori e filosofi come Marx. Questo potrebbe essere interpretato non

solo come la necessità di cambiamento di molte più categorie sociali di quelle che avevano a che

fare con fabbriche e produzione industriale, ma anche come l’estrema convinzione che l’unica

possibile via d’uscita fosse una rivoluzione e che questa rivoluzione poteva avere soltanto un

nemico: l’autorità economica e politica.

L’esigenza di mutamento che portò a una situazione di grave instabilità sociale trovò

apparentemente risposta nella concezione politica di Giolitti, che nel 1903 divenne capo del

governo e scelse di affrontare le proteste con una politica di mediazione fra padronato, aristocrazie

operaie e dirigenza moderata, senza però riuscire a placare il malcontento generale sul lungo

termine.

Contemporaneamente le contraddizioni fra le diverse potenze imperialistiche precipitarono

progressivamente fino a giungere, nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, conflitto che

si spense definitivamente solo nel 1918, con conseguenze devastanti per tutti i paesi coinvolti.

Il dopoguerra italiano si caratterizzò per una generale inquietudine e turbolenza, causate

dall’insoddisfazione sia della classe operaia, che riprese le lotte influenzata dalle vicende della

Russia bolscevica, sia della piccola borghesia, vittima di un riambientamento e di una sistemazione

lavorativa difficile per i reduci dal fronte. Le rivendicazioni culminarono nelle lotte violente del

proletariato urbano e delle masse contadine, riportando il dopoguerra alla situazione che precedette

il conflitto, caratterizzata da un forte malcontento della popolazione e da una consolidata instabilità

politica economica e sociale.

Tutti gli eventi storici che caratterizzarono questo periodo ebbero irrimediabilmente un impatto

immenso anche sull’organizzazione della cultura e sulla condizione degli intellettuali. 4

Con lo sviluppo della scuola, dell’istruzione e la diminuzione dell’analfabetismo i nuovi canali della

cultura, i giornali, i periodici settimanali, il teatro di varietà e il cinema, cominciano a svilupparsi

quali moderni mezzi di comunicazione di massa, proponendo, attraverso un processo di

massificazione della vita culturale che seguì quello della vita politica, un’omogeinizzazione del

pubblico. Tale fenomeno, se da una parte rese la cultura accessibile a una grande parte della

popolazione, dall’altra acuì la distinzione fra cultura di consumo e arte vera, spingendo l’artista

verso la ricerca di un’espressione sempre più rivoluzionaria e incomprensibile per la masse comuni

e incidendo profondamente soprattutto sull’arte narrativa.

La nascita di una società democratica di massa e la modernizzazione dello stato favorì lo sviluppo

di un nuovo ceto intellettuale che, a differenza degli intellettuali ottocenteschi che vivevano di

rendita occupandosi solo della loro arte, si trova costretto a mantenersi trasformando la letteratura in

una realtà lavorativa.

Il processo di industrializzazione e le caratteristiche di massa acquisite dagli intellettuali

determinarono la crisi del ruolo tradizionale ricoperto dall’intellettuale quale poeta-vate della

società come sostenuto da Carducci, che venne negato e rifiutato dal nuovo intellettuale moderno.

Tale negazione avvenne però in assenza di un’alternativa accettabile da parte di coloro che volevano

ancora considerare la figura del letterato separata dai meccanismi economici che riguardavano le

altre merci di consumo. Questa ribellione verso le tradizionali concezione cadde cosi in un senso di

smarrimento e perdita che accompagnò l’intellettuale per tutto il novecento, dando vita a

personaggi-modello come quello dell’inetto e dirigendo l’indagine letteraria verso una costante

ricerca d’identità e di senso.

2.1 La caduta delle certezze tradizionali

La crisi che caratterizzò la condizione dell’intellettuale novecentesco fu però soprattutto causata da

una rivoluzione delle tradizionali concezioni sulla vita e sul mondo, che colpì l’intera indagine

dell’uomo sulla realtà e su se stesso e che provocò la caduta di tutte le certezze tradizionali.

Nei primi anni del novecento si assiste , infatti, a rivoluzioni che furono decisive nella formazione

di una nuova concezione della conoscenza e quindi dell’esperienza del mondo.

La prima è da considerarsi quella della comunicazione, che con l’uso delle nuove invenzioni come

il telegrafo, il telefono e la radio, permise scambi di informazioni in tempo reale e che, insieme allo

sviluppo dell’industria automobilistica e dei mezzi di trasporto accessibili anche alle masse,

condizionò fortemente come venivano concretamente vissuti il tempo e lo spazio.

Una seconda è riscontrabile nel campo scientifico con l’elaborazione della teoria della relatività del

fisico tedesco Albert Einstein, che pose in crisi la concezione unitaria e oggettiva dell’universo,

sostenendo l’impossibilità del raggiungimento di una verità assoluta nell’osservazione dei fenomeni

fisici a causa dell’influenza esercitata su di essa dai mezzi utilizzati e dal metodo seguito. Nella

stessa prospettiva Heisemberg formulò il principio di indeterminazione secondo il quale

l’osservatore incide sull’esperimento, ponendosi nella schiera di coloro che supportavano la

relatività della verità.

Le ricerche che influenzarono maggiormente la letteratura furono però le indagini del medico

viennese Sigmund Freud, che diede vita alla psicanalisi e riprese il termine “inconscio” dichiarando

la presenza della parte oscura e nascosta della nostra mente, portandone alla luce i meccanismi di

funzionamento.

Tali innovazioni comportarono una problematizzazione del concetto di verità e sottolinearono i

limiti della ragione umana, alla quale si opposero anche i nuovi pensieri filosofici: Bergson

denunciò infatti l’inadeguatezza della ragione e del sapere scientifico come metodo attraverso il

quale conoscere le cose del mondo in quanto soltanto una conoscenza di tipo istintuale, denominata

da lui “intuitiva”, avrebbe potuto cogliere l’essenza stessa delle cose. 5

Non serve dire che tutti i cambiamenti sopra descritti sovvertirono completamente il tradizionale

approccio dell’individuo all’esistenza nella sua interezza, modificando di conseguenza la ricerca

intellettuale e la concezione dell’utilità del romanzo, che diventa così ora un mezzo per ricercare

una nuova conoscenza e una nuova identità.

3 Analisi rapporto padre-figlio attraverso l’analisi freudiana

Nella sua ricerca riguardo l’attività psichica umana e negli esperimenti terapeutici condotti con i

suoi pazienti, Freud giunse a comprendere, attraverso i racconti ottenuti dai malati sui traumi subiti,

come l’infanzia svolgesse un ruolo fondamentale nella possibile formazione nell’individuo di

psicosi e nevrosi. L’infanzia è la fase della vita dell’individuo nella quale il soggetto fa la sua prima

esperienza del mondo ed entra per la prima volta in contatto con la realtà esterna che ci influenza

nel corso di tutta l’esistenza. Proprio per questo l’individuo è fragile e vulnerabile come non lo sarà

mai, ed è a causa di tale condizione che lo studioso assegna a questo periodo una responsabilità di

così grande importanza. Il bambino, infatti, percepisce quello che lo circonda e quello che gli

succede senza alcuna conoscenza o saggezza di sorta, assimilando le informazioni attraverso

un’interpretazione inconscia e quindi irrazionale.

Questa consapevolezza, unita a quelle riferite alla presenza costante in tutti gli individui della libido

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