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Latino: Plinio il Vecchio (La Naturalis historia)
Greco: Teocrito (la poesia bucolica)
Filosofia: Frierich Shelling (la filosofia della natura)
Storia: la bomba atomica (effetti sul territorio e sull'uomo)
Arte: l'architettura organica (la casa sulla cascata di Wright)
Geografia astronomica: i terremoti
Fisica: le onde
LATINO
Chi era Plinio il Vecchio ?
Plinio il Vecchio nacque a Como fra il 23 e il 24 d.C. e ben presto si trasferì a
Roma dove ebbe modo di farsi una solida formazione retorica, soprattutto alla
scuola del retore e poeta tragico Pomponio Secondo. Successivamente ebbe
numerosi incarichi civili e militari sia sotto l’imperatore Claudio, sia sotto Nerone,
sia soprattutto sotto Vespasiano: così era capo della flotta di Miseno nel momento
in cui si ebbe la tragica eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. distrusse e seppellì
le città campane di Pompei, Ercolano e Stabia. In tale circostanza egli dimostrò
tutta la sua umanità portando aiuto alle popolazioni così colpite dal cataclisma e
tutto il suo amore per la conoscenza scientifica recandosi sul posto per analizzare
da vicino il fenomeno eruttivo: fu così che morì sorpreso durante la notte, come ci
informa il nipote Plinio il Giovane in una lettera indirizzata a Tacito, dalle
esalazioni soffocanti prodotte dall’eruzione, diventando in tal modo il primo
martire della ricerca scientifica.
La Naturalis historia Naturalis
Il capolavoro di Plinio il Vecchio, l’unica opera che ci è pervenuta, è la
historia, un enorme trattato sulla natura in ben 37 libri, che prende in esame i
fenomeni relativi alla cosmografia, alla geografia, all’antropologia, alla zoologia,
alla botanica, all’agricoltura, alla medicina e alla mineralogia. Insomma, si tratta di
una specie di enciclopedia del sapere finalizzata alla conoscenza della natura,
destinata però più alla consultazione che alla lettura continua a causa di una
historia
inadeguata elaborazione sistematica. La parola che compare nel titolo
dell’opera va compresa nel significato che essa aveva nella lingua greca, e cioè nel
senso di “ricerca”, naturalmente si tratta di una ricerca che si colloca entro i limiti
di una cultura, quella antica, nella quale non era possibile, per la povertà delle
informazioni autenticamente scientifiche, procedere all’individuazione delle vere
cause dei fenomeni, nè, d’altra parte al suo autore è possibile vagliare in maniera
critica le teorie esposte. La trattazione, pertanto, si risolve assai spesso in una
compilazione dettagliata e sterminata dei fenomeni naturali, come se Plinio
volesse costruire una specie di monumentale enciclopedia non certo della scienza,
ma del sapere del tempo legato alla natura.
Dunque possiamo affermare che, se a Plinio manca l’animus dello scienziato, non
gli manca certo il gusto per la visione diretta dei fenomeni nè un interesse, scevro
da apriorismi filosofici, che possiamo definire “empirico”.
Naturalis historia
Ciò risulta sufficientemente chiaro se confrontiamo la con le
Naturales quaestiones di Seneca. Infatti mentre quest’ultima opera si può definire
solamente una compilazione che tende a spiegare in maniera filosofica i più
Naturalis historia
importanti fenomeni della natura, la cerca, invece, di fornire
talvolta di essi una descrizione diretta, senza la pretesa di volerli acclarare
mediante teorie metafisiche. Insomma, uno studio empirico della natura. 4
Plinio mostra di avere della natura una concezione contraddittoria ed ambivalente:
infatti se da un alto essa appare a volte “benevola e provvidenziale” nei confronti
dell’uomo, al quale fornisce tutto ciò che gli è utile e piacevole, dall’altro, essa sa
anche essere “matrigna” costringendo ciascun essere umano a procacciarsi tutto
ciò che gli è necessario per la sopravvivenza.
La natura, infatti, è la prima responsabile della sofferenza che accompagna
l’uomo fin dal suo nascere dal grembo materno. La riprova di ciò sta, ad esempio,
nel fatto che solo l’uomo, quando nasce, non è protetto nè da spine, nè da piume,
nè da squame. Solo l’uomo nasce totalmente nudo. Per non parlare, poi, del
proseguimento della vita umana, costellato di parimenti e di sofferenze. Insomma,
nessun altro essere della natura, secondo Plinio il Vecchio, sembra avere
un’esistenza più precaria di quella dell’uomo.
Questa concezione della natura presenta notevoli analogie con la concezione della
natura di G. Leopardi, con l’unica differenza che mentre per Plinio la condizione di
sofferenza dell’uomo è ben peggiore di quella degli animali che per lo meno
hanno qualcosa con cui coprirsi, per Leopardi, invece, lo stato di infelicità non
pertiene esclusivamente all’uomo, ma coinvolge senza eccezione alcuna tutti gli
esseri viventi. 5
ITALIANO
Chi era Giacomo Leopardi ?
Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798. Tra il 1809 e il 1816 si
svolgono quei “sette anni di studio matto e disperatissimo” che arrecarono danni
irreparabili alla sua salute. Dopo aver iniziato la corrispondenza con Pietro
Giordani, Leopardi si sente sempre più a disagio nell’asfittico ambiente
recanatese. Potrà lasciare per la prima volta Recanati solo nel novembre del 1822
per un deludente soggiorno di pochi mesi a Roma. Tornato a Recanati, si dedica
Operette morali.
alla scrittura delle L’ultimo soggiorno recanatese va dal novembre
1828 all’aprile 1830. Una sottoscrizone degli amici toscani gli permette di tornare
a Firenze, dove, dall’autunno, vive insieme all’amico Antonio Ranieri. Nel 1833 si
trasferisce a Napoli dove muore il 14 giugno 1837.
Concezione della natura:
In Giacomo Leopardi, emblematico per la sua collocazione a cavallo tra il
romanticismo e il classicismo, la Natura segue il percorso del pensiero filosofico
dell’autore: in un primo periodo, o fase del pessimismo storico, questa è
considerata un’entità benefica e positiva, poiché produce solide e generose
illusioni che rendono l’uomo capace di virtù e di saggezza. L’infelicità umana è
ritenuta frutto di una condizione storica. Nella seconda fase, definita del
pessimismo cosmico, si giunge alla concezione della Natura matrigna, cioè di una
Natura che non vuole più il Bene e la felicità per i suoi figli. Essa è infatti la sola
colpevole dei mali dell’uomo; è ora vista come un organismo che non si
preoccupa più della sofferenza dei singoli, ma che prosegue incessante e
noncurante il suo compito di prosecuzione della specie e di conservazione del
mondo, in quanto meccanismo indifferente e crudele che fa nascere l’uomo per
destinarlo alla sofferenza. Leopardi sviluppa quindi una visione più meccanicistica
e materialistica della Natura, una Natura che egli con disprezzo definisce
matrigna. L’uomo deve perciò rendersi conto di questa realtà di fatto e
contemplarla in modo distaccato e rassegnato. Il destino dell’uomo, ovvero la sua
malattia, è in fondo lo stesso per tutti. In questa fase Leopardi ha capito che è
inutile ribellarsi, ma che bisogna invece raggiungere la pace e l’equilibrio con se
stessi, in modo da opporre un efficace rimedio al dolore. Ed è proprio la
sofferenza che Leopardi reputa la condizione fondamentale dell’essere umano nel
mondo.
● Canto notturno di un pastore errante
Significativo, per comprendere il concetto di infelicità, causata dalla Natura, è un
passo tratto dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (vv. 100-104), nel
quale emerge tutta la sfiducia verso la condizione umana nel mondo da parte del
poeta, una condizione fatta di sofferenza e di sempiterna infelicità.
«Questo io conosco e sento, 6
che degli eterni giri,
che dell’essere mio frale,
qualche bene o contento
avrà fors’altri; a me la vita è male.»
Il poeta, che si cela dietro il pastore, ricava dalla sua esperienza materiale
(conosco e sento) la certezza del male, come carattere indubitabile della propria
vita. E la Natura, rappresentata dalla luna al quale il pastore si rivolge, rimane
silenziosa di fronte alle domande esistenziali dell’uomo alle quali non può o vuole
rispondere, dimostrando ancora una volta di essere matrigna.
● Dialogo della Natura e di un Islandese
Il 1824 è l’anno delle Operette morali, la cui edizione definitiva esce postuma, a
cura di Ranieri, nel ’45 e contiene ventiquattro operette. In quest’opera confluisce
il nucleo della riflessione filosofica leopardiana: il pessimismo, il materialismo, la
critica al moderatismo liberale, allo spiritualismo liberale, al progressismo
scientista. Il tema dell’infelicità è ricondotto infine al suo nucleo filosofico con il
successivo Dialogo della Natura e di un Islandese. L’islandese ha fuggito tutta la
vita la Natura, convinto che essa perseguiti gli uomini rendendoli infelici; ma
benchè l’abbia fuggita ne è tuttavia stato perseguitato di continuo. Infine si
imbatte proprio nella Natura, una inquietante figura gigantesca di donna. Nel
dialogo tra i due emerge la completa indifferenza della Natura al bene e al male
degli uomini. Ed è la Natura stessa ad affermare le leggi di un rigoroso
materialismo: la scomparsa di questo o quell’individuo, di questa o quella specie
non tocca l’interesse della Natura, volta solo a perseguire la durata dell’esistenza
attraverso un “perpetuo circuito di produzione e distruzione”.
Per descrivere l’esperienza della vita umana, Leopardi non ha scelto un
personaggio importante (un filosofo, un artista, uno scienziato), come accade in
altre operette. Ha invece preferito introdurre un protagonista “comune”, un uomo
definito solo attraverso la propria nazionalità e chiamato a rappresentare un
punto di vista medio, obiettivo, fondato sulla verità dell’esperienza diretta. Ciò
rientra nella concezione leopardiana della filosofia, ritenuta un bisogno
esistenziale e non una professione specialistica; e serve dall’altra parte a dare più
forza alle conclusioni filosofiche del finale. 7
GRECO
Chi era Teocrito ?
Teocrito (Siracusa, 310 a.C. - circa 260 a.C.) è stato un poeta greco antico,
inventore della poesia bucolica. Poco sappiamo di certo sulla vita di Teocrito.
Questo per una ragione: quando i biografi antichi erano a corto di notizie sulla
vita di un autore (come in questo caso), ricavavano informazioni dalle opere.
Ovviamente, questo tipo di approccio non è scientifico, perché se è vero che nella
scrittura gli autori riversano sempre qualcosa di sé, è però anche vero che
un'opera poetica è prima di tutto un'opera di fantasia. Il fatto che, ad esempio,
nelle opere di Teocrito compaiano come protagonisti pastori e contadini, non vuol
dire che il poeta abbia svolto l'uno o l'altro mestiere. È vero, invece, che
nell'opera, anche di fantasia, sono comunque rintracciabili riferimenti a fatti
storici che permettono agli studiosi moderni di ricavare utili indicazioni
cronologiche.
La poesia bucolica di Teocrito
Come Callimaco fu inventore di un nuovo genere letterario, l’epillio, e audace
innovatore di quelli tradizionali, così anche Teocrito è da considerarsi il creatore
di un tipo di componimento, l’idillio, destinato ad avere straordinaria fortuna nella
successiva letteratura europea, da Virgilio a Leopardi. Infatti a partire da una certa
epoca il termine “idillio” venne usato per designare un tipo di poesia
caratterizzato soprattutto dalla trasognata descrizione di un sereno paesaggio
campestre, un “quadretto” di vita pastorale o contadina fortemente stilizzato e
iscritto dentro ideali coordinate spaziali e psicologiche: alberi ombrosi,
mormoranti ruscelli, greggi al pascolo, sfoghi di amanti infelici, gare di canto fra
pastori, inni alla sana semplicità della vita agreste.
Le Talisie,
Teocrito stesso nell’idillio 7, si propone come l’inventore della poesia
bucolica. Nell’idillio Simichida, maschera di Teocrito stesso, narra di essersi recato
con due amici alle feste Talisie in onore di Demetra. Lungo la strada incontrano il
capraio Licida, noto poeta locale, e lo sfidano ad una gara in cui si canti alla
maniera bucolica. Licida, canta per primo, proclamando di odiare chi scrive poemi
epici grandi come montagne. Simichida canta per secondo. Al termine della gara
Licida consegna a Simichida il bastone come dono ospitale delle Muse: è evidente
l’allusione all’investitura poetica, che Esiodo racconta di aver ricevuto nella
Teogonia, e, dunque, Teocrito si presenta come iniziato alla poesia bucolica e suo