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La seguente tesina verte sul progresso di fine Ottocento. Da sempre l'uomo ha fondato la sua esistenza sulla scoperta, sulla conoscenza e sulle abilità attraverso processi evolutivi differenti che stanno alla base del progresso tecnologico. La parola progresso sembra racchiudere in sé forza, potere, infallibilità. E’ fautore di ricchezza e agio. Allo stesso tempo, però, è anche causa della distanza insormontabile che divide i popoli che sono riusciti a cogliere i suoi maggiori frutti da quelli che sono “rimasti indietro”, e proprio questa distanza amplifica il suo potere.
Il progresso fa sentire inviolabili e spinge a raggiungere livelli di evoluzione sempre più elevati: è un progresso inarrestabile che assieme ai benefici, crea anche “numerosi danni”.
Tutto questo ebbe inizio già dagli ultimi decenni dell’Ottocento, in cui cominciò a crearsi la società di massa, una società simile a quella di oggi e di cui ereditiamo i valori e le abitudini. Sempre in quell’epoca ebbe inizio lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che ha portato poi alle gravi disuguaglianze di oggi e dei paesi sottosviluppati.
L’inizio del Novecento è caratterizzato dalle nuove teorie sull'organizzazione del lavoro proposte da F. Taylor e le considerazioni sugli eventuali effetti di un errato rapporto uomo-macchina, tale da condurre, a causa di un'inversione dei termini, ad una supremazia della tecnologia sull'uomo.
E’ come se l’umanità si trovasse all’interno di un “vortice” , che spinge a ricercare sempre maggiore lavoro, maggiore energia, maggiore perfezione, maggiori sforzi ed attenzioni, ma diventa sempre più difficile un controllo cosciente e sicuro.
E’ stato analizzato, utilizzando filtri letterari, quale sia stato il rapporto società-progresso tecnologico tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900. Volendo dare particolare attenzione nella tesina al concetto di alienazione (caratteristica della società industrializzata) e di materialismo storico (ovvero studio della storia quale sviluppo tecnico ed economico), per poi passare alla visione verista, testimonianza delle problematiche dello stato italiano, che hanno sconvolto e rinnovato la vita della popolazione meridionale.
Storia: La Belle Époque - Taylorismo e Fordismo - il sistema giolittiano.
Italiano: Il Verismo - Giovanni Verga.
La Belle Époque
Una breve storia di euforia: 1890-1914 gli anni
dell'ottimismo.
Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento l'Europa viveva
in un clima di euforia generale. Le innovazioni tecnologiche e la
fiducia in un progresso materiale avevano favorito la ripresa della
crescita industriale ed economica. Di qui il diffondersi tra la
borghesia di fine secolo di un clima di spensieratezza e di
ottimistica fede nel futuro, che sembrava coinvolgere anche le
classi meno abbienti. La crescita aveva favorito lo sviluppo di
nuove occupazioni nel campo dell’impiego e dei servizi, e anche le
donne iniziavano ad accedere al mondo del lavoro.
Il benessere, le strade illuminate, la merce in notevole quantità
nei grandi magazzini, i caffè, i cabaret e i teatri, le nuove invenzioni,
tutto dava la sensazione che si fosse raggiunto uno sviluppo
grandioso e destinato a durare per sempre. Mentre sul mondo
gravava la minaccia della guerra, la vita, soprattutto nelle grandi
città, procedeva all'insegna della gioia di vivere.
La Belle Époque: l’origine del termine
L'espressione Belle Époque significa : l'epoca bella, i bei tempi, questo termine nacque in
Francia subito dopo la prima guerra mondiale per definire il periodo, immediatamente anteriore alla
Grande Guerra, che va dal 1871 al 1914. La Belle Époque nasce in parte da una realtà storica, fu un
periodo di sviluppo, spensieratezza e fede nel progresso. Dal punto di vista filosofico questo
periodo è influenzato del pensiero positivista, che domina nella cultura europea fra il 1849 e il 1890.
Il positivismo stato fondato dal filosofo francese August Comte nel suo corso di filosofia positiva,
uscito nel1842. Secondo Comte, l’unica conoscenza possibile è quella che si realizza secondo il
metodo scientifico, il quale si propone di analizzare il rapporto di causa-effetto nei fenomeni
obiettivamente e sperimentalmente osservabile. L’ideologia del progresso assumerà
però, negli anni Settanta, una
connotazione di tipo evoluzionistica. Si
sviluppa in questi anni una cultura di
carattere materialistico, deterministico
ed evoluzionistico che appunto
caratterizzano il pensiero positivista.
Dalla fine dell’Ottocento in poi le invenzioni e progressi della tecnica erano stati all’ordine del
giorno . I benefici che queste scoperte aveva portato nella vita delle persone erano diventate sempre
più visibili: le case dei borghesi vennero dotate di acqua corrente e di servizi igienici; ascensori
nei palazzi; le strade delle grandi città vennero illuminate con lampioni elettrici.
Le comunicazioni divennero più semplici grazie ai
telefoni, alle metropolitane, alle automobili, alle
ferrovie e all’invenzione degli aerei, grazie a due
americani Orville e Wright.
Vi fu anche una vera e propria rivoluzione energetica
con l’utilizzo del petrolio, che sostituiva il carbone.
Anche l’industria chimica ebbe un grande incremento,
con la quale fu possibile l’applicazione di composti
chimici per la concimazione dei terreni. La scoperta della
radioattività e dei raggi x consentirono sviluppi
impensabili nel campo medico e della ricerca.
Vi fu anche una vera e propria rivoluzione energetica con l’utilizzo del petrolio, sostituendo il
carbone. Anche l’industria chimica ebbe un grande incremento, con la quale fu possibile
l’applicazione di composti chimici per la concimazione dei terreni. La scoperta della radioattività e
dei raggi x consentirono sviluppi impensabili nel campo medico e della ricerca.
I benefici che queste scoperte avevano portato nella vita delle persone erano diventati sempre più
visibili, con la minore paura di affrontare le malattie e l'ignoto. Tutto questo aveva determinato un
profondo ottimismo sulle possibilità dell'uomo, cui niente sembrava precluso. Questa convinzione
era fondata sull'espansione, economica e non solo, sull'assenza di preoccupazioni, sulla pace tra la
Francia stessa e i suoi vicini europei e sulle scoperte tecnologiche. Anche se non fu solo un periodo
di progresso, perché buona parte degli abitanti del continente rimaneva in condizioni
economiche al limite.
Nei Paesi più progrediti lo sviluppo industriale produsse effetti demografici importanti. In
passato, in particolare dove le condizioni di vita erano legate alle attività agricole, ad alti tassi di
natalità vi corrispondevano altrettanto alti tassi di mortalità, soprattutto infantile. Mentre la nuova
società delle tecnologie avanzate presentava una bassa natalità, costituendo nuclei sempre più
piccoli, e una mortalità altrettanto bassa.
La classe dominante restava la tradizionale aristocrazia, che con la più recente nobiltà
costituivano ancora un asse portante della società. La vera protagonista del nuovo secolo fu
l’avanzata della classe borghese, una classe poliedrica e stratificata al suo interno: la grande
borghesia, la media borghesia e la piccola borghesia. All’inizio del secolo erano rari i matrimoni
fra esponenti dell’aristocrazia e della borghesia. Un mondo a parte costituivano i ceti meno abbienti,
proletariato e mondo contadino. Nel caso del proletariato urbano le condizioni di vita e lavoro erano
tali da rendere spesso lacerante il degrado sociale, anche se si andava sviluppando un ceto di operai
specializzati che godevano di condizioni di vita e lavoro migliori. I contadini rappresentavano
ancora la maggioranza della popolazione europea e mondiale. In Europa la vita nelle campagne e le
condizioni sociali dei ceti agrari erano immutate. Vi era, inoltre, la presenza di gruppi di diseredati
sociali che rappresentavano una sorte di “non classe”, emarginata e derelitta.
Alla crescita demografica fece riscontro un impressionante aumento della produzione industriale e
del commercio mondiale che, tra il 1896 e il 1913, raddoppiarono. Nello stesso 1913 la rete
ferroviaria del globo aveva raggiunto un milione di chilometri e le automobili cominciavano ad
affollare le strade delle metropoli americane ed europee. Parlando di trasporti, la corsa alla
costruzione dei nuovi enormi e sfarzosi transatlantici costituiva il lato più grandioso di quest'epoca
tecnologicamente avanzata, ma ancora legata a certi sentimenti romantici e utopistici. Non a caso,
l'affondamento della nave più potente del mondo, il Titanic, avvenuto nel 1912 è stato considerato
come il più bel sogno infranto della Belle époque.
La società di massa
L’irruzione delle masse nella storia, tra la fine del diciannovesimo secolo e gli
inizi del ventesimo secolo, diede vita a un nuovo tipo di società che può essere
definita società di massa .Con la nascita delle prime città nell’inizio del
Novecento le folle lasciarono d’essere una moltitudine indifferenziata, e
cominciarono ad organizzarsi, ma lo sviluppo della società di massa iniziava a
produrre le proprie vittime. In effetti l’urbanizzazione divenne un fenomeno
sempre più importante, che ha sviluppato un importante flusso migratorio che
ha interessato milioni di uomini e donne. In particolare dalle zone depresse
d’Europa verso le Americhe.
Le masse riuscirono a inserirsi autonomamente nella lotta politica quando
nacquero i partiti di massa. In tutti i Paesi d’Europa, e in generale in tutto il
mondo industrializzato, si verificarono progressivi allargamenti del diritto del
voto. Nell’ambito delle rivendicazioni democratiche si inserì la lotta per
l’emancipazione femminile. Il primo partito nacque in Germania: partito
socialdemocratico tedesco, fondato nel 1875. In Italia il primo partito di massa
fu il partito dei lavoratori italiani, nacque nel 1892 e nel 1895 prese il nome di
partito socialista italiano. Questo periodo a cavallo tra l'Ottocento e il
Novecento fu segnato dal moltiplicarsi dei sindacati e delle camere del lavoro,
e da una brusca impennata della curva degli scioperi: nel 1901 gli scioperi
furono 1034 con 189.271 partecipanti e nel 1902 essi furono 801 con 196.699
partecipanti, cifre che non erano neppure paragonabili con quelle degli anni
precedenti che di rado superavano l’ordine di qualche migliaio.
Il maggiore beneficiario di questo improvviso e larghissimo risveglio della
coscienza democratica delle masse fu naturalmente il partito socialista, il
partito cioè che scriveva sulla sua bandiera il principio della lotta di classe. Non
erano solo gli operai e i contadini ad accorrere nelle file del partito:
quest’ultimo e i suoi capi esercitavano un forte potere di attrazione anche su
larghi strati della piccola e media borghesia.
Gli inizi del secolo vedevano inoltre
l’ingresso sulla scena politica anche dei
cattolici: papa Pio X, preoccupato
dell’avanzata del movimento socialista,
Anche le condizione delle donne stavano cambiando con la nascita della
società di massa, soprattutto a causa del lavoro fuori di casa, svolto ora anche
dalle borghesi, che cominciavano ad entrare, sia pure lentamente, nelle
professioni riservate fino a quel momento solo ai maschi.
Taylorismo e fordismo
L’impetuoso progresso economico e scientifico spinse verso un maggiore
democratizzazione della società, ma fece anche emergere nuovi problemi. Nel
mondo del lavoro il progresso significò anche una più organizzata gestione del
lavoro in fabbrica. Nel 1911 l’ingegnere americano Frederick Winslow Taylor,
Principi dell'organizzazione scientifica del lavoro
con la stesura del saggio ,
propose una regolamentazione più efficace dei ritmi di lavoro, al fine di
eliminare le pause inutili, per un’ organizzazione del lavoro mirata
all'ottimizzazione della produzione industriale. Taylor, ingegnere di Philadelphia,
fin dagli anni Ottanta dell‟800 studiò attentamente tempi e modi del lavoro
degli operai nei reparti con l’obbiettivo di aumentare la produttività. La
sostanza del suo metodo stava nella volontà di togliere all’operaio il
controllo delle operazioni lavorative condotte in fabbrica per
trasferirlo nelle mani dell’impresa. La riforma del lavoro assunse il nome
del suo creatore, "taylorismo".
Il taylorismo si fondava sul principio che la migliore produzione si determina
quando a ogni lavoratore è affidato un compito specifico, da svolgere in un
determinato tempo e in un determinato modo. Taylor in primo luogo osservò
attentamente i movimenti degli operai, misurò i tempi impiegati e li
classificò. Analizzò le mansioni di ogni lavoratore e scompose le
operazioni in una serie di movimenti semplici. L’obiettivo di queste azioni
fu di fissare norme e leggi che stabilissero il migliore metodo di lavoro.
In questo modo era possibile fissare tempi e modi di lavorazione prima che
questa avvenisse e determinare un “giusto salario per una giusta giornata
lavorativa”. Taylor sintetizzò la natura del suo metodo
organizzativo con l’espressione:
“trasferire il cervello dell’operaio sotto il
cappello dell’ingegnere”.
Infatti intendeva penetrare dentro il
processo lavorativo, conoscerne
precisamente i meccanismi, e sottrarre
all’operaio il monopolio della conoscenza,
soprattutto il controllo del tempo di lavoro.
La direzione d’impresa poteva intervenire
sul lavoro operaio per modificare la sua struttura
e fissare le modalità di esecuzione.
La separazione dell’ideazione del lavoro
dalla sua esecuzione diventava il cardine del
regime in fabbrica
Il sapere dell’operaio veniva “tolto” al
L’ingegnere Taylor, definito lavoratore e concentrato negli uffici della
lo ”scienziato del lavoro” Il Taylorismo aspirava a non essere solo una
tecnica produttiva, bensì una riforma del mondo
industriale nella sua totalità.
●Taylor riteneva che l’applicazione della scienza al
lavoro di fabbrica avrebbe reso impossibile il
conflitto tra lavoratori e imprese.
●Infatti il benessere sociale sarebbe aumentato
attraverso una maggiore produttività, che avrebbe
portato maggiore ricchezza e la fissazione di criteri
oggettivi per ripartire il reddito.
●In realtà la conflittualità sociale non si ridusse
grazie ai metodi di Taylor, e la loro applicazione
suscitò nelle fabbriche resistenze molto accentuate.