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Sintesi
Latino: Seneca e Lucrezio;

Greco: Eschilo e Sofocle;

Storia: Seconda rivoluzione industriale;

Filosofia: Positivismo e Comte;

Geografia astronomica: telescopi;

Fisica: la luce;

Ed. Fisica: obesità;

Italiano: Giovanni Verga, Giacomo Leopardi.
Estratto del documento

La tragedia attica greca con la grandiosa simbologia

dei miti e con la chiarezza che è propria delle forme

più alte dell’arte ha espresso idee rigogliose nelle

quali i secoli successivi, pur attingendo da diverse

esperienze, si sono spesso riconosciuti. Il dramma di

Eschilo Il Prometeo Incatenato appartiene a questa

straordinaria categoria di opere. Prediletto da filosofi

e poeti, esso rappresenta la vicenda del dio titano

che, mosso a pietà delle miserevoli sorti degli

uomini, osa ribellarsi a Zeus e trafugare il fuoco,

proprietà degli dei, per donarlo ai mortali e riscattarli

dallo stato selvaggio in cui fino ad allora erano

vissuti. Col suo dono essi sarebbero usciti dalla

cecità dell’ignoranza e avrebbero scoperto la via del

progresso e della civiltà. Incatenato per la sua colpa

e inchiodato ad una rupe a precipizio sul mare, il suo

grido risuona nel silenzio della solitudine della

natura non come un lamento, ma come un inno di

trionfo:

“Cercai, rubai, nascosta in una canna,/ la semenza del

fuoco, che ai mortali/ è maestra delle arti e gran tesoro./ Di

questa colpa io pago/ il castigo, inchiodato, incatenato/

sotto l’aperto cielo./…/Guardate me incatenato,/…/ per il

troppo amore ai mortali.”/[1]……/ Ho voluto, ho voluto il

mio peccato:/ e non lo smentirò. Per dare aiuto/ a chi

moriva ebbi la pena” /…………/ Ma udite la miseria dei

mortali/ prima, indifesi e muti come infanti,/ e a cui diedi il

pensiero e la coscienza:/ Parlerò senza biasimo degli

uomini,/ ma narrerò l’amore del mio dono./ Essi avevano

occhi e non vedevano,/ avevano le orecchie e non

udivano,/ somigliavano a immagini di sogno,/ perduravano 2

un tempo lungo e vago/ e confuso, ignoravano le case/ di

mattoni, le opere di legno:/ vivevano sotterra come labili/

formiche, in grotte fonde, senza il sole;/ ignari dei certi

segni dell’inverno/ o della primavera che fioriva/ o

dell’estate che portava i frutti,/ operavano sempre e non

sapevano,/ finché indicai come sottilmente/ si conoscono il

sorgere e il calare/ degli astri, e infine per loro scoprii/ il

numero, la prima conoscenza,/ e i segni scritti come si

compongono,/ la memoria di tutto, che è la madre/ operosa

del coro delle Muse./ E aggiogai le fiere senza giogo,/ le

asservii al giogo e alla soma/ perché esse succedessero ai

mortali/ nelle grandi fatiche, e legai al cocchio/ lo sfarzoso

e docile cavallo/ fregio d’ogni ricchezza ed eleganza./ Ed

inventai il cocchio al marinaio/ su ali di lino errante per i

mari./ Mille cose inventai per i mortali/ ………../ Più stupirai

udendo tutto il resto,/e le scienze che trovai, le vie che

apersi./ E la più grande: se uno s’ammalava,/ non aveva

difesa, cibo unguento/ bevanda: si estingueva senza

farmaci,/ finché indicai benefiche misture/ che tengono

lontani tutti i morbi./ ………/ Questo io feci. E chi prima di

me/ scoprì i doni nascosti della terra,/il bronzo, il ferro,

l’argento, l’oro?/ Nessuno, lo so bene, a dire onesto./

Sappilo in breve: tutto ciò che gli uomini/ conoscono,

proviene da Prometeo.”/[2]

Come non sentire nelle parole appassionate di

Prometeo l’entusiasmo della forza creatrice

dell’ingegno e insieme l’immenso amore per

l’umanità? Il vero progresso e il cammino della civiltà

non possono essere che un atto d’amore per il

debole, una lotta nel dolore e nell’abnegazione di sé.

Nella sublime grandezza della poesia tragica greca

non si prefigura forse l’altra grande verità del Dio

fatto uomo per amore degli uomini e inchiodato sulla

croce? 3

E se la fantasia greca è arrivata a tanto da

immaginare che il progresso è nato da un atto di

amore, non meno straordinaria è la sua forza quando

riconosce che tutte le arti create dalla civiltà non

riusciranno mai ad appagare l’infinito desiderio

dell’uomo di essere felice. Il coro, che in Eschilo ha la

funzione di comunicare allo spettatore la conoscenza

catartica alla quale conduce il dramma

rappresentato, conclude con queste parole: “le arti

sono troppo più deboli del fato”[4] e mai l’umanità

sofferente sarà strappata al suo destino di dolore, “non mai

i folli desideri dei mortali vinceranno il saldo ordinamento

Il messaggio è rivolto agli Ateniesi del V

di Zeus”[5].

secolo che nel clima dell’illuminismo sofistico

vedevano fiorire la loro polis nelle arti e nella civiltà,

affinché non seguissero “folli desideri” di superbia

abbandonando la via della saggezza, ma fossero

consapevoli del limite umano.

Un’ulteriore riflessione viene fatta da Sofocle nello

stasimo I dell’Antigone:

consuma volgendo la fiera che ha

“ Molti sono i l’aratro anno dopo silvestre covile fra

prodigi e nulla è anno i monti

più prodigioso e con l’equina e piega al giogo il

dell’uomo, prole rivolta. collo

che varca il mare del cavallo d’irsuta

canuto sospinto Degl’ilari uccelli la criniera

dal vento specie e dell’infaticabile

tempestoso del e le stirpi delle toro montano.

sud, bestie selvagge

fra le ondate e la prole del mare E apprese la

penetrando che accerchia e cattura parola

infuriano d’attorno, nelle spire attorte e l’aereo pensiero

e la più eccelsa fra delle reti e impulsi civili

gli dei, astutamente e come fuggire i

la Terra imperitura l’uomo; e doma dardi

infaticabile, con le sue arti 4

degli aperti geli e a morbi con la giustizia che

delle piogge. immedicabili. ha giurato;

D’ogni risorsa è Scopritore mirabile fuori della città,

armato, né inerme d’ingegnose se per audacia si

mai verso il futuro risorse, macchierà

si avvia: ora al bene d’infamie.

solo dall’Ade ora al male Non condivida il

scampo non s’incammina: mio focolare,

troverà; in alto nella città non amico mi sia

ma rimedi ha se conserverà le chi agisce così.”

escogitato leggi della sua

terra

Secondo il parere quasi unanime degli studiosi ,

l’attenzione per il progresso umano, tema caro alla

letteratura greca, risente del dibattito culturale

dell’Atene del V secolo a.c., animato dai sofisti. I

giudizi sono invece discordanti sul valore da dare

allo stasimo : per alcuni studiosi esso è una

celebrazione dell’uomo di impronta sofistica; per altri

si tratta di una polemica contro queste teorie. In

realtà occorre osservare che nello stasimo “ manca

ogni entusiasmo illuministico; e che la solitudine

dell’uomo nel mondo da lui conquistato è non a caso

medium comparationis per l’eroe tragico, solo tra gli

uomini, in cui esaltazione e disperazione possono

così frequentemente prendere a veicolo espressivo

gli stessi strumenti. Prestiamo fede alla lettera del

testo: di per sé né bene né male, la condizione

dell’uomo è perenne rischio”

Tragendie e frammenti di Sofocle,

G.Paduano , p. 279.

Fino a qui abbiamo analizzato il mondo greco arcaico

dominato sempre dalla concezione oppressiva della

condizione dell’uomo e della forza delle divinità. Ora

5

passiamo invece al mondo latino con due autori

condizionati dagli insegnamenti filosofici epicurei.

La prima testimonianza latina che analizzerò sarà

quella di Tito Lucrezio Caro di cui abbiamo notizie

scarse.

Visse nella prima metà del I secolo a.c. e morì

quarantenne .La carenza di dati attendibili sulla vita di

Lucrezio ha dato maggior credito alla notizia fornita da San

Gerolamo in merito alla follia che avrebbe colto il poeta

dopo un filtro amoroso, follia che avrebbe causato il

successivo suicidio( oggi si reputa un’invenzione nata in

ambiente cristiano).

Per divulgare a Roma la dottrina epicurea, Lucrezio

scelse la forma del poema epico didascalico. Vi è,

tuttavia, una contraddizione nell'agire di Lucrezio: se

da un lato condanna la poesia per la sua stretta

connessione col mito e per il fatto che può arrecare

infelicità agli uomini, dall'altro ne fa uso per

divulgare i principi della dottrina epicurea. La più

grande opera di Lucrezio, il "De rerum natura" , fu

scritta in esametri e suddivisa in sei libri:

probabilmente non fu finita o, in qualsiasi caso,

manca di una revisione. Il poema è dedicato a Gaio

Memmio, che fu amico e patrono di Catullo e Cinna.

Il motivo del poema, come spiega lo stesso Lucrezio,

è la diffusione della filosofia epicurea a Roma;

un'impresa ardua, tanto più per il fatto che la lingua

latina aveva un vocabolario molto ristretto e Lucrezio

si trova in difficoltà nel tradurre in latino parole

greche centrali nella filosofia di Epicuro e deve

ricorrere a perifrasi nuove. E di quest’opera sono 6

fondamentali i versi 62-79 del Libro primo nei quali

l’autore sente l’urgenza di rivolgere un primo elogio

a Epicuro l’uomo che per primo si è opposto a quel

complesso di credenze e superstizioni che fa sotto il

‘religio’.

nome di Essa costituisce infatti

l’impedimento a che l’uomo possa raggiungere la

corretta visione delle cose, una barriera che Epicuro

è riuscito a infrangere spingendosi con la sua mente

impavida negli spazi infiniti dell’universo. Con il fatto

di riferire le sue scoperte all’umanità Epicuro ha

ricondotto l’ignoto al noto liberando l’uomo dalle

grandi paure degli dei e della morte.

Quando la vita umana giaceva (prostrata)

vergognosamente sotto gli occhi (di tutti) sulla terra,

oppressa sotto il peso della religione1 [sotto una pesante

religione], che mostrava il (suo) volto dalle regioni del

cielo, minacciando dall'alto i mortali col (suo) orribile

aspetto, per la prima volta un uomo greco osò alzare

contro (di essa) gli occhi mortali e per primo (osò)

resisterle contro; e non lo spaventarono,né i falsi racconti

sugli dèi, né i fulmini, né il cielo col (suo) minaccioso

brontolio, ma (anzi), ancor più stimolarono [stimolò]

l'indomita energia del (suo) animo, tanto che egli desiderò

spezzare per primo gli stretti serrami delle porte della

natura. Dunque la sua vivida intelligenza trionfò, e si

spinse lontano, al di là delle ardenti barriere dell'universo,

e percorse il tutto infinito con la mente ardita [con la

mente e l'animo], di dove ci riferisce, trionfatore, che cosa

possa nascere, che cosa non possa, per quale ragione vi

sia per ogni cosa un potere delimitato e un termine

assolutamente fisso [profondamente confitto].

Perciò la religione, posta sotto i (nostri) piedi, è calpestata

a sua volta, e (questa) vittoria ci rende uguali agli dèi [ci

eguaglia al cielo]. 7

Un'altra concezione del progresso nel mondo latino

possiamo ricavarla dal filosofo Lucio Anneo Seneca.

Lucio Anneo Seneca, figlio di Lucio Anneo Seneca detto Il padre

o il Retore, nacque a Cordova forse nel 4 a.c. Egli stesso nelle

Epistole a Lucilio ricorda i maestri della giovinezza: Papirio

Fabiano, retore e filosofo, lo stoico Attalo , il neopitagorico

Sozione . Nel 65 a.c. quando fu scoperta la congiura contro

l’imperatore il filosofo fu considerato tra i complici e costretto

a togliersi la vita.

Di carattere scientifico sono i 7 libri delle " Naturales

quaestiones ", dedicati a Lucilio: trattati scientifici

nei quali Seneca analizza i fenomeni atmosferici e

celesti, dai temporali ai terremoti alle comete.

L'interesse dell'autore per le scienze - ritenute parte

integrante della filosofia - non è "gratuito", ma è

legato ad una profonda istanza morale, comune

all'epicureismo: mira infatti a liberare gli uomini dai

timori che nascono dall'ignoranza dei fenomeni

naturali e ad insegnare il retto uso dei beni messi a

disposizione dalla natura. In particolare Seneca

sottolinea più volte che la stragrande maggioranza

degli uomini trascuri lo studio della natura per darsi

ad occupazioni moralmente inutili o nocive; inoltre

non perde l'occasione per condannare il progresso

tecnologico perché quest'ultimo accresce i vizi e la

corruzione dell'uomo (egli è contrario all'uso

illegittimo degli specchi o alla barbara usanza

romana di intavolare i pesci ancora vivi). Seneca

comunque dimostra una notevole fiducia nel

progresso scientifico; infatti viene esaltata più volte

la ricerca scientifica, considerata come il mezzo con

cui l'uomo può innalzarsi al di sopra di ciò che è

8

puramente umano ed elevarsi fino alla conoscenza

delle realtà divine.

Proprio dal libro VII delle “ Naturales Quaestiones “

traiamo questi brani fondamentali:

‘’ Non meravigliamoci che sia portato alla luce così

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