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Latino: Lucrezio; Seneca (Naturales Quaestiones); Vitruvio
Storia: la seconda rivoluzione industriale
Fisica: la radio (circuiti RLC e onde radio)
Matematica: le funzioni seno e coseno (derivazione e integrazione)
Geografia astronomica: gli strati dell'atmosfera
Italiano: Giacomo Leopardi (La scommessa di Prometeo - La ginestra); Giovanni Verga (Prefazioni a "Eva" e "I Malavoglia"); il Futurismo
Storia dell'arte: il Futurismo
FIlosofia: il Positivismo; Karl Popper
Prometeo, l’ira di Zeus scuote la roccia a futuro, guardando con speranza e
cui è incatenato, facendola sprofondare apprensione al progresso, e rendendo sé
novelli Prometeo,
nelle viscere della terra. stessi dei in grado di
scatenare, appunto, una vera e propria
I
l dramma si conclude così, ma alcuni crisi dei costumi tradizionali, vissuta e
frammenti ci permettono di ricostruire la condivisa da autori successivi.
vicenda del dramma conclusivo, il
liberato”,
“Prometeo nel quale si assiste
riconciliazione con Zeus,
alla dopo la
liberazione da parte di Eracle, e la
Teti
rivelazione che è colei con cui Zeus
non dovrà mai unirsi.
A
d una prima lettura, sembrerebbe che
Eschilo intendesse sminuire con questo
di Zeus:
dramma l’autorità in realtà,
l’autore, mosso da una sincera e assoluta
fede nei confronti del culto tradizionale,
reputa Zeus l’apoteosi della divinità, e
giustiziere”.
“perfetto Il dubbio è
definitivamente sciolto proprio con i
frammenti del dramma conclusivo
pervenutici, grazie ai quali si legge del
perdono di Zeus nei confronti di
Prometeo, pur colpevole di un grave
affronto.
P er quanto riguarda il protagonista,
emerge con forza il coinvolgimento
dell’autore, dichiaratamente sostenitore
ideali democratici
degli più radicali, nella
vicenda: la figura di Prometeo, così
incondizionatamente legato al genere
umano, tanto da sopportare per anni
pene infernali per liberare uomini da
sofferenze ben più trascurabili, sarà
apparsa ai suoi occhi, e probabilmente
anche ai suoi lettori, del tutto assimilabile
eroi
a quella degli della migliore tradizione
epica.
E schilo appartiene, dunque, ad un
gruppo particolare di cittadini della Grecia
classica. Infatti, in un mondo
caratterizzato da valori religiosi e politici
forti e ben radicati, alcuni pensatori
cominciano ad aprirsi alla prospettiva del 8
LATINO
LUCREZIO: De rerum natura
SENECA: Naturales Quaestiones
VITRUVIO: De architectura
L
a problematica delineatasi nel mondo greco,
circa la linearità o la ciclicità della storia, e circa la
relazione tra progresso scientifico e morale,
notevole sviluppo,
conosce a Roma un
acquisendo una maggiore profondità e nuove
interessanti sfumature.
I
l ponte tra i due mondi è rintracciabile nel
Epicuro,
pensiero di al quale Lucrezio si riallaccia
saldamente: alla visione involutiva della storia di
Esiodo, la filosofia, a partire dal V secolo a.C.,
visione evolutiva
opporrà una e lineare, della quale Epicuro definirà il carattere
“razionalistico”, concependo il progresso come prodotto dell’istinto naturale e della
ragione. 9
L
ucrezio, vissuto tra gli anni 90 e gli anni 50 a.C., è autore dell’ambizioso progetto del
“De che ha principalmente due scopi: il primo è proprio quello di riportare
rerum natura”, filosofia epicurea,
in auge a Roma la in modo che il suo messaggio raggiunga anche le
classi sociali più elevate, e, in secondo luogo, intende infondere nel cuore dei suoi lettori
la speranza che Roma, dilaniata da continui dissidi e scontri bellici, possa ritrovare la
pace.
N
ella seconda metà del V libro, Lucrezio ripercorre l’evoluzione del genere umano sin
dalla Preistoria, rifiutando il mito esiodeo dell’età dell’oro, ed esplicitando, quindi, la sua
completa adesione all’epicureismo: a questo punto, egli affronta il tema del progresso
mostrando piena sensibilità alla contraddizione ad esso intrinseca. Questi, infatti, accoglie
positivamente alcuni esempi di progresso umano, come la scoperta del linguaggio o del
fuoco, o la raffinazione della tecnica di lavorazione dei metalli, ma rifiuta del tutto altre
macchine belliche
forme, come, ad esempio, l’invenzione di o il sorgere del
sentimento religioso. Sotto questo punto di vista, Lucrezio appare del tutto
controcorrente, rifiutando alcuni principi religiosi fondamentali, a partire dalla provvidenza
divina: non crede, infatti, assolutamente che le divinità abbiano a che fare col destino
dell’uomo, sostenendo che sono la natura, con le sue leggi, e il caso a farla da padroni.
S materiale
ostanzialmente, Lucrezio accetta l’innovazione purché rimanga nei limiti del
bisogni primari:
e del soddisfacimento dei in campo morale, infatti, ciò corrisponde
perlopiù ad un regresso. Pertanto, è al progresso che Lucrezio fa risalire la responsabilità
per la nascita di nuovi bisogni innaturali, o per l’insorgere di sentimenti dannosi, come la
corruzione
cupidigia e l’ambizione, che portano alla dell’animo umano. Egli, tuttavia,
sociale”,
provvede anche alla soluzione del problema, che definisce “progetto e che
non è altro che un invito all’adesione all’autentica filosofia epicurea, e, di conseguenza,
all’allontanamento dalla vita politica a favore di una serena esistenza dedita allo studio
della natura.
L
a conclusione a cui si giunge nel però, non è delle più rosee: secca è
De rerum natura,
la condanna del tempo presente, contrapposto ad un passato idealizzato. L’ingegno
umano, infatti, e un’instancabile fucina di straordinari strumenti, ma il progresso non tiene
conto né dell’etica né della morale: è per questo che Lucrezio ne accetta di buon grado
l’idea, ma ne rifiuta il mito.
La felicità della conoscenza Lucrezio, I 62-79
De rerum natura
Humana ante oculos foede cum vita iaceret naturae primus portarum claustra cupiret.
in terris oppressa gravi sub religione, ergo vivida vis animi pervicit et extra
quae caput a caeli regionibus ostendebat processit longe flammantia moenia mundi
horribili super aspectu mortalibus instans, atque omne immensum peragravit mente animoque,
primum Graius homo mortalis tollere contra unde refert nobis victor quid possit oriri,
est oculos ausus primusque obsistere contra; quid nequeat, finita potestas denique cuique
quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti qua nam sit ratione atque alte terminus haerens.
murmure compressit caelum, sed eo magis acrem quare religio pedibus subiecta vicissim
inritat animi virtutem, effringere ut arta opteritur, nos exaequat victoria caelo. 10
E
sattamente un secolo dopo, Seneca, nell’ultimo periodo della sua vita, al termine,
quindi, della sua maturazione filosofica e letteraria, assegna alle sue opere due principali
introspettiva
inflessioni: da un lato l’indagine e la ricerca del perfetto modello morale
(pensiamo, ad esempio, alle “Epistulae e dall’altro lo studio dei principali
ad Lucilium”),
fenomeni che interessano il cosmo e la natura, dal quale è nato il progetto delle
“Naturales Quaestiones”.
N
ella a quest’ultima opera, in realtà, veniamo a conoscenza della concezione
praefatio
senechiana di “scienza”, distante da quella moderna. Infatti, egli ritiene che la scienza sia
inscindibile dalla filosofia,
assolutamente tra cui c’è la stessa relazione che vi è tra
etica e teologia: il salto di qualità avviene nel momento in cui non ci si accontenta di ciò
non è
che è percepibile con i soli sensi, ma si sente la necessità di conoscere ciò che
visibile della natura, che è al di sopra di noi. La scienza educa alla vita sulla terra, la
riflessione filosofica ci eleva al di sopra dell’oscurità nella quale gli uomini comuni vivono
e ci conduce sino alla “fonte della luce”.
L
o studio scientifico non può che addentrarsi, quindi, in problematiche prettamente
metafisiche che riguardano la natura della divinità e dell’ordine impresso nell’universo:
fenomeni celesti,
una volta giunta in alto, poi, l’anima può osservare e studiare i come il
sorgere e il tramontare degli astri, prendendo coscienza delle ristrettezze nelle quali si
trovava sulla terra.
S
eneca ha, dunque, un’alta considerazione della conoscenza della natura, anche
timori superstizioni
perché è il principale mezzo per la liberazione dai e dalle che
avvolgono alcuni fenomeni naturali, principalmente generati dall’ignoranza. I terremoti,
ad esempio, non sono manifestazioni dell’ira divina, ma prova che anche la terra, come il
insoliti
corpo umano, è afflitta da “malanni”. Allo stesso modo, dei fenomeni si nutre un
timore maggiore, perché l’uomo tiene conto solo di ciò che la natura ha già dimostrato,
razionale
e non delle sue potenzialità, conoscibili solo tramite un’analisi e approfondita.
L stoicismo epicureismo,
’equazione “Ignoranza=Timore” metteva d’accordo anche ed
a riprova del notevole grado di progresso raggiunto dalla civiltà greca nell’Ellenismo.
La scienza contro paure e superstizione Seneca, VI 3
Naturales Quaestiones
Illud quoque proderit praesumere animo, nihil horum deos facere, nec ira numinum aut caelum concuti aut
terram: suas ista causas habent nec ex imperio saeuiunt sed quibusdam uitiis ut corpora nostra turbantur et
tunc, cum facere uidentur iniuriam, accipiunt.
Nobis autem ignorantibus verum omnia terribiliora sunt, utique quorum metum raritas auget: leuius accidunt
familiaria, at ex insolito formido maior est. Quare autem quicquam nobis insolitum est? Quia naturam oculis,
non ratione, comprehendimus nec cogitamus quid illa facere possit, sed tantum quid fecerit. Damus itaque
huius neglegentiae poenas tamquam nouis territi, cum illa non sint noua sed insolita.
Quid ergo? Non religionem incutit mentibus, et quidem publice, siue deficere sol uisus est, siue luna, cuius
obscuratio frequentior, aut parte sui aut tota delituit? Longeque magis illa, actae in transuersum faces et caeli
magna pars ardens et crinita sidera et plures solis orbes et stellae per diem uisae subitique transcursus ignium
multam post se lucem trahentium? [3,4] Nihil horum sine timore miramur: et cum timendi sit causa nescire,
non est tanti scire, ne timeas? Quanto satius est causas inquirere, et quidem toto in hoc intentum animo!
Neque enim illo quicquam inueniri dignius potest, cui se non tantum commodet sed impendat. 11
Macchine e tecnologie nel mondo antico
tutto assimilabile alla figura dell’oratore in
Cicerone.
L’opera ci fornisce importanti informazioni
circa alcune macchine idrauliche, come il
mulino ad acqua, o congegni più originali,
aspirante-premente”,
come la “pompa
sfruttata per l’irrigazione dei giardini, per
creare giochi
d’acqua o
Nel trattare della tecnologia nel mondo spegnere
antico bisogna, innanzitutto, tener conto del incendi.
fatto che, per ragioni ideologiche e Parallelamente
filosofiche, non godeva dello stesso conobbe un
successo della tecnologia moderna. Infatti, n o t e v o l e
mentre la scienza era affidata agli intellettuali sviluppo la
e alle classi colte, la tecnica era una tecnologia militare, in particolare nell’ambito
piccoli artigiani,
faccenda da sbrigarsi tra poliorcetica,
della l’arte dell’assedio e della
operai e schiavi. difesa a lungo raggio, con mezzi come la
catapulta ballista.
Il “divorzio” tra scienza e tecnica, del e la Altri progetti, come la
Platone
resto, già era stato ipotizzato da e “nave-fortezza”, fatta costruire dal re
Aristotele, che distinguevano il “sapere Tolomeo IV, dotata di 40 ordini di remi e, di
dal “sapere Ciò non ha, conseguenza, ingovernabile, svolsero
teoretico” pratico”.
tuttavia, impedito la rivelazione di menti unicamente funzione dimostrativa.
Archimede,
brillanti come Ctesibio, Erone di
Euclide,
Alessandria, Ippocrate ed i cui
contributi alla scienza sono, ancora oggi,
ritenuti essenziali.
I Romani, in particolare, sembrano
distaccarsi dalla tendenza generale del
mondo antico a prediligere l’aspetto
estetico delle macchine, piuttosto che la
l o ro f u n z i o n a l i t à , i l c h e p o r t ò a l l a
progettazione di “giocattoli” meccanici,
spesso inutili. A Roma, invece, la tecnica era
ambiti lavorativi
applicata agli più svariati,
dall’agricoltura all’edilizia, e metteva
saggiamente a frutto la conoscenza di
semplici meccanismi precedentemente
messi a punto, come la leva e la puleggia.
Ne troviamo testimonianza nel decimo
Vitruvio,
libro del “De di il quale
Architectura”
ha dovuto in alcuni punti scendere a
compromesso con la cultura popolare e
delineare il profilo dell’architetto ideale, del 12
STORIA
La seconda rivoluzione industriale
I
ntorno al 1870, può cominciare a dirsi del tutto
Liberalismo
acquisita la vittoria del sull’antico