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Sintesi
Italiano - Pirandello

Storia - Prima guerra mondiale

Diritto - Beni pubblici

Topografia - Progetto stradale

Estimo - Espropri

Costruzioni - Progettazione muri di sostegno a gravità

Tecn. costruzioni - Sicurezza nei cantieri edili

Ed. fisica - Il cuore
Estratto del documento

totalmente in lingua siciliana, all'inizio pubblico e critica avevano molte difficoltà nel

comprendere i dialoghi. Questo inconveniente convinse l'autore ad inserire nel

testo una traduzione in italiano della commedia.

Liolà è un personaggio spensierato e vagabondo, appassionato per il canto e la poesia,

sempre in sintonia con il mondo e la natura.

Atto I

L'azione è ambientata nella campagna agrigentina, a settembre. Nella prima scena si

vedono delle contadine intente a schiacciare mandorle nel podere della zia del

protagonista, sorvegliate dal cugino di quest'ultima, il ricco zio Simone Palumbo.

Quest'ultimo è in pena perché, nonostante quattro anni di matrimonio in seconde nozze

con la giovane Mita, non ha ancora un figlio a cui lasciare la "roba", cioè tutti i suoi averi.

Su di lui e su questa sua ossessione convergono le trame dei giovani Liolà, Tuzza e Mita.

Tuzza è la figlia di zia Croce, la proprietaria del podere, mentre Liolà è uno spensierato

bracciante. È un grande seduttore, un dongiovanni, tanto che ha reso madri tre ragazze,

tenendosi poi i figli ed affidandoli alla madre, zia Ninfa. Mita è un'orfana che zio Simone

aveva preso in moglie sperando così di coronare il sogno di un erede: la speranza delusa

causa ora il disprezzo per la moglie accusata di una sua presunta sterilità. Tuzza, per far

dispetto a Mita, che prima delle nozze aveva una tresca con Liolà, si lascia sedurre da

quest'ultimo e ne rimane incinta. Liolà allora si sente in dovere di riparare al torto fatto e

chiede la mano a Tuzza, la quale tuttavia rifiuta. Essa, infatti, non vuole un marito che

"sarebbe di tutte". Con la complicità della madre, invece, tenta di far riconoscere il figlio

dallo zio, vecchio ma ricco.

Atto II

Nel secondo atto lo zio Simone, ormai raggirato da Tuzza che lo ha convinto della sua

paternità, con fierezza grida alla moglie che il figlio di Tuzza è suo e che al suo erede

lascerà tutte le sue proprietà.

Per fuggire dalle ire del marito, Mita si rifugia nella casa di zia Gesa, vicina di casa di Liolà.

Quest'ultimo è legato a Mita dal rancore nei confronti di Tuzza: lui perché offeso dal rifiuto

delle nozze riparatrici, lei perché con l'inganno Tuzza le sta portando via il marito e i suoi

averi.

Liolà allora offre alla ragazza le sue risorse di amante prolifico per dare allo zio Simone

l'erede tanto voluto; lei dapprima rifiuta ma la sera, gli apre la porta di casa.

Atto III

Nel terzo atto, che si svolge un mese dopo gli avvenimenti precedenti, nel periodo della

vendemmia, zio Simone annuncia pubblicamente che la moglie gli ha dato finalmente un

figlio legittimo che si va ad aggiungere a quello illegittimo di Tuzza: in realtà nessuno dei

due gli appartiene veramente come padre.

A questo punto il vecchio vorrebbe che Liolà prendesse in moglie Tuzza, ma lui rifiuta,

perché sposandola avrebbe perso tutta la sua spensieratezza ed affidando quindi anche

questo ennesimo figlio alla madre.

Tuzza, furibonda, si scaglia addosso a Liolà con un coltello, riuscendo però solo a ferirlo

leggermente. PRIMA GUERRA MONDIALE

Il motivo principale che differenziò la Prima Guerra Mondiale da tutti gli altri conflitti

antecedenti furono gli effetti: si trattò proprio di una guerra “totale”, che coinvolse tutta la

compagine degli Stati belligeranti: non solo a livello bellico, ma anche economico,

amministrativo e politico. Notevole, inoltre, l’utilizzo di mirate campagne propagandistiche.

Le cause del conflitto sono da ricercarsi, da una parte, nella crisi dei rapporti

internazionali europei, dall’altra, nella rapida e significativa ascesa della Germania a

potenza navale, con conseguenti ripercussioni sul mondo coloniale. Inoltre, nei movimenti

nazionalisti e irredentisti, specie nelle seguenti zone strategiche dell’Europa: Balcani,

Alsazia, Lorena, Trentino e Trieste. Il pretesto fu dato dall’attentato a Sarajevo,

ai danni dell’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando, da parte di un

indipendentista slavo. L’Austria mandò immediatamente un ultimatum alla Serbia, la

quale, rifiutandosi di scendere a patti, emise la dichiarazione di guerra il 28 luglio del

1914. Il sistema delle alleanze fu presto stabilito. Da una parte si schierarono l’Austria e

la Germania, dall’altra l’Inghilterra, la Francia e la Russia, mobilitate in difesa della Serbia.

La Germania invase quindi la Francia, passando attraverso il Belgio e violandone così la

neutralità, cosa che suscitò molto scalpore soprattutto in Inghilterra, che per questo

motivo scese in campo al fianco delle truppe francesi. L’intenzione tedesca era di portare

avanti una “guerra di movimento”, rapida e veloce, ma il tentativo fallì: il conflitto si rivelò

lungo ed estenuante, in quel che fu definita una “Guerra di Trincea”. Dopo l’avanzata

tedesca in Francia ed il blocco continentale operato dalla flotta inglese, nel 1915 anche

l’Italia entra in guerra. All'interno dell'Italia si erano formati due schieramenti: i neutralisti e

gli interventisti.

Gli interventisti

Furono innanzitutto i gruppi della sinistra democratica: i repubblicani di ispirazione

garibaldina, i radicali di Bissolati (filofrancesi) e le associazioni irredentiste. A questi si

aggiunsero, sorprendentemente, alcuni esponenti del movimento operaio: costoro

speravano che un conflitto in Europa avrebbe portato con sé anche una rivoluzione

socialista nei vari paesi. Fautori dell’intervento furono anche i nazionalisti di destra, che si

unirono così ai democratici in uno schieramento trasversale.

I neutralisti

L’ala più consistente dei liberali, aveva invece una posizione neutralista. Ritenevano

infatti che l’Italia non fosse preparata per il conflitto e pensava che avrebbe potuto

comunque ricevere dagli imperi centrali un compenso territoriale come prezzo della

neutralità. Contrario alla guerra era anche il papa Benedetto XV e, con lui, il mondo

cattolico: oltretutto il papa non voleva che l’Italia si trovasse al fianco della Francia

repubblicana e anticlericale contro la cattolica Austria-Ungheria.

Il 26 aprile del 1915, il governo italiano si alleò segretamente con la Triplice Intesa

(Inghilterra, Francia, Russia), stipulando il Patto di Londra. Attraverso tale accordo, l’Italia

si impegnava nella guerra contro l’Austria ed, in caso di vittoria, avrebbe dovuto ottenere

le terre irredente di Trentino, l’Alto Adige, Trieste, Istria e della la città di Valona, in

Albania.

Il Parlamento italiano, in maggioranza neutralista, doveva però ancora ratificare la

decisione: ma le numerose manifestazioni di piazza interventiste (nelle cosiddette

“radiose giornate di maggio”) lo indussero a conferire i pieni poteri al governo. Così, il 23-

5-1915, l’Italia dichiarò guerra all’Austria. Sul fronte italo-austriaco, il conflitto si

presentò subito estremamente lento, combattuto nelle trincee scavate nelle montagne del

Friuli da soldati reclutati tra le fasce più povere della popolazione. Nel 1917, si

ribaltò la situazione, con l’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti a fianco della Triplice

Intesa ed il ritiro della Russia, impegnata entro i propri confini con la Rivoluzione.

L’offensiva austriaca divenne sempre più pressante, finché l’esercito italiano subì la

famosa sconfitta di Caporetto, il 24 ottobre del 1917, con gravi ripercussioni anche sulla

vita economica e sociale del Paese. Ebbero infatti inizio una serie di scioperi e di

manifestazioni, tali da costringere il governo a fare grandi promesse ai soldati, al fine di

risollevarne il morale, evitando defezioni ed ammutinamenti. Il 1918 fu l’anno decisivo del

conflitto, che ne segnò anche la conclusione della Prima Guerra Mondiale con la vittoria

della Francia.

Sul fronte italo-austriaco, l’esercito italiano, guidato dal un nuovo generale Armando Diaz,

riuscì a conquistare Trento e Trieste, stipulando un armistizio con l’Austria e giungendo

finalmente alla pace. La Conferenza di Pace di Parigi penalizzò duramente i paesi

perdenti, in particolar modo la Germania, facendo prevalere gli interessi delle due

potenze europee: Francia ed Inghilterra. All’Italia furono concessi i territori di Trentino,

Alto Adige, Trieste ed Istria. Dallo smembramento dell’impero austro-ungarico nacquero

quindi nuove realtà territoriali e politiche: l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia.

I BENI PUBBLICI

La pubblica amministrazione per raggiungere i suoi fini necessità di mezzi e di beni immobili

e mobili. Il complesso di questi beni rappresenta il patrimonio dello Stato.

I beni pubblici possono essere definiti come quei beni che appartengono allo stato o ad un

altro ente pubblico. Essi sono idonei a soddisfare un interesse pubblico. Questi beni

seguono un regime giuridico particolare, diverso dal regime che seguono i beni privati. Si

distinguono attraverso un criterio puramente formale in beni demaniali, elencati nell’art.822

del c.c. e beni patrimoniali indisponibili, previsti dall’art.826 del c.c.

Due categorie principalmente importanti di beni pubblici sono: le miniere e le strade.

Le miniere: sono regolate da una legge del 1927 (regio decreto 1443/1927), essa stabilisce

che tutte le miniere sono di proprietà dello stato e più precisamente fanno parte del suo

patrimonio indisponibile. Le miniere che si trovano nel territorio di una regione sono di

proprietà della regione stessa e fanno parte del suo patrimonio indisponibile ( ciò significa

che i proprietari del fondo su cui si trovano le miniere non hanno diritto di coltivarle).

La legge definisce miniere i giacimenti di minerali utilizzabili per l'estrazione dei metalli; di

combustibili solidi, liquidi o gassosi; di fosfati, sali, argille; di pietre preziose ecc.

La ricerca delle sostanze minerali è consentita solo a chi è munito del permesso rilasciato

dalla regione. Il permesso è accordato per un periodo di tempo determinato e per una

specifica area. I proprietari dei fondi non possono opporsi all'attività di ricerca, ma hanno

diritto al risarcimento dei danni eventualmente causati dal ricercatore. Una volta effettuata

la scoperta, il ricercatore è tenuto a comunicarla, prima di avviare la coltivazione, se ne

ricorrono i requisiti. Da quel momento il giacimento entra a far parte del patrimonio

indisponibile dello stato. La regione non procede direttamente alla coltivazione della miniera,

ma la affida in concessione allo stesso scopritore, qualora ne faccia richiesta, oppure a

un'impresa che abbia la necessaria capacità tecnica ed economica. La concessione è

rilasciata dalla regione ed è temporanea. Il concessionario è tenuto a pagare un canone alla

regione.

Le acque minerali e terminali sono sottoposte allo stesso regime delle miniere. Spetta

dunque alle regioni accordare il permesso per la ricerca e rilasciare la concessione per lo

sfruttamento delle fonti.

Le strade

: costituiscono un bene pubblico; devono poter essere usate liberamente da

chiunque e bisogna che qualche autorità si occupi di curare e finanziare la loro costruzione

e la loro manutenzione.

Le strade possono essere :

Private: appartengono ai privati, che si addossano costi di costruzione e manutenzione e

sono solo per uso proprio.

Pubbliche: fanno parte del demanio di un ente pubblico (stato, regione, provincia o

comune).

Una strada privata può diventare pubblica in seguito a espropriazione; allo stesso modo

la costruzione di una nuova strada pubblica richiede la preventiva espropriazione dei

terreni su cui la strada deve passare.

La legge più importante che regola la costruzione, la manutenzione, l'uso delle strade

pubbliche è il codice della strada emanato con decreto legislativo 285/1992. La strada è

definita dal codice come “ l'area a uso pubblico alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e

degli animali”.

Classificazione delle strade La legge stabilisce 2 classificazione diverse delle strade

pubbliche.

La prima classificazione si riferisce alle caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali; si

distinguono in:

tipo a) autostrade

tipo b) strade extraurbane principali (superstrade a due carreggiate)

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