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Storia - La propaganda fascista, nazista e stalinista
Arte - L'architettura di regime
Italiano - Gabriele D'Annunzio
Inglese - 1984 di George Orwell
Introduzione
Ho scelto di parlare della persuasione perché mi ha sempre affascinato il meccanismo
della manipolazione della mente, non per manipolare a mia volta ma per prendere
coscienza di questo fenomeno e cercare, quindi, di evitare di essere condizionata
soprattutto dalle informazioni a cui siamo sottoposti continuamente e che a poco a poco
modificano il modo di percepire la realtà, infatti i sociologi parlano di una società sempre
più densa di richiami persuasivi ai quali si rischia di acconsentire anche quando non lo si
vorrebbe. Questo tema ha suscitato il mio interesse perché molte volte nella mia vita mi
sono trovata a chiedermi qual era davvero la mia opinione ed ho notato che è molto più
difficile di quanto si pensi non lasciarsi influenzare da fattori esterni, nel bene o nel male.
Il tentativo di provocare cambiamenti nelle idee e opinioni altrui e di convincere le altre
persone a mettere in atto certi comportamenti piuttosto che altri ha animato l’uomo fin dai
primi scambi comunicativi.
L’importanza di saper convincere con successo si è accentuata con l’insorgere della
società di massa, cha ha posto l’esigenza di una forma di persuasione, per così dire,
organizzata: la propaganda. La propaganda è l’insieme di metodi utilizzati da un gruppo
organizzato per conseguire il consenso, attivo o passivo, della massa, talvolta anche
attraverso manipolazioni psicologiche. La propaganda è dunque l’espressione del potere
che cerca di affermarsi anche attraverso la conquista dell’opinione pubblica.
L’apparizione della propaganda moderna risale all’epoca della Prima Guerra Mondiale.
I governi dei paesi in guerra sentono la necessità di dotarsi di organismi specifici con il
compito di “manipolare” sia le truppe che le popolazioni.
In questi primi decenni del secolo l’idea della persuasione
organizzata è connessa agli studi della psicologia delle masse.
In particolare il sociologo Gustave Le Bon aveva cercato di capire
perché, quando gli individui si trovano in gruppi di vaste
dimensioni, tendono a far funzionare meno le proprie capacità
intellettuali, mostrando comportamenti uniformi tanto da far
pensare ad una sorta di unità mentale collettiva, perchè attratti dal
potere persuasivo delle parole e delle immagini. Le Bon parla di suggestione collettiva
nella sua opera Psicologia delle folle (1895) in cui l’io si annulla nella massa, per esempio
durante una sommossa, e tutte le emozioni, come la paura, il coraggio e l’entusiasmo,
vengono esasperate. In questo modo le persone perdono la razionalità e sono preda alla 1
suggestione quasi come fossero ipnotizzate, manifestando comportamenti istintuali e
opinioni diversi da quelli che attuerebbero singolarmente. Gli individui si aggregano nella
folla per riversare addosso a qualcun altro le proprie colpe e i propri errori e quindi,
perdono la propria specificità in cambio però di una chiara identità collettiva.
“Ciò che più ci colpisce di una folla psicologica è che gli individui che la compongono –
indipendentemente dal tipo di vita, dalle occupazioni, dal temperamento o dall’intelligenza –
acquistano una sorta di anima collettiva per il solo fatto di appartenere alla folla. Tale anima li
fa sentire, pensare ed agire in un modo del tutto diverso da come ciascuno di loro – isolatamente
– sentirebbe, penserebbe ed agirebbe”.
Le Bon sosteneva che una persona dotata di particolare fascino e prestigio sarebbe
riuscita a trascinare la folla a suo favore, controllando le coscienze degli individui
attraverso un consenso apparentemente spontaneo. Il leader di folle doveva saper
comandare ricorrendo ai sentimenti e non alla ragione, in quanto l’animo delle masse era
caratterizzato dal sentire e non dal pensare: l’uomo inserito nel gruppo sentiva il bisogno
di illudersi e di sentire passioni ed era compito del capo quello di creare miti per soddisfare
tale necessità. Per la conquista del consenso della folla bisognava creare una fede
incondizionata nel capo. Egli avrebbe dovuto quasi trasformarsi in una divinità terrena
attraverso la propaganda e il culto della personalità. Il leader accettava la totale
assunzione della responsabilità di ciò che accadeva nel Paese e in cambio gli veniva
riconosciuta dal popolo l’onnipotenza. Al capo spetta il compito di motivare la folla,
condurla secondo le sue direttive e fornire un modello con cui identificarsi, in un processo
di assoggettamento continuo per poterla modellare a suo vantaggio.
L'opera di Le Bon è una vera e propria miniera d’oro per chi voleva comprendere il
comportamento della massa, perché ha individuato i criteri e i metodi per controllarla,
dunque: Le Bon fornì le basi teoriche per realizzare il totalitarismo, ma lasciò ad altri il
compito di applicarle; i dittatori totalitari hanno la colpa di aver usato con brutalità questi
suggerimenti teorici, i quali basarono il proprio potere sulla capacità di controllare e
manipolare le masse.
Lenin, Stalin, Hitler lessero meticolosamente l'opera di Le Bon e, l'uso di determinate
tecniche di persuasione nella loro dittatura sembra ispirato direttamente dai suoi consigli;
ma anche Mussolini fu un fervido ammiratore dell'opera dello psicologo francese, che ne
trasse ispirazione al fine di dirigere l’opinione pubblica a sostegno del regime fascista.
"Ho letto tutta l'opera di Le Bon e non so quante volte abbia riletto la sua "Psicologia delle
folle". E' un’ opera capitale alla quale ancora oggi spesso ritorno.” 2
La propaganda nei regimi totalitari
Tutti i partiti che, nell’Europa del XX secolo, portarono alla costruzione di regimi totalitari
utilizzarono, insieme alla sistematica distruzione delle opposizioni, il potente strumento
della propaganda, facendo leva proprio sull’emotività di quella folla psicologica di cui
parlava Le Bon. Gli effetti della propaganda ed il suo uso strumentale sono stati
particolarmente rilevanti in Italia, in Germania e in Russia dove hanno contribuito in gran
parte a facilitare l’ascesa di Mussolini, di Hitler, di Stalin e ad accrescere il loro prestigio
personale e politico, manipolando l’informazione, celando le cattive notizie e mettendo in
luce solo alcuni aspetti di ciò che accadeva; ovviamente, lo strumento per mettere a tacere
coloro i quali la pensassero diversamente era la violenza fisica e psicologica.
Con la propaganda si cercò di dare una giustificazione alle iniziative di guerra e di
conquista, facendo uso di tutte le varie forme di comunicazione visiva e uditiva.
Manifestazioni coreografiche, prima nel fascismo e poi nel nazismo e nello stalinismo,
furono utilizzate per far sentire alla massa di essere partecipi della potenza e dei progetti
del capo. Vennero organizzate continuamente cerimonie e discorsi diretti alla folla per
facilitare quest’immedesimazione tra capo e folla. Tuttavia ciò contribuiva ad assoggettare
sempre più la folla, e a negare ogni forma di informazione e di espressione.
La propaganda fascista
Mussolini tramite la propaganda effettuò il controllo politico su tutti i mezzi di
comunicazione con lo scopo di orientare l’opinione pubblica e ottenere un’obbedienza
“cieca” al regime. I messaggi furono rivolti a tutte le categorie della società italiana e
vennero diffusi attraverso la radio, la stampa e il cinema.
I programmi trasmessi attraverso la radio erano costituiti per lo più da discorsi tenuti dal
Duce. Più di ogni altro mezzo la radio assunse un ruolo di primo piano per la
persuasione della massa, infatti diventò la voce ufficiale dello stato, in grado di
penetrare direttamente nelle case degli italiani.
Mussolini, essendo un giornalista, capì subito l’importanza della stampa per affermare il
suo potere, per “sottomettere” il popolo al suo volere e sostenere l’idea del Fascismo.
“Il giornale si utilizza come una clava; deve colpire dentro la testa fino a condizionare la
formazione dell’opinione pubblica.”
Benito Mussolini 3
Il controllo attuato dal regime sull’informazione fu possibile grazie all’acquisto delle
maggiori testate giornalistiche e grazie alle censure. Già dai primi anni del Regime la
stampa fu sottoposta ad un controllo formale. Con le “Leggi Fascistissime” Mussolini
dispose che ogni giornale avesse un direttore responsabile inserito nel partito fascista e
che il giornale stesso, prima di essere pubblicato, fosse sottoposto ad un controllo.
I quotidiani presentavano il periodo fascista come un modello storico di pace e moralità,
anche i giornali per bambini erano strettamente legati all’ideologia fascista.
Mussolini creò inoltre l’Ufficio Stampa, che nel 1937, venne trasformato in Ministero
della Cultura Popolare. Questo ministero aveva l’incarico di controllare ogni
pubblicazione, sequestrando tutti quei documenti ritenuti pericolosi perchè contrari al
regime, e aveva l’obbiettivo di suscitare entusiasmo ed esaltare il mito del Duce. Fu così
soffocata la libertà di stampa, anche se giornali come La Stampa e Il Corriere della Sera
riuscirono a sopravvivere.
Nel campo culturale, Mussolini si fece promotore di molte iniziative anche se l’Italia,
sotto il fascismo, rimase isolata dalle correnti culturali e artistiche europee e mondiali.
Ciò non avveniva per caso: l’abbassamento del livello culturale faceva parte della
strategia politica di un regime che aveva sospinto la popolazione a credere nei miti
piuttosto che a ragionare, a scambiare la retorica con la realtà, a delegare ogni
decisione al Duce, dal momento che egli “aveva sempre ragione”.
Nel 1926 nacque l’istituto nazionale L.U.C.E. ovvero l’unione cinematografica educativa,
divenuto in breve tempo lo strumento principale di propaganda
fascista attraverso la diffusione dei cinegiornali. Il cinema divenne
“l’arma più forte” di propaganda perché permetteva di unire le
immagini a musiche di sottofondo e a parole pronunciate con
enfasi. La produzione del cinegiornale era costituita da notizie
riguardanti Mussolini e da documentari, per rendere note le
imprese fasciste. Il primo film della propaganda fascista fu Il grido dell’aquila.
Per sopperire alla scarsità di sale cinematografiche furono creati i cinemobili, strutture che
proiettavano i cinegiornali nelle piazze.
Il consenso 4
Mussolini era un abile manipolatore, che sapeva, attraverso
gesti enfatici ed espressioni ridondanti, persuadere la folla.
Amava parlare dalla finestra del primo piano di Palazzo
Venezia e usare, durante gli incontri con le masse, i simboli
del potere come bandiere, colonne e immagini che lo
ritraevano. L’immagine del Duce era onnipresente: veniva fotografato mentre svolgeva
lavori manuali per rafforzare la fiducia nei suoi confronti, in quanto diveniva simbolo di
operosità e la popolazione poteva identificarsi.
Il mito fascista si appropriò dei miti della romanità integrando nella sua struttura il mito
dell’uomo nuovo, del rinnovatore nazionale e del padre della patria, sempre impegnato a
sostegno della popolazione italiana, per la costruzione del consenso al fascismo.
Il Duce, infatti, non era solamente un leader politico, ma fu divinizzato e idolatrato dai
suoi sostenitori, addirittura venne soprannominato “l’uomo della Provvidenza”.
Il Duce comprese che, nella sua epoca, le folle rappresentavano un’immensa potenza e
che dovevano essere “utilizzate” per ottenere quel consenso che lo avrebbero
sostenuto. Mussolini era un grande oratore: la sua forza comunicativa si basava su frasi
brevi, uso di metafore, terminologia militare, ritmo incalzante e con un continuo ricorso
all’antitesi.
Il suo lessico era povero, e tuttavia ricco d’enfasi, di pause sapienti, di richiami patriottici,
che avevano l’unico scopo di trascinare ed esaltare la folla.
La manipolazione delle coscienze
Il regime considerava fondamentale indottrinare gli italiani al
regime fascista fin dalla nascita: l’ Opera Nazionale Balilla istituita
nel 1926 era l'unica associazione giovanile autorizzata.
Successivamente nel 1934 Mussolini promosse la nascita al suo