Anteprima
Vedrai una selezione di 8 pagine su 35
Ponte girevole di Taranto tesina Pag. 1 Ponte girevole di Taranto tesina Pag. 2
Anteprima di 8 pagg. su 35.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Ponte girevole di Taranto tesina Pag. 6
Anteprima di 8 pagg. su 35.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Ponte girevole di Taranto tesina Pag. 11
Anteprima di 8 pagg. su 35.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Ponte girevole di Taranto tesina Pag. 16
Anteprima di 8 pagg. su 35.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Ponte girevole di Taranto tesina Pag. 21
Anteprima di 8 pagg. su 35.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Ponte girevole di Taranto tesina Pag. 26
Anteprima di 8 pagg. su 35.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Ponte girevole di Taranto tesina Pag. 31
1 su 35
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Sintesi
ITALIANO - Gabriele D’Annunzio: “La canzone dei Dardanelli”
STORIA - Giovanni Giolitti: Il suo governo
DIRITTO E SCIENZA DELLE FINANZE - Le imprese pubbliche e le entrate pubbliche
ECONOMIA AZIENDALE - Taranto e la sua banca: La “Cassa tarantina” ed il suo fallimento
INGLESE - Banking and E-banking
INFORMATICA - I modelli ed i livelli delle reti
MATEMATICA - La Ricerca Operativa
Estratto del documento

Il monumento per cui la città di Taras è nota è il “Ponte Girevole”.

Vi sono cose che, pur non essendo andate perdute, hanno subito una trasformazione radicale che sono

diventate così comuni da non suscitare più alcun interesse.

Nella nostra città, una di queste è il Ponte girevole e tutto ciò che è in funzione di esso. In origine il canale su

cui venne costruito il ponte non esisteva. Il tratto di terra che correva dal Mar Grande al Mar Piccolo serviva

di pomerio alla Rocca, quindi non era lecito né fabbricarvi, né abitarvi , né ararvi. Al tempo dell’invasione dei

Saraceni, i Tarantini tentarono di scavare un fosso per ripararsi dai nemici che assalivano la città dalla parte

della terra. Nel 1480 per ordine di Ferdinando I d’Aragona si tentò di nuovo di scavare il fosso. Filippo II lo

rese navigabile, ma essendosi in seguito riempito di sabbia, nel 1755 fu riaperto per ordine di Carlo III;

Ferdinando I di Borbone migliorò il canale e, alla parte nord fece costruire un ponte che fu chiamato Ponte

di porta Lecce. Ma era riserbato ai nostri giorni e alla meccanica moderna il rendere questo canale atto al

passaggio di superbe navi ed unire la vecchia alla nuova città con un Ponte girevole.

Fin dal 1874, cioè sin da quando a Taranto si fecero i primi studi per la costruzione di un canale navigabile, si

stabilì che il ponte sul suddetto canale fosse girevole e in ferro. Per la compilazione del progetto si giudicò

preferibile un appalto a concorso speciale fra i più accreditati stabilimenti nazionali e al progetto degli

ingegneri Guppy e C. di Napoli fu preferito quello dell’Imprese Industriale Italiane di Costruzioni metalliche

dell’ingegnere Cottrau anch’esso di Napoli. Il ponte girevole da lui progettato si ispirava a quello esistente a

Brest in Bretagna e metteva Taranto all’avanguardia di tali realizzazioni. Lungo 89 metri con una larghezza

di poco meno di 7 metri, il ponte aveva, dal livello dell’acqua, un’altezza di circa 12 metri. Diviso in due parti

con funzionamento indipendente, i due semiponti ruotavano su di un proprio perno. L’energia necessaria al

funzionamento veniva fornita da una turbina idraulica situata sotto ciascuno dei piloni; le due turbine erano

alimentate da 600 metri cubi d’acqua contenuti in un caratteristico serbatoio posto sul torrione “San

Lorenzo” del castello aragonese.

La costruzione del ponte incominciò alla fine del 1884 ma, a causa del colera che durò circa due anni e che

mise in ginocchio la città, i lavori furono rallentati. Più tardi, superate le difficoltà, i singoli pezzi giunsero a

Taranto e furono messi a posto da tecnici e operai specializzati. Poi furono eseguite le prove del movimento

di rotazione, di sollevamento, di incastro e di relativi collaudi con il controllo del generale del Genio di

Napoli. Così il 22 maggio 1887, il ponte venne benedetto dall’arcivescovo di Taranto monsignor Pietro Jorio.

Erano presenti l’ammiraglio Acton, il prosindaco di Taranto Vincenzo Sebastio, il parlamentare Pietro

D’Ayala Valva, il senatore Cataldo Nitti, le autorità giudiziarie, politiche, militari, i rappresentanti delle

società popolari ed una folla di cittadini plaudenti.

Oggi le rare e rapide aperture non provocano alcuno risentimento che qualche volta diventava aperta

protesta. Sino alla vigilia della guerra, il ponte, il caro e vecchio ponte di ferro e legno che alla sua

ispirazione commosse i tarantini anziani, era la croce e la delizia di tutti. La Marina, che ne era

responsabile, agiva in funzione degli interessi e dei compiti militari senza tener in considerazione i bisogni

dei cittadini, ma a parte questo l’apertura del ponte costituiva uno spettacolo attraente. Normalmente esso

si apriva due o anche tre volte al giorno: la mattina, il pomeriggio, la sera; vi erano anche le aperture

straordinarie, senza preavviso, per cui si restava tagliati nell’una o nell’altra parte della città, spesso per

lunghissime ore. Per far fronte a questo problema c’era il servizio di traghetto, rappresentato da tre o

quattro barche per parte con le quali i pescatori passavano da una riva all’altra dietro compenso di quattro

soldi. Ma anche con la barca bisognava attraversare in momenti ben calcolati per non trovarsi sulla rotta

della nave in entrata o in uscita. Il Comando in Capo era rigidissimo e ritirava il permesso a quel

traghettatore che non rispettava le disposizioni. Quando il mare era grosso oppure quando si era presi nella

scia di una nave si “ballava”, ma pur di passare si correvano certi rischi. Non era nemmeno tanto

3

infrequente qualche bagno specie quando dalla banchina bisognava saltare nella barca: il dislivello era

notevole, la barca ondeggiava ed il saltello non sempre riusciva, specie quando la barca era già piena. Dallo

scoppio della guerra il ponte rimase sempre aperto per cui essendosi di conseguenza intensificati i servizi di

traghetto furono costruite delle pedane a mo’ di scalini che scendevano verso il pelo dell’acqua e rendevano

agevole l’imbarco e lo sbarco.

Fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando il ponte si doveva aprire, sul Castello apparivano i

segnali necessari per indicare se c’era l’entrata e l’uscita di una nave. Se l’apertura avveniva di notte i

segnali erano luminosi. Di giorno, molto prima che giungesse l’orario stabilito, i marinai cominciavano ad

avvicinarsi da ambo gli estremi del ponte ai due grossi portelloni di ferro che, al segnale dato dal Castello,

venivano chiusi. Dalla parte della Città vecchia salivano due addetti alla manovra e si dirigevano verso il

centro del ponte deserto dove, una volta giunti, uno dei due issava una bandiera rossa, che portava

arrotolata intorno all’asta sotto il braccio. Ovviamente la bandiera restava issata all’esterno della ringhiera

sino al momento in cui si ripristinava il traffico. L’altro operaio, con una specie di sterzo di automobile con il

gambo molto più lungo, sollevava una piastrina incernierata e infilava il gambo nel foro, poi azionava la

ruota in senso antiorario e qualcosa si sganciava. Il ponte, col suo caratteristico rumore, compiva la sua

prima operazione: si abbassava dagli estremi verso la terra ferma e si innalzava dalla parte centrale. I due

addetti alla manovra tornavano indietro e quando l’estremo del ponte, compiendo un quarto di giro,

sfiorava la scaletta del pilone, abbandonavano il posto per riprenderlo una volta che il ponte si chiudeva.

Intanto alla base dei due piloni una massa d’acqua ribolliva spumeggiante perché, a quell’epoca, tutte le

operazioni si compivano per forza idraulica, per questo motivo su un torrione del Castello c’era un immenso

serbatoio d’acqua, indispensabile per la manovra, demolito quando tutto l’apparato motore divenne

elettrico. 4

Oggi non c’è più lo spettacolo dell’apertura del ponte. E’ divenuto un puro fatto meccanico da sbrigarsi nel

più breve tempo possibile tra l’impazienza o il disinteresse di tutti, o quasi.

Può sembrare sciocco questa specie di rimpianto, che trova la sua giustificazione nel nostro inguaribile

sentimentalismo che, se irritava buona parte dei tarantini, costituiva per molti uno spettacolo raro. Famiglie

intere venivano nella nostra città per fare acquisti nei grandi magazzini e non rinunciavano allo spettacolo

offerto dal ponte e soprattutto dalle navi che transitavano nel canale. A parte l’interesse per le fasi di

apertura e di chiusura ed il fascino esercitato dal passaggio delle belle e potenti navi, lo spettacolo veniva

integrato dai ragazzi ammassati dietro i portelloni. Appena l’addetto alla manovra abbassava la bandiera a

significare che tutte le operazioni erano compiute, i marinai dei due lati si affrettavano ad aprire i portelloni.

Bastava appena uno spiraglio e già i più smilzi e più veloci si infilavano e correvano al grido di “Savoia” alla

conquista del centro del ponte in fiero antagonismo con quelli del versante opposto. Chi giungeva primo,

solitamente qualche ragazzino di Taranto vecchia, faceva un salto di gioia; avveniva anche, nell’impeto della

corsa qualche piccolo scontro con relative ammaccature. Dopo i veloci ragazzini sfilavano le schiere delle

biciclette rigorosamente in ordine che dovevano essere condotte a mano dal velocipedista appiedato.

Seguivano le carrozze abbastanza numerose, in fila indiana interrotte da qualche carro delle agenzie per il

trasporto delle merci; per tutti i quadrupedi era vietato il trotto e il galoppo per evitare vibrazioni pericolose

per il ponte. Le automobili erano rare e non creavano problemi; i pedoni dovevano rigorosamente tenere la

destra e camminare sullo stretto marciapiedi sfiorando la ringhiera e badando dove mettevano i piedi sul

piano di legno continuamente rifatto. Nello stesso periodo si procedette alla realizzazione del corso che si

chiamerà “ai Due Mari”, con la sistemazione della ringhiera ancora esistente che si fregia tra una colonnina

e l’altra di sostegno di una stella a cinque punte e del nodo di Savoia.

Dopo settant’anni di vita gloriosa densi di avvenimenti, quel ponte, costruito per un traffico a cavalli, era

stato invece percorso da automobili, camion, carri armati, cannoni in ritmo a volte frenetico. Stanco e

logorato il vecchio ponte dovette arrendersi e cedere il posto ad un altro, costruito nei cantieri navali di

Taranto e di Savigliano ed inaugurato il 10 maggio 1958 alla presenza del capo dello stato Giovanni Gronchi

e benedetto dall’arcivescovo Guglielmo Motolese, il nuovo ponte fu dedicato a San Francesco di Paola. La

sparizione del vecchio ponte in ferro e legno commosse i tarantini anziani ed ispirò accorate poesie in lingua

ed in dialetto. 5

ITALIANO

GABRIELE D’ANNUNZIO: “LA CANZONE DEI DARDANELLI”

6

Uno dei maggiori poeti italiani che ha decantato la grandezza della città di Taranto, in particolare del ponte

girevole, è Gabriele D’Annunzio.

La canzone dei Dardanelli

Taranto, sol per àncore ed ormeggi

assicurar nel ben difeso specchio,

di tanta fresca porpora rosseggi?

A che, fra san Cataldo e il tuo più vecchio

muro che sa Bisanzio ed Aragona,

che sa Svezia ed Angiò, tendi l’orecchio?

Non balena sul Mar Grande né tuona.

Ma sul ferrato cardine il tuo Ponte

gira e del ferro il tuo Canal rintrona.

Passan così le belle navi pronte

per entrar nella darsena sicura,

volta la poppa al jonico orizzonte.

La notizia che la flotta italiana, invece di forzare i Dardanelli, per colpire al cuore gli austriaci, era agli

ormeggi nel ben munito porto di Taranto, indusse D'Annunzio a comporre questo testo poetico.

L’intonazione iniziale della canzone è di impetuosa e sdegnosa ironia contro la troppa e non necessaria

prudenza . Il poeta domanda: ”Soltanto per tenere al sicuro le navi ancorate ed ormeggiate nel Mar Piccolo

rosseggi di tanta fresca porpora?”. Le navi da guerra infatti, quando erano ancorate, issavano le bandiere

rosse, e quel colore era frutto di un elemento che rendeva celebre la città nel passato, che si ricavava da due

specie di murici, da una delle quali si estraeva un succo di colore turchino, dall'altra rosso chiaro. Dalla loro

mescolanza nasceva una varietà di colori tutti pregiati; il più richiesto per la tinteggiatura dei tessuti più

costosi era quello di colore viola.

Prosegue, nella seconda strofa, ponendo un’ altra domanda: “Non tendi più l’orecchio alla grandezza

passata?”. Il poeta si riferisce al Duomo di San Cataldo ed al Castello Aragonese, altri due simboli

importantissimi per la città tarantina. La “Rocca” fu costruita per la prima volta nel 916, quando i Bizantini

dovettero proteggersi dagli attacchi dei Saraceni, e ricostruita nel 1480 per ordine di Ferdinando d’Aragona

per apprestare una difesa contro i Turchi, i quali dopo aver preso Otranto, minacciavano di conquistare

tutto il territorio salentino. Così il poeta si domanda se la città tenda ancora l’orecchio verso il Mar Grande,

se giunga un tuono o baleno di battaglia: la risposta è no, perché la flotta è tutta al sicuro del Mar Piccolo.

Dettagli
Publisher
35 pagine
1 download