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Sintesi

Introduzione Parola tesina



Questa tesina di maturità descrive il tema della parola.
La parola ( dal greco parabolé, attraverso il latino paràbola, poi alterato in paràula nel volgare) è l’espressione scritta o orale di un’informazione o di un concetto. Essa è uno dei più grandi doni fatti all’uomo, non a caso è
una facoltà tipicamente e per ora unicamente umana, in quanto gli permette di incarnare il suo pensiero. La
parola è l’elemento basilare della comunicazione, è l’unità minima della trasmissione dei concetti. Essa è uno
strumento di trasmissione, di informazioni o idee attraverso il riferimento a convenzioni “pattuite”, in base alle
quali certe sequenze di suoni o di segni si riferiscono a un significato noto sia all’emittente che al destinatario.
Pertanto, per realizzare un singolo atto comunicativo si possono distinguere diversi elementi, quali:
·Emittente: è la persona che avvia la comunicazione attraverso un messaggio.
·Ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende.
·Codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegato per "formare" il messaggio.
·Canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici).
·Contesto: l'"ambiente" significativo all'interno del quale si situa l'atto comunicativo.
·Referente: l'oggetto della comunicazione, a cui si riferisce il messaggio.
·Messaggio: è ciò che si comunica e il modo in cui lo si fa.
All’interno del processo di comunicazione e del linguaggio bisogna ,però, tener conto dell’uso che si fa della
parola e del contesto nel quale è utilizzata. La parola, infatti, può assumere diversi significati, con essa si
possono dare ordini, esprimere desideri o intenzioni, persuadere, pregare o interpretare la realtà. La stessa
parola può servire a differenti funzioni e può avere effetti diversi sul ricevente della comunicazione. Molti,
purtroppo , sottovalutano l’importanza e l’uso della parola. Quest’ultima se viene usata in modo errato può
arrecare dei danni. Errare vuol dire accendere o spegnere i desideri, spingere o trattenere l’emozione, caricare
o deprimere, stimolare o deprimere l’intelletto, rafforzare o indebolire la volontà. Effettivamente le parole
sono più importanti di quello che pensiamo. Le parole evocano immagini, proiettano scenari, attivano i nostri
neuroni specchio. Il linguaggio parlato delle persone è pieno di concetti falsi, di classificazioni false, di
associazioni false. Inoltre e soprattutto, le caratteristiche essenziali del pensare ordinario, la sua vacuità e la
sua imprecisione fanno sì che ogni parola possa avere migliaia di significati differenti secondo il bagaglio di
cui dispone colui che parla e l’insieme di associazioni in gioco in quel contesto. Sembra paradossale, ma una
delle grandi illusioni sociali è pensare di dire le stesse cose. Se io scrivo “le macchine sono belle”, probabilmente
quasi ognuno dei lettori di questa frase ha immaginato una macchina diversa. E magari a molti quella
macchina non piace. Ad altri sì. Se metto nello stesso gruppo quelli che hanno pensato che le macchine sono
belle, li ho classificati, senza tener conto che ognuno di loro immagina una macchina differente. Questo era un
esempio banale per mettere in evidenza come la parola cambia da soggetto a soggetto. La parola è una lama a
doppio taglio, è l’obiettivo da colpire e il fine da perseguire per influenzare forma e il contenuto del discorso.
La parola e le sue sfumature. La tesina permette anche dei collegamenti con le altre materie scolastiche.

Collegamenti


Parola tesina



Italiano- L'ermetismo-Giuseppe Ungaretti.
Latino- Quintiliano e Institutio Oratoria.
Storia- La parola nazista e la parola fascista.
Filosofia- Heidegger e il Nazismo.
Inglese- Ezra Pound e il Fascismo.
Storia dell'Arte- Surrealismo- René Magritte-L'uso della parola
Geografia Astronomica- Il caso di Stephen William Hawking
Fisica- Il suono
Matematica- La funzione seno
Estratto del documento

Se si riesce ad abbracciare il significato più profondo, e nuovo delle parole di Ungaretti, l’uomo si potrebbe

Giuseppe Ungaretti illuminare!

Il poeta dichiara la sua improvvisa illuminazione, il momento di intuizione che lo mette in contatto con l’asso-

luto, eliminando ogni riferimento storico e autobiografico, limitandosi a capire il significato dell’avvenimento.

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888 da genitori lucchesi. Trascorre l’infanzia e l’adole- Così partecipa e vive la sua vita in maniera completa e totale, con sensazioni di benessere e felicità, quasi pa-

scenza in Egitto dove i genitori erano emigrati al tempo dei lavori del canale di Suez. radisiache.

Trasferitosi nel 1912 a Parigi per studiare alla Sorbona, viene a contatto con l’ambiente del simbolismo francese Il titolo Mattina indica il momento in cui c’è questa improvvisa illuminazione, come se fosse una comunicazio-

che influisce sulla sua formazione letteraria. Tornato in Italia, prende parte come volontario alla Prima guerra ne tra lui e l’infinito. «M’illumino/ d’immenso», solo quattro parole per esprimere un concetto di una bellezza

mondiale e combatte come soldato di fanteria sul Carso, esperienza che lo segna come uomo e come poeta. Nel abbagliante.

1919 aderì al fascismo considerandolo rigenerativo e necessario. Dopo essersi stabilito a Roma e aver superato Ciò che per Ungaretti illuminava maggiormente d’immenso, era lo splendore del sole che accendeva il cielo di

una crisi religiosa, che si risolve con un avvicinamento alla fede, si reca nel 1936 in Brasile per insegnare lette- primo mattino. La sensazione di luminosità era tale da provocare nell’animo del poeta il sentimento della va-

ratura italiana all’Università di San Paolo, dove la sua vita viene sconvolta dalla morte di Antonello, il figlio di stità. Egli ha voluto così esprimere con pochissime parole la gioia di immergersi nella bellezza del creato dopo

nove anni. Ritornato in Italia nel 1942, assiste alla devastazione della Seconda guerra mondiale e insegna per il frangente doloroso della guerra, quando tornò dal fronte con i suoi amici martoriati.

molti anni all’Università di Roma dedicandosi alla prosa e alla traduzione di poeti stranieri. Morì a Milano nel Tutto il pensiero di un uomo e la forza di un’esperienza distruttiva, del suo rivolgimento e della catarsi; l’im-

1970 all’età di ottantadue anni. petuosità del superamento della condizione stessa dell’essere umano, vengono espressi da due brevissimi versi

composti da quattro parole. Ecco che il poeta ci dimostra ancora una volta il valore delle parole.

Tra le sue raccolte di versi ricordiamo: Il porto sepolto (1916), Allegria di naufragi (1919), Sentimento del

tempo (1933), Il dolore (1947).

Considerato esponente dell’Ermetismo, Ungaretti, come d’altronde i Simbolisti, ritiene che la parola sia in gra-

do di evocare un universo ultramondano e che per questo abbia la capacità di creare e interpretare una realtà

diversa da quella contingente.

L’uomo che si sente veramente tale nel coraggio di affrontare la struggente realtà, spogliato di ogni conven-

zione, educazione e false credenze, può esprimersi solo con una poesia pura, svuotata di ogni peso letterario,

storico e sociale: può utilizzare la parola spogliandola di ogni significato, esaltandola nella sua essenza.

L’ideale di una parola che abbia valore in sé, per la sua liricità. Per raggiungere tale risultato il poeta apporta

alcune innovazioni iconografiche:

-scandisce le pause;

-cambia e modifica il verso;

-colloca la parola negli spazi bianchi;

-utilizza il titolo come parte indispensabile ed integrante della lirica.

Una delle poesie più interpretative, comunicative e brevi di Ungaretti è senz’altro Mattina:

M’illumino

d’immenso

La luce del mattino, dopo la notte, restituisce all’uomo l’immensità del creato, che lo pervade e lo riempie di

gioia.

Con questa poesia Ungaretti ha voluto esprimere tutto l’entusiasmo del nuovo giorno, la sua gioia nel vedere

il mondo al mattino. Ciò che produce la sensazione di magia non può essere spiegato, altrimenti perderebbe

il suo fascino e secondo molti critici letterari questa poesia è più vera e piena di significati rispetto ad alcuni

romanzi.

Bisogna tenere conto del fatto che, a quanto pare, l’ispirazione per questa poesia Ungaretti l’ebbe durante il

servizio militare. Un mattino scorse dalla sua postazione, nei pressi di Trieste, in montagna, il sole riflesso nel

mare Adriatico e lesse la luce rispecchiata come un annuncio di speranza e volse il pensiero dalle brutture della

guerra alle bellezze del creato.

Il poeta si alza di mattina, intuisce il valore del sole e l’ampiezza dei raggi solari, si illumina quasi al pensiero

della liberazione umana e reale dalla realtà stessa.

Questa sua esperienza ci fa riflettere, e comprendere che la condizione in cui viviamo, in un certo senso, non

è affatto sincera. 5 6 Latino- La parola come elemento distintivo.

8

parlare.

La parola come elemento distintivo: Quintiliano è uno degli autori latini più importanti e conosciuti. Possiamo individuare l’attualità del suo

pensiero in tre aspetti. Innanzitutto, la necessità, per chi svolge un ruolo nella vita dello stato, di unire com-

Dicendi facultas petenza e rettitudine morale, ciò che oggi si definisce spirito di servizio. Quindi, l’aver anticipato molti spunti

della rivoluzione pedagogica, in particolare l’idea di un insegnamento che si misuri continuamente con il di-

scepolo e ne valorizzi le qualità naturali, ricorrendo il meno possibilealla costrizione. Infine, la neo-retorica,

emersa negli anni Sessanta del secolo scorso, ha valorizzato la formulazione quintilianea delle figure retoriche

e l’importanza della loro funzione nel processo comunicativo.

“Deus ille parens rerum fabricatorque mundi nullo magis nomine separavit a ceteris animali bus quam

dicendi facultate […]” Institutio Oratoria

II 16,12-13

Con questi versi dell’Institutio Oratoria (90-96 d.C.) Marco Fabio Quintiliano si preoccupa di mostrare gli

aspetti tecnici dell’arte della parola che considera un dono sovrumano fatto dalla natura all’uomo.

Quintiliano nacque in Spagna nel 35 d.C. In gioventù visse a Roma per studiare retorica, per poi fare ritorno

ancora nella sua terra d’origine.

Nel 68 d.C. ritornò a Roma per volere di Galba, quel senatore destinato a succedere Nerone, che era stato gover-

natore in Spagna. Il ritorno nella capitale romana gli portò tanta fortuna tanto che fu incaricato da Vespasiano

di organizzare una scuola di retorica sovvenzionata dallo stato.

Insegnò per una ventina di anni ed ebbe come suoi allievi Plinio il Giovane e forse anche Tacito. Raggiunse

l’apice del successo sotto Domiziano che gli affidò l’educazione dei suoi nipoti e gli conferì la dignità consolare.

Nel 90 d.C. si ritirò dall’insegnamento e si dedicò fino alla sua morte, avvenuta nel 96 d.C., alla stesura della sua

monumentale Institutio Oratoria.

La sua opera maggiore, di dodici libri,è un vasto trattato che ha per scopo la formazione dell’oratore e dell’uo-

mo di cultura, a partire dalla culla fino al raggiungimento di livelli altissimi. Il poeta affronta una serie di argo-

menti che vanno dal comportamento del docente alla figura dell’oratore.

Il tema della retorica non ci è nuovo. Come Quintiliano anche Cicerone in passato affrontò la questione del

saper parlare. Tra i due però, sono presenti delle differenze dovute soprattutto al periodo storico diverso in cui

i due grandi autori hanno vissuto.

La formula vir bonus dicendi peritus di Catone, fatta propria da Cicerone, diventa con Quintiliano vere civilis

vir. Le due formule evidenziano le diverse concezioni dell’oratore da parte dei due autori.

Secondo Cicerone, l’oratore doveva essere un uomo retto, esperto dell’arte del dire. Secondo Quintiliano, l’ora-

tore oltre a essere un uomo retto ed esperto, doveva anche essere un uomo integrato nella comunità e utile alla

stessa. Quintiliano a differenza di Cicerone è meno interessato alla filosofia e si cura dell’apporto della lettera-

tura alla formazione dell’oratore che insegna a riprodurre per imitazione i grandi modelli stilistici del passato.

La parte più corposa dell’opera è, appunto, la formazione dell’oratore. Quintiliano individua cinque sezioni

fondamentali della retorica: inventio, dispotitio, elocutio, memoria, actio. Un buon oratore doveva inoltre

possedere tre finalità, ossia: docere, movere e delectare.

Il concetto principale è la dicendi facultas, elemento in base al quale l’uomo determina la sua superiorità sugli

animali. Già dall’antichità, Quintiliano aveva appreso l’importanza della parola, di come questa manifesti il

pensiero e l’idea dell’uomo. Già al suo tempo aveva capito che per rendere onore alla parola (ricordiamo unica

facoltà destinata all’uomo) era necessario saperla usare.

Proprio da questa convinzione, l’autore latino sviluppa e amplifica il tema della retorica, ossia l’arte del saper

9 10 Storia La parola del potere

-

12

Sappiamo che esiste una lingua del potere, sostanzialmente divulgazione della politica. E’ una lingua che ha la ca- zione di distacco critico e sottrarsi all’influenza del suo carisma: dopo i suoi discorsi l’uomo si era trasformato

pacità di propagarsi in tutti gli ambiti della vita sociale per addormentare gli intelletti e la coscienza, rendendo le in un simbolo, e gli italiani non potevano che subirne il fascino. Il prodotto della retorica di Mussolini è quindi

masse indifferenti alle ingiustizie, alle ineguaglianze, alle prevaricazioni dei più deboli. Per comprendere il feno- uno splendido concentrato di illusioni in cui la parola si piega al volere del dittatore, creando una realtà trasfi-

meno del nazionalsocialismo bisogna soffermarsi sullo studio del linguaggio. Si possono individuare tre sequenze : gurata in cui milioni di italiani smarriti e disorientati si rifugiavano.

Sia Hitler che Mussolini si sono approfittati dei loro cittadini martoriati la cui unica colpa era stata quella di

·il linguaggio della propaganda: come si costruisce e si diffonde il mito del Volk e del Reich, l’orgoglio naziona- credere in due abili oratori che avevano fatto leva sulle loro debolezze. È chiaramente questo, un uso sbagliato

le, il mito della razza, la denigrazione dei nemici. della parola che mette in evidenza la pericolosità stessa della parola che può avere effetti devastanti sulla folla.

·Il linguaggio ufficiale delle SS e delle élites del regime: l’eufemismo, il linguaggio in codice per ma-

scherare il crimine, utilizzando testi di documenti originali, come telegrammi, telex, rapporti, discorsi.

·La lagersprache: la lingua dei campi, il vocabolario dei carnefici e quello delle vittime, con l’utilizzo delle

testimonianze scritte dei sopravvissuti.

Questo linguaggio fu adottato da due uomini che con la loro prepotenza e avidità seminarono terrore e vittime

nel Novecento. Le due figure prese in esame sono quelle di Adolf Hitler e Benito Mussolini. Entrambi pren-

dono il potere e il loro desiderio è quello di arricchire la loro nazione, rispettivamente la Germania e l’Italia .

Per fare tutto ciò hanno bisogno di un esercito e l’esercito altro non è che il popolo. Quest’ultimo si costruisce

con i simboli. È necessario trovare dei simboli forti per unire tutti gli uomini, è necessario usare la parola.

“ Di punto in bianco mi fu offerta l’opportunità di parlare di fronte a un pubblico più grande. E allora ebbi la cer-

tezza di ciò che avevo sempre presentito dentro di me, senza ancora capirlo: sapevo parlare.” Adolf Hitler

Per quanto riguarda il Nazismo, Hitler attua una politica molto pregnante. Siccome in Germania parlavano una

sola lingua a causa della riforma protestante, il Führer batte sulla creazione di un nemico, in particolare vedeva

come nemico assoluto il popolo ebreo. Riusciva ad inculcare nelle menti dei tedeschi tutti i suoi pensieri grazie

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