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Sintesi

Sintesi Samurai, paladini del Sole tesina



La tesina maturità ragioneria descrive e spiega il mito dei Samurai giapponesi. I Samurai sono forse l’emblema più rappresentativo della cultura nipponica e dei profondi ideali che si celano dietro la vita del Sol Levante: infatti questi incarnano nella loro essenza il Bushido, vale a dire “la via del guerriero”. A differenza di quanto si potrebbe pensare, tuttavia, la via del guerriero non era un semplice insieme di precetti militari e comportamentali, ma una vera e propria scuola di pensiero all’interno della quale ogni Bushi (guerriero) doveva riconoscersi.
Il termine Samurai (che fa riferimento ai guerrieri al servizio dei signori feudali giapponesi, chiamati Daimyo) deriva dal verbo giapponese “Samuraru”, che significa letteralmente “servire”: già dall’etimologia della parola risulta palese che la loro fondamentale regola fosse quella di prestare assoluta ed incondizionata fedeltà al signore feudale che servivano. La seguente tesina permette anche dei collegamenti interdisciplinari con altre materie scolastiche.

Collegamenti


Samurai, paladini del Sole tesina



Storia - Introduzione ai samurai, ai loro ideali e al ruolo che ricoprivano.
Italiano - L'Haiku e Matsuo Basho.
Geografia Economica - I riflessi del Bushido sul sistema economico giapponese.
Inglese - Katana, the Japanese Sword.
Estratto del documento

I Paladini del Sole: il mito dei Samurai

I Samurai sono forse l’emblema più rappresentativo della cultura nipponica e dei

profondi ideali che si celano dietro la vita del Sol Levante: infatti questi incarnano nella

loro essenza il Bushido, vale a dire “la via del guerriero”. A differenza di quanto si

potrebbe pensare, tuttavia, la via del guerriero non era un semplice insieme di precetti

militari e comportamentali, ma una vera e propria scuola di pensiero all’interno della

quale ogni Bushi (guerriero) doveva riconoscersi.

Il termine Samurai (che fa riferimento ai guerrieri al servizio dei signori feudali

giapponesi, chiamati Daimyo) deriva dal verbo giapponese “Samuraru”, che significa

letteralmente “servire”: già dall’etimologia della parola risulta palese che la loro

fondamentale regola fosse quella di prestare assoluta ed incondizionata fedeltà al

signore feudale che servivano.

I Samurai videro il loro massimo culmine di splendore nel periodo Edo, chiamato

anche periodo Tokugawa (per via della casata imperiale in carica al momento), che va

dal 1603 al 1868, data in cui è nato il Giappone Moderno con l’abbandono del

feudalesimo e quindi con l’eliminazione della casta dei guerrieri.

I precetti etici, morali e comportamentali che animavano questi uomini sono raccolti

nell’opera “Hagakure”, che significa “Nascosto tra le foglie”: il libro, infatti, è stato

scritto dal discepolo del più grande teorico del Bushido, Yamamoto Tsunetomo, il

quale però aveva esplicitamente vietato ai suoi allievi di diffondere in via cartacea i

suoi insegnamenti. Disubbidendo a tale divieto, il discepolo prediletto del maestro ha

diffuso un testo contenente la maggior parte dei precetti proclamati dal principale

fondatore del Bushido.

L’anima dell’Hagakure: la morte

Tutto l’Hagakure è intriso di un concetto fondamentale: il samurai deve essere pronto

alla morte per il proprio signore in qualunque momento.

Passi dell’Hagakure recitano infatti:

“ Ho scoperto che la Via del Samurai consiste nella morte. […]

Se si dovessero profilare due alternative, cioè la vita o la morte, ci sarebbe soltanto da

scegliere una morte rapida.[…]

Morire per il sovrano è il valore supremo, più importante di qualsiasi vittoria sul

nemico. […]”

La vita del samurai dunque non è fine a sé stessa, ma acquisisce uno scopo nel

momento in cui viene sacrificata per la salvezza del signore a cui il Samurai deve

fedeltà. Questo concetto spiega perfettamente perché questi guerrieri realizzavano il

rito del “Seppuku” (cioè lo sventramento con la propria lama) piuttosto che essere

catturati dai nemici: morire per mano di avversari era infatti disonorevole, mentre

morire per evitare che i nemici, tramite la tortura, potessero estorcere informazioni sul

Daimyo risultava onorevole, in quanto la vita del Samurai era stata “spesa per la

salvezza del signore”.

Le tre virtù dei Samurai

Nell’Hagakure si sottolinea come, oltre alla fedeltà (considerata come il valore etico

assoluto del Samurai), il guerriero dovesse inoltre coltivare tre fondamentali virtù: la

benevolenza, la sapienza ed il coraggio.

Secondo Tsunetomo, “la benevolenza consiste nell’aiutare gli altri”, ed ha quindi un

significato analogo a quello che noi attribuiamo attualmente a tale termine. Tuttavia,

totalmente opposta è la chiave di lettura con cui deve essere intesa la “sapienza”.

Secondo la via del guerriero, infatti, questa consisteva nella capacità di ascoltare gli

altri: essere sapienti non significa essere colti e dunque la sapienza non si identifica

con la cultura.

Se dunque la sapienza non deve essere associata all’intelletto, questa può essere

assimilata a ciò che nel mondo Occidentale chiamiamo saggezza, cioè la capacità di

decidere “nel modo giusto al momento giusto”.

Infine, il coraggio rappresenta la capacità del samurai di affrontare le difficoltà

senza paura, in quanto queste consentono al guerriero di temprare il carattere. Si

segue infatti un rinomato proverbio giapponese

“Quando l’acqua è alta, anche la barca sale”.

L’ideogramma giapponese del coraggio “Yu”, significa anche “audacia” e

“generosità”: il coraggio è infatti anche il generoso sacrificio di sé per il proprio

Signore e per la giustizia: Confucio infatti definisce la mancanza di coraggio come “lo

stato in cui si sa esattamente ciò che sarebbe giusto compiere, ma non lo si compie”.

Il coraggio deve essere applicato anche in periodo di pace tramite uno stile di vita

austero e la pietà verso i più deboli: il coraggio è quindi collegato alla risolutezza

nell’agire e all’imperturbabilità dell’animo.

In definitiva, i samurai erano guerrieri che, oltre all’aspetto bellico, curavano

attentamente la propria spiritualità e facevano riflettere la “Via della Spada” nella

quotidianità di tutti i giorni, anche in periodi di Pace. La perseveranza e la risolutezza

di questi uomini condizionò il Giappone a tal punto che ancora oggi si vedono le ombre

di questi precetti che una volta, con tanto ardore, venivano considerati come l’anima

stessa dei samurai e del popolo giapponese.

Nel periodo Edo vede i suoi albori anche il genere letterario associato per eccellenza al

Giappone: l’haiku.

Il genere: l’haiku

L’haiku, forse considerato il genere letterario più rappresentativo della cultura

giapponese, fonda le sue radici in un genere letterario chiamato Waka esistente

nell’ottavo secolo dopo Cristo.

Lo Waka era una poesia di 31 sillabe articolata in 5 versi, seguendo la struttura

sillabica 5

7

Chōk 5

7 Tank

7

I primi tre versi (formati rispettivamente da 5, 7 e 5 sillabe) prendevano il nome di

“ku lungo”),

Chōku (letteralmente, mentre gli ultimi due (entrambi di 7 sillabe)

(“ku breve”).

venivano chiamati Tanku

Sappiamo che intorno all’VIII secolo D.C. i poeti nipponici avevano ideato un gioco

letterario che prendeva il nome di Renga: due o più poeti si sfidavano scrivendo (in

maniera alternata) Chōku e Tanku. Il primo poeta scriveva un Chōku, a cui il secondo

rispondeva con un Tanku, e un eventuale terzo avrebbe dovuto replicare scrivendo un

nuovo Chōku, e così via. Ogni ku doveva obbligatoriamente riprendere elementi dal ku

precedente.

Nel XIV secolo, il genere renga iniziò ad essere chiamato Haikai no Renga, visto che

si era diramato in due ulteriori sottogeneri letterari:

1. Renga (propriamente detto): se l’argomento di questo gioco letterario era

aulico

2. Haikai: se l’argomento di questo gioco letterario risultava essere comico.

Matsuo Bashō (uno dei massimi esponenti della letteratura giapponese) iniziò ad

interessarsi dell’Haikai ed in seguito fondò la sua scuola poetica, basata sull’haikai, ma

con particolare attenzione al primo “ku” (di 5 7 5 sillabe), chiamato Hokku, che

talvolta veniva letto da solo, proprio come se fosse una poesia a se stante.

Tuttavia, nel periodo Meiji l’autore Masaoka Shiki (1867-1902) nel realizzare una

profonda riforma nella letteratura giapponese cambiò il nome a questo genere

letterario da Hokku ad Haiku.

L’Haiku è dunque una poesia articolata in tre versi rispettivamente di 5, 7 e 5 sillabe

all’interno della quale deve essere presente un kigo, cioè una parola specifica che fa

riferimento ad una stagione dell’anno.

L’autore: Matsuo Bashō

Matsuo Bashō (nome d’arte di Matsuo Munefusa) nacque a Iga Ueno nel 1644 all’inizio

del Periodo Edo.

Il poeta venne colpito da un lutto in giovane età: quando aveva soli 13 anni (1657)

morì suo padre, il samurai Yozaemon Munefusa.

Pochi anni dopo, Bashō entrò in servizio come cuoco e sguattero per un giovane nobile

con cui condivise la passione per la letteratura. Nel 1666, alla sua morte, il poeta iniziò

a dedicarsi a studi approfonditi.

Nel 1674 si trasferì ad Edo e divenne famoso per la sua produzione di haikai

particolarmente brillanti e comici.

Nel 1680 si trasferì in un quartiere periferico della città, chiamato Fukagawa,

totalmente immerso nella natura. Qui condusse volutamente una vita semplice e

povera.

Nel 1681 un suo allievo gli regalò una pianta facente parte della famiglia delle

musacee (di cui fa parte anche il banano): il poeta, piacevolmente sorpreso del

regalo, la piantò nel suo giardino e questa crebbe rigogliosa. Per questa ragione, la sua

casa venne chiamata Bashō-an (letteralmente “casa di Bashō”) in quanto “Basho” in

giapponese significa musacea. Il poeta decise quindi di utilizzare questo nome d’arte.

Nel 1682 un grave incendio distrusse la sua casa e venne quindi ospitato presso

l’abitazione di un suo allievo.

Grazie al contributo economico degli allievi, l’anno dopo la sua casa fu interamente

ricostruita, ma l’amore per il viaggio si era ormai insinuato nel cuore del poeta che,

proprio per questo, viene chiamato “poeta viaggiatore”.

Dal 1684 il poeta iniziò una serie di viaggi che gli fecero esplorare buona parte

dell’arcipelago giapponese e grazie ai quali trovò l’ispirazione per scrivere le sue

principali opere.

(1689) Oku no hosomichi (Lo stretto sentiero per Oku)

Quest’ultima opera rappresenta l’apice di maturazione spirituale e poetica di Bashō, le

cui produzioni letterarie erano sintetiche prose e brevi poesie (Hokku) riguardanti

sensazioni ed impressioni dei luoghi visitati. La natura e le difficoltà incontrate nei

viaggi sono quindi per Bashō fonti di ispirazione per le sue opere, caratterizzate dal

frequente utilizzo di riferimenti storici (chiamati Omokage) e dall’impiego di parole di

uso comune rivelanti le emozioni scoperte nelle gioie della vita quotidiana.

L’ultima grande difficoltà incontrata dal poeta, è la morte sopravvenuta per malattia

nel 1694 ad Ōsaka.

Quattro giorni prima di morire dettò il suo ultimo haiku ad un allievo.

“Ammalatomi in viaggio

il mio sogno corre ancora

qua e là nei campi spogli.”

Le opere: Hokku di stagione

Estate Natsu no Tsuki (Luna d’estate, 1688)

蛸壺や /Takotsubo ya /Un polpo in un vaso in

fondo al mare:

はかなき夢を hakanaki yume wo il sogno è

effimero

夏の月 natsu no tsuki/ sotto la luna

d’estate./

Il takotsubo (tako= polpo, tsubo= cestino) era una trappola utilizzata dai

pescatori giapponesi per pescare i calamari realizzata con un vaso sul fondo del

quale era posta un’esca. Il polpo vedendo l’esca sarebbe entrato nel vaso e,

con i suoi movimenti, avrebbe azionato un meccanismo di chiusura del vaso

stesso.

La luna estiva è il kigo (riferimento stagionale) dell’haiku e funge da scenario

per ciò che viene descritto dall’haiku stesso. Il “sogno effimero” è la speranza

(infondata) del polpo di tornare in libertà: il mattino seguente, infatti, il

takotsubo verrà ripescato dai pescatori giapponesi.

Troviamo in questa poesia una delle tematiche più care a Basho, cioè le azioni

quotidiane che caratterizzano la vita di tutti i giorni (in questo caso, la vita dei

pescatori).

L’influenza del Bushido nell’economia Giapponese

Il Bushido, letteralmente “la via della spada”, rappresentava il codice di etica morale

dei Samurai che, nel corso della storia, si è rivelato incisivo nella costituzione della

società del Giappone moderno.

Il confucianesimo era inteso in Giappone come un sistema etico più che come una

bushido)

religione, e insegnava direttamente (o meglio indirettamente, per mezzo del

al popolo giapponese che una condotta parsimoniosa era una condotta nobile.

Dunque, questo spiega il fatto che il popolo nipponico sia formato da grandi

risparmiatori, che investono i loro risparmi nel loro stesso Stato, verso il quale

nutrono una fedeltà paragonabile a quella presente tra un Samurai e il suo Daimyo.

Infatti, basti pensare al fatto che, nonostante il debito pubblico Giapponese sia di gran

lunga superiore a quello italiano, questo non desta preoccupazioni nei paesi stranieri,

in quanto sono i cittadini Giapponesi stessi i primi grandi investitori nel loro stato. La

percentuale del debito pubblico giapponese detenuta da stati stranieri, infatti, risulta

infima se paragonata a quella posseduta dai giapponesi stessi: la grande fedeltà verso

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