Anteprima
Vedrai una selezione di 8 pagine su 32
Napoli, orgoglio dell'appartenenza tesina Pag. 1 Napoli, orgoglio dell'appartenenza tesina Pag. 2
Anteprima di 8 pagg. su 32.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Napoli, orgoglio dell'appartenenza tesina Pag. 6
Anteprima di 8 pagg. su 32.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Napoli, orgoglio dell'appartenenza tesina Pag. 11
Anteprima di 8 pagg. su 32.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Napoli, orgoglio dell'appartenenza tesina Pag. 16
Anteprima di 8 pagg. su 32.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Napoli, orgoglio dell'appartenenza tesina Pag. 21
Anteprima di 8 pagg. su 32.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Napoli, orgoglio dell'appartenenza tesina Pag. 26
Anteprima di 8 pagg. su 32.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Napoli, orgoglio dell'appartenenza tesina Pag. 31
1 su 32
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Sintesi
Storia: Secondo dopoguerra: gli Alleati a Napoli
Italiano: L'impegno civile e "Le Ragioni Narrative"
Filosofia: Marx: la praxis
Geografia astronomica: Il Vesuvio
Latino: Plinio il Vecchio e l'eruzione del 79 d.C
Fisica: il magnetismo
Arte: Teatro di San Carlo e la Cappella San Severo
Inglese: Naples in the English travel Memoirs
Estratto del documento

il ciclo della rivista durò poco più di un anno. Le

ragioni narrative tentava di mettere insieme

scrittori con disparità di vedute, tutto sommato

indipendenti, che non avevano mai fatto

squadra, che volevano pervenire ad una

riflessione mai retorica e ripetitiva, ma sempre

critica e sostanziale. I redattori, nonostante

alcune offerte di editori del nord, volevano

assolutamente conservare la rivista a Napoli,

dove, come scrissero gli stessi componenti

della rivista, anche le migliori iniziative, che in

altre città sarebbero risultate eccellenti, qui

erano purtroppo condannate a morire. Questo

ha rappresentato altro motivo di fine della

rivista. I loro saggi trattavano idee e problemi

che nutrivano il loro sangue e facevano da

naturale sottofondo ai loro scritti narrativi.

Prisco, uno dei maggiori esponenti, affermava

infatti che in quel periodo, soprattutto dopo i

problemi venutesi a creare con il secondo

dopoguerra, un narratore non poteva esimersi

dal partecipare al dibattito culturale. Tra gli

esponenti della rivista vi erano appunto

l’appena citato Prisco, Incoronato, Domenico

Rea, Compagnone. (La Capria non ne fece

parte però lo inserisco lo stesso??)

Incoronato

Egli nacque nel 1920 e dopo i primi anni

trascorsi tra Canada, Palermo e Pisa, si trasferì

finalmente a Napoli dove fu professore di

lettere. Negli anni del secondo dopoguerra,

dedicò tutto se stesso nella trascrizione di

opere letterarie che, grazie alle esperienze da

lui vissute in prima persona a Napoli,

evidenziassero la situazione di enorme disagio

della sua amata città. Allo stesso tempo,

proprio come detto in precedenza, il suo

maggiori intento, come gli altri autori de “Le

Ragioni Narrative”, era quindi quello di

rivalutare Napoli, in particolare la sua cultura,

impegnandosi civilmente. Non a caso il suo

primo romanzo “Scale a San Potito”, si basa

proprio su un’esperienza diretta. Il protagonista

della storia, Giovanni, che è proprio un

intellettuale, riflette appunto l’autore stesso.

Giovanni sceglie di vivere lungo delle celebri

scale della sua città, a contatto con un’umanità

diseredata, espressione della povertà più totale

che seguì durante il secondo dopoguerra.

L’intento di Incoronato era proprio quello di

staccarsi anche dall’esclusiva attività teoretica,

per verificare proprio con esperienze dirette la

dura realtà che lo circondava. Egli inoltre

espresse tramite quest’opera, il grave senso di

disagio provato dallo scrittore, consapevole che

a Napoli, il passato con tutto il bagaglio dei suoi

pregiudizi, costituiva un vero e proprio

handicap che impediva al popolo napoletano di

uscire positivamente dalle difficoltà in cui si era

venuto a creare nell’immediato dopoguerra. Tra

i tratti distintivi degli “abitanti” della scala

manca di certo la solidarietà, tanto è che questi

facevano a gara fra di loro per contendersi lo

spazio migliore della scala, come la vecchia

Assunta, che all’arrivo di Giovanni, protagonista

dell’opera, tende le gambe per occupare più

spazio. Oltre a lei, c’era la famiglia di Armando,

composta dalla moglie, e dai figli tra cui Maria,

costretta ad assecondare i desideri sessuali di

Paolo, un giovane poco di buono. La scala era

quindi l’espressione di un’umanità che viveva i

suoi giorni più neri e lasciata in uno stato di

completo abbandono. Non bastò infatti

nemmeno un’improvvisa reazione degli

abitanti della scala, i quali tentarono di

occupare un palazzo disabitato, ma respinti

dalla polizia, non poterono far altro che tornare

sui gradini della scala.

Il governatore,

Con altra opera molto

interessante, Incoronato diveniva una fonte di

conoscenza che spingeva a trasformare la

società, e quindi a cambiarla dall’interno.

Compriamo bambini, invece, rappresenta il

fenomeno della vendita dei bambini, purtroppo

molto diffuso durante quegli anni di estrema

povertà e arretratezza. In questa opera egli

realizzò uno stile secco e nodoso, vicino alla

coscienza critica del lettore intesa come

contestazione della società contemporanea.

Mostrare i mali del suo tempo, non era solo un

atto di contestazione, ma anche un’operazione

di denuncia, attraverso il pensiero e l’azione dei

suoi personaggi, nei quali operavano ragioni

sociali ed umane.

La sua attività letteraria si concluse con Le

pareti bianche.

“Egli visse intensamente le sue idee politiche.

Aveva puntato le sue speranze e le sue attese

in una coraggiosa opera di riscatto di una

collettività rimasta troppo a lungo ai margini

della vita” Cesaro

“Concepì la letteratura come una forma civile di

battaglia e insieme di testimonianza, di ricerca

precisa e pietosa insieme, precisa e puntigliosa,

avendo d’occhio le vicende della società nella

quale viveva, soffrendo delle sue contraddizioni

e vivendole fino all’ultimo.” De Jaco

Michele Prisco nacque nel 1920 in una

famiglia della buona borghesia della città, si

laureò in giurisprudenza ma anch’egli alla fine

si dedicò alla carriera giornalistica e a quella

letteraria, ottenendo enormi successi. Come gli

altri componenti del gruppo delle Ragioni

Narrative, era fortemente legato alla sua città

tant’è che rifiutò il posto di direttore editoriale

della Rizzoli, pur di non lasciarla. Aveva una

casetta a Vico Equense, nella quale ospitava i

suoi colleghi e che rappresentò per lui un luogo

di massima aspirazione, una sorta di

laboratorio creativo. Egli delineò maggiormente

il profilo della piccola e media borghesia più

che quello del popolo. In particolare le

caratteristiche umane della borghesia

napoletana pigra e insoddisfatta, che viveva

nella totale rassegnazione. I paesaggi delle sue

opere sono prevalentemente quelli vesuviani,

con le case seppellite nel verde che rimandano

allo sconvolgimento naturale delle passioni,

poiché ogni personaggio era segnato da un

destino di solitudine. Nel 1961, Prisco pubblicò

il romanzo La dama di piazza, con il quale

manifestò il suo proposito di servirsi delle

vicende politiche e civili quale sfondo

necessario delle passioni umane. Dunque,

l’opera si presentava come un vasto affresco di

storia napoletana lungo un arco di 26 anni, tra

la fine della Prima e Seconda Guerra mondiale.

In particolare, il romanzo è incentrato sulla

storia di una famiglia, descritta nelle sue

modeste condizioni economico-sociali,

accompagnata nella sua arrampicata sociale

che si snoda lungo l’intero ventennio fascista

fino al periodo dell’occupazione alleata.

Fuochi a mare Punto franco,

Con e due volumi

di racconti, egli pose maggior accento alle

sofferte vicende del popolo napoletano vissuto

del pieno dramma del secondo dopoguerra,

piuttosto che alla borghesia provinciale.

Raffaele La Capria, è un altro di questi

intellettuali napoletani, tra l’altro ancora in vita,

il quale nacque a Napoli nel 1922 anche se, in

età adulta si trasferì a Roma lavorando come

sceneggiatore. Viaggiò molto fra Inghilterra e

Francia e poi stette anche negli U.S.A. Tuttavia

egli portò sempre con se una vera e propria

ossessione della propria città. Dopo la guerra,

egli partecipò attivamente al clima di

miglioramento delle condizioni civili e morali,

durante proprio il periodo del secondo

dopoguerra. La sua opera più importante è

“Ferito a morte”, con la quale La Capria rifiuta

“la realtà del mondo a puro verbalismo”, in

quanto come anche per gli altri intellettuali del

gruppo, al di là delle parole, dovevano esserci

“sempre le cose, i fatti, le persone”. Egli inoltre

voleva mostrare la condizione d’ immaturità e

di incapacità di reazione della nuova

generazione, che erano venute crescendo

durante il Fascismo. In particolare, come tipica

particolarità delle opere di La Capria, gli eventi

raccontati si riferiscono ad un vasto periodo, in

questa opera circa dieci anni, ma sono

presentanti come continui flash-back nel corso

di una sola giornata. L’Io narrante protagonista

della storia è Massimo, un napoletano deciso a

trasferirsi a Roma, che fino al momento della

sua partenza, ripercorre tutta la sua gioventù

trascorsa in una Napoli descritta con il suo

folklore, con il suo vivere alla giornata e con i

suoi vizi sociali e congeniti e strutturali, come

l’arte di arrangiarsi e la capacità di

sdrammatizzare i fatti. A ferire a morte il

protagonista, è soprattutto la consapevolezza

dei problemi di una città alle prese con le

difficoltà del dopoguerra. In “Il giro in barca”,

testo dell’opera “Ferito a morte”, il

protagonista della storia, ripercorre le tappe

salenti della sua giovinezza. Egli arriva fino a

villa Rosberry e durante il percorso, gode della

magnificenza del paesaggio della sua città, ma

allo stesso tempo teme che il lavoro

speculativo-edilizio stia distruggendo tutto.

Posillipo non è più verde, troppe case per i

nuovi ricchi e il panorama non sembra essere

più lo stesso. Dunque Pausylipon, (lett. che

placa il dolore), non è più la stessa.

Ho scritto su questi altri di seguito perché come

ha detto lei devo saperli, ma non li introdurrò

nella tesina. (forse manca qualcosa, visto che

non dicendoli, non li ho approfonditi)

Luigi Compagnone, tra i più anziani del

gruppo, nacque nel 1915 a Napoli, fu docente

di lettere ma dedicò essenzialmente la sua

carriera al giornalismo, dedicandosi in

particolare ad “Il Mattino” e ad “Il Sud”. Iniziò a

pubblicare le sue poesie, soffuse di un

tormento che scaturiva dall’osservazione dei

mali della sua città, però in chiave grottesca.

Egli è considerato uno degli intellettuali più

autorevoli della cultura napoletana, che meglio

aveva saputo interpretare sia il disagio che la

voglia di riscatto dei napoletani. Nelle sue

opere, si evince un forte impegno civile ed una

conseguente spregiudicata vena provocatoria,

dalla quale sgorgò gran parte della sua

denuncia sociale.

Anche Domenico Rea invece si dedicò, fra i

suoi vari mestieri, al giornalismo. A differenza

degli altri visse più isolato, ma fu comunque

uno dei più importanti punti di riferimento del

risveglio culturale della Napoli del dopoguerra.

Era schierato politicamente a sinistra, operando

insieme ad altri artisti come Raffaele Viviani e

Luigi Compagnone nel Gruppo Sud. Il successo

arrivò con la pubblicazione nel 1947 del libro

Spaccanapoli. La sua scrittura aspra e ruvida,

sviluppa una natura fatta di uomini soggetti a

pulsioni elementari. Le storie raccontate non

delineano una vera e propria collocazione

letteraria, alcune discendono dalla tradizione

classica italiana, altre sono proprie della loro

originalità. Il suo stile è ben distaccato da

quello neorealistico, ma più che altro incentrato

sull’utilizzo del dialetto. Spaccanapoli delineava

una condizione sociale e psicologica, un modo

di vivere tipico dell’area napoletana.

FILOSOFIA (non mi convince proprio molto il

discoroso)

Gli intellettuali delle Ragioni Narrative, si

distinsero dunque per il loro impegno civile, in

particolare Incoronato, che come abbiamo

detto non si limita a rappresentare la realtà a

livello teoretico, ma attraverso esperienze

dirette vuole cercare proprio di cambiarla. Egli

prende insegnamento da Marx. Quest ultimo

filosofi hanno interpretato il

affermava: I

mondo; ora si tratta di trasformarlo”. Con

questa celebre frase Marx intende rivendicare

che quello che conta non è la sola teoria

filosofica quanto l' azione, in particolare quella

rivoluzionaria che lui chiama “praxis”. Secondo

Marx l'uomo risolve i suoi problemi non solo

con la speculazione quanto con una azione

diretta. Insomma, la teoria è solo propedeutica

per la pratica. Al contrario di Hegel, il quale

poneva al centro della realtà un principio

razionale da cui tutto dipendeva, secondo Marx

è l’uomo il protagonista della realtà. Egli di

conseguenza critica gli ideologi, poiché

secondo lui l’ideologia non va ad incidere sulla

realtà. Quindi gli ideologi non sono a stretto

contatto con essa. Marx pone un attacco nei

confronti di Feurbach, il quale secondo lui non

ha portato nessun contributo filosofico in

quanto un vero filosofo deve accompagnare il

proprio credo da un’azione rivoluzionaria.

(da qui in poi non so se inserirlo nel discorso

filosofico della tesina)A proposito della

Dettagli
Publisher
32 pagine
15 download