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Italiano: L'impegno civile e "Le Ragioni Narrative"
Filosofia: Marx: la praxis
Geografia astronomica: Il Vesuvio
Latino: Plinio il Vecchio e l'eruzione del 79 d.C
Fisica: il magnetismo
Arte: Teatro di San Carlo e la Cappella San Severo
Inglese: Naples in the English travel Memoirs
il ciclo della rivista durò poco più di un anno. Le
ragioni narrative tentava di mettere insieme
scrittori con disparità di vedute, tutto sommato
indipendenti, che non avevano mai fatto
squadra, che volevano pervenire ad una
riflessione mai retorica e ripetitiva, ma sempre
critica e sostanziale. I redattori, nonostante
alcune offerte di editori del nord, volevano
assolutamente conservare la rivista a Napoli,
dove, come scrissero gli stessi componenti
della rivista, anche le migliori iniziative, che in
altre città sarebbero risultate eccellenti, qui
erano purtroppo condannate a morire. Questo
ha rappresentato altro motivo di fine della
rivista. I loro saggi trattavano idee e problemi
che nutrivano il loro sangue e facevano da
naturale sottofondo ai loro scritti narrativi.
Prisco, uno dei maggiori esponenti, affermava
infatti che in quel periodo, soprattutto dopo i
problemi venutesi a creare con il secondo
dopoguerra, un narratore non poteva esimersi
dal partecipare al dibattito culturale. Tra gli
esponenti della rivista vi erano appunto
l’appena citato Prisco, Incoronato, Domenico
Rea, Compagnone. (La Capria non ne fece
parte però lo inserisco lo stesso??)
Incoronato
Egli nacque nel 1920 e dopo i primi anni
trascorsi tra Canada, Palermo e Pisa, si trasferì
finalmente a Napoli dove fu professore di
lettere. Negli anni del secondo dopoguerra,
dedicò tutto se stesso nella trascrizione di
opere letterarie che, grazie alle esperienze da
lui vissute in prima persona a Napoli,
evidenziassero la situazione di enorme disagio
della sua amata città. Allo stesso tempo,
proprio come detto in precedenza, il suo
maggiori intento, come gli altri autori de “Le
Ragioni Narrative”, era quindi quello di
rivalutare Napoli, in particolare la sua cultura,
impegnandosi civilmente. Non a caso il suo
primo romanzo “Scale a San Potito”, si basa
proprio su un’esperienza diretta. Il protagonista
della storia, Giovanni, che è proprio un
intellettuale, riflette appunto l’autore stesso.
Giovanni sceglie di vivere lungo delle celebri
scale della sua città, a contatto con un’umanità
diseredata, espressione della povertà più totale
che seguì durante il secondo dopoguerra.
L’intento di Incoronato era proprio quello di
staccarsi anche dall’esclusiva attività teoretica,
per verificare proprio con esperienze dirette la
dura realtà che lo circondava. Egli inoltre
espresse tramite quest’opera, il grave senso di
disagio provato dallo scrittore, consapevole che
a Napoli, il passato con tutto il bagaglio dei suoi
pregiudizi, costituiva un vero e proprio
handicap che impediva al popolo napoletano di
uscire positivamente dalle difficoltà in cui si era
venuto a creare nell’immediato dopoguerra. Tra
i tratti distintivi degli “abitanti” della scala
manca di certo la solidarietà, tanto è che questi
facevano a gara fra di loro per contendersi lo
spazio migliore della scala, come la vecchia
Assunta, che all’arrivo di Giovanni, protagonista
dell’opera, tende le gambe per occupare più
spazio. Oltre a lei, c’era la famiglia di Armando,
composta dalla moglie, e dai figli tra cui Maria,
costretta ad assecondare i desideri sessuali di
Paolo, un giovane poco di buono. La scala era
quindi l’espressione di un’umanità che viveva i
suoi giorni più neri e lasciata in uno stato di
completo abbandono. Non bastò infatti
nemmeno un’improvvisa reazione degli
abitanti della scala, i quali tentarono di
occupare un palazzo disabitato, ma respinti
dalla polizia, non poterono far altro che tornare
sui gradini della scala.
Il governatore,
Con altra opera molto
interessante, Incoronato diveniva una fonte di
conoscenza che spingeva a trasformare la
società, e quindi a cambiarla dall’interno.
Compriamo bambini, invece, rappresenta il
fenomeno della vendita dei bambini, purtroppo
molto diffuso durante quegli anni di estrema
povertà e arretratezza. In questa opera egli
realizzò uno stile secco e nodoso, vicino alla
coscienza critica del lettore intesa come
contestazione della società contemporanea.
Mostrare i mali del suo tempo, non era solo un
atto di contestazione, ma anche un’operazione
di denuncia, attraverso il pensiero e l’azione dei
suoi personaggi, nei quali operavano ragioni
sociali ed umane.
La sua attività letteraria si concluse con Le
pareti bianche.
“Egli visse intensamente le sue idee politiche.
Aveva puntato le sue speranze e le sue attese
in una coraggiosa opera di riscatto di una
collettività rimasta troppo a lungo ai margini
della vita” Cesaro
“Concepì la letteratura come una forma civile di
battaglia e insieme di testimonianza, di ricerca
precisa e pietosa insieme, precisa e puntigliosa,
avendo d’occhio le vicende della società nella
quale viveva, soffrendo delle sue contraddizioni
e vivendole fino all’ultimo.” De Jaco
Michele Prisco nacque nel 1920 in una
famiglia della buona borghesia della città, si
laureò in giurisprudenza ma anch’egli alla fine
si dedicò alla carriera giornalistica e a quella
letteraria, ottenendo enormi successi. Come gli
altri componenti del gruppo delle Ragioni
Narrative, era fortemente legato alla sua città
tant’è che rifiutò il posto di direttore editoriale
della Rizzoli, pur di non lasciarla. Aveva una
casetta a Vico Equense, nella quale ospitava i
suoi colleghi e che rappresentò per lui un luogo
di massima aspirazione, una sorta di
laboratorio creativo. Egli delineò maggiormente
il profilo della piccola e media borghesia più
che quello del popolo. In particolare le
caratteristiche umane della borghesia
napoletana pigra e insoddisfatta, che viveva
nella totale rassegnazione. I paesaggi delle sue
opere sono prevalentemente quelli vesuviani,
con le case seppellite nel verde che rimandano
allo sconvolgimento naturale delle passioni,
poiché ogni personaggio era segnato da un
destino di solitudine. Nel 1961, Prisco pubblicò
il romanzo La dama di piazza, con il quale
manifestò il suo proposito di servirsi delle
vicende politiche e civili quale sfondo
necessario delle passioni umane. Dunque,
l’opera si presentava come un vasto affresco di
storia napoletana lungo un arco di 26 anni, tra
la fine della Prima e Seconda Guerra mondiale.
In particolare, il romanzo è incentrato sulla
storia di una famiglia, descritta nelle sue
modeste condizioni economico-sociali,
accompagnata nella sua arrampicata sociale
che si snoda lungo l’intero ventennio fascista
fino al periodo dell’occupazione alleata.
Fuochi a mare Punto franco,
Con e due volumi
di racconti, egli pose maggior accento alle
sofferte vicende del popolo napoletano vissuto
del pieno dramma del secondo dopoguerra,
piuttosto che alla borghesia provinciale.
Raffaele La Capria, è un altro di questi
intellettuali napoletani, tra l’altro ancora in vita,
il quale nacque a Napoli nel 1922 anche se, in
età adulta si trasferì a Roma lavorando come
sceneggiatore. Viaggiò molto fra Inghilterra e
Francia e poi stette anche negli U.S.A. Tuttavia
egli portò sempre con se una vera e propria
ossessione della propria città. Dopo la guerra,
egli partecipò attivamente al clima di
miglioramento delle condizioni civili e morali,
durante proprio il periodo del secondo
dopoguerra. La sua opera più importante è
“Ferito a morte”, con la quale La Capria rifiuta
“la realtà del mondo a puro verbalismo”, in
quanto come anche per gli altri intellettuali del
gruppo, al di là delle parole, dovevano esserci
“sempre le cose, i fatti, le persone”. Egli inoltre
voleva mostrare la condizione d’ immaturità e
di incapacità di reazione della nuova
generazione, che erano venute crescendo
durante il Fascismo. In particolare, come tipica
particolarità delle opere di La Capria, gli eventi
raccontati si riferiscono ad un vasto periodo, in
questa opera circa dieci anni, ma sono
presentanti come continui flash-back nel corso
di una sola giornata. L’Io narrante protagonista
della storia è Massimo, un napoletano deciso a
trasferirsi a Roma, che fino al momento della
sua partenza, ripercorre tutta la sua gioventù
trascorsa in una Napoli descritta con il suo
folklore, con il suo vivere alla giornata e con i
suoi vizi sociali e congeniti e strutturali, come
l’arte di arrangiarsi e la capacità di
sdrammatizzare i fatti. A ferire a morte il
protagonista, è soprattutto la consapevolezza
dei problemi di una città alle prese con le
difficoltà del dopoguerra. In “Il giro in barca”,
testo dell’opera “Ferito a morte”, il
protagonista della storia, ripercorre le tappe
salenti della sua giovinezza. Egli arriva fino a
villa Rosberry e durante il percorso, gode della
magnificenza del paesaggio della sua città, ma
allo stesso tempo teme che il lavoro
speculativo-edilizio stia distruggendo tutto.
Posillipo non è più verde, troppe case per i
nuovi ricchi e il panorama non sembra essere
più lo stesso. Dunque Pausylipon, (lett. che
placa il dolore), non è più la stessa.
Ho scritto su questi altri di seguito perché come
ha detto lei devo saperli, ma non li introdurrò
nella tesina. (forse manca qualcosa, visto che
non dicendoli, non li ho approfonditi)
Luigi Compagnone, tra i più anziani del
gruppo, nacque nel 1915 a Napoli, fu docente
di lettere ma dedicò essenzialmente la sua
carriera al giornalismo, dedicandosi in
particolare ad “Il Mattino” e ad “Il Sud”. Iniziò a
pubblicare le sue poesie, soffuse di un
tormento che scaturiva dall’osservazione dei
mali della sua città, però in chiave grottesca.
Egli è considerato uno degli intellettuali più
autorevoli della cultura napoletana, che meglio
aveva saputo interpretare sia il disagio che la
voglia di riscatto dei napoletani. Nelle sue
opere, si evince un forte impegno civile ed una
conseguente spregiudicata vena provocatoria,
dalla quale sgorgò gran parte della sua
denuncia sociale.
Anche Domenico Rea invece si dedicò, fra i
suoi vari mestieri, al giornalismo. A differenza
degli altri visse più isolato, ma fu comunque
uno dei più importanti punti di riferimento del
risveglio culturale della Napoli del dopoguerra.
Era schierato politicamente a sinistra, operando
insieme ad altri artisti come Raffaele Viviani e
Luigi Compagnone nel Gruppo Sud. Il successo
arrivò con la pubblicazione nel 1947 del libro
Spaccanapoli. La sua scrittura aspra e ruvida,
sviluppa una natura fatta di uomini soggetti a
pulsioni elementari. Le storie raccontate non
delineano una vera e propria collocazione
letteraria, alcune discendono dalla tradizione
classica italiana, altre sono proprie della loro
originalità. Il suo stile è ben distaccato da
quello neorealistico, ma più che altro incentrato
sull’utilizzo del dialetto. Spaccanapoli delineava
una condizione sociale e psicologica, un modo
di vivere tipico dell’area napoletana.
FILOSOFIA (non mi convince proprio molto il
discoroso)
Gli intellettuali delle Ragioni Narrative, si
distinsero dunque per il loro impegno civile, in
particolare Incoronato, che come abbiamo
detto non si limita a rappresentare la realtà a
livello teoretico, ma attraverso esperienze
dirette vuole cercare proprio di cambiarla. Egli
prende insegnamento da Marx. Quest ultimo
filosofi hanno interpretato il
affermava: I
mondo; ora si tratta di trasformarlo”. Con
questa celebre frase Marx intende rivendicare
che quello che conta non è la sola teoria
filosofica quanto l' azione, in particolare quella
rivoluzionaria che lui chiama “praxis”. Secondo
Marx l'uomo risolve i suoi problemi non solo
con la speculazione quanto con una azione
diretta. Insomma, la teoria è solo propedeutica
per la pratica. Al contrario di Hegel, il quale
poneva al centro della realtà un principio
razionale da cui tutto dipendeva, secondo Marx
è l’uomo il protagonista della realtà. Egli di
conseguenza critica gli ideologi, poiché
secondo lui l’ideologia non va ad incidere sulla
realtà. Quindi gli ideologi non sono a stretto
contatto con essa. Marx pone un attacco nei
confronti di Feurbach, il quale secondo lui non
ha portato nessun contributo filosofico in
quanto un vero filosofo deve accompagnare il
proprio credo da un’azione rivoluzionaria.
(da qui in poi non so se inserirlo nel discorso
filosofico della tesina)A proposito della