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Con la presente tesina di maturità ho voluto approfondire una teoria economica che si oppone all’attuale modello economico occidentale volto allo sviluppo: il modello della decrescita. Il fine di tale tesina è di presentare la necessità di un totale cambiamento, un arivoluzione in ambito sociale, economico, politico ed ambientale. La seguente tesina segue l’analisi che l’economista Serge Latouche ci propone nella sua opera “Breve trattato sulla decrescita serena” sulla teoria economica formulata da Nicholas Georgescu-Roegen, corredata di dati e riferimenti economici.
Scienze: Le rocce sedimentarie.
Fisica: L'entropia e accenni alla fisica.
Economia: Il modello della decrescita.
LE 8 “R” CHE POTREBBERO
MIGLIORARE IL MONDO
Margherita Orlandi
Classe 5°G PNI
Anno scolastico 2012/2013
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INDICE
Introduzione pagina 3
La bioeconomia pagina 5
Fonti di energia pagina 7
Controllo demografico pagina 8
La decrescita: un’utopia pagina 10
Programma: le 8 “R” pagina 11
La questione del lavoro pagina 15
Conclusione pagina 16
Bibliografia&sitografia pagina 17
“La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al
posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinato l’aria, ha
impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste e
attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio
delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria.
Ne seguirà una grande ricchezza…nel numero degli uomini.
Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci
guarirà della mancanza di aria e spazio? Solamente al
pensarci soffoco!”
Italoa Svevo, “La coscienza di Zeno” (Capitolo 8: La psico-analisi)
Introduzione
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Con la presente tesina ho voluto approfondire una teoria
economica che si oppone all’attuale modello economico
occidentale volto allo sviluppo: il modello della decrescita. Il
fine di tale esame è di presentare la necessità di un totale
cambiamento - perché non chiamarla addirittura rivoluzione?
- in ambito sociale, economico, politico ed ambientale.
Il seguente elaborato segue l’analisi che l’economista Serge
Latouche ci propone nella sua opera “Breve trattato sulla
decrescita serena” sulla teoria economica formulata da
Nicholas Georgescu-Roegen, corredata di dati e riferimenti
economici.
I membri delle Nazioni Unite , 191 stati, si sono posti come
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“Obiettivi di sviluppo del Terzo Millennio” 8 obiettivi,
(riguardanti lo sradicamento della povertà e della fame,
l’aumento dell’istruzione, la promozione della parità dei
sessi, la riduzione della mortalità infantile/materna e della
propagazione di malattie sessuali e lo sviluppo di un sistema
economico equo, ma soprattutto sostenibile) , da raggiungere
entro il 2015.
Un cambiamento radicale è necessario se non vogliamo
incorrere nelle varie crisi, che sono state indicate nel
rapporto del Club di Roma “Limiti dello sviluppo” (1972).
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Nell’aggiornamento pubblicato vent’anni dopo si fa
riferimento a 3 modelli :
“Abbiamo ripetuto più volte che il mondo non si trova di
fronte un futuro preordinato, ma una scelta. L’alternativa è
fra tre modelli.
Il seme della nascita di questa associazione fu gettato nel 1941 con la firma della Carta
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atlantica da parte dei paesi vincitori della I guerra mondiale. Molto simile alla Società delle
Nazioni fondato nel 1919 alla conferenza di Parigi, entrambe si basarano sui principi esposti
nel discorso “Quattordici punti” del presidente Wilson
2 Associazione non governativa, no-profit, di scienziati, economisti, uomini d'affari e capi di
stato di tutti e cinque i continenti fondata nel 1968
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Uno afferma che questo mondo finito non ha, a tutti i fini
pratici, alcun limite. Scegliere questo modello ci porterà
ancora più avanti oltre i limiti e, noi crediamo, al collasso.
Un altro modello afferma che i limiti sono reali e vicini,
che non vi è abbastanza tempo, e che gli esseri umani non
possono essere moderati, né responsabili, né solidali. Questo
modello è tale da autoconfermarsi: se il mondo sceglie di
credervi, farà in modo che esso si riveli giusto, e ancora il
risultato sarà il collasso.
Un terzo modello afferma che i limiti sono reali e vicini,
che c’è esattamente il tempo che occorre ma non c’è tempo
da perdere. Ci sono esattamente l’energia, i materiali, il
denaro, l’elasticità ambientale e la virtù umana bastanti per
portare a termine la rivoluzione verso un mondo migliore.
Quest’ultimo modello potrebbe essere sbagliato. Ma tutte
le testimonianze che abbiamo potuto considerare, dai dati
mondiali ai modelli globali per calcolatore, indicano che esso
potrebbe essere corretto. Non vi è modo per assicurarsene,
se non mettendolo alla prova.”
La verità è costantemente davanti ai nostri occhi e
sembrerebbe un’ovvietà ripetere che in un mondo finito
come la Terra non possa essere applicata una crescita
illimitata. Proprio per questa necessità nella seconda metà
del 1900 venne proposta una teoria economica socialmente
biosostenibile: la “bioeconomia”.
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La “bioeconomia”
Il professore di economia Nicholas Georgescu-Roegen
riteneva che le scienze economiche dovessero tener conto
delle leggi biologiche e fisiche che governano la natura. In
particolar modo riprendeva uno dei concetti basilari della
termodinamica applicandolo in ambito economico. Il II
principio della termodinamica afferma, infatti, che esistono
due tipi di energia: energia libera ed energia legata
(inutilizzabile dall’uomo). Quando utilizziamo l’energia libera
per produrre lavoro essa si disperde però sotto forma di
calore, diventando energia non più utilizzabile; il grado di
dispersione viene calcolato tramite l’entropia.
All’economista rumeno va dunque il merito di aver
individuato le implicazioni bioeconomiche della legge
dell’entropia introducendo quello che viene chiamato il “IV
principio della termodinamica”, che fa riferimento non più
all’energia, ma alla materia stessa, distinguendo la materia
“utilizzabile” da quella “non-utilizzabile”.
Secondo Georgescu-Roegen, i modelli economici moderni
non tengono conto dell’entropia (ovvero l’irreversibilità della
trasformazioni dell’energia/materia), dei rifiuti e
dell’inquinamento, che fanno comunque parte dei processi di
produzione, e nemmeno delle leggi fisiche, biologiche e
chimiche.
Lo stesso Georgescu-Roegen scrive:
“Non possiamo produrre frigoriferi o automobili “migliori e
più grandi” senza produrre anche rifiuti “migliori e più
grandi”. “
A differenza di questi modelli, il processo economico reale,
infatti, non tiene conto del suo svilupparsi all’interno di un
sistema chiuso, come la biosfera, e che quindi esso sia un
processo irreversibile.
E’ su queste basi che Georgescu-Roegen sostiene l’idea che
esistano inevitabilmente dei limiti allo sviluppo e che ci sia
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bisogno di limitare la degradazione entropica delle risorse,
sia materiali sia energetiche.
Secondo il Living Planet Report (WWF) del 2006 al pianeta
occorrono un anno e 6 mesi per rigenerare quello che
consumiamo in un anno.
E’ necessario quindi introdurre un nuovo parametro: l’
impronta ecologica. Introdotta da Mathis Wackernagel (“Il
nostro pianeta si sta esaurendo” , 1996) , essa aiuta a
calcolare il consumo umano delle risorse naturali rispetto alla
capacità che ha la Terra di rigenerarle. L’impronta ecologica
era stata fissata a 1,8 ettari a persona, ma dagli ultimi dati
risulta che lo spazio bioproduttivo consumato in media dalla
popolazione mondiale è di 2,2. Ovviamente è impossibile
parlare di un’uguaglianza economica planetaria, poiché
mentre negli Stati Uniti si sfiorano i 9.7 ettari a persona, in
Africa a malapena si arriva allo 0.9.
Se tutti adottassero lo stile di vita degli americani
occorrerebbero le risorse di sei pianeti Terra.
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Le fonti di energia
Georgescu-Roegen distingue due provenienze dell’energia
utilizzabile: l’energia libera presente nei giacimenti minerari
e l’energia proveniente dalle radiazioni solari. Mentre sulla
prima l’uomo ha un controllo quasi totale (se non per il fatto
che potrebbe esaurirla in breve tempo), sulla seconda, che
tuttavia non si esaurirà in breve tempo, non ha alcun
controllo.
I materiali presenti nei giacimenti minerari sono catalogati
come fonti di energia non rinnovabili, cioè associate a delle
riserve limitate. Secondo i calcoli dello storico tedesco Peter
Sieferle, un litro di benzina deriva da 23 tonnellate di materia
organica trasformata in un periodo di un milione di anni. Il
nostro consumo annuo di carbone e di petrolio equivale ad
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una biomassa accumulata sotto la crosta terrestre nel corso
di 100.000 anni. Mentre per il carbone le risorse stimate
potranno ancora soddisfare le richieste mondiali per un
centinaio di anni, il petrolio sarà sufficiente per 80 anni
(senza poter contare sui giacimenti ancora da scoprire).
Roccia sedimentaria di origine organogena costituita da una miscela di idrocarburi gassosi,
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solidi e liquidi. Ha probabilmente origine organica: deriverebbe, infatti, dall’azione di
decomposizione operata da organismi viventi costruttori presenti nella fanghiglia dei fondali
che nel corso della diagenesi trasformano le sostanze organiche in prodotti particolari, come
appunto petrolio, carboni e gas naturali. 7
Controllo demografico: unica
soluzione?
Come riuscire quindi a risolvere il problema dell’impronta
ecologica? Da molti anni vengono proposte teorie
“malthusiane” (ovvero tutte quelle teorie che attribuiscono
alla crescita della popolazione le cause della povertà,
dell’inquinamento e della fine delle risorse, essendo queste
limitate), che spaziano dal contenere la crescita demografica
all’utilizzare una guerra batteriologica al fine di ridurre la
popolazione di tredici paesi del Terzo Mondo, quali India,
Bangladesh, Nigeria...
Ma è questa l’unica soluzione o anche una variazione del
nostro stile di vita potrebbe fare la differenza? Impossibile
condurre una vita ad impatto zero, ma dagli studi sulle
impronte ecologiche di Andrei Fergus emerge che, se anche
sei miliardi di persone del pianeta mantenessero uno stile di
vita occidentale, basato interamente sulle energie
rinnovabili, avremmo pur sempre bisogno di 1,8 pianeti. Una
delle soluzioni potrebbe essere la limitazione dell’attuale
sovraconsumo di carne, fonte di problemi sanitari ed
ecologici e che rende necessario destinare il 33% delle terre
emerse coltivabili alla produzione di foraggi.
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Ci sono vari motivi per cui è necessaria una riduzione degli
allevamenti intensivi (confermati dalla FAO come la seconda
causa a livello mondiale di produzione di CO2), e non solo per
una ragione etica. Essi infatti sono causa dei seguenti
problemi:
degrado del sottosuolo : causato dal sovrasfruttamento
- dei pascoli e dalla coltivazione a monocoltura dei terreni
per i mangimi
deforestazione : si porti ad esempio la situazione della
- foresta amazzonica, di cui l’88% del territorio è stato
disboscato per essere adibito a pascolo
inquinamento chimico: inquinamento del suolo e delle
- acque dovuto all’ utilizzo di fertilizzanti chimici e di
pesticidi
consumo energetico: secondo l’economista Frances
- Moore Lappé , negli USA in un solo anno da 124 milioni di
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tonnellate di cereali sono stati ricavati 21 milioni di
tonnellate di carne, latte e uova (uno spreco immane se
si pensa a quante persone si sarebbero potute sfamare
con le tonnellate di cibo andate sprecate)
consumo idrico: il consumo di acqua negli allevamenti
- intensivi è uno dei fattori di maggior consumo delle
risorse idriche mondiali. Si basti pensare che per produrre
un chilo di carne occorrono 16mila litri d’acqua in
contrasto con i 300 litri necessari per produrre un chilo di
verdura.
smaltimento delle deiezioni
- riscaldamento globale e piogge acide
-
“Il problema che si pone” “non è
citando Jean-Pierre Tertrais
quello di interrogarsi sull’aspetto matematico delle variazioni
della specie umana. La questione centrale è se questa
evoluzione sarà imposta dagli avvenimenti, da politiche
autoritarie, da metodi fondati sulla coercizione o addirittura
sulla barbarie, oppure se sarà il prodotto di una scelta
volontaria, che rifiuta il fatto che il desiderio di procreazione
(“Diet for a Small Planet”, New York, Ballantine Books, 1982,
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diventi programmabile da parte di un’ élite illuminata”.
La sfida della decrescita, quindi, non sta nel capire se saremo
o meno in grado di gestire la sovrappopolazione, ma se
sapremo ripartire le risorse equamente.
La decrescita: un’utopia concreta
Tutti i governi dell’ ‘800 e del ‘900, a prescindere che fossero
liberali, socialisti, socialdemocratici, centristi e comunisti o
repubbliche, dittature e sistemi totalitari, hanno basato la
crescita economica come punto fondamentale dei loro
programmi.
Possiamo portare come esempio i periodi del dopoguerra nei