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Italiano: letteratura e industria (Ottiero Ottieri, Paolo Volponi, Antonio Pennacchi, Silvia Avallone)
Scienze: inquinamento atmosferico e delle acque
Approfondimenti di attualità.
denaro da investire in progetti governativi, sempre sotto il controllo e la supervisione delle autorità
statunitensi. Come contropartita, gli stati europei dovevano fornire le materie prime eventualmente
richieste loro da Washington ed agevolare gli investimenti statunitensi. L’Italia, che era stata
profondamente ferita dai bombardamenti anglo-americani e dalle distruzioni lasciate dai nazisti,
utilizzò quel denaro per ricostruire le nostre fabbriche e ricreare le infrastrutture, le linee ferroviarie,
i porti, gli aeroporti distrutti dalla guerra.
Dalla seconda metà del Novecento il prodotto mondiale lordo, ottenuto dalla somma dei prodotti
interni lordi sei singoli paesi, cominciò a crescere a ritmi sempre più sostenuti. Il Pil cresce in media
del 4,1% all’anno in Europa, in Italia del 5%, per questo motivo si parla nel caso del nostro paese,
così come in Germania, di “boom economico”; il prodotto mondiale lordo cresce del 200% tra gli
anni ’50 e ’70. Tutti gli indicatori economici mostrarono segni positivi: l’inflazione non superò il
4% annuo; il valore delle monete rimase pressoché stabile; la disoccupazione restò mediamente
molto bassa, con un tasso medio inferiore al 2%; il debito pubblico degli stati europei si mantenne
in equilibrio. In sostanza, fu un periodo di veloce crescita della ricchezza, di stabilità monetaria e di
elevata occupazione.
Le condizioni, in sintesi, che resero ciò possibile furono:
la liberalizzazione degli scambi – il libero scambio era la condizione obbligata per
rilanciare apparati produttivi sovradimensionati a causa della guerra, era questo il caso
soprattutto degli Stati Uniti, i quali temevano una crisi da sovrapproduzione e necessitavano
di mercati esteri che fossero in grado di assorbire le enormi eccedenze della loro produzione.
Inoltre la crisi del 1929 aveva portato all’istituzione di rigide misure protezionistiche che
avevano gravemente penalizzato il commercio mondiale, spingendo le nazioni più
aggressive a cercare nuovi mercati attraverso forme di espansionismo militare; per questo
motivo il protezionismo venne abolito nel dopoguerra, e sostituito con una generale
adesione all’idea di libero scambio. Per questi motivi venne istituito nel 1947 il GATT
(General Agreement on Tariffs and Trade) al fine di stabilire le basi per un sistema
multilaterale di relazioni commerciali, favorendo la liberalizzazione del commercio
mondiale.
la crescita demografica – se nel 1925 la popolazione mondiale sfiorava i 2 miliardi di
persone, nel 1960 raggiunse la soglia dei 3 miliardi, e nel 1975 superò i 4 miliardi. Questa
crescita era dovuta in gran parte ad un calo della mortalità, che di conseguenza provocò un
aumento naturale dei consumatori ed una crescita della disponibilità di forza-lavoro, fattori
entrambi che contribuirono a stimolare la produzione di beni per una domanda in continuo
aumento su scala planetaria.
la stabilità monetaria – raggiunta grazie agli accordi di Bretton-Woods, all’istituzione della
Banca Mondiale e del FMI (fondo monetario internazionale).
il Welfare – si intende l’insieme dei sistemi di protezione sociale. In Inghilterra viene
inaugurato come Welfare State (stato del benessere) subito dopo la guerra, e tra il 1960-70
arriva anche in Italia; è un sistema per cui i lavoratori pagano dei contributi, che vengono
accumulati dallo stato ed utilizzati per fornire dei servizi (assistenza sanitaria, pensioni), atti
a garantire un certo benessere e per permettere anche ai ceti più bassi di avere un certo
potere d’acquisto, ampliando di conseguenza anche il mercato.
nuove tecnologie – il ventennio 1950-70 fu legato alle prime importanti applicazioni nel
campo dell’elettronica ed alla scoperta di una nuova fonte di energia, l’energia atomica;
negli Stati Uniti e in Unione Sovietica, ma anche in alcuni paesi europei come la Francia,
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cominciarono, dagli anni sessanta, ad essere costruite centrali nucleari finalizzate alla
produzione di energia elettrica. Importante è stata anche la diffusione della radio, della
televisione e soprattutto l’invenzione del personal computer (1975), grazie alla quale nacque
e si propagò poi Internet, una rete informatica ideata nel 1969 da un gruppo di scienziati e
ricercatori americani, i quali, su iniziativa del Ministero della Difesa, elaborarono un
circuito di comunicazione per fini militari in grado di resistere ad un bombardamento
atomico; esso collegava quattro università (Stanford, Los Angeles, Santa Barbara e Utah).
Nel 1985 Internet si trasformò in un servizio di massa.
beni di consumo durevoli e loro diffusione (automobili, elettrodomestici, televisione…).
L’automobile per esempio rappresenta la scelta di un modello di vita, che porta in Italia a
depotenziare le reti ferroviarie che, infatti, non subiscono alcuna modernizzazione in questo
periodo; viene invece creata una rete capillare di autostrade, tra le migliori in Europa.
Significativo è anche l’impiego delle materie plastiche, derivate in larga parte dalla sintesi
degli idrocarburi. Nel 1957 prese avvio, su scala industriale, la produzione del polipropilene,
grazie ai metodi di lavorazione messi a punto dallo scienziato italiano Giulio Natta. Questa
resina termoplastica per la sua rigidità, leggerezza, resistenza ed i suoi modesti costi di
produzione e trattamento si impose sul mercato, trovando applicazione nei settori più
svariati.
L’integrazione tra scienza e produzione industriale diede i maggiori risultati nel campo
dell’elettronica. La realizzazione, nel 1947, del primo transistor, un dispositivo elettronico in grado
di amplificare la potenza di un segnale elettrico, provocò una vera e propria rivoluzione nelle
comunicazioni di massa. Venne inaugurata l’era della televisione, che avrebbe modificato
profondamente lo stile di vita e l’organizzazione del tempo libero delle famiglie a livello mondiale,
e del computer (grazie all’applicazione dei transistor). Tuttavia, solo dagli anni ‘70-’80, banche,
imprese ed uffici cominciarono a dotarsi di elaboratori e ad applicare tecniche informatiche alla
gestione della produzione, della contabilità, dei magazzini, dei servizi alla clientela.
Negli anni cinquanta il propulsore delle ricerche scientifiche fu l’industria aerospaziale. In
particolar modo nell'ambito della guerra fredda, Usa e Unione Sovietica si contesero per decenni il
primato dell'esplorazione spaziale. Inizialmente i russi ebbero la meglio, lanciando in orbita il
satellite artificiale Sputnik I (1957); nello stesso anno, inoltre, mandarono nello spazio il primo
essere vivente, Lajka, una cagnetta. Un anno dopo, anche gli americani lanciarono in orbita un loro
satellite, ma poco tempo dopo i sovietici inviarono nello spazio il primo essere umano: Yuri Gagarin
(1961). Nel 1969 gli statunitensi riuscirono ad avere un proprio primato nella storia dell’ industria
aerospaziale, mandando sulla Luna l'Apollo 11, che con il suo equipaggio atterrò sul suolo lunare,
sul quale per la prima volta “passeggiarono” degli esseri umani
La nuova società dei consumi si fondava sulla diffusione della produzione standardizzata, cioè
l’affermazione a livello globale del modello taylorista-fordista che realizzò il passaggio dalla
meccanizzazione all’automazione dei processi lavorativi. Il successo dell’automazione fu dovuto al
fatto che essa fu in capace di garantire una drastica riduzione del costo del lavoro ed un notevole
incremento della produttività. Ciò creò però problemi al mercato del lavoro, dal momento che
produsse una crescita esponenziale della disoccupazione, dovuta all’obsolescenza di interi campi di
attività e di profili professionali tradizionali. Lo scopo dell’automazione fu infatti quello di
sostituire completamente la forza-lavoro umana con sistemi integrati di macchine, non solo nelle
mere funzioni produttive, come era già accaduto con la meccanizzazione, ma anche nelle funzioni
di servizio, cioè di comando e di sorveglianza delle macchine, come anche nella funzione di
controllo dei prodotti. Questo processo riduce a soglie minime il peso sociale del lavoro operaio e
persino di quello impiegatizio, in quanto tutto il potere decisionale si sposta nella gerarchia
manageriale, che detiene il controllo dell’organizzazione tecnica della produzione.
Questo enorme sviluppo industriale non è però omogeneo, nemmeno nello stesso Occidente, dove
infatti non tutti gli stati ebbero la stessa prosperità: per esempio la Russia dovette scontare la sua
inefficienza nell’agricoltura ed il fatto che le nuove scoperte in campo bellico le imponevano di
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dirottare una parte delle sue risorse sulla ricerca per armamenti pesanti ed atomici, non investendo
nell’industria leggera e non producendo quindi ciò che sostiene il consumo privato. A ciò si
aggiunse un vasto squilibrio a livello mondiale poiché, mentre in Europa, Russia e Stati Uniti è
presente il 32% della popolazione mondiale, ma l’83% del reddito totale, l’America Latina ha il 7%
della popolazione ed il 4,5% del reddito; l’Africa il 7% e il 2%; l’Asia il 54% e l’11%. Si viene a
creare questa diversità in seguito all’organizzazione economica che destina ai paesi più poveri il
ruolo di serbatoi di risorse. Nascono le multinazionali, che collocano le loro strutture proprio nei
paesi del Terzo Mondo, mentre in Europa, USA e URSS restano i centri di controllo e di ricerca. I
paesi poveri finiscono per accettare le condizioni sfavorevoli imposte dalle imprese per ottenere
lavoro. Per evidenziare questo enorme divario è sufficiente il fatto che nei Paesi del cosiddetto
Terzo mondo vi sono meno di 100 televisori ogni 1000 abitanti, a differenza dei 494 in Italia e dei
731 in Giappone. I Paesi poveri hanno poche reti nazionali e molto spesso ascoltano le trasmissioni
provenienti dai canali televisivi dei Paesi più sviluppati; ciò porta al cosiddetto "choc culturale",
causato da questo brusco contrasto tra la loro realtà di vita e quella dei Paesi più ricchi. Nei casi
estremi vi è una vera e propria mitizzazione da parte di queste nazioni verso i Paesi ricchi.
Questo incremento mondiale delle capacità economiche dei singoli paesi ha contribuito a creare un
nuovo forte clima di fiducia intorno alla scienza e alla tecnica, alimentando nuove forme di
positivismo, ma anche aspre critiche da parte di pensatori di stampo esistenzialista.
L’Italia del boom economico
Come per molta parte del mondo occidentale, anche per l’Italia i primi due decenni postbellici
furono caratterizzati da profonde trasformazioni sociali, economiche e culturali, che tuttavia non
cancellarono gravi e radicati squilibri. In particolare, già nella prima metà degli anni Cinquanta,
prese avvio un rapido e crescente decollo economico.
Il settore più interessato fu quello industriale, soprattutto dell’industria meccanica,
elettromeccanica, siderurgica, dei cementi e delle fibre artificiali, mentre l’agricoltura perse
progressivamente peso; infatti, in questi anni, l’Italia si affermò come paese prevalentemente
industriale. Ecco un grafico che illustra in modo chiaro la perdita di importanza del settore agricolo:
Settori percentuale
manodopera
AGRICOLTURA -45%
INDUSTRIA +5%
SERVIZI +27.5%
PUBBLICA +12.5%
AMMINISTRAZIONE
Le grandi imprese – Fiat, Montecatini, Snia Viscosa, Olivetti, Pirelli – ma anche le piccole e medie
aziende poterono avvalersi di una grande disponibilità di manodopera a basso costo e furono in
grado di aumentare la produzione indirizzandola a mercati esteri. Il basso costo del lavoro, infatti,
consentiva di mantenere bassi i prezzi dei prodotti italiani, che risultavano così molto competitivi
sui mercati internazionali. La forza-lavoro che garantì questa fase di intenso sviluppo era
prevalentemente emigrata dall’Italia meridionale: fra gli anni cinquanta e sessanta, infatti, quasi
dieci milioni di italiani cambiarono regione di residenza e la morfologia dell’insediamento sociale
fu profondamente modificata.