Sintesi
1.LA STORIA DELLA MEDICINA

1.1 La medicina pre-ippocratica

La medicina è la scienza che si occupa della salute e, in particolare, della prevenzione e cura delle malattie sia di persone sia di animali, avvalendosi di scienze quali chimica e, principalmente, biologia. Le più antiche attestazioni scritte riguardanti tale scienza risalgono all'epoca babilonese (II millennio a.C.). Tra queste, la più importante è il diario diagnostico di Esagil-kin-apli di Borsippa. Importanti scritti risalgono inoltre all'epoca egizia. Sono stati pervenuti infatti numerosi papiri nei quali sono illustrate varie pratiche mediche, tra cui l'esportazione degli organi per la successiva mummificazione. Il papiro più importante tra quelli pervenuti è il papiro di Edwin Smith. Leggendo questi papiri si può riscontrare una tecnica, riguardo l'utilizzo degli strumenti medici, più avanzata rispetto ai tempi. La medicina pre-ippocratica, nonostante le numerose innovazioni portate avanti, è sempre rimasta in mano ad entità quali sacerdoti e stregoni, i quali vedevano le malattie e la loro origine come “punizione divina”, qualora non fosse per loro possibile darne una spiegazione ed una successiva cura. Ecco perché è anche definita medicina templare.

1.2 Ippocrate: medicina razionale e giuramento

La medicina trova la sua più grande svolta nel V secolo a.C., quando a Cos (o Coo) fu fondata da Ippocrate la scuola medica, che prendeva le distanze dalla precedente tradizione religiosa. Lo studio ippocratico si basava prettamente su un'analisi diagnostica dei sintomi, utile per una successiva prognosi, un giudizio sull'andamento della malattia e sulle possibilità di guarigione da essa. Il “Corpus Hippocraticum” (anche se maggiormente composto da opere spurie), nel quale sono studiati il fenomeno del determinismo ambientale ed istituzionale, l'epilessia (definita anche “Morbo sacro”, dato che le convulsioni epilettiche richiamano una sorta di “possessione divina”) e la natura della donna, è dunque il frutto dello studio di una medicina non più templare, bensì razionale, dato che si affida solamente alla razionalità del medico che è cosciente dei propri limiti, ma anche delle proprie virtù. Ippocrate attuò dunque in campo medico una vera rivoluzione scientifica, fatto di cui era consapevole. La medicina ippocratica si fonda principalmente sulla teoria umorale, secondo la quale il corpo umano è tenuto sotto controllo da quattro umori principali: la bile gialla, la bile nera, il muco ed il sangue. Lo stato di salute è dettato dall'equilibrio tra i quattro umori, la malattia si determina nel caso di squilibrio.

Le opere più importanti appartenenti al Corpus Hippocraticum sono: 1. “Il morbo sacro”: Analisi dell'epilessia, diagnosi e prognosi di essa. 2. “Le arie, le acque e i luoghi”: Analisi del determinismo ambientale e istituzionale. 3. “Natura della donna”: Studio del corpo femminile dalla bocca alla vagina. 4. “L'antica medicina”: Storia della medicina. Ma lo scritto più famoso che è pervenuto è il Giuramento, che racchiude in poche righe tutta la deontologia professionale del buon medico.

Giuramento “classico”
GRECO « Ὄμνυμι Ἀπόλλωνα ἰητρὸν, καὶ Ἀσκληπιὸν, καὶ Ὑγείαν, καὶ Πανάκειαν, καὶ θεοὺς πάντας τε καὶ πάσας, ἵστορας ποιεύμενος, ἐπιτελέα ποιήσειν κατὰ δύναμιν καὶ κρίσιν ἐμὴν ὅρκον τόνδε καὶ ξυγγραφὴν τήνδε. […] Διαιτήμασί τε χρήσομαι ἐπ’ ὠφελείῃ καμνόντων κατὰ δύναμιν καὶ κρίσιν ἐμὴν, ἐπὶ δηλήσει δὲ καὶ ἀδικίῃ εἴρξειν. Οὐ δώσω δὲ οὐδὲ φάρμακον οὐδενὶ αἰτηθεὶς θανάσιμον, οὐδὲ ὑφηγήσομαι ξυμβουλίην τοιήνδε. Ὁμοίως δὲ οὐδὲ γυναικὶ πεσσὸν φθόριον δώσω. Ἁγνῶς δὲ καὶ ὁσίως διατηρήσω βίον τὸν ἐμὸν καὶ τέχνην τὴν ἐμήν. […] Ἐς οἰκίας δὲ ὁκόσας ἂν ἐσίω, ἐσελεύσομαι ἐπ’ ὠφελείῃ καμνόντων, ἐκτὸς ἐὼν πάσης ἀδικίης ἑκουσίης καὶ φθορίης, τῆς τε ἄλλης καὶ ἀφροδισίων ἔργων ἐπί τε γυναικείων σωμάτων καὶ ἀνδρῴων, ἐλευθέρων τε καὶ δούλων. Ἃ δ’ ἂν ἐν θεραπείῃ ἢ ἴδω, ἢ ἀκούσω, ἢ καὶ ἄνευ θεραπηίης κατὰ βίον ἀνθρώπων, ἃ μὴ χρή ποτε ἐκλαλέεσθαι ἔξω, σιγήσομαι, ἄῤῥητα ἡγεύμενος εἶναι τὰ τοιαῦτα. Ὅρκον μὲν οὖν μοι τόνδε ἐπιτελέα ποιέοντι, καὶ μὴ ξυγχέοντι, εἴη ἐπαύρασθαι καὶ βίου καὶ τέχνης δοξαζομένῳ παρὰ πᾶσιν ἀνθρώποις ἐς τὸν αἰεὶ χρόνον. παραβαίνοντι δὲ καὶ ἐπιορκοῦντι, τἀναντία τουτέων. »

ITALIANO “Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze ed il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto[…] Adopererò i metodi per l'assistenza di malati secondo le mie capacità (d'effettuare) ed il mio giudizio, ma mi allontanerò per non creare un danno o un'ingiustizia. Non darò a nessuno un farmaco mortale, nemmeno se mostrasse una tale consulta. Egualmente non darò ad una donna un pessario che fa abortire. Puramente ed anche religiosamente custodirò la mia vita e la mia professione. […] Nelle case nelle quali potrei entrare, andrò per aiutare gli ammalati, stando fuori da ogni ingiustizia volontaria e da ogni atto di corruzione e d'altra parte da azioni impudiche sui corpi didonne e uomini, liberi e anche schiavi. Nel caso in cui o vedessi o sentissi durante la cura dei malati, o anche all'infuori della cura stessa, durante la vita degli uomini, ciò che non deve essere mai divulgato, starò immobile, farò silenzio, poiché credo che tali cose debbano rimanere segrete. Perciò, se terrò in considerazione questo giuramento e non lo violerò, mi sia possibile godere per sempre sia della mia vita sia della mia professione, stimato presso tutti gli uomini; se invece lo violerò o lo spergiurerò, mi possano accadere il contrario di ciò”

Giuramento “moderno”
Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro: - - - Di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento. […] Di non compiere atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente. Di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze. […] Di sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica.[…] Di nell’esercizio della mia professione o in ragion del mio stato. - curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo ed impegno indipendentemente dai - osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragion del mio stato.

3. MEDICINA: FILOSOFIA ED ETICA
“La storia del pensiero medico, e del suo farsi concreto sul terreno della tecnica e della pratica professionali, è uno dei campi di elezione per verificare la liceità o la necessità di una filosofia della medicina” [Giorgio Cosmacini- La qualità del tuo medico: Per una filosofia della medicina- Laterza, Il nocciolo, pag. 11] Il Cosmacini, nel suo libro, introduce e spiega cosa si intende per “filosofia della medicina”, utile per comprendere il rapporto tra l’uomo-medico e l’uomo-paziente. Che cos’è la filosofia della medicina? Per poter interagire con il proprio paziente, il medico ha solamente bisogno degli strumenti conosciuti dai suoi studi precedenti o ha bisogno di una virtù in più, cioè quella della filosofia? Il paziente è solo un oggetto di cura? Il problema principale del medico a volte si basa sul suo modo di porsi al paziente. Ma quali sono le regole da seguire? Come può la medicina intersecarsi con la filosofia? E’ necessario che la medicina recuperi questo dualismo diventato, nei secoli, uno scisma che è rimasto tuttora. Il binomio “Filosofia & Medicina” sembrerebbe, nella realtà odierna, un concetto astratto e quasi impensabile, ma non è nuovo. Infatti, dalla sua nascita fino al Medioevo, la medicina ha sempre avuto bisogno della “collaborazione” della filosofia, specialmente nell’ambito dei valori umani del medico. Prendendo spunto dal libro precedentemente citato, svilupperò l’argomento nel dettaglio.
3.1 CONCETTO DI SALUTE
Con Ippocrate, come già spiegato, nasce la medicina razionale, che porta con sé il concetto di salute, intesa come unione di salute del corpo e salute dell’anima. Il medico doveva dunque possedere l’arte filosofica per un approccio amichevole col paziente e per avere una conoscenza globale della natura, compresa quella umana, utile per la sua professione. Ma la definizione di salute dell’anima, avente come cura la filosofia, fu portata avanti anche durante l’età imperiale romana dal grande filosofo stoico Seneca, il quale, paragonando medicina e filosofia, scrisse: “.Quid nos decipimus? Non est extrinsecus malum nostrum: intra nos est, in visceribus ipsis sedet, et ideo difficulter ad sanitatem pervenimus quia nos aegrotare nescimus. Si curari coeperimus, quando tot morborum tantas vires discutiemus? Nunc vero ne quaerimus quidem medicum, qui minus negotii haberet si adhiberetur ad recens vitium; sequerentur teneri et rudes animi recta monstrantem. Nemo difficulter ad naturam reducitur nisi qui ab illa defecit: erubescimus discere bonam mentem. At mehercules, <si> turpe est magistrum huius rei quaerere, illud desperandum est, posse nobis casu tantum bonum influere: laborandum est et, ut verum dicam, ne labor quidem magnus est, s modo, ut dixi, ante animum nostrum formare incipimus et recorrigere quam indurescat pravitas eius.”
“Non viene dall’esterno il nostro male: è dentro di noi, sta nelle nostre stesse viscere e, perciò, difficilmente possiamo guarire: ignoriamo di essere malati. Se pure cominciassimo a curarci, quando potremo disperdere le enormi forze di tante malattie? Ma per ora non cerchiamo neppure un medico: avrebbe meno da fare se fosse chiamato per un vizio recente; animi malleabili e semplici seguirebbero chi indica la retta via. Non è difficile ricondurre alla natura nessuno, se non chi alla natura si è ribellato: ci vergogniamo di apprendere la saggezza.” [Epistulae ad Lucilium] Questa concezione rimase anche nel Medioevo intesa come spiritualismo. Dal Seicento in poi ci furono dei cambiamenti riguardo al concetto di medicina e di salute:
“La salute non era più solo un ordinato “stato di natura” da recuperare eliminando il disordine della malattia attraverso l’arte medica; era anche una condizione di ben-essere da tutelare attraverso una”arte difensiva” sanitaria che veniva prima dell’arte medica in quanto preveniva la malattia anziché curarla”. (G. Cosmacini, La qualità del tuo medico: per una filosofia della medicina, Laterza, 1995, pag. 20) Dunque si perse, nel corso della storia della medicina, il dualismo tra la medicina scientifica, dedita alla cura del corpo e delle sue eventuali malattie, e medicina filosofica, dedita al benessere individuale dell’anima. Il medico quindi perse esperienza nel campo della “salus animae”, per far spazio a quella nel campo della “salus corporis”. La medicina, che diventava sempre più asettica, perse la sua capacità di curare le condizioni psicologiche che affliggevano l’anima del paziente. Nacque così una medicina analitica e dedita alla semplice osservazione dei sintomi portati dalla malattia, per la quale si cercava una forma di prevenzione. Questa concezione fu portata avanti in quei periodi in cui la scienza costituì il fulcro del pensiero filosofico, letterario ed artistico: le correnti del Naturalismo e del Positivismo, nelle quali la scienza fungeva da sola fonte di spiegazione e di soluzione alle problematiche del mondo. Ma come può questa essere onnisciente nel momento in cui, nella cura di tutti i sintomi, non riesca a sconfiggere completamente il male? Come può porsi dunque questa di fronte a casi come il cancro o l’AIDS, se non con quel supporto morale che solo la filosofia, curante dell’anima, può portare? Ecco perché il medico ha necessità di avvalersi delle doti filosofiche, così da instaurare col paziente, da quello meno grave a quello in stato terminale, un rapporto di fiducia.

3.2 CONCETTO DI CURA ED IL RAPPORTO MEDICO- PAZIENTE
Il rapporto che esiste tra medico e paziente si concretizza nel concetto di cura. La cura [Cura: dal latino cura, curae. Sollecitudine, grande ed assidua diligenza, vigilanza premurosa, assistenza] Nel corso dell’evoluzione della medicina, la cura ha assunto diversi ruoli. Inizialmente era vista come un potere sovrannaturale dato ai cosiddetti re-sacerdoti e assumeva dunque un ruolo importante in campo mitologico e religioso, grazie al quale il “medico” poteva ritenersi la congiunzione perfetta tra l’umano (il paziente) e il divino (la 3.2 CONCETTO DI CURA ED IL RAPPORTO MEDICO- PAZIENTE Il rapporto che esiste tra medico e paziente si concretizza nel concetto di cura. La cura [Cura: dal latino cura, curae. Sollecitudine, grande ed assidua diligenza, vigilanza premurosa, assistenza] Nel corso dell’evoluzione della medicina, la cura ha assunto diversi ruoli. Inizialmente era vista come un potere sovrannaturale dato ai cosiddetti re-sacerdoti e assumeva dunque un ruolo importante in campo mitologico e religioso, grazie al quale il “medico” poteva ritenersi la congiunzione perfetta tra l’umano (il paziente) e il divino (la cura al male). In seguito, durante l’epoca della scuola di Alessandria, si creò una scissione tra competenze tecnico-pratiche e potere religioso, dovuta alla specializzazione nel campo scientifico, la quale stava portando alla nascita della clinica moderna. Ciò che venne a mancare fu, però, la stretta relazione tra mens e corpus, la quale non poteva essere prima concepita. Ancora oggi, la distinzione che si è venuta a creare nel corso dei secoli, rimane in ambito sanitario come: 1) Spaccatura interiore nel medico, che quasi si limita alla cura della malattia in senso oggettivo, tralasciando e “discriminando” la parte soggettiva: il malato, nella sua psicologia ed individualità. 2) Spaccatura, ancor più radicale, nell’apparato burocratico sanitario, dato che si ritrova impreparato di fronte alle sofferenze psicologiche ed individuali del paziente. Ciò è dovuto al fatto che la netta distinzione tra mens e corpus non è stata dissipata nel corso della storia della medicina. A causa di ciò, dunque, la cura risulta essere cura della malattia e non cura del malato.
Per questo motivo, si fa una distinzione tra curare e prendersi cura, in cui cambiano gli strumenti, il coinvolgimento, l’oggetto dell’intervento, l’obiettivo, il linguaggio, le scienze pertinenti e gli strumenti di conoscenza. A tal proposito, riproporrò lo schema basato su quello del libro “Comunicare la diagnosi grave: il medico, il paziente e la sua famiglia” di A. Bongiorno e S. Malizia, pubblicato dalla casa editrice Carocci Faber nel 2002 (pag. 37).
1) STRUMENTI: -CURARE: chimici, fisici, meccanici. -PRENDERSI CURA: parola ed emozioni
2) COINVOLGIMENTO: -CURARE: basso o nullo -PRENDERSI CURA: alto
3) OGGETTO DELL’INTERVENTO: -CURARE: strutture e funzioni biologiche -PRENDERSI CURA: altro
4)OBIETTIVO: -CURARE: descrittivo e statistico -PRENDERSI CURA: filosofico, antropologico e psicologico.
5)SCIENZE PERTINENTI: -CURARE: fisica, chimica e biologia. -PRENDERSI CURA: psicologia, filosofia ed antropologia.
6)STRUMENTI DI CONOSCENZA: -CURARE: fisica, chimica, ingegneria e informatica. -PRENDERSI CURA: ascolto.
Questo problema non trova una soluzione, se non in un cambiamento del rapporto che si deve instaurare tra il paziente ed il medico. Il rapporto medico-paziente In merito a ciò che è stato precedentemente detto, traspare un forte squilibrio tra competenze tecnologiche e capacità di relazione, dal quale ne viene fuori una figura professionale non adeguatamente preparata a relazionarsi col paziente che le sta di fronte oppure, nel caso contrario, una figura eccellente nel campo delle relazioni umane, ma scarsamente efficiente in quello tecnico-professionale. Ma allora, come si può riportare equilibrio? Il medico deve, innanzitutto, sviluppare e potenziare le competenze in ambito tecnico-professionale e, di pari passo, sviluppare le capacità relazionali, basate su dei principi fondamentali: -COMPRENSIONE dei sentimenti e delle conseguenti reazioni emotive.
-INTERPRETAZIONE delle comunicazioni verbali e non verbali.
-RICONOSCIMENTO dei tratti della personalità, per migliorare il rapporto.
-INDIVIDUAZIONE dei meccanismi di difesa e d’adattamento del paziente.
-SCOPERTA degli obiettivi inconsci del comportamento assunto dal paziente.
-IDENTIFICAZIONE dei fattori che generano tensione e conflittualità.
-AUTOCONTROLLO sulle emozioni personali nelle relazioni coi pazienti.
- DISPONIBILITA’ a creare una buona relazione.
-NON COINVOLGIMENTO eccessivo per i vissuti altrui.
-ESSERE GUIDA E CONSIGLIERE per i problemi psicoemotivi.
-SAPER ASCOLTARE, DOMANDARE, RISPONDERE.
-MATURAZIONE nella relazione professionale coi colleghi d’èquipe.
Attraverso l’attuazione di questi principi fondamentali, il medico è in grado di porsi al meglio nei confronti del paziente, che sviluppa dentro di sé delle aspettative ponendosi di fronte a lui, le quali sono:
-ASCOLTO E COMPRENSIONE nei suoi riguardi.
-CONSIDERAZIONE dal punto di vista umano e non prettamente clinico.
-COMPEMPETENZA PROFESSIONALE, non solo le capacità di relazione.
-BUONA INFORMAZIONE, non avere risposte incomprensibili attinenti al linguaggio esclusivamente riservato ai medici.
-ASSISTENZA CONTINUA.
Riuscendo a soddisfare le aspettative del paziente ed attuando i principi base precedentemente elencati, il rapporto si sviluppa ponendo centralità al suo obiettivo esplicito (ciò che il paziente chiede) ed implicito (ciò che il paziente si aspetta); alla fiducia della quale il medico necessita e che nasce nel momento in cui il paziente s’affida, sia fisicamente sia psicologicamente, al medico, e che si consolida nel momento in cui si nota un ricambio di fiducia riposta, dato che anche il paziente ha bisogno d’acquisirla, e rispetto; alla limitazione data dagli orari, dai luoghi e dalla durata delle visite in cui opera la relazione, la quale non deve dunque oltrepassare tutto ciò che fa parte della professionalità del medico, fatto che potrebbe far mutare il rapporto stabilitosi; alla neutralità del medico, che non deve farsi condizionare dalle proprie convinzioni ,le proprie scelte personali ed i propri valori, soprattutto quelli attinenti alla sfera della bioetica, nell’ambito professionale; alla specificità funzionale, che consiste nell’attuazione, entro i limiti necessari, di particolari tecniche professionali, sotto stretto consenso del paziente; all’intimità, che è direttamente legata al corpo, ma che può essere legittimamente “violata” dal medico, dovendo operare nel campo anatomico del paziente, rimanendo però nei limiti dell’ambito professionale, e quindi non considerando il corpo come oggetto di seduzione o di desiderio sessuale; alla ritualità dei gesti, delle parole, del luogo e del camice, che segnano l’incontro tra il medico ed il paziente e che mettono in sicurezza l’intimità di quest’ultimo. Naturalmente, questo tipo di relazione varierà a seconda del paziente che il medico si trova davanti, perché, consciamente ed inconsciamente, intervengono dei fattori come il contesto lavorativo, la cultura, la personalità, il sesso, l’età ed il tipo di patologia ed, analogamente, influiranno i pregiudizi , le reciproche aspettative e la rappresentazione di entrambi del proprio ruolo all’interno del rapporto. Questo di certo porterà il medico a far diverso uso in diversi tempi delle qualità professionali prima elencate, in dipendenza del paziente che si trova di fronte. Pertanto, il rapporto si può suddividere in due fasi:
1) Fase iniziale, che consiste in un primo colloquio in cui s’evidenzia la richiesta d’aiuto da parte del paziente e in cui il medico inizia un processo di oggettivazione della patologia, cercando di rilevarne la gravità e la tipologia.
2) Fase conoscitiva, nella quale il medico si dovrà interessare di conoscere il soggetto attraverso la comunicazione, verbale o meno, per sviluppare la conoscenza della patologia. Questo dovrà comportare da parte del medico un atteggiamento non eccessivamente distaccato, per non rischiare di perdere fiducia da parte del paziente, che comporterebbe una minor motivazione ad una “alleanza terapeutica”, e quindi un allontanamento dalla conoscenza della patologia. Ecco che dunque, attraverso questo processo, il medico potrà strutturare una conoscenza del malato e dei suoi problemi, prevenendone le reazioni emotive e rendendolo così propenso, grazie al rapporto di fiducia instauratasi, al trattamento terapeutico.

4. MEDICINA: OCCHIO CLINICO E OCCHIO ARTISTICO
Fin dalla sua nascita, la medicina si è servita dell’arte per la rappresentazione della malattia e delle sua manifestazione sul corpo umano, ma anche per una maggior comprensione riguardo lo studio anatomico. Svariati artisti si sono serviti della rappresentazione iconografica per descrivere il corpo umano ed i suoi processi. Ne sono esempio i bozzetti di Leonardo da Vinci, raccolti nel Codice di Windsor (1509), che ritraggono nei minimi particolari lo sviluppo del feto, descrivendone la fisiologia come nessuno aveva fatto prima di lui.
Perciò, se pur per motivi puramente rappresentativi, la medicina e l’arte hanno avuto due percorsi intrecciati. Ma anche l’arte stessa può essere sia strumento d’indagine, sia strumento di cura. Non a caso, per diagnosticare alcuni disturbi psichici nei bambini che hanno subìto un trauma, i medici analizzano le loro produzioni grafico-pittoriche con particolare attenzione alla modalità di rappresentazione del soggetto e ai colori usati. In più, i medici s’avvalgono delle dieci tavole di Rorschach, costituite da macchie d’inchiostro a cui il paziente deve dare un significato, attraverso le quali se ne delinea il profilo psicologico. Ma non solo: molti artisti, per esempio Van Gogh e Ligabue, hanno ritrovato nell’arte una sorta di cura dalla propria condizione psicologica. Dal canto suo, nei secoli, l’arte, specialmente quella occidentale, si è “servita” della medicina per far trasparire particolari condizioni dell’anima in moltissime opere, tra le quali ne ho riscontrato sei, che penso siano rappresentazioni significative della malattia non solo a livello fisico, ma anche psicologico.

“LA MEDICINA” (GUSTAV KLIMT) Una rappresentazione della medicina ci è offerta dal quadro di Klimt chiamato, appunto, La Medicina (1901-1907) del quale ci è pervenuta solo l’immagine fotografata, giacché fu distrutto nel 1945 nell’incendio del castello di Immendorf. Nel quadro, come in quello della Filosofia, suo pendant ritorna l’intreccio dei corpi fluttuanti, tra i quali si riscontrano donne nude incinta, bambini ed anziani, rappresentanti delle varie fasi vitali e dunque metafora del corso della vita. In mezzo a tutti questi spicca la figura di uno scheletro, simbolo della morte. La medicina, nel quadro, si umanizza attraverso la figura di Hygeia, figlia di Eusclapio (dio della medicina), rappresentata in primo piano, grazie alla quale una seconda donna, che ritroviamo sulla sinistra, riesce a liberarsi dalla colonna di corpi tenuti prigionieri dalla morte. Quest’ultima è, infatti, la personificazione della liberazione dal dolore. Tuttavia, Hygeia, più che trasmettere la sicurezza data dalla scienza medica, si mostra come una maga che potrebbe voltare le spalle all’umanità e spesso impotente nei confronti del destino dell’uomo.

“ALIENATA CON MONOMANIA DEL GIOCO” THEODORE GERICAULT
Questo quadro fa parte di una serie di dieci quadri (dei quali solo cinque sono giunti a noi) che il pittore francese Theodore Gericault (1791-1824) dipinse intorno al 1822 dopo aver fatto visita presso l’Ospedale della Salpietère a Parigi, destinando gli stessi al dottor Georget come illustrazioni per un libro o per alcune lezioni sulle malattie mentali . Ognuno di questi quadri tende a sottolineare una particolare condizione umana, identificata mentale e quindi uno stato di malattia a livello psicologico, la quale è provocata da quelle che sottolineata raffigurazione dei tratti fisiognomici della malattia. Il quadro trattato tende a sottolineare la condizione di alienazione che è generata da quella che è definita “monomania del gioco”. Già dalla cromia del quadro, che ruota intorno all’uso di tonalità grigie, traspare l’intento dell’artista: voler rappresentare realisticamente lo stato di infermità mentale della donna, sottolineato dalla vacuità assunta dallo sguardo, i capelli scomposti e la bocca dischiusa in un’espressione di ebetudine, che raffigura l’ebetudine interiore. Per la prima volta, in campo artistico, si cerca di dare una dignità a coloro che non possono vivere una normale condizione di vita.

L’ABBRACCIO- JEAN FRANCOIS MILLET
Il disegno qui sopra riportato rappresenta un abbraccio tra una madre e la sua bambina rappresentato sotto la forma dello schizzo e, quindi, attraverso la sovrapposizione data ai tratti che delineano le forme, si conferisce alla donna stabilità ed austerità, quasi come se quell’abbraccio fosse un evento epico. La figura umana risulta essere centrale, sia dal punto di vista visivo sia da quello espressivo, non a caso è collocata in primo piano con monumentalità. La struttura compatta delle gambe, accennate da poche linee dal tratto deciso, è la base su cui appoggia un’ulteriore struttura piramidale, che delinea l’unione delle figure in un abbraccio, con il quale la madre protegge totalmente la figlia malata da sguardi indiscreti. Nonostante la malattia sia lievemente accennata attraverso lo sguardo profondamente addolorato della madre e la pesantezza del capo della bambina, dato dal tratto scuro che delinea lo stesso, il disegno non può che portare ad una sensazione di pietà e commozione di fronte ad un gesto semplice di una donna che in quell’istante, in quel gesto, diventa l’icona dell’amore e della pazienza offerti nel prendersi cura del malato e che, nonostante la sofferenza, sono in grado di apprezzare quest’ultima, portata dalla fatica che questo a volte comporta, sapendo che, come dice l’artista, che ciò che fanno avviene per una ragione precisa, in questo caso la cura della bambina malata.

Analogo a questo disegno è il quadro di Edvard Munch intitolato “La fanciulla malata”, dipinto tra il 1885 ed il 1886. L’abbandono della precedente pittura tradizionale è netto. Si nota infatti il rifiuto del disegno e del chiaroscuro, tipico della pittura espressionista.
Anche rappresentazione artistica sono una bimba malata e la madre sofferente che si prende cura di lei, accarezzandole la mano sinistra. Il messaggio che traspare è alquanto negativo e ciò è dato dallo sguardo vitreo e allucinato della fanciulla, che sembra essere presagio di sventure. L’incrocio delle mani, delineato da pochi tratti di colore, è il punto d’incontro geometrico tra le due ipotetiche diagonali. La stanza è, dal punto di vista prospettico, angusta ed il letto sembra compresso tra il comodino ed una della pareti, dalla quale pende un tendaggio verde. L’uso che fa di tonalità scure vuole dare l’impressione quasi di respirare un’aria pesante, data dalla malattia e dal suo odore di aromi acuti, di sciroppi e di medicine. L’unica fonte di luminosità è data dal cuscino e dal volto pallido della bambina, ma ciò dà solo un’aria spettrale alla rappresentazione. Dal quadro traspare il puro sentimento d’angoscia dell’artista, dato che, attraverso questa rappresentazione, vuole ricordare la morte prematura di sua sorella.

ICARO: HENRY MATISSE
Ciò che Matisse vuole trasmettere attraverso questo “quadro”, che risulta poi essere una lastra compiuta attraverso una tecnica affine al decoupage, è la condizione umana del “desiderio”, nel senso etimologico del termine. Infatti desiderio deriva dal latino de-sidera: proveniente dalle stelle. Questa provenienza crea nell’uomo una condizione di nostalgia per quelle stelle, a cui vorrebbe far ritorno, poiché concepite come rappresentazione del concetto di infinito (non a caso Icaro si trova tra le stelle). Il concetto di desiderio infinito dell’uomo risulta essere qui analogo al concetto di salute poiché questa si concilia nel benessere fisico, psichico e sociale, a cui l’uomo, se pur consapevole del suo essere utopico, continua ad ambire, sentendo quindi la salute, così come il desiderio, come un’urgenza personale.Non si può che collegare questa concezione a quella che era la condizione fisico- psichica dell’artista: Matisse era, nel periodo del compimento dell’opera, paralizzato e costretto a vivere su una sedia a rotelle, a causa di problemi reumatologici che non gli permisero di avvalersi dell’uso del pennello per dipingere (ecco perché utilizzò la tecnica analoga al decoupage). Matisse perciò ritrova in quell’Icaro se stesso e la sua condizione di volere e tuttavia non poter raggiungere le stelle, e quindi una condizione totale di salute. La cromia gioca un ruolo fondamentale nell’interpretazione del quadro, poiché il nero rappresenta la morte del corpo, che è limitato totalmente, appunto, dalla sua mortalità, se non fosse per quel rosso acceso del cuore, che rappresenta non solo il completamento dei colori primari, insieme al cielo azzurro e alle stelle gialle, ma anche e soprattutto il collegamento ideale tra la sua provenienza (le stelle) e la sua natura reale (il corpo nero e, dunque, mortale).

SCIENZA E CARITA’- PABLO PICASSO
Questo quadro fu dipinto da Pablo Picasso alla tenera età di sedici anni. Ne traspare il talento nell’arte pittorica dell’artista, messaggio l’opera è alquanto negativo. Infatti, già partendo dal titolo, si può notare come la scienza (il medico) e la carità (la suora) sia due concetti quasi contrapposti. Ciò si può riscontare anche guardando il quadro: l’uno distante dall’altra, con in mezzo la donna malata che guarda nel vuoto con il volto esangue. Inoltre, molti elementi rappresentati richiamano al concetto di morte, come il cono d’ombra, che pare essere una presenza negativa che aleggia per la stanza spoglia, la mano ossuta e pallida della malata, dall’aspetto alquanto macabro ed inoltre le bordature rossastre della finestra, che richiamano al sangue. Tuttavia, osservando gli schizzi preparatori del quadro, pare che l’intento dell’artista fosse quello di rappresentare un concetto completamente opposto a quello che traspare dall’opera. Ma allora perché scelse di rappresentare il medico come colui che non ha bisogno di avvalersi della carità nella sua professione, ma anzi, come colui che rimane opposto e quasi diffidente ad essa? Probabilmente la risposta è da ricercare nell’inquadratura accademica impostagli dal padre (che posò per la figura del medico) e dagli insegnati dell’accademia delle Belle Arti di Barcellona, ed anche dal clima sociale che vi era in Spagna quegl’anni.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
-Luigi Enrico Rossi- Roberto Nicolai, Storia e testi della letteratura greca: L’età classica 2B, Le Monnier, 2003. - Giorgio Cosmacini, La qualità del tuo medico: Per una filosofia della medicina, Laterza, 1995. - Antonio Bongiorno- Salvatore Malizia, Comunicare la diagnosi grave: Il medico, il paziente e la sua famiglia, Carocci Faber, 2002. - Giorgio Bordin, Curare e guarire: Occhio artistico e occhio clinico: La malattia e la cura nell’arte pittorica occidentale, Olbia, 17 dicembre 2007 (appunti a cura di Martina Mureddu). - Omar Calabrese, Comunicarte 5: Dal Neoclassicismo all’Espressionismo, le Monnier, 2006. -http://albaweb.albacom.net/itipozzuoli.it -http://www.geometriefluide.com/pagina.asp?cat=picasso&prod=scienzacarita -http://www.artdreamguide.com/_arti/klimt/_opus/univ.htm -http://medicinaeprevenzione.paginemediche.it/it/283/esami/psicologia/detail_77587_test-di- rorschach.aspx?c1=80 - http://www.atuttascuola.it/tesine/infanzia/edvard_munch.htm
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