Anteprima
Vedrai una selezione di 5 pagine su 18
Medea, tesina Pag. 1 Medea, tesina Pag. 2
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Medea, tesina Pag. 6
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Medea, tesina Pag. 11
Anteprima di 5 pagg. su 18.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Medea, tesina Pag. 16
1 su 18
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Sintesi

Introduzione Medea, tesina



Del personaggio di Medea, maga e sacerdotessa nipote del Sole, sono disponibili innumerevoli reinterpretazioni. Il mio lavoro si concentrerà su quattro suoi ritratti, quello datoci da Euripide, quello di Apollonio Rodio, quello di Seneca, e infine un ritratto contemporaneo e cinematografico regalatoci da Pasolini. Cercherò di mostrare come la vitalità del mito della Medea βάρβαρος è rimasta intatta attraverso i secoli.
Il nome dell’eroina (Μήδεια) ha la stessa radice di μήδομαι, “provvedere”. *Med- è la radice presente in tutta l’area indoeuropea; si ritrova nel latino mĕdicu(m), da cui “medico”.
È caratterizzata, infatti, dalla conoscenza di φάρμακα sia benefici che mortali. È nipote del Sole per parte di padre, pertanto imparentata con l’omerica Circe. È sacerdotessa della divinità infera Ecate e le si attribuiscono poteri magici pressoché illimitati. Uno degli atti che la caratterizzano è lo σπαραγμός, rito sacrificale per smembramento, spesso seguito dalla bollitura e dal ringiovanimento della vittima in un calderone.

Collegamenti


Medea, tesina



Greco - Medea in Euripide e Apollonio Rodio
Filosofia - Visione Freudiana del sogno
Italiano - Medea in Pasolini
Latino - Medea in Seneca
Estratto del documento

1

“Medea è il dramma della donna abbandonata ed in preda

al desiderio di vendetta: vendetta che è mostruosa , poiché,

dopo aver fatto perire la giovane principessa che ha preso

il suo posto, Medea finisce con lo sgozzare i propri figli.

Certo, è barbara; è una maga; ma è un’asprezza particolare

la sua, un misto di astuzia e di violenza, che va ben oltre

queste spiegazioni. E’ una Clitennestra che ascolta il

cuore, che soffre, che vuole, che è debole, e che poi si

lascia vincere. E’ la passione.”

J. De Romilly

Introduzione: Chi è Medea?

Del personaggio di Medea, maga e sacerdotessa nipote del Sole, sono disponibili innumerevoli

reinterpretazioni. Il mio lavoro si concentrerà su quattro suoi ritratti, quello datoci da Euripide, quello

di Apollonio Rodio, quello di Seneca, e infine un ritratto contemporaneo e cinematografico regalatoci

da Pasolini. Cercherò di mostrare come la vitalità del mito della Medea βάρβαρος è rimasta intatta

attraverso i secoli.

Il nome dell’eroina (Μήδεια) ha la stessa radice di μήδομαι, “provvedere”. *Med- è la radice presente in

tutta l’area indoeuropea; si ritrova nel latino mĕdicu(m), da cui “medico”.

È caratterizzata, infatti, dalla conoscenza di φάρμακα sia benefici che mortali. È nipote del Sole per

parte di padre, pertanto imparentata con l’omerica Circe. È sacerdotessa della divinità infera Ecate e le

si attribuiscono poteri magici pressoché illimitati. Uno degli atti che la caratterizzano è lo σπαραγμός,

rito sacrificale per smembramento, spesso seguito dalla bollitura e dal ringiovanimento della vittima

in un calderone. 2

Prefazione

Nel 431 a.C., ad Atene, fu portata in scena la tragedia di Euripide intitolata a Medea. Questa è la

versione che ha segnato il futuro del mito: quella in cui l’eroina diviene infanticida per vendetta, dopo

un forte conflitto interiore. A Corinto, Giasone ha abbandonato la sposa barbara per un matrimonio più

vantaggioso con Glauce, figlia del re Creonte. Medea, condannata all’esilio allo scadere di un giorno,

uccide moglie e suocero del traditore con doni avvelenati, poi estingue nei figli la discendenza di

Giasone. Medea, pur soffrendo, trionfa, allontanandosi sul carro del Sole.

L’esposizione completa dell’antefatto della Medea euripidea è presente nelle Argonautiche di

Apollonio Rodio, risalenti al III sec.a.C. Qui, l’eroina è presentata ancora fanciulla nella casa paterna. Ne

vengono sottolineati i poteri e la sapienza magico-farmaceutica (eloquente l’espressione

πολυφάρμακος, III, 27). Allo stesso tempo, però, ne vengono descritti gli umanissimi turbamenti

amorosi, gli affetti familiari e le paure. Compaiono anche i primi tratti negativi: il fratricidio di Medea

ai danni di Apsirto, a cui Euripide solamente accennava (Medea, v. 167), diventa una lunga scena di

tradimento e imboscata (IV, 450-481).

Seneca (4 a.C.– 65 d.C), in un’altra Medea tragica, fa di lei l’esempio degli effetti devastanti cui porta

l’ira, quando la voluntas asseconda il motus irrazionale.

La storia di Medea ha dato da parlare anche nel secolo scorso. L’idea del conflitto tra il mondo

“arcaico”, dominato dalle emozioni, e quello “moderno” dominato dalla razionalità, viene sviluppato e

portato a compimento con Medea di Pasolini, film del 1970. Il film è un impasto di crudeltà e

innocenza, di barbarie e senso del sublime, è una trasfigurazione del mito tragico descritto nella Medea

di Euripide. L’intento del regista è di non narrare la storia di Medea attraverso gli eventi della tragedia,

ma di tradurre in immagini le “visioni” di Medea, lacerata di fronte al rapporto irrisolto tra passato e

presente. 3

Medea in Euripide

L’argomento della tragedia, che fu rappresentato da Euripide nel 431 a.C., poco prima della guerra

peloponnesiaca, è tratto dal ciclo degli Argonauti.

Argomento

La tragedia è ambientata a Corinto, dove Medea e Giasone vivono già da un certo tempo; si sono

stabiliti lì dopo la conquista del vello d’oro, si sono sposati e sono nati due figli; Giasone, sebbene

molto affezionato ai bambini, decide di sposare Glauce, figlia del re della città, Creonte, il quale a sua

volta pretende che Medea e i suoi due figli siano esiliati: di fatto Creonte e gran parte del popolo di

Corinto ,infatti, temono la presunta malvagità della donna, barbara e maga. Giasone accetta, ma

quando Medea apprende delle nuove nozze e della propria condanna, si dispera e comincia a concepire

una terribile vendetta. Con la scusa di terminare i preparativi per il viaggio d’esilio e fingendosi

disperata, ottiene dal re Creonte il permesso di restare a Corinto ancora un giorno, quello delle nozze

di Glauce. Nel frattempo giunge Giasone, che rimprovera alla maga il suo carattere duro e poco incline

a dimostrare la dolcezza e la sottomissione, principali doti di una sposa verso il proprio marito. Medea,

esasperata dalle parole di Giasone, che sente false e piene di ingratitudine, gli rinfaccia tutto quello che

ha fatto per lui quando era giunto nella Colchide alla conquista del vello d’oro. Non ha esitato a tradire

suo padre, ad uccidere suo fratello e far uccidere il re Pelia dalle sue stesse figlie. Giasone ribatte con

molta freddezza, dicendo che se Medea l’ha salvato è solo perché Afrodite ed Eros l’hanno fatta

innamorare di lui; pertanto deve essere riconoscente soltanto alle divinità e non a lei che in realtà ha

avuto anche di più di quanto meritasse: ha sposato un eroe greco ed è stata condotta da lui a vivere in

un paese civile, diverso dalla terra barbara in cui era nata. Se egli vuole sposare Glauce è solo per poter

crescere i propri figli in modo degno del loro rango. Finito il colloquio, Medea rimane sola a meditare

la sua vendetta. Dopo poco sopraggiunge Egeo, signore di Atene che avendo saputo dalla maga la

situazione le offre ospitalità ad Atene, giurando di accoglierla in qualsiasi momento. Rincuorata da ciò,

Medea attua il suo piano. Per prima cosa convince Giasone di avere accettato la situazione,

dimostrandosi ragionevole e conciliante; chiede a Giasone di intercedere presso Creonte che i suoi figli

possano restare a Corinto in modo da crescere in una casa regale. Invita inoltre al marito di chiedere a

Glauce di pregare anch’essa il padre per la salvezza dei fanciulli. Medea, attraverso i figli, manda a

Glauce, come dono di nozze, uno splendido diadema e un peplo finissimo, su cui ha riversato

incantesimi di morte. Non appena la ragazza si adorna con i doni, si sente avvelenare il sangue e un

fuoco che non si spegne la avvolge. In questo fuoco viene bruciato anche Creonte, che tenta invano di

salvare la figlia. Ma la vendetta di Medea non si è ancora conclusa: toccherebbe a Giasone morire. Ma

nella mente della maga si insinua un pensiero atroce, una punizione più terribile della morte: lo di

costringe a vivere dopo averlo privato dei figli. Alla fine di un lungo monologo angoscioso, nel quale fa

violenza al proprio istinto materno, la donna uccide i figli suoi e di Giasone, portandone con sé i corpi

in modo che al padre non rimanga il conforto di seppellirli. E a Giasone, sopraggiunto, non resta altro

che guardare Medea allontanarsi su un carro trainato da serpenti alati.

Contesto

Il dramma si articola in una struttura a dittico; nella prima parte l’animo di Medea è già dominato da

un fortissimo desiderio di vendetta, che però esclude la morte dei figli, coinvolgendo soltanto i veri

colpevoli: Giasone, Glauce e Creonte. Nella seconda parte, separata dalla prima dal dialogo con Egeo,

Medea matura l’idea di lasciare in vita Giasone e uccidere i propri figli. 4

Medea straniera e donna

Di fronte al coro delle donne di Corinto, che hanno mostrato compassione nei suoi confronti, Medea

descrive la sua infelice sorte presentandosi come una donna abbandonata in un paese che non è suo. In

quanto straniera le è mancata la comprensione dei governanti di Corinto, che l’hanno condannata all’

esilio sebbene non avesse colpe e avesse cercato di adeguarsi ai costumi della città. In quanto donna,

tra gli esseri tutti dotati di anima e di ragione, rappresenta la razza più sventurata, perché non è

padrona di sé e deve essere sempre sottomessa a qualcuno, padre o marito. Se le donne di Corinto

possono mitigare la pesantezza del giogo coniugale con l’affetto dei familiari, Medea non può

nemmeno questo, perché è sola e senza patria. Anche lo sposo che lei aveva aiutato con la sua sapienza

e la sua magia, ora sembra avere orrore delle qualità delle quali si era innamorato. La donna, tuttavia, è

consapevole che proprio la sua fragilità può scatenare in lei una furia incontrollabile, placabile solo con

una terribile vendetta. Medea ,dunque, appare nella tragedia come un personaggio dalla forte

personalità che, sebbene umiliato, è determinato a non subire passivamente i torti ma a reagire.

La lucidità della mente, l’esitazione del cuore

Medea si dimostra lucida e consapevole delle proprie scelte nel momento in cui,per ingannare Giasone,

è capace di apparire ragionevole e accondiscendente: nel parlare con il marito ritira tutte le accuse,

riconosce le sue buone ragioni. (vv. 872-883)

ἐγὼ δ΄ ἐμαυτῇ διὰ λόγων ἀφικόμην «Io ragionai con me stessa e mi rimproverai:

"Stolta, perché mi comporto da folle e sono

κἀλοιδόρησα• Σχετλία͵ τί μαίνομαι irritata con quelli che prendono buone

decisioni?

καὶ δυσμεναίνω τοῖσι βουλεύουσιν εὖ͵ Perché mi comporto come una nemica dei

ἐχθρὰ δὲ γαίας κοιράνοις καθίσταμαι 875 signori di questo territorio e del mio sposo che

πόσει θ΄͵ ὃς ἡμῖν δρᾷ τὰ συμφορώτατα͵ compie le scelte piú vantaggiose per noi,

sposando una donna regale e generando fratelli

γήμας τύραννον καὶ κασιγνήτους τέκνοις per i miei figli?

ἐμοῖς φυτεύων; οὐκ ἀπαλλαχθήσομαι Non mi libererò dalla passione? Ma che mi

θυμοῦ—τί πάσχω;— θεῶν ποριζόντων καλῶς; capita, quando gli dèi provvedono bene? Non

ho io figli e non so che noi siamo esuli dalla

οὐκ εἰσὶ μέν μοι παῖδες͵ οἶδα δὲ χθόνα 880 nostra terra e siamo privi di amici?"

φεύγοντας ἡμᾶς καὶ σπανίζοντας φίλων; Dopo aver riflettuto su queste cose mi sono

ταῦτ΄ ἐννοήσασ΄ ᾐσθόμην ἀβουλίαν resa conto che ero insensata e che mi sdegnavo

senza motivo.»

πολλὴν ἔχουσα καὶ μάτην θυμουμένη. 5

Con un'ironia che sfugge all'interlocutore, lo inganna ripetendo e facendo proprie le motivazioni

addotte per giustificare il nuovo matrimonio lodando le sue nuove nozze. Contraddicendo le dolenti

affermazioni delle donne corinzie sulla difficile e ingiusta condizione femminile, riconosce per sé, con

una sottile ironia, quei difetti che tradizionalmente sono attribuiti alle donne (vv. 888-890):

ἀλλ΄ ἐσμὲν οἷόν ἐσμεν͵ οὐκ ἐρῶ κακόν͵ 888 Ma noi siamo quali siamo, non dirò un danno,

ma donne.

γυναῖκες• οὔκουν χρῆν σ΄ ὁμοιοῦσθαι κακοῖς͵ Ma tu dunque non dovevi renderti simile a noi

οὐδ΄ ἀντιτείνειν νήπι΄ ἀντὶ νηπίων miserabili e contendere con noi,

contrapponendo stoltezze a stoltezze

A tradire la sua esitazione e il suo tormento interiore sono solo alcune lacrime, che anche il marito,

dimostrandosi insensibile e chiuso nel proprio sordo egoismo, non può non notare, ma di cui non

comprende il significato. Medea si trova sola, lacerata dal dissidio fra un amore materno che la

porterebbe a dimenticarsi di sé ed una brama di vendetta che è alla fine la distruzione di una parte di

sé. Alla fine della tragedia, però, prevalgono l’amore tradito e l’orgoglio ferito: Medea compie la

propria vendetta, uccide Glauce e punisce Giasone uccidendo i loro figli. 6

Dettagli
Publisher
18 pagine
26 download