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Sintesi

Tratta il tema dell'immortalità  dell'uomo nella riflessione filosofica occidentale, nella letteratura dell'800-900 e nella fisica moderna..

Materie trattate: Latino,Arte,Filosofia,Scienze,Fisica,Italiano,Inglese

Estratto del documento

Introduzione If it were only the other way!If it were I who was to be

always young, and the picture that was to grow

old!For that-for that-I would give everything!Yes, there

is nothing in the whole world I would not give!I would

give my soul for that!

of Dorian Gray”

(by the “Picture by Oscar Wilde)

Fin dai tempi più antichi l’uomo occidentale-non tratterò infatti il problema in

relazione al pensiero orientale- ha riflettuto sul problema della morte naturale del

corpo e della possibilità che la vita non finisse con essa, ma che potesse invece

continuare in una realtà non fenomenica, iper-sensoriale, posta quindi al di là del

mondo che conosciamo comunemente. In ogni caso non si poteva negare la morte

corporale dell’individuo, legata ad evidenti processi di degradazione fisica, e si

dovette quindi ipotizzare l’esistenza di una realtà ulteriore e complementare a

quella, l’anima, alla quale fosse concesso il privilegio dell’immortalità.

La possibilità che l’anima potesse sopravvivere al corpo nell’eternità ha stimolato

il pensiero filosofico occidentale fin dall’antica grecità ed ora è oggetto di

riflessione e di ricerca non solo di pensatori ed intellettuali, ma anche di

scienziati. Il secolo appena trascorso ha infatti registrato notevoli miglioramenti

nell’infinita lotta dell’uomo contro l’invecchiamento, che ora non è più considerato

un processo fondamentale e inevitabile del percorso umano, ma è visto come un

ostacolo da abbattere e superare, una malattia da curare ed estirpare per

estendere il più possibile la vita. Il traguardo sarebbe anche molto vicino; grazie

alle nuove scoperte scientifiche i più ottimisti pensano che esso potrebbe essere

raggiunto entro i prossimi cinquant’anni.

Questo tema fondamentale del pensiero umano è stato visto nel corso del tempo

sotto diverse prospettive; infatti, si è cercato di capire se veramente l’uomo avesse

questa possibilità, se questo fosse un privilegio solamente umano o anche proprio

di tutti gli esseri viventi e dove poi l’anima si sarebbe recata dopo la morte del

corpo. Non bisogna credere inoltre che il dibattito si sia svolto solo sul terreno

filosofico o, più recentemente, su quello scientifico, bensì, essendo un argomento

che riguarda l’uomo in tutto il suo essere, ha ispirato anche l’opera di scrittori e

poeti, italiani e stranieri.

Tuttavia, benché la mia trattazione sarà focalizzata principalmente sulla

concezione di immortalità che si è sviluppata nel pensiero occidentale, non

mille anni?Sarebbe terribile”.

bisogna tuttavia dimenticare che forse “Vivere

Queste parole, tratte da un’intervista pubblicata su L’Eco di Bergamo a Harry

Mulisch, mostrano il risultato della riflessione dello scrittore olandese.

Mulisch afferma che l’uomo nella sua corsa verso l’immortalità, spinto dalla

volontà di attribuirsi l’onnipotenza di dio, sta rinunciando alla sua stessa

grandezza, poiché è proprio la morte che rende viva la vita e che le conferisce un

senso. L’immortalità del singolo costituirà inoltre la “morte dell’umanità”, poiché,

non essendo il nostro pianeta in grado di ospitare un numero sempre in crescita

di individui, se nessuno morisse, non potrebbe nascere più nessuno e la storia

dell’umanità si interromperebbe tragicamente. IV

A

A V

Come sottolinea allora Mulisch il problema che in questa trattazione verrà

discusso è ancora più ampio, poiché si dovrebbe anche considerare se

un’eventuale immortalità dell’essere umano possa davvero rappresentare un

vantaggio per l’umanità oppure se essa possa risultare pericolosa, in quanto

faustiano tentativo di valicare i limiti della natura propriamente umana.

Accenni sulla morte Cotidie morimur; cotidie enim demitur

aliqua pars vitae, et tunc quoque cum

crescimus vita decrescit.

Ita est: non accipimus brevem vitam sed

fecimus[...]

Epistulae ad Lucilium

(tratto da di Seneca)

Non si può parlare d’immortalità senza aver prima condotto una riflessione

propedeutica sulla morte.

Tutto ciò che nasce deve avere necessariamente anche una fine e l’uomo

certamente non è esente da questa implacabile legge di natura. A differenza però

degli altri animali, l’uomo ha una caratteristica sua, cioè, quella dell’essere

consapevole e cosciente della sua stessa finitezza, del suo essere destinato alla

morte corporale. Questa consapevolezza è ciò che permette all’uomo di riflettere

su di essa, che genera paura e speranza di poterla in qualche modo evitare;

l’immortalità si pone proprio come l’ultimo sogno, l’ultima speranza, l’ultimo tabù

da infrangere. mors-mortis

Dal punto di vista etimologico, il vocabolo latino è affine al sanscrito

mer e un’identica radice, che assomma in sé diversi significati, tra i quali

spiccano attrarre e consumare, si trova in quasi tutte le lingue del ceppo

indoeuropeo. Quest’ultimo significato è quello che è rimasto nella lingua latina: la

morte è in fin dei conti la consumazione di ciò che è esistito in vita, la cessazione

di ogni spirito vitale. La possibilità che l’uomo ha di conoscere il suo essere

destinato alla morte, gli permette anche di cercare di figurarsi la vita o il

momento stesso della morte, del quale egli non può avere conoscenza diretta.

sera, un geranio”,

Nella novella “Di Luigi Pirandello, scrittore siciliano tra i più

importanti del primo Novecento italiano, recide i legami con l’ambientazione

realistica, tipica delle sue prime novelle, per dedicarsi a una tematica fantastica,o

parapsicologica. Il protagonista è colto nel momento successivo alla morte

corporale, quando la sua coscienza, sospesa nel vuoto e separata dal suo stesso

corpo, mantiene per un attimo la lucidità e cerca di indagare le cose che

costituivano la sua precedente quotidianità in relazione a quel nuovo punto di

vista, prima di spegnersi completamente. Il narratore emerge saltuariamente nel

racconto, descrivendo in terza persona la morte, intesa come progressiva

metamorfosi, come disgregazione di identità. Si crea un’atmosfera onirica, il

s’è liberato nel sonno,

protagonista infatti e surreale, dove non vigono più le

normali leggi spazio-temporali, ma dove al contrario si crea una dissoluzione

dell’io del protagonista; la morte è liberazione dal peso del corpo e abolizione del

confine tra soggetto e oggetto. Nella morte si perde la propria identità e ci si

riunisce alle cose, ci si perde in esse, in quelle cose che prima, da vivi, VI

è ora quelle cose;

osservavamo da lontano con la vista. Dice infatti l’autore:”Lui

non più com’erano, quando avevano ancora un senso per lui;quelle cose che per se

stesse non hanno alcun senso e che ora dunque non sono più niente per lui. E

questo è morire”. Di Sera Un Geranio

S'è liberato nel sonno, non sa come: forse come quando s'affonda

nell'acqua, che si ha la sensazione che poi il corpo riverrà su da sé, e su invece

riviene solamente la sensazione, ombra galleggiante del corpo rimasto giù.

Dormiva, e non è più nel suo corpo; non può dire che si sia svegliato; e in che

cosa ora sia veramente, non sa; è come sospeso a galla nell'aria della sua

camera chiusa.

Alienato dai sensi, ne serba più che gli avvertimenti il ricordo, com'erano; non

ancora lontani ma già staccati: là l'udito, dov'è un rumore anche minimo nella

notte; qua la vista, dov'è appena un barlume; e le pareti, il soffitto (come di qua

pare polveroso) e giù il pavimento col tappeto, e quell'uscio, e lo smemorato

spavento di quel letto col piumino verde e le coperte giallognole, sotto le quali

s'indovina un corpo che giace inerte; la testa calva, affondata sui guanciali

scomposti; gli occhi chiusi e la bocca aperta tra i peli rossicci dei baffi e della

barba, grossi peli, quasi metallici; un foro secco, nero; e un pelo delle sopracciglia

così lungo, che se non lo tiene a posto, gli scende sull'occhio.

Lui, quello! Uno che non è più. Uno a cui quel corpo pesava già tanto. E che

fatica anche il respiro! Tutta la vita, ristretta in questa camera; e sentirsi a mano a

mano mancar tutto, e tenersi in vita fissando un oggetto, questo o quello, con la

paura d'addormentarsi. Difatti poi, nel sonno...

Come gli suonano strane, in quella camera, le ultime parole della vita:

- Ma lei è di parere che, nello stato in cui sono ridotto, sia da tentare

un'operazione così rischiosa?

- Al punto in cui siamo, il rischio veramente...

- Non è il rischio. Dico se c'è qualche speranza.

- Ah, poca.

- E allora... -

La lampada rosea, sospesa in mezzo alla camera, è rimasta accesa invano.

Ma dopo tutto, ora s'è liberato, e prova per quel suo corpo là, più che

antipatia, rancore. Veramente non vide mai la ragione che gli altri dovessero

riconoscere quell'immagine come la cosa più sua.

Non era vero. Non è vero.

Lui non era quel suo corpo; c'era anzi così poco; era nella vita lui, nelle cose

che pensava, che gli s'agitavano dentro, in tutto ciò che vedeva fuori senza più

vedere se stesso. Case strade cielo. Tutto il mondo.

Già, ma ora, senza più il corpo, è questa pena ora, è questo sgomento del

suo disgregarsi e diffondersi in ogni cosa, a cui, per tenersi, torna a aderire ma,

aderendovi, la paura di nuovo, non d'addormentarsi, ma del suo svanire nella

cosa che resta là per sé, senza più lui: oggetto: orologio sul comodino, quadretto

VII

alla parete, lampada rosea sospesa in mezzo alla camera.

Lui è ora quelle cose; non più com'erano, quando avevano ancora un senso

per lui; quelle cose che per se stesse non hanno alcun senso e che ora dunque

non sono più niente per lui.

E questo è morire.

Il muro della villa. Ma come, n'è già fuori? La luna vi batte sopra; e giù è il

giardino.

La vasca, grezza, è attaccata al muro di cinta. Il muro è tutto vestito di verde

dalle roselline rampicanti.

L'acqua, nella vasca, piomba a stille. Ora è uno sbruffo di bolle. Ora è un filo

di vetro, limpido, esile, immobile.

Come chiara quest'acqua nel cadere! Nella vasca diventa subito verde,

appena caduta. E così esile il filo, così rade a volte le stille che a guardar nella

vasca il denso volume d'acqua già caduta è come un'eternità di oceano.

A galla, tante foglioline bianche e verdi, appena ingiallite. E a fior d'acqua,

la bocca del tubo di ferro dello scarico, che si berrebbe in silenzio il soverchio

dell'acqua, se non fosse per queste foglioline che, attratte, vi fan ressa attorno. Il

risucchio della bocca che s'ingorga è come un rimbrotto rauco a queste sciocche

frettolose frettolose a cui par che tardi di sparire ingoiate, come se non fosse bello

nuotar lievi e così bianche sul cupo verde vitreo dell'acqua. Ma se sono cadute!

se sono così lievi! E se ci sei tu, bocca di morte, che fai la misura!

Sparire.

Sorpresa che si fa di mano in mano più grande, infinita: l'illusione dei sensi, già

sparsi, che a poco a poco si svuota di cose che pareva ci fossero e che invece

non c'erano; suoni, colori, non c'erano; tutto freddo, tutto muto; era niente; e la

morte, questo niente della vita com'era. Quel verde... Ah come, all'alba, lungo

una proda, volle esser erba lui, una volta, guardando i cespugli e respirando la

fragranza di tutto quel verde così fresco e nuovo! Groviglio di bianche radici vive

abbarbicate a succhiar l'umore della terra nera. Ah come la vita è di terra, e non

vuol cielo, se non per dare respiro alla terra! Ma ora lui è come la fragranza di

un'erba che si va sciogliendo in questo respiro, vapore ancora sensibile che si

dirada e vanisce, ma senza finire, senz'aver più nulla vicino; sì, forse un dolore; ma

se può far tanto ancora di pensarlo, è già lontano, senza più tempo, nella tristezza

infinita d'una così vana eternità.

Una cosa, consistere ancora in una cosa, che sia pur quasi niente, una pietra.

O anche un fiore che duri poco: ecco, questo geranio...

- Oh guarda giù, nel giardino, quel geranio rosso. Come s'accende! Perché?

Di sera, qualche volta, nei giardini s'accende così, improvvisamente, qualche

fiore; e nessuno sa spiegarsene la ragione. VIII

Riflettere sulla morte può inoltre condurci a rivalutare la vita. Lucio Anneo

Epistulae ad Lucilium,

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