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Fisica - Cenni storici di meccanica quantistica
Filosofia - 'Critica della Ragion Pura' di Immanuel Kant, Popper, Einstein
Indice
Introduzione al percorso 2
1 La crisi scientifica del Novecento 3
1.1 Geometrie inimmaginabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.1.1 La comparsa delle Geometrie non euclidee . . . . . . . . . . . 3
1.1.2 Oltre l’immaginabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2 Planck e la meccanica quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.1 L’introduzione dei quanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2.2 Heisenberg e il principio d’indeterminazione . . . . . . . . . . 5
1.2.3 L’interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica . 6
2 Einstein, Popper, Kant 7
2.1 Un Einstein rassegnato? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
2.2 Popper e la falsificabilità della teoria scientifica . . . . . . . . . . . . 7
2.3 Attraverso la Ragion Pura di Kant . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Bibliografia 9
1
Introduzione al percorso
«Com’è possibile che da una fisica non deterministica come la meccanica quantistica
si basi il funzionamento di apparecchiature sofisticate come i dispositivi di memo-
rizzazione informatica? Come può la demarcazione di un limite della conoscenza
scientifica portare allo sviluppo di teorie più approfondite?»
È a partire da queste domande che si è inizialmente delineato questo percorso in-
terdisciplinare, come riflessione sui risultati di Kurt Gödel e di Werner Heisenberg,
rispettivamente nel campo della logica matematica e della meccanica quantistica.
In seguito si è sviluppato intorno al tema del superamento degli ostacoli nelle
teorie scientifiche. In effetti questa abilità dell’uomo di scienza di superare con una
certa eleganza i limiti imposti dalla natura propria e dell’universo non è priva di
fascino.
L’obiettivo del percorso è sviluppare un’introduzione agli eventi chiave della crisi
della conoscenza scientifica fra il XIX e il XX secolo, con particolare riferimento al
principio di indeterminazione di Heisenberg e all’interpretazione di Copenhagen del-
la meccanica quantistica, per poi analizzare il pensiero di Kant, Popper ed Einstein
in merito a limitazioni e potenziali dei modelli scientifici.
Questo documento è stato realizzato tramite il linguaggio interpretato L TEX, nel
A
mese di giugno 2013, allo scopo di accompagnare l’esposizione orale del percorso ed
approfondirne più dettagliatamente i contenuti.
2
La crisi scientifica del Novecento
Il passaggio dal XIX al XX secolo in campo scientifico costituisce una soglia, oltre la
quale la matematica e la fisica iniziano ad adottare modelli funzionanti “sulla carta”,
ma non più intuitivamente rappresentabili, precludendo quindi la possibilità di
visualizzare mentalmente ciò con cui si ha a che fare.
1.1 Geometrie inimmaginabili Henri Poincaré
La geometria non è vera, è vantaggiosa. —
La geometria coincide fino all’inizio del XIX secolo con la geometria euclidea.
Prima di allora non si era mai pensato che potessero esistere geometrie alternative a
quella così ben definita dal matematico greco con i suoi Elementi di geometria, basati
su cinque assiomi fondamentali, detti postulati, il quinto dei quali però, riguardante
l’unicità della parallela passante per un punto esterno alla retta data, suscitò in
seguito parecchi dubbi.
1.1.1 La comparsa delle Geometrie non euclidee
Per più di duemila anni matematici di ogni civiltà si sono ci-
mentati nel risolvere l’unico grande difetto degli Elementi di
Euclide. «Il postulato delle parallele è davvero necessario?»
Si può dimostrare a partire dagli altri postulati? Se ciò non è
possibile, si può quindi dedurre che sia necessariamente vero?
Solo verso la fine del Settecento cominciò ad esser chiaro
che il problema del quinto postulato non fosse necessario alla
coerenza di un modello geometrico.
Nel 1813 il celebre matematico tedesco Carl Friedrich
Gauss giunse per primo alla conclusione che potesse essere
sviluppata una nuova geometria dalla negazione del postulato Nikolaj Lobačevskij
delle parallele. In seguito questo spunto fu meglio sviluppato (1792 – 1856).
dal russo Lobačevskij, che fra il 1830 e il 1835 pubblicò diverse
opere gettando le basi per una nuova geometria che ammet-
te l’esistenza di più di una parallela condotta per un punto, e che oggi chiamiamo
«iperbolica».
Anni dopo un allievo di Gauss, Bernhard Riemann, avrebbe prodotto similmente
un modello nel quale per un punto non passa nessuna parallela a una retta data, la
cosiddetta «geometria ellittica». Possiamo immaginare queste due geometrie come
la trasformazione del classico piano in una superficie curva, rispettivamente come
3
un foglio inarcato per l’iperbolica o la superficie di una sfera per l’ellittica.
Queste due nuove geometrie vantano una coerenza interna pari alla geometria
euclidea.
1.1.2 Oltre l’immaginabile
Se esistono geometrie piane coerenti ma diverse da quella eu-
clidea, prendendo in considerazione superfici di figure solide
come una sfera o un piano iperbolico, procedendo per analogia
possiamo immaginare l’esistenza di geometrie solide diverse
da quella a cui siamo abituati. Come le geometrie non eucli-
dee possono essere rappresentate su piani curvi, questi nuovi
oggetti potrebbero essere considerati spazi curvati.
Purtroppo le nostre facoltà “figurative” si fermano qui.
Non è possibile per l’uomo concepire come ci si muova in
uno spazio simile, perché ciò richiederebbe la capacità di
immaginare uno spazio a più di tre dimensioni.
Bernhard Riemann Queste ipergeometrie, durante il secolo successivo, si rive-
(1826 – 1866). larono fondamentali in cosmologia per poter determinare la
struttura spaziotemporale dell’universo.
1.2 Planck e la meccanica quantistica
L’Ottocento è anche il secolo della grande rivoluzione dell’e-
lettromagnetismo. Il nuovo modo di rappresentare le influen-
ze di magnetismo ed elettricità per mezzo di linee di forza (lo
strumento dei campi vettoriali) e le straordinarie scoperte di
Michael Faraday (il quale intuì che elettricità e magnetismo
fossero diverse forme dello stesso principio) e James Clerk
Maxwell (che confermò le teorie di Faraday riguardo la natu-
ra elettromagnetica della luce) cambiarono completamente la
percezione del mondo per i fisici moderni. Paradossalmente,
queste furono le ultime grandi produzioni della fisica classica.
Applicando le equazioni di Maxwell ad un corpo nero idea-
le (vale a dire un oggetto che assorbe tutta la radiazione), si
ottiene che il corpo in questione dovrebbe emettere un’onda Max Planck (1858 –
elettromagnetica avente lunghezza d’onda corta e potenza in- 1947).
finita. Ciò è ovviamente impossibile (il paradosso va sotto il
nome di catastrofe ultravioletta). Anche trattando con corpi
neri reali i dati sperimentali divergevano dalle previsioni.
Nel frattempo nel 1887 Heinrich Hertz aveva osservato che illuminando un con-
duttore con raggi luminosi ultravioletti (cioè di frequenza maggiore a quella della luce
visibile) disperde le cariche negative più rapidamente. La stranezza del fenomeno
sta nel fatto che sia osservabile solamente con l’utilizzo di radiazioni elettromagne-
tiche superiori ad una certa frequenza, al di sotto della quale la perdita di elettroni,
anziché essere in quantità minori, non avviene affatto.
4
1.2.1 L’introduzione dei quanti
Il celebre fisico tedesco Max Planck, nel 1900, si accorse che se i valori dell’energia
delle onde elettromagnetiche fossero stati discreti (cioè multipli esatti di un valo-
re costante definito), le previsioni teoriche del problema del corpo nero sarebbero
andati a coincidere con i risultati sperimentali. Per avere valori energetici discreti,
ν,
Planck quantizzò l’energia delle onde in base alla loro frequenza introducendo una
h = h/2π,
costante (spesso scritta come e alla quale fu poi dato appunto il nome
~ −34
· ·
6, 626 10 J s,
di costante di Planck ), pari a circa per mezzo della formula
E = hν.
Albert Einstein nel 1905 assunse la stessa argomentazione per spiegare l’effetto fotoe-
lettrico, sostenendo che un’onda di frequenza troppo bassa non causava emissione
di elettroni dalla superficie irraggiata perché non sufficientemente energetica. Su
questa spiegazione dell’effetto fotoelettrico (che valse ad Einstein il Premio Nobel
per la Fisica nel 1921) il danese Niels Bohr basò il proprio modello atomico, nel
quale gli elettroni possono cambiare la propria distanza dal nucleo assorbendo o
emettendo energia, ma occupando solamente un numero discreto di specifiche zone,
detti orbitali atomici oppure, appunto, livelli energetici.
1.2.2 Heisenberg e il principio d’indeterminazione
Nell’ambito della realtà le cui connessioni sono formulate dalla teoria quanti-
stica, le leggi naturali non conducono quindi ad una completa determinazione
di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere (. . . ) è piuttosto rimesso
Werner Heisenberg
al gioco del caso. —
Mentre sulla falsariga delle ipotesi di Planck ed Ein-
stein emergeva l’ipotesi una possibile natura corpuscolare
per la luce, analogamente si scoprì che anche gli elettroni
assumevano comportamenti ondulatori. Bohr per primo
ipotizzò che sia l’elettrone che il quanto di luce (da allora
denominato fotone), e quindi la materia e la radiazione
(almeno a livello atomico), fossero contemporaneamente
sia onde che particelle.
Il primo a formalizzare la meccanica quantistica, nel
1925, fu il tedesco Werner Heisenberg, all’epoca ancora
studente, formulandone la prima definizione completa e
corretta (che gli valse il Premio Nobel nel 1932) basandosi
sull’utilizzo di matrici. Egli perfezionò inoltre il modello
atomico di Bohr, descrivendo come avvenisse il passaggio
degli elettroni da un livello all’altro (salto quantico).
Il modello del giovane fisico tedesco prevedeva però Werner Karl Heisenberg
delle limitazioni cognitive. Per Heisenberg infatti non era (1901 – 1976).
possibile determinare precisamente posizione e quantità
di moto di una particella, come espresso in formula da
h
· ≥ ,
∆x ∆p x 4π
∆x ∆p
dove rappresenta l’errore sulla posizione e sulla quantità di moto.
x
5
L’attendibilità del principio fu aspramente osteggiata da molti fisici, tra cui lo
stesso Einstein, che si espresse in merito alla presunta casualità dei fenomeni quan-
tistici con la storica frase «Dio non gioca a dadi», e sfidò Bohr (amico e sostenitore
di Heisenberg) con alcuni celebri esperimenti mentali. Per tutta risposta, Bohr in-
tervenne invalidando le obiezioni di Einstein con la sua stessa teoria della relatività,
e rispondendogli di piantarla «di dire a Dio che cosa fare con i suoi dadi».
1.2.3 L’interpretazione di Copenhagen della meccanica quan-
tistica
Fare previsioni è una cosa molto difficile, specialmente se riguardano il futuro.
Niels Bohr
—
Come si è potuto notare finora, il modello quantistico non va oltre il formalismo
matematico dal quale è nato. Urge quindi stabilire un collegamento fra l’astrazione
del modello matematico e l’ipotetica realtà fisica che questo dovrebbe rappresentare.
Il modello interpretativo più famoso e riconosciuto è la cosiddetta interpreta-
zione di Copenhagen. Elaborata da Bohr ed Heisenberg attorno al 1927, essa si
basa fondamentalmente sulla già trattata dualità onda-corpuscolo e sul principio di
complementarità: non è possibile rilevare sia la natura corpuscolare sia quella ondu-
latoria della luce (o dell’elettrone, o in generale di qualsiasi fenomeno che avviene a
livello atomico e subatomico) nel corso di un’unica esperienza.
Non si tratta tuttavia dell’unica interpretazione riconosciuta (si veda ad esempio
l’interpretazione degli universi paralleli): ciò è dovuto al fatto che questi risulta-
ti matematici non hanno un riscontro diretto osservabile nel mondo fisico, e non
possono perciò essere interpretati nella pratica in un unica via, se non sfuggendo-
vi totalmente – come fa la cosiddetta interpretazione zero, che Richard Feynman
riassunse scherzosamente nell’espressione «Zitto e calcola!».
Il dibattito riguardo l’interpretazione più plausibile rimane accesissimo tutt’oggi.
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