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Italiano: La curiosità del fanciullino (Pascoli); I limiti della conoscenza tra Pascoli e Montale.
Latino: La curiositas fra Apuelio e Plinio.
Inglese: Curiosità e informazione in G. Orwell
Storia: La curiosità malata nei lager nazisti.
Filosofia: H. Arendt e la banalità del male; La bioetica
Arte: Curiosità nelle avanguardie e nell'arte contemporanea; Amore e Psiche
Matematica: Il mistero di pigreco
Scienze: Buchi neri, energia e materia oscura
La curiositas: i limiti della conoscenza
giovane Dio si innamora lui stesso della splendida ragazza, la conduce con sé in un castello incantato e la 7
sposa senza rivelare né il suo nome né la sua natura divina, ponendo la condizione che Psiche non vedesse
mai lo sposo, che le si avvicinava soltanto nel corso della notte. Ma Psiche, istigata dalle sorelle, che Eros le
aveva detto di evitare, con un pugnale ed una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante,
nella paura che l'amante tema la luce per la sua natura malvagia e bestiale. E’ questa bramosia di
conoscenza ad esserle fatale: una goccia d'olio cade dalla lampada e ustiona il suo amante, che
“d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa”. Tutto ciò
provoca l’ira di Venere, che impone a Psiche una serie di prove durissime per potersi ricongiungere ad
Amore. Infine, superate le numerose prove con l’aiuto della magia e vinta l’ira di Venere, Psiche viene
assunta tra gli dei e resta per l’eternità la sposa di Amore.
La centralità occupata dalla favola anche nella struttura stessa del romanzo, è quindi da ricondurre
alla tematica da essa affrontata e alle possibili omologie che si possono cogliere fra le vicende di
Psiche e quelli di Lucio.
Psiche, infatti, è il simbolo dell’anima che, presa dalla curiositas di vedere ciò che non le è
consentito, perde il suo stato di felicità ed è costretta a una serie di sofferenze per recuperare “il
paradiso perduto”. E’ evidente l’omologia fra la condizione di Psiche e quella di Lucio, il quale, per
soddisfare la sua sete di conoscenza delle arti magiche, è stato trasformato in asino e dovrà vivere
una serie di disavventure prima di recuperare lo stato umano.
La curiositas viene quindi vista come un vero e proprio peccato, piuttosto che una virtù, e con il
suo racconto l’autore volle sottolinearne questo aspetto, e metterne in guardia i lettori. Ma alla
fine del romanzo si scoprirà che Lucio è un’allegoria dell’autore, e questo può portare a diverse
interpretazioni.
In un certo senso, pur giudicando in maniera negativa la troppa curiositas, è come se Apuleio
ammettesse di non riuscire a fare a meno di essa, di quell’istinto che lo porta ad indagare oltre le
porte del conoscibile. La curiositas fa parte dell’essere umano, è rintracciabile nelle sue gesta così
come nella hybris di Psiche.
2.6 Psiche alla vista di Cupido
«Allora a Psiche vennero meno le forze e l'animo; ma a sostenerla, a ridarle vigore fu il suo stesso
implacabile destino: andò a prendere la lucerna, afferrò il rasoio e sentì che il coraggio aveva
trasformato la sua natura di donna.
Ma non appena il lume rischiarò l'intimità del letto nuziale, agli occhi di lei apparve la più dolce e la
più mite di tutte le fiere, Cupido in carne e ossa, il bellissimo iddio, che soavemente dormiva e
dinanzi al quale la stessa luce della lampada brillò più viva e la lama del sacrilego rasoio dette un
barbaglio di luce.
A quella visione Psiche, impaurita, fuori di sé sbiancata in viso e tremante, sentì le ginocchia
piegarsi e fece per nascondere la lama nel proprio petto, e l'avrebbe certamente fatto se l'arma
stessa, quasi inorridendo di un così grave misfatto, sfuggendo a quelle mani temerarie, non fosse
andata a cadere lontano.
Eppure, benché spossata e priva di sentimento, a contemplare la meraviglia di quel volto divino,
ella sentì rianimarsi.
Vide la testa bionda e la bella chioma stillante ambrosia e il candido collo e le rosee guance, i bei
La curiositas: i limiti della conoscenza
riccioli sparsi sul petto e sulle spalle, al cui abbagliante splendore il lume stesso della lucerna 8
impallidiva; sulle spalle dell'alato iddio il candore smagliante delle penne umide di rugiada e
benché l'ali fossero immote, le ultime piume, le più leggere e morbide, vibravano irrequiete come
percorse da un palpito.
Tutto il resto del corpo era così liscio e lucente, così bello che Venere non poteva davvero pentirsi
d'averlo generato. Ai piedi del letto erano l'arco, la faretra e le frecce, le armi benigne di così
grande dio.
Psiche non la smetteva più di guardare le armi dello sposo: con insaziabile curiosità le toccava, le
ammirava, tolse perfino una freccia dalla faretra per provarne sul pollice l'acutezza ma per la
pressione un po' troppo brusca della mano tremante la punta penetrò in profondità e piccole
gocce di roseo sangue apparvero a fior di pelle. Fu così che l'innocente Psiche, senza accorgersene,
s'innamorò di Amore. E subito arse di desiderio per lui e gli si abbandonò sopra e con le labbra
schiuse per il piacere, di furia, temendo che si destasse, cominciò a baciarlo tutto con baci lunghi e
lascivi. (Quae dum insatiabili animo Psyche, satis et curiosa, rimatur atque pertrectat et mariti sui
miratur arma, depromit unam de pharetra sagittam et punctu pollicis extremam aciem
periclitabunda trementis etiam nunc articuli nisu fortiore pupugit altius, ut per summam cutem
rorauerint paruulae sanguinis rosei guttae. Sic ignara Psyche sponte in Amoris incidit amorem.
Tunc magis magisque cupidine fraglans Cupidinis prona in eum efflictim inhians patulis ac
petulantibus sauiis festinanter ingestis de somni mensura metuebat.)
Ma mentre l'anima sua innamorata s'abbandonava a quel piacere la lucerna maligna e invidiosa,
quasi volesse toccare e baciare anch'essa quel corpo così bello, lasciò cadere dall'orlo del lucignolo
sulla spalla destra del dio una goccia d'olio ardente. Ohimè audace e temeraria lucerna indegna
intermediaria d'amore, proprio il dio d'ogni fuoco tu osasti bruciare quando fu certo un amante ad
inventarti per godersi più a lungo, anche di notte il suo desiderio.
Balzò su il dio sentendosi scottare e vedendo oltraggiata e tradita la sua fiducia, senza dire parola,
d'un volo si sottrasse ai baci e alle carezze dell'infelicissima sposa.» Metamorphoses V 22-23
La curiositas, l'attitudine intellettuale di chi vuole sapere per il gusto di sapere, è quindi, sì, indizio
di intelligenza, ma di un'intelligenza superficiale, presuntuosa e per molti versi infantile. E' questa
l’illusione della scienza, ma anche quella dell'alchimia e della magia, la stessa di Apuleio prima
della conversione; essa si rivela, a giudicare dalle vicende di Lucio e di Psiche, suprema stoltezza: la
multiforme varietà delle cose né può essere realmente conosciuta nella sua essenza, né può
condurre alla conoscenza di ciò che veramente è al di là delle apparenze e conferisce loro
significato.
La curiositas, si direbbe, è una modalità del conoscere che si addice ad un bambino, ma che in un
adulto può essere rivelatrice di un'immaturità di fondo. L'adulto curioso è spesso un bambino
intelligente che si rifiuta di crescere. Sennonché l'anima, in prospettiva platonica, ha un percorso
di maturazione da compiere, deve crescere; e la presenza della curiositas, che continuamente
distrae l'uomo dalla ricerca interiore spostando la sua attenzione su oggetti esterni, diventa ad un
La curiositas: i limiti della conoscenza
certo punto un ostacolo insormontabile. Accade allora un evento traumatico che costringe l'uomo 9
a rendersi conto dell'inefficacia di questa modalità conoscitiva e a cercare altri mezzi di salvezza.
2.7 Canova: Amore e Psiche
Antonio Canova, il massimo esponente del
Neoclassicismo europeo, realizzò questo gruppo
scultoreo tra il 1788 e il 1793, ed è oggi esposto al
Louvre di Parigi. Questa fu solo una delle tre versioni da
egli realizzate di quest’opera, ma è probabilmente la
più famosa e acclamata dalla critica. L'opera
rappresenta, con un erotismo sottile e raffinato, il dio
Amore mentre contempla con tenerezza il volto della
fanciulla amata, ricambiato da Psiche da una dolcezza
di pari intensità.
L'opera rispetta i canoni dell'estetica di Winckelmann.
Le due figure sono infatti rappresentate nell'atto subito
precedente al bacio, un momento carico di tensione,
ma privo dello sconvolgimento emotivo che l'atto
stesso del baciarsi provocherebbe nello spettatore. La
gestualità e il movimento introducono anche la
dimensione del tempo eternizzato dall'artista in un
attimo sublime, che rimane in sospeso. Anche i
personaggi, nei corpi adolescenziali e con le loro forme perfette, sono idealizzati secondo un
principio di bellezza assoluta e spirituale. Il gruppo scultoreo è posto, con il consenso dell'autore,
su una pedana rotante, in modo che lo spettatore possa coglierne in pieno i pregi formali. Le due
figure si intersecano tra di loro formando una X morbida e sinuosa che dà luogo ad un'opera che
vibra nello spazio.
La scultura è realizzata in marmo bianco, levigato e finemente tornito, sperimentando con
successo il senso della carne, che Canova mirava a ottenere nelle proprie opere. La monocromia,
in contrasto alla drammaticità e al pittoricismo barocco, è un canone del neoclassicismo che
Canova riprende per menomare la carica espressiva. L'elegante fluire delle forme sottolinea la
freschezza dei due giovani amanti: è qui infatti rappresentata l'idea di Canova del bello, ovvero
sintesi di bello naturale e di bello ideale. La curiositas: i limiti della conoscenza
3.Italiano 10
La curiosità come istinto che porta l’uomo verso la conoscenza, e i limiti che possono essere posti
ad essa, sono rintracciabili in molti autori italiani dello scorso secolo.
La letteratura italiana del primo Novecento, fu certamente influenzata dal clima decadente che
imperversava su tutta l’Europa in quel periodo. Questo movimento fu la conseguenza diretta della
crisi di fine 800 degli ideali borghesi e del Positivismo. La poetica decadente, ammessa
l’impossibilità di conoscere la “vera realtà” mediante l’esperienza, la ragione e la scienza, crede
che solo la poesia, con il suo carattere di intuizione irrazionale e immediata possa attingere il
mistero ed esprimere le rivelazioni dell’ignoto.
3.1 Pascoli e il fanciullino
Ed è in questo contesto che possiamo collocare autori come
Giovanni Pascoli.
Egli fi sicuramente lontano dal positivismo (pur essendo stato
definito da alcuni come un positivista ortodosso), dal momento in cui
egli, come Leopardi, non ebbe mai un entusiastica fede nelle
“magnifiche sorti e progressive”, e negava alla scienza ogni capacità
di conoscere realmente la natura.
Ma pur non appartenendo a Pascoli la visione di poesia, di arte,
come indagatrice e svelatrice dei misteri della natura, in quanto
l’uomo è condannato a brancolare fra di essi come un cieco, non è assente in lui il concetto di
“curiositas”. Questo è però differente rispetto a quello tipico dello scienziato, o di colui che cerca
di capire, studiare la natura.
Pascoli accetta la vita, la natura come eterno mistero, ma la sua curiosità è facilmente
rintracciabile nel suo avvicinarsi a questi misteri, e viene espressa totalmente nella “poetica del
fanciullino”.
Tale poetica, le cui linee furono fissate dallo stesso poeta nell’opera di riflessione teorica “Il
fanciullino”, afferma che "È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi [...] ma lagrime
ancora e tripudi suoi".
È dunque una voce nascosta nel profondo di ciascun uomo, che si pone in contatto con il mondo
attraverso l'immaginazione e la sensibilità. In tal modo, scopre aspetti nuovi e misteriosi, che
"sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione". La voce interiore del fanciullino dà vita alla poesia,
nella quale dunque il linguaggio cercherà di esprimere, con strumenti come
metafora, analogia, sinestesia, un mondo che si lascia afferrare dall'intuizione e non dal
ragionamento. Ma soprattutto il fanciullo interiore è caratterizzato dalla curiosità.
“Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla
luce sogna o sembra di sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli
alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle, che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello
che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli è