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Storia: Le leggi razziali e il fascismo
Diritto: Dallo statuto Albertino alla Costituzione. articolo 21 C.
Scienze delle finanze: Articolo 53 - Imposte e tasse
Economia Aziendale: Sistema Bancario Italiano e tutela del risparmio
Matematica: G. Cantor e i Teoremi sulle Funzioni variabili di variabile reale
Inglese: The methods of payment
Il giardino dei Finzi Contini
Casa Editrice Einaudi
Torino
Prima edizione 1962
Il Giardino dei Finzi Contini, romanzo neorealista, scritto da Bassani nel 1962, narra la storia di
un gruppo di ragazzi e la storia d’amore mai nata tra due di loro. La vicenda si svolge tra il 1938
e il 1941, nella bella Ferrara sotto lo sfondo di una triste realtà fascista. Il protagonista, l’io
narrante, snoda la vicenda in flashback e ci riferisce come da quindicenne, sconfortato per essere
stato rimandato ad ottobre in una sola materia, fosse stato consolato dalla bella Micòl,
appartenente alla ricca famiglia ebrea dei Finzi Contini, descritta con molta cura dall’autore a
partire dall’imponente abitazione fino alle abitudini dei suoi componenti . Tra i due in un breve
episodio s’instaura una complicità particolare, che non potrà, tuttavia crescere poiché ostacolata
dal trasferimento di Micòl in un'altra sinagoga e fuori Ferrara per gli studi- Questo avrebbe
comportato, di fatto, la separazione dei due giovani per un lungo periodo. Con la promulgazione
delle leggi razziali, i due si rincontrano, infatti, quando il giovane, discriminato per la sua
religione viene totalmente escluso dal club di tennis, dal quale per sua scelta si era già allontanato,
e viene invitato da Micòl a praticare tale sport nel suo campo privato.
Ai due si aggiungono anche il fratello della ragazza, Alberto, l’amico operaio, il Malnate e altri
coetanei appartenenti al medesimo circolo di tennis. I giovani, ormai ventiquattrenni, trascorrono
le giornate nella sicurezza del giardino, isolati, in una quiete circondata dal dolore della
discriminazione e dall’incattivirsi del fascismo. L’autore non si sofferma in maniera eccessiva
sull’aspetto del regime e lascia intravedere piuttosto, nelle giornate dei ragazzi e nei loro discorsi,
quella disperazione che li circonda. Da parte del protagonista riaffiora un vecchio sentimento nei
confronti di Micòl tuttavia non corrisposto. Quando la giovane va a Venezia, per conferire la
laurea, il protagonista, tormentato dall’attesa del suo ritorno, trascorre la maggior parte del suo
tempo nella beata oasi a discorrere con i restanti amici: Alberto ed il Malnate. Quando, al ritorno
di Micòl, lui impulsivamente la bacia, il loro rapporto si rovina lentamente, fino a sparire, insieme
alla realtà del giardino, che il protagonista abbandona con l’aiuto del Malnate, giovane
particolarmente istruito nella politica, che lo istiga a guardare la realtà del suo tempo. Diventato
uomo, una notte il protagonista abbandona il suo sogno adolescenziale, dando l’ultimo saluto a
quel giardino, intriso di ricordi, che pian piano l’aveva reso cieco della realtà che lo circondava ed
allontanato da essa. Il termine del romanzo è accompagnato da un epilogo che ci descrive la fine
dei giovani: Alberto muore di tumore, Micòl e i suoi genitori vengono deportati e non torneranno
mai più e Malnate, invece, muore in guerra sul fronte russo.
Il romanzo nella sua prima parte, si snoda in minuziose descrizioni che lo rendono prezioso ma,
tuttavia, nella seconda parte la lettura risulta più scorrevole e piacevole, abbandonati totalmente
alla trama del racconto. Riesce a catturare il lettore portandolo ad identificarsi in quello che è il
percorso evolutivo del protagonista, che da giovane adolescente, riesce a diventare uomo ed ad
interessarsi alla storia della sua società e della sua comunità in particolare. A differenza delle altre
opere che narrano sullo sfondo la pesantezza del fascismo, Bassani sceglie di trasparire tale
aspetto solo in certi momenti, il più tangibile risulta essere l’epilogo che mette fine all’idealismo
che si è creato all’interno del piccolo mondo. La narrazione espone sinteticamente tutti i temi
fondamentali narrativi dell’autore: egli recupera la dimensione della memoria come arma contro il
rischio che la tragedia del popolo ebraico venga dimenticata e a questa associa la solitudine umana
e la violenza della storia.
Il Regime
Il fascismo instaura, a partire dal 3 gennaio 1925, un regime di governo dittatoriale, che si
propone di mutare il modo d'essere e comportarsi degli Italiani, in definitiva il loro stile di vita,
per uniformarli al modello sociale ed etico dettato dell'ideologia fascista.
Il regime guida gli Italiani verso la conformazione a ideali quali il nazionalismo, il patriottismo, il
militarismo, l'atletismo, l'eroismo, l'autoritarismo, l'esaltazione della civiltà romana e dell'idea
della virilità nonché la disapprovazione per taluni aspetti tipici della società borghese, modello
sociologico tipico del capitalismo, rispetto al quale il fascismo vuole presentarsi come terza via.
Obiettivo finale è la creazione di un nuovo tipo d'uomo, destinato, negli auspici del regime, a
guidare l'Italia e Roma a nuovi fasti imperiali.
La situazione politica ed economica del primo dopoguerra Formattato: Tipo di carattere:
Monotype Corsiva, 14 pt
Il periodo storico in cui meglio si inquadrano tutte le sfaccettature del tempo dove l’uomo perde
ogni dignità umana è il cosiddetto “ventennio fascista”, caratterizzato dall’avvento del fascismo e
del nazionalsocialismo.
La fine della prima guerra mondiale vede un’Italia in grave crisi economica, sfiduciata, lacerata
da contrasti sociali.
Fra i vincitori della prima guerra mondiale l’Italia era la nazione più fragile, sia perché
politicamente era “nata” da poco più di mezzo secolo, sia perché la sua economia era debole anche
prima della guerra, sia per il grande divario tra il Nord e il Sud del Paese.
Le condizioni in cui si trovò il nostro paese sono quindi immaginabili : una crisi generale
dell’economia, l’inflazione “galoppante”, i prezzi che salivano alle stelle mentre gli stipendi
restavano praticamente inalterati, e la disoccupazione era aumentata di sei volte rispetto all’anno
precedente.
La guerra, benché vittoriosa, ha significato investimento di capitali, calo della produzione agricola
per l’assenza materiale della forza-lavoro, arricchimento di pochi industriali e ulteriore
impoverimento dei lavoratori.
Una crisi generale, dunque, che coinvolse la stragrande maggioranza della popolazione.
Ai contadini durante la guerra era stata promessa la distribuzione delle terre ma queste erano
state dimenticate e nessuno intendeva rispettarle. Gli operai trovarono: aumento dei prezzi,
abbassamento dei salari, fame, disoccupazione. La crisi economica colpì anche la piccola e media
borghesia: da questi ceti erano stati reclutati gli ufficiali e i sottufficiali, tornati a casa erano stati
costretti a riadattarsi a una vita grigia e monotona, fatta di magri stipendi e sacrifici.
I reduci, soprattutto gli ufficiali di complemento, costituivano un’alta categoria che aveva buone
ragioni per lamentarsi. Innanzitutto, dopo 4 anni di guerra, trovarono grandi difficoltà a
reinserirsi nella vita “civile” e a trovare un posto di lavoro; questi giovani, inoltre, si sentirono
guardati con malcelato disprezzo proprio da quegli “imboscati che, mentre loro combattevano al
fronte, avevano approfittato per costruirsi delle cospicue fortune attraverso ogni tipo di
speculazione. Al loro rientro, le sinistre scatenarono inoltre la “caccia ai reduci e agli ufficiali”: a
loro, in pratica, si rimproverava di aver voluto la guerra e di avervi trascinato gli operai e i
contadini, mentre sappiamo che la decisione dell’intervento era stata presa da un’esigua
minoranza di italiani.
Questi malcapitati, tutti appartenenti alla classe media, tutti in preda alla più nera disperazione:
una mina vagante che vede davanti ai suoi occhi la grande industria e le banche rifiutarsi di
accollarsi i debiti nonostante gli ingenti profitti fatti con la guerra; e ha la netta impressione di
essere stata tradita, come i reduci.(da notare che tutto questo sta accadendo contemporaneamente
anche in Germania).
La soluzione che adottò il governo per far fronte ai debiti e alle spese sostenute in guerra era stata
quella di aumentare le tasse; con la conseguenza di far aumentare il costo della vita e bloccare
ulteriormente gli investimenti produttivi.
Il malcontento popolare esplose nel 1919 con scioperi e agitazioni. Ma la situazione peggiorò
l’anno seguente quando gli industriali metallurgici rifiutarono di concedere agli operai aumenti
salariali necessari a fronteggiare l’aumento dei prezzi.
Gli operai del settore entrarono in sciopero, gli industriali risposero con la serrata (la chiusura
degli stabilimenti).
Gli operai decisero l’occupazione delle
fabbriche pronti a difenderle anche con
l’uso delle armi.
Le divisioni all’interno del partito
socialista provocarono il fallimento
dell’occupazione delle fabbriche.
Questa crisi si manifestò in varie forme, dalla
rabbia insurrezionale del cosiddetto “biennio rosso”, nazionalismo esasperato degli ex combattenti.
Privi di una guida efficace e disorientati, gli operai abbandonarono la lotta e si accontentarono
delle promesse di Giolitti. Questa esperienza aprì una grave crisi all’interno del Partito socialista.
Il gruppo di estrema sinistra, capeggiato da Antonio Gramsci fondò il Partito Comunista d’Italia
che si proponeva di guidare il popolo alla rivoluzione. Si cominciò a invocare un governo forte, che
reprimesse con fermezza le agitazioni popolari, restituisse dignità alla Patria e garantisse l’ordine
sociale. In questa atmosfera, intrisa di paura, di disordine e di miseria, si affermò un movimento
destinato a stravolgere il sistema politico italiano e a segnare più di venti anni della nostra storia:
il fascismo, una forza politica sul versante di destra, poco numerosa ma molto combattiva
composta da nazionalisti, che avevano contribuito in modo determinante a trascinare l’Italia nella
guerra, e protestavano a gran voce per la “vittoria mutilata”.
La vittoria mutilata
L’espressione si riferiva al mancato rispetto da parte degli Alleati degli impegni presi con l’Italia
che fece raggiungere la massima tensione durante la crisi di Fiume.
Questa città, abitata in prevalenza da italiani ma situata in territorio slavo era stata occupata
dal nostro esercito durante la guerra.
Il trattato di Versailles l’aveva tolta all’Italia e assegnata alla Jugoslavia. Nel 1919, al momento
di evacuare la città, una parte delle nostre truppe rifiutò di obbedire, a sostenere questa ribellione
accorsero i legionari fiumani (G. D’Annunzio).
La questione fiumana venne risolta brillantemente da Giolitti, nel1920 concluse con la Jugoslavia
il Trattato di Rapallo. Fiume diventava uno stato indipendente, l’Italia ottenne l’Istria e la città
di Zara, la Jugoslavia videro riconosciuti i suoi diritti sulla Dalmazia. G. D’Annunzio
28 Ottobre 1922.
Mussolini con i suoi fedelissimi
durante la <<marcia su Roma>>.
L’ascesa del Fascismo
La crisi del dopoguerra italiano cominciò a decrescere, ma proprio a questo punto si
intensificarono, raggiungendo delle punte di inaudita violenza, le “imprese” delle squadracce
fasciste.
Gli uomini di governo, e Giolitti in particolare, non si opposero alla crescente marea fascista
perché credevano di poter “assorbire” i fascisti nel gioco parlamentare, ma non avevano capito che
il fascismo non era uno dei soliti partiti: non solo era organizzato quasi militarmente,
ma gli erano anche del tutto estranei i principi di libertà e di democrazia.
La “marcia su Roma”.
Alla ricerca di una solida maggioranza che consentisse di governare, nel maggio del 1921 Giolitti
indisse nuove elezioni, favorendo le liste nazionali che comprendevano anche i candidati fascisti; e
35 di questi furono eletti.
Le violenze “nere” contro i giornali, le sedi e le organizzazioni socialcomuniste raggiunsero il
culmine. Giolitti, per rimediare in qualche modo a quel caos, chiese al parlamento i pieni poteri, ma
questi gli vennero rifiutati e lui rassegnò le dimissioni. L’anno successivo quello stesso parlamento
avrebbe concesso i pieni poteri a Mussolini.