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Sintesi
Tesina ipertestuale sulla storia delle particelle elementari

I primi studi sull'atomo
Quante persone osservando i piccolissimi granelli di una manciata di sabbia possono aver pensato ai più piccoli e rigidi granelli che costituiscono tutte le forme di materia? L'affermazione esplicita che la materia sia composta da particelle indivisibili chiamata atomi la rintracciamo nell'antica città  d'Abdera, sulle coste della Tracia. Là , verso la fine del V secolo a.C., i filosofi greci Leucippo e Democrito insegnavano che tutta la materia è fatta di atomi e di spazio vuoto. [...]

Modelli atomici

Le particelle elementari

L'origine delle particelle: il Big Bang

Alcune applicazioni

Estratto del documento

La sensazione, che è alla base di ogni conoscenza, attesta l'esistenza della corpo­reità. Ma ciò che è corporeo, in quanto esteso, è divisibile all'infinito e, perciò, im­plica, perché non si riduca

al nulla impensabile («niente viene da ciò che non è»), un'altrettanto infinita serie di non passaggi, di individui (in greco atoma), concet­tualmente non riducibili ad altro (minima,

elàchista). Essi in sé sono indivisibili. Epicuro chiama semi gli atomi, perché non possono essere pensati né come punti fisici (ulteriormente divisibili), né come enti matematici (mere

astrazioni), ma co­me principi da cui tutte le cose sono generate. Inoltre, ogni corpo, in quanto deli­mitazione di spazio, è in un luogo (tòpos). Come, dunque, i corpi suppongono gli .7tomi

(minima), i luoghi suppongono un luogo che li contiene tutti e permette il movimento degli atomi, e che, perciò, non ha alcun luogo (il luogo dei luoghi): non luogo, ma vuoto (chenòn),

inteso non come contenente, ma come spazio, pura estensione (non a caso detta da Epicuro, con termine ricavato dal Timeo di Platone, chòra). La divisibilità all'infinito implica un'infinita

serie di indivisibilità.

Chòra (o vuoto) ed atomi sono dunque le uniche vere realtà, condizioni dell'esistenza di qualsiasi corpo e di qualsiasi movimento, alle quali si giunge dal­ testimonianza dei sensi (corpi e

luoghi) «mediante la ragione». Ogni esistente

un incontro di atomi che costituiscono i corpi: gli atomi, secondo il loro recipro­co rapporto, costituiscono la forma o schema per cui in un determinato rapporto gli atomi sono questo essere

individuale, in altro rapporto un diverso essere individuale; non esistono quindi essenze, strutture permanenti al di là della varia configurazione degli aggregati di atomi. Epicuro sottolinea

che tutta la realtà sca­turisce dall'incontro degli atomi, diversi solo per forma, grandezza, e aventi tutti un loro peso e, perciò, in sé ciascuno avente un movimento. Come per Democrito, gli

atomi non si differenziano qualitativamente, ma solo per caratteristiche quantitative; molto importante, rispetto a Democrito, è la considerazione del peso tra le caratteristiche proprie degli

atomi, per spiegarne il moto. Il peso degli atomi non è relativo ad altri: è peso specifico; non a caso Epicuro usa il termine barùs. Gli ato­mi si muovono eternamente secondo una direzione

rettilinea nell'infinito spazio; in questo spazio, proprio perché infinito, non esistono il basso e l'alto, quali pun­ti di riferimento assoluti, come voleva. Aristotele; con la dottrina epicurea

dello spazio infinito cade così la dottrina aristotelica dei «luoghi naturali». Gli atomi dunque vanno nel vuoto secondo una direzione rettilinea, portati dal loro peso, tutti con eguale

velocità: dal loro urto reciproco nascono nuove direzioni di mo­to e nascono gli aggregati di atomi, i corpi e quindi i mondi, infiniti, «in parte si­mili al nostro, in parte dissimili». Secondo la

testimonianza di Lucrezio, l’urto fra

gli atomi avverrebbe perché nella loro caduta essi deviano dalla perpendicolare (deviazione: clinamen), scontrandosi gli uni con gli altri: «se gli atomi non devias­sero - scrive Lucrezio -

tutti cadrebbero come le gocce di pioggia, in giù nel vuo­to infinito, a perpendicolo». Tutto dunque avviene non per necessità, per cui non v'è alcun bisogno di ricorrere a spiegazioni

teologiche e finalistiche.

Isaac Newton (1642 - 1727)

Grandissimo scienziato, s’impose come fisico, matematico, astronomo e filosofo. Nel 1661 entrò nel Trinity College di Cambridge, ove fu avviato verso

gli studi matematici dal maestro Barrow. Dopo un soggiorno obbligato (a causa della peste che colpiva tutta l’Inghilterra) di circa due anni nel suo

possedimento di Woolsthorpe, durante il quale gettò le basi delle sue maggiori scoperte, ritornò a Cambridge conseguendo fra il 1667 e il 1668 vari gradi

accademici. Qui il maestro Barrow, un po’ per aver capito le eccezionali capacità del discepolo, un po’ perché più interessato alla teologia, rinunciò alla

cattedra in favore di Newton. Prima socio, poi presidente della Royal Society di Londra, fu anche membro di numerose accademie europee. Fece anche

esperienza politica come deputato al Parlamento di Londra e nel 1695 ebbe la carica di ispettore della Zecca di Londra. Le sue maggiori opere sono state

Philosophiae naturalis principia mathematica, autentico capolavoro in cui espose i risultati delle indagini meccaniche e astronomiche; Optik, in cui

sostenne la famosa teoria corpuscolare della luce; Arithmetica universalis e Methodus fluxionum et serierum infinitarum pubblicato postumo nel 1736. Fu

sepolto nell’abbazia di Westminster, ove sulla tomba furono incise le parole: “Sibi gratulentur mortales tale tantumque exstitisse humani generis decus”

(si rallegrino i mortali perché è esistito un tale e così grande onore del genere umano).

John Dalton

John Dalton chimico e fisico inglese nacque in una famiglia quacchera nel 1766 e fu istruito in casa e presso le scuole religiose quacchere. Nel 1781 divenne aiuto del

fratello che insegnava a Kendal. Nel 1793 si trasferì a Manchester dove trascorse il resto della sua vita. In questa città insegnerà fisica e matematica divenendo poi un

divulgatore della scienza, che illustrava in conferenze che teneva passando di città in città. Le sue ricerche spaziarono su un’ampia gamma di temi. I suoi studi

sull’atmosfera lo dovevano portare gradatamente all’elaborazione della sua teoria atomica.

Dalton inizialmente si concentrò sui miscugli di gas e sulla loro composizione. Egli osservò che in una miscela di gas ogni componente esercita la stessa pressione,

come se esso fosse il solo gas presente nel volume dato, e enunciò la legge seguente: in un miscuglio di gas ideali la pressione totale è data dalla somma delle

pressioni parziali dei singoli componenti (pressione parziale di un dato componente è quella che esso eserciterebbe se occupasse da solo il volume dato). Basandosi

sul fatto che l’aria atmosferica è un miscuglio omogeneo mentre i suoi componenti hanno densità differenti, ed escludendo che si trattasse di un composto chimico,

formulò l’idea che gli atomi di ogni componente dovessero essere diversi, che dovessero avere pesi diversi, e che in un dato volume dovessero essere presenti in

numero differente. Si faceva così strada l’idea che esistesse un tipo di atomo per ogni elemento.

Dalton si occupò inoltre, prendendo le mosse dai risultati di A. Volta sul "gas delle paludi", della solubilità dei gas in acqua. Questi studi lo condussero a interpretare

le analisi chimiche dei composti in base ai pesi relativi degli atomi dei componenti elementari, primo passo verso una legge delle combinazioni chimiche.

Dalton (1766-1844) si rese conto che alcuni elementi combinandosi tra di loro, potevano dare origine a due o pi composti, ad esempio, idrogeno (H) e ossigeno (O) potevano dare origine a

due composti diversi: acqua(H O) e perossido d'idrogeno (H O ). Dalton tenendo conto della teoria di Proust (leggi delle proporzioni costanti) e della legge di Lavoisier (conservazione

2 2 2

della massa) impostò il seguente esperimento:

Dalton osservando i dati sperimentali si rese conto che le masse di ossigeno presenti nei due composti (H O e H O ) si trovavano nel seguente rapporto:

2 2 2

semplificando otterremo:

1/2 dove , si legge in questo caso, 1 a 2 e non un mezzo. Uno (1) e due (2) stanno ad indicare il numero di atomi di ossigeno presenti nei due composti. Infatti nell'acqua (H O) presente un

2

solo atomo di ossigeno, e nel perossido d'idrogeno (H O ), sono presenti due atomi di ossigeno. Concludendo, Dalton disse:

2 2

Se due elementi danno origine a due o più composti (ad esempio H O e H O ) mantenendo costante la massa di un elemento (in questo caso la massa dell'idrogeno presente nei due

2 2 2

composti ), notiamo che le masse del secondo elemento (in questo caso dell'ossigeno presente nei due composti), sono esprimibili con un rapporto di numeri interi e piccoli.

Dalton da queste tre leggi (legge della conservazione della massa, legge delle proporzioni costanti, legge delle proporzioni multiple) formulò la seguente teoria. La materia che ci circonda

sia allo stato solido, liquido o gassoso è formata da tante piccolissime particelle chiamati atomi. La sua teoria prende il nome di Teoria atomica di Dalton.

La teoria atomica di Dalton si basa su questi concetti fondamentali:

La materia è formata da particelle indivisibili e indistruttibili, gli atomi.

Gli elementi sono sostanze pure formati da atomi tutti uguali e con la stessa massa.

Atomi di elementi diversi (idrogeno, ossigeno, carbonio,...) sono diversi tra di loro e hanno masse diverse.

I composti sono sostanze pure formati dall'unione di due o più atomi diversi che si combinano secondo un rapporto definito (2 atomi di idrogeno si combinano con un atomo di

ossigeno per formare una molecola d'acqua H O).

2

Ma Dalton, oltre a essere un grande chimico, aveva una singolare caratteristica, di cui è rimasta traccia nel termine “daltonico”: era discromatoptico, ossia cieco ad alcuni colori. A lungo

non si era reso conto di vedere il mondo in maniera diversa dagli altri: lo scoprì di colpo nel 1794, quando, per sbaglio, indossò un abito rosso vivo invece di quello nero impostogli dalla

fede quacchera, e i suoi correligionari lo rimproverarono per l’errore. Affascinato, prese ad indagare sul proprio difetto visivo, chiedendosi come e perché vedesse le cose in quel modo; e

descrisse per la prima volta la discromatopsia ereditaria. Solo suo fratello, annotò, sembrava avere il suo stesso difetto.

Ripeteva spesso che, per lui, l’erba e il sangue avevano il medesimo colore, e i fiori di campo azzurri il colore di ciò che per gli altri era “rosa”; e si chiedeva interdetto come mai la gente

distinguesse il rosso dal verde e il rosa dall’azzurro, mentre lui no. Il rosso, scrisse, gli appariva “poco più di un’ombra o una mancanza di luce”. Poiché il difetto congenito apparteneva ad

un personaggio così famoso, presto fu coniato il termine “daltonismo” per designare la discromatopsia.

Alla fine lo scienziato elaborò una possibile spiegazione del fenomeno. Forse, pensò, il gel dei suoi occhi, il cosiddetto umor vitreo, era blu anziché trasparente e lo induceva a vedere il

mondo attraverso un filtro che rendeva il rosso e il verde un’identica sfumatura di grigio. Ma verificare l’ipotesi era arduo, perché per farlo Dalton avrebbe dovuto rimuovere i propri occhi

dalle orbite e controllare il corpo vitreo. Sebbene amasse molto la scienza, non se la sentiva di compiere quel sacrificio, sicché optò per un’altra soluzione: quando egli fosse morto, il suo

assistente avrebbe dovuto eseguire un esame autoptico dei suoi occhi.

Dalton morì il 27 luglio 1844, all’età di settantotto anni, e poco tempo dopo Joseph Ransome, il suo assistente, obbedì all’ordine impartitogli dal maestro: rimosse i bulbi oculari, versò

l’umor vitreo di un occhio su un vetro da orologio, e constatò che era, come poi scrisse, “perfettamente trasparente”, sicché l’ipotesi di Dalton risultava errata. Allora prelevò un frammento

dall’altro occhio e vi guardò attraverso per vedere se oggetti rossi o verdi gli apparissero grigi, ma così non fu, per cui concluse che qualunque fenomeno avesse causato la discromatopsia

di Dalton, doveva essersi verificato non nei bulbi oculari, ma nei nervi che collegavano l’occhio al cervello. Poiché Dalton era molto famoso e il daltonismo assai strano, quei bulbi oculari

furono infilati in un vaso e conservati fino all’epoca moderna dalla John Dalton Society.

A oltre centocinquant’anni dalla morte del grande chimico, spiegò Taubenberger ai suoi colleghi, era giunti il momento della verità. La biologia molecolare era diventata uno strumento

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