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Storia: l'evoluzione del lavoro (dalla rivoluzione industriale fino all' "Autunno caldo")
Diritto: il lavoro nella Costituzione Italiana; Statuto dei lavoratori; (Legge "Biagi")
Ragioneria: INAIL; INPS; TFR
Scienze delle Finanze: il reddito e le sue discriminazioni; i criteri del sistema tributario italiano
Tecnica bancaria: C/c di corrispondenza
Matematica: la ricerca operativa
Inglese: Charles Dickens
Se al giorno d’oggi tutti questi diritti sul lavoro e a tutela del lavoratore possono sembrarci alquanto
banali e scontati, nel passato per i lavoratori erano vere e proprie utopie, infatti, l’inserimento nella
costituzione italiana di diritti sul lavoro e addirittura in seguito la nascita di uno Statuto specifico con
norme che lo regolano ( Statuto dei lavoratori), deriva dalla lunga strada centenaria percorsa dai
lavoratori di tutto il mondo, fatta da mille rivendicazioni e da milioni di battaglie (talvolta anche
sanguinose), una strada resa ancora più difficile dagli stessi lavoratori, perché difficile è stata la presa di
coscienza da parte di essi delle condizioni disumane in cui lavoravano.
LA II RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN EUROPA: TAYLORISMO E FORDISMO
Infatti a partire dal 1870 con la II rivoluzione industriale
che sia pure in tempi diversi a seconda dei paesi, si diffuse
in tutta Europa, l’intero sistema economico, produttivo e
sociale cambiò, con la nascita della fabbrica , con l'utilizzo
di nuove fonti energetiche come ad esempio: il petrolio e
l'elettricità, e con le nuove invenzioni tecnologiche che
portarono a nuove macchine da lavoro, si modificarono i
rapporti fra gli attori produttivi. Nacque così la figura del
capitalista industriale, ovvero l’imprenditore proprietario
della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mirava ad
incrementare il profitto della propria attività. Ma sorse
anche la figura della “classe operaia” che riceveva in
cambio del proprio lavoro e del tempo messo a
disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario.
Una delle grandi conseguenze della rivoluzione industriale
fu il processo di “urbanizzazione”, processo che vedeva tutte le persone che vivevano e lavoravano
nelle campagne trasferirsi nelle “città industriali” per lavorare presso le fabbriche-industrie. Ma
all’interno delle fabbriche la classe operaia si trovava ad operare in condizioni di lavoro terribili in
ambienti rumorosi e malsani, con turni giornalieri fra le 13 e le 14 ore e con salari da fame.
Spesso, non essendo necessario possedere particolari abilità per compiere il lavoro prefissato
all’interno della fabbrica, i proprietari delle industrie predilessero l'uso di donne e bambini, i quali
potevano essere pagati di meno ed erano più facilmente sfruttabili. Gli industriali ricorsero dunque a
un massiccio sfruttamento del lavoro minorile.
L’Urbanizzazione inoltre portò come conseguenza l’aumento della domanda dei beni, in quanto le
città avevano aumentato in dismisura la loro popolazione, fu cosi che le fabbriche e le industrie si
ritrovarono di fronte alla necessità di produrre maggior quantità di beni, cercando di diminuire i costi
del lavoro e i tempi di produzione in modo di ottimizzare al meglio il processo produttivo.
A tal proposito nei primi anni del XX secolo, ai fini di rendere una
produzione più imponente, l’ingegnere statunitense Frederick Taylor
(nella foto a fianco) pubblicò nel 1911 la sua opera The Principles of
Scientific Management. In quest’opera Taylor si pose l’obiettivo di
aumentare il rendimento del lavoro mediante la divisione del lavoro in
operazioni semplici e facilmente acquisibili da qualsiasi lavoratore. Tale
scienza, che prese il nome di taylorismo, introdotta in USA a cavallo del
secolo e poi diffusasi in tutto il mondo industrializzato, indusse ad
applicare nuovi principi operativi nel processo di produzione, quali: la
suddivisione del processo di produzione in numerosissime azioni
semplici, il cronometraggio dei tempi standard (trasformati in obiettivi per
il lavoratore), l’addestramento degli addetti al lavoro (con conseguente
sviluppo di specifiche abilità manuali) e la proposta del cottimo
differenziale come incentivo economico, un sistema retributivo calcolato e diversificato sulla base
della quantità del lavoro svolto. 5
L’uomo che mise in pratica nel modo più completo e rigoroso le
dottrine di Taylor fu Henry Ford, l'industriale americano della
nota casa di automobili. A lui si deve realizzazione della “catena
di montaggio” e il lancio di un programma industriale e
commerciale volto a fare degli americani un popolo di
consumatori. Egli era convinto che il progresso sociale e civile
era il frutto del progresso tecnologico.
La fabbrica tayloristica sembrava la risposta più adeguata a questa
ideologia che fu significativamente detta “fordismo”.
A tale scopo bisognava, in primo luogo, standardizzare i prodotti e
semplificarne la composizione, eliminando tutto ciò che è superfluo
per abbassarne i costi di produzione e di manutenzione. L'idea base
della "rivoluzione fordiana “era quella di far muovere i pezzi da lavorare e di tener fermi i
lavoratori, onde eseguissero le loro mansioni senza spreco di tempo e al ritmo imposto dalla velocità
della “catena”. Con il Taylorismo e il Fordismo però la creatività
personale cessò di avere ogni significato, il lavoratore fu
ridotto a esecutore di gesti facili, ripetitivi e rapidi, tipici
della produzione in serie, inoltre il lavoratore in questo
processo a catena divenne in un certo senso servitore
piuttosto che utilizzatore della macchina, provocando
all’uomo una sorta di alienazione, difatti il lavoro a
“catena” aveva eliminato tutti i tempi morti del processo
produttivo,gli operai si ritrovarono a lavorare senza sosta,
non avendo pause che gli potessero permettere di
staccarsi da quel processo produttivo del quale l’uomo
era diventata parte intrinseca.
Su questo punto ho deciso di vedere il film “Tempi
Moderni”girato da Charlie Chaplin nel 1936, che
ritengo la migliore lezione di storia sul “fordismo”
che, con l'artificio della parodia, ne svela la natura.
Infatti il fordismo fu l’ideologia che creò la più
grande divisione tra lavoro e lavoratore.
Fu così che pian piano fordismo e taylorismo furono
abbandonati soprattutto perché non erano di fatto
riusciti a realizzare il più importante obiettivo:
l’armonia e la pacificazione tra capitale e lavoro in
fabbrica e nella società.
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IL LAVORO IN ITALIA DAI PRIMI DEL ‘900 AL BOOM ECONOMICO
Anche in Italia, specialmente al Nord, gli effetti della Rivoluzione Industriale si diffusero (sebbene
con molto ritardo rispetto gli altri paesi europei) tra la fine dell’ Ottocento e gli inizi del Novecento
quando nascono le prime fabbriche come le famosissime Pirelli, Fiat e tantissime altre.
Anche nelle fabbriche italiane però le condizioni dei lavoratori erano identiche a quelle di tutta
Europa, orari dalle 13 alle 14 ore e condizioni insostenibili e
nella maggior parte dei casi anche rischiose.
Per questi motivi nacquero le prime associazioni (Società di
Mutuo Soccorso) che costituite da operai e contadini si
impegnavano ad assistere gli iscritti in caso di malattia,
infortunio, vecchiaia e licenziamento. Nel 1891 nacque la prima
Camera del Lavoro a Milano. Tra il 1900 e il 1905 si ebbe uno
sviluppo delle Camere del Lavoro a cui corrispose il
rafforzamento dell’associazionismo di categoria, la Federazione
delle Società di mutuo Soccorso, la Federazione delle Camere
del Lavoro e la Lega delle Cooperative crearono l’Alleanza del Lavoro con il solo scopo di coordinarne
l’azione. Nel 1906 nacque la Confederazione Generale del Lavoro (CGL che diventerà CGIL) il cui
scopo era raccogliere tutte le forze operaie.
Tali associazioni (che nel tempo prenderanno il nome di Sindacati) avevano come strumento di lotta
per i propri diritti lo sciopero. Un momento importante derivante dall’influenza del lavoro nella
società Italiana del Novecento si ebbe negli anni 1919-1920, il
cosiddetto dagli storici Biennio rosso.
In tale periodo, immediatamente successivo alla prima guerra
mondiale, si verificarono soprattutto nel centro-nord mobilitazioni
contadine, manifestazioni operaie, occupazioni di terreni e fabbriche
con, in alcuni casi, tentativi di autogestione. Le agitazioni si estesero
accompagnate da scioperi.
I motivi per cui gli operai e i contadini occuparono rispettivamente
fabbriche e terre erano dovuti alla richiesta di aumento dei salari e
alla ribellione al “caro-vita” e la stessa CGL faticò nel controllare e
gestire gli scioperi in quanto nelle piazze si svolgevano scontri violenti tra manifestanti e forze
dell’ordine. A favore dei manifestanti si schierò il PSI (Partito Socialista Italiano) aumentando
notevolmente di numero i suoi iscritti e ottenendo grandi risultati alle elezioni del 1919 dove però il
potere rimase comunque ai liberali. L’occupazione delle fabbriche raggiunse l’apice nel settembre-
ottobre del 1920 in seguito alla mancata concessione degli aumenti dei salari, ma ben presto la protesta
si esaurì da sola, merito anche della tattica del governo Giolitti che decise di non inasprire i conflitti
sociali, le fabbriche furono perciò sgombrate pacificamente, sebbene il biennio rosso terminò con il
bilancio di 227 morti e 1072 feriti, tra forze dell'ordine e lavoratori.
Negli anni successivi in Italia si instaurò il Regime fascista con a capo Benito Mussolini , tale regime
divenne negli anni una vera e propria dittatura, e anche il mondo del lavoro ne risentì, subendo notevoli
cambiamenti: il fascismo con l’approvazione della Carta del lavoro dichiarò fuori legge tutti i
sindacati, che furono sostituiti dai sindacati corporativi fascisti che riunivano i lavoratori nelle
Corporazioni, associazioni di mestieri affini composte sia dai lavoratori che dai datori di lavoro con lo
scopo di organizzare la produzione cercando di eliminare i conflitti sociali. Il diritto allo sciopero fu
abolito e, senza sindacati, i grandi gruppi della finanza, dell’industria e dell’agricoltura poterono
ottenere dal regime una politica a loro favorevole senza l’opposizione della classe operaia e contadina.
Dopo il secondo conflitto mondiale, e con la fine della dittatura fascista e l’instaurazione della
Repubblica, preferita con la stragrande maggioranza dagli italiani nel referendum del 2 giugno 1946,
l’Italia si presentava in condizioni di disagio, soprattutto al Sud dove la situazione sociale era sempre
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più esplosiva: in ampie zone della Sicilia e del Meridione si verificavano scioperi e occupazioni delle
terre da parte dei contadini che volevano la tanto sospirata riforma agraria, emanata in seguito dal
ministro del consiglio Alcide De Gasperi: per venire incontro alla popolazione la riforma prevedeva la
consegna ai contadini più poveri di terre derivanti dalla confisca alle grandi proprietà, ma i latifondisti
spesso trovavano il modo per evitare l’esproprio e fu per questo che la riforma non ebbe grandi risultati.
Grandi cambiamenti in Italia si ebbero negli anni a partire dal 1958 fino al 1963, dove si assistette al
cosiddetto “Boom Economico”, una fase in cui si assistette ad un grande sviluppo economico e
produttivo. L’Italia si trasformò da paese prevalentemente agricolo a società industriale, i motivi del
boom economico sono molteplici: l’entrata dell’Italia nel MEC (Mercato Comune Europeo) con
conseguente abbattimento dei dazi doganali, la crescita della produzione in maniera incontrollata, i
bassi salari, la disponibilità di nuove fonti di energia e la trasformazione dell’industria dell’acciaio, la
scoperta del metano, degli idrocarburi e la realizzazione di una moderna industria siderurgica sotto
l’egida dell’IRI. Un altro momento cruciale della storia dei lavoratori
in Italia furono gli anni del 1968-1969.
Questi anni, infatti, furono caratterizzati dalle
numerose contestazioni studentesche, i cui principali
motivi erano: gli arretrati contenuti dell’istruzione, la
rivendicazione dell'estensione del diritto allo studio
anche ai giovani di condizioni economiche disagiate,
le strutture insufficienti, e soprattutto le frustrazioni
dei giovani alle reali possibilità di sbocco lavorativo.
Al malessere studentesco si unirono le frustrazioni
operaie, le agitazioni presero origine per chiedere il
rinnovo di molti contratti di lavoro, l'aumento dei
salari uguale per tutti, la diminuzione dell'orario, le
pensioni, l’eliminazione delle gabbie salariali, la